DI VIRGINIA MURRU
L’Ufficio parlamentare di bilancio fa lampeggiare l’allarme sul rispetto delle regole (in ambito Ue) che potrebbe essere esatto da Bruxelles, com’è avvenuto del resto lo scorso anno, per la finanza pubblica italiana, a rischio di “significativa deviazione”.
L’Upb nel Focus “Situazione e prospettive della finanza pubblica italiana”, allerta il Mef con un messaggio chiaro: la deviazione rispetto alle regole dell’Unione europea potrebbe nuovamente indurre la Commissione a richiedere misure correttive”.
Il ministero di Economia e Finanza non sembra eccessivamente preoccupato dalla possibile incombente richiesta di interventi ‘forzati’ sui conti pubblici I recenti progressi confermati dalle Agenzie di rating, Istat e importanti Organizzazioni internazionali come l’Ocse, fanno ritenere che Bruxelles abbia preso atto degli sforzi compiuti dal Governo italiano, tanto da meritare fiducia.
Nel 2018, se dopo le elezioni si proseguisse sulla via delle riforme, la crescita dell’economia potrebbe andare al di là dei target e delle aspettative, con il Pil in marcia verso un probabile +2%. Traguardo realizzabile, perché, secondo il ministro dell’Eonomia Pier Carlo Padoan, “il sentiero stretto” che si è percorso in termini di rigore, per via del limite delle risorse disponibili e della difficoltà a contenere il debito pubblico, è meno stretto di un anno fa, dato che tanti ostacoli sono stati bypassati, e il deficit è stato costantemente ridotto.”
Potrebbe bastare ai supervisori di Bruxelles? Certo potrebbe bastare l’impegno dimostrato, ma qualora si tenesse conto del fatto che il debito pubblico, in termini di scostamenti, è sempre critico, arriverebbe la solita strigliata, che in ambito internazionale non è una lusinga.
C’è da riflettere sulle previsioni di autunno della Commissione europea, la quale ha sottolineato che nell’anno in corso “la correzione del deficit strutturale non andrebbe oltre un decimo di punto percentuale”, non sufficiente a riportarci sui binari della media europea in termini di deviazione.
L’Ufficio parlamentare di bilancio, nel suo Focus, sostiene altresì che “sarà arduo nei prossimi anni cancellare, anche in parte, le clausole di salvaguardia e basarsi su coperture alternative, poiché è necessario tenere presente la riduzione progressiva dei margini di contenimento di tante voci del bilancio – in seguito alle manovre correttive degli ultimi anni – e degli spazi sempre più ridotti di flessibilità ancora disponibili nelle regole di bilancio.”
E si legge ancora: “il miglioramento dei conti pubblici è legato alle clausole dalle quali ci si aspettano introiti per un importo pari a 12,5 mld nel prossimo anno, e poco più di 19 mld nel 2020.
La disattivazione totale della clausola nel corrente anno, per 15,7 miliardi, è stata finanziata in deficit, consentito dai margini di flessibilità delle regole di bilancio. Vantaggi che non saranno più possibili dato che non ci sono margini idonei alla concessione di ulteriore flessibilità”.
Le ragioni per l’allarme ci sono. Ma si pone l’accento anche sulla spesa pensionistica, che va ben oltre il livello percentuale del Pil, se rapportato ai migliori paesi membri dell’Ue. E tuttavia, per via delle riforme attuate fino ad ora, nel lungo periodo dovrebbe essere più sostenibile. “Anche se – precisa l’Ufficio parlamentare di bilancio (guidata da Giuseppe Pisauro) – difficilmente da questo comparto deriveranno “significativi recuperi di risorse”. La sostenibilità che potrebbe essere messa a rischio da revisioni senza la relativa copertura finanziaria
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Il sistema previdenziale ha un’incidenza notevole sui conti pubblici, si regge su punti fermi sensibilissimi ad eventuali interventi che non tenessero conto, per esempio, della legge Fornero (monito dell’Upb). I richiami della Commissione europea al riguardo sono stati del resto tanti negli ultimi anni.
Secondo l’Upb, il livello troppo elevato del debito pubblico, continua ad essere l’anello più pesante e problematico della catena in ambito bilancio. La sua incidenza, in rapporto al Pil, è del 132% (nel 2016); messa a confronto con la media dell’Eurozona, che è dell’81,4%, certamente mette in rilievo una differenza notevole. Il debito pubblico è quel macigno che schiaccia e limita, condiziona la consistenza delle riforme strutturali, ma è un’eredità che viene da lontano, e dopo gli anni più ardui della crisi, contenerne la portata non è semplice.
La riduzione costante del deficit e la crescita dell’economia, hanno permesso tuttavia di fermare anche la crescita del debito pubblico, che nel 2015, dopo 7 anni di esorbitante aumento, è stato finalmente bloccato, nonostante le proporzioni siano ancora piuttosto ‘ingombranti’.
Secondo fonti del Mef si può essere più ottimisti, le recenti positive performance della produzione industriale, insieme ai progressi riscontrati in importanti dati macro, fanno ritenere che gli obiettivi di bilancio saranno raggiunti senza eccessive collusioni con le clausole dell’Ue e la relativa sorveglianza sulla finanza pubblica.