DI VIRGINIA MURRU
Andava tutto a gonfie vele in ‘quel’ di Wall Street, ma qualcosa nel sistema globale è andato di traverso, e così la norma si ripete: i mercati finanziari implodono facilmente, sono simili a Colossei con tutte le porte aperte, e nell’aria rimbalzano, vicino e lontano, gli esiti di scambi e contrattazioni, le buone performance e i crolli.
La Borsa dunque trema a Wall street, che ieri arriva a perdere oltre il 6% (intorno a 1.600 punti, e chiude poi la seduta con un calo di 1.175 punti); per trovare il segno di un ‘drop’ così collassante bisogna andare indietro di 7 anni. Ma in una sola giornata le perdite sono da record: bruciati in brevissimo tempo i guadagni di oltre un mese. E l’incubo è di nuovo dietro la porta dei mercati finanziari.
Perché è implicito: se Wall Street ha il mal di pancia, qualcosa probabilmente non va nelle piazze europee, e il malessere è più contagioso di una malattia esantematica. E infatti in Europa la sintomatologia si era già rivelata, gli operatori non hanno perso tempo a riflettere sull’eziologia, la diagnosi era evidente.
Poi il ‘contagio’ è arrivato anche in Asia, visto che oggi vanno a picco le Borse di Hong Kong e Tokyo.
Piazza Affari, insieme a tante altre piazze europee (tedesche e svizzere comprese), fa le spese della speculazione al ribasso dei Fondi Hedge, oggi all’avvio c’è stato un crollo, peraltro previsto. Comunque si è verificata una corsa all’acquisto sul Fitse Mib, la forte ventata di vendite sta creando serie difficoltà al paniere di riferimento della Borsa milanese.
L’intervento ieri di Mario Draghi all’Europarlamento è stato rassicurante, perché ha in definitiva promesso stabilità nella politica dei tassi, eppure sembra che i mercati non si sentano abbastanza protetti dalle autorità finanziarie, e schizzano un po’ ovunque.
Secondo il parere di tanti analisti, la resilienza e il benessere generale dei mercati negli ultimi anni di lotta e ripresa dalla grave crisi del 2008, potrebbe essere al termine del ciclo. E’ possibile che la fase rialzista, durata diversi anni, sia in procinto di cedere. Spaventa l’incalzare dell’inflazione e la crescita dei rendimenti dei tassi obbligazionari.
La fine di questa fase la racconta a Bloomberg il Chief Investment Officer di American Century Investiments:
“E’ in atto la conclusione di una fase rialzista, che era in corso da ormai 8 anni, il sell off che si è scatenato potrebbe non essere un evento che si esaurisce nello spazio di pochi giorni.”
Ma a causare il cortocircuito nel mercato americano è stato paradossalmente il timore di un rialzo dei salari e dei prezzi, e di conseguenza un’impennata del tasso d’inflazione. E a seguire la più ovvia profilassi della Fed: la stretta monetaria, già peraltro nell’aria con il nuovo inquilino, Jerome Powell. Il crollo del Dow Jones e Nasdaq non è stato uno scherzo, ma si pensava anche di peggio ieri sera.
Ora mister ‘America first’, dovrà riflettere prima di esibire al mondo intero le credenziali di Wall Street, quale prova del nove della sua efficienza, in termini di interventi di politica economica.
Intanto, la poltrona di Jerome Powell, appena insediatosi alla guida della Federal Reserve, già lampeggia in rosso. Non è un buon inizio, decisamente. Si legge al riguardo nel quotidiano inglese ‘The Guardian’:
“But on the day that new Federal Reserve chair, Jerome Powell, took office, replacing Janet Yellen, that quiet period seemed to be over. (Ma nel giorno in cui Jerome Powell assume l’incarico di nuovo presidente alla Fed, sostituendo Janet Yellen, i tempi della quiete sembra si siano dissolti.”)
Il crollo della Borsa americana è arrivato in seguito ad un altro giorno pesante nei mercati globali, gli investitori hanno reagito alle forti perdite, e traspare la preoccupazione che la Banca Centrale aumenti i tassi d’interesse, in risposta alla pressione inflazionistica che avanza, e che paradossalmente è stata tanto sospirata.
Gli orizzonti dell’economia americana aprono nuove viste, non sono propriamente quelli che si sono presentati a Janet Yellen, il nuovo presidente dovrà fare i conti con gli interventi del Governo, Trump tiene alla riduzione della pressione fiscale, ed è prossimo il varo della riforma che alleggerirà i cittadini di 1.500 miliardi di dollari.
La riforma ha i suoi punti fermi sui fondamentali dell’economia americana, la stabilità dei dati macro che hanno presentato indici in crescita, come quello dell’occupazione, l’accelerazione della produzione industriale, che insieme alle performance di Wall Street fino ad una settimana fa, hanno permesso un’ottima sinergia di risultati che non facevano certo presagire una simile tempesta.
Mai vaccinati al fatto che per i mercati la volatilità è imprevedibile, e che nel volgere di un giorno, mette a soqquadro una serie di elementi disciplinati come soldatini.
Nella Borsa americana lo S&P perde oltre il 4%, anche qui bisogna andare indietro di 7 anni per trovare sprofondamenti di questa portata. Il Nasdaq perde un po’ meno: qui siamo a 3,75%. Per il DJ e S&P si ripiomba nell’aria plumbea della crisi del 2008, ora non ci sono i mutui subprime a fare da detonatore, ma la mina è sempre vagante, toglie la sicurezza conquistata negli ultimi anni sul piano globale con tanta fatica, e ogni sorta di strategia da parte delle Banche Centrali.
Al momento, negli States, non sono sufficienti le garanzie e le promesse solenni del nuovo Governatore, che ha dichiarato d’essere prudente e procederà ad un aumento graduale dei tassi qualora ne ricorresse la circostanza. Escludendo pertanto una politica monetaria che implichi azzardi o strategie che possano mettere al rischio gli equilibri che la Yellen ha tenuto ben saldi.
Ma intanto si dà quasi per certo un rialzo dei tassi a marzo prossimo, in occasione del primo rendiconto di Powell alla guida della Fed. Ma potrebbero essercene 4 di rialzi ‘graduali’, se i dati macro continueranno ad esprimere la tendenza alla crescita. Da qui partono anche i timori e le diffidenze dei mercati azionari, il cui ossigeno è la stabilità.
E tuttavia, nella radice del problema, secondo gli analisti, c’è anche il “flash crash” derivante dai sistemi super tecnologici dei mercati, ovvero i trading automatici. Del resto qualcosa di simile è accaduto all’euro il giorno di Natale, si è parlato di automatismi del trading, di flash crash. Dietro il crollo ci sarebbe un ‘eccesso’ di tecniche digitali, che mettono a rischio l’intero sistema in certe circostanze.
E sembra sia proprio la causa vera del crollo avvenuto ieri. Tali guide automatiche si avvalgono non di rado della volatilità quale parametro per la valutazione del rischio. Quando l’indice è basso il trading automatico corre all’acquisto di titoli, quando è alto avviene il contrario, ossia si vende. Il meccanismo però è contorto, poiché più si vende più aumenta la volatilità, come il cane che si morde la coda.
Chi sa fiutare i mercati e ne conosce profondamente gli umori, può permettersi, ‘scommettendo’ contro la volatilità, affari d’oro.
Intanto le macchine ragionano da macchine, secondo gli input, e siccome si tratta di ‘prodotti’ derivanti dall’ingegno della mente umana, possono compiere disastri. La dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che l’automatismo nella tecnologia deve stare sotto il controllo e la stretta vigilanza della ‘ragione’ umana.