Il sud d’Italia sembra davvero senza speranza, nel peggior momento di crisi della sua storia repubblicana ha ancor più necessità di politiche e politici di qualità, che possano continuarne e con maggior efficacia il faticoso rilancio del territorio e delle infrastrutture, trasporti, efficienza e sostenibilità economica.
Invece, se da una parte il governo annuncia il termine dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, da sempre simbolo dell’inefficienza dell’apparato pubblico, dall’altra, seguendo la logica del “ci penso io” proprio di mentalità non esattamente democratiche, propone una riforma che, ad avviso dei quasi cento personaggi pubblici del Sud firmatari di un eloquente documento sulle ragioni del NO, ostacola ancora una volta le prospettive di sviluppo del territorio.
Il propagarsi dei comitati del NO che tentano di spiegare in parole semplici ai cittadini una riforma complessa ed insidiosa sono la prova della sua complessità e della confusione che introduce nel processo decisionale di tutti noi per scegliere in modo responsabile e cosciente, dato che dopo l’eventuale SI, si complicheranno ancora di più le cose per eventuali ulteriori modifiche ed aggiustamenti.
Il pericolo è, quindi, che si vada a votare seguendo gli slogan elettorali che non mancano mai.
A partire dal motto “forza Italia”, trasformato in nome di partito, sono state propagate sistematicamente immagini positive ed efficaci slogan per movimenti e partiti, cambiando l’aspetto esteriore della solita politica stantia che si è così lavata la faccia senza davvero cambiare nulla o quasi, nella più stretta logica del Gattopardo.
Anche per questa ragione, oggi come mai, si deve fare più attenzione ai contenuti, evitando il giudizio sulle sole apparenze, cui ci hanno abituati, e scavando più nel profondo delle proposte che ci vengono sottoposte.
L’incontrovertibile e prezioso documento dei 50 costituzionalisti per il NO evidenzia alcune modifiche apprezzabili introdotte dalla riforma, a partire dal superamento del bicameralismo perfetto, ma, al contempo, sottolinea che “questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici”.
La maggior concentrazione e personalizzazione del potere esecutivo, che, fra l’altro, disporrà di una corsia preferenziale nel nuovo processo legislativo affidato in gran parte ad una sola Camera saldamente controllata dal Premier, ed il forte accentramento nell’esecutivo nazionale dei poteri di governo del paese a danno delle Regioni, sono forse gli aspetti più pericolosi per lo sviluppo locale, tanto più per dei territori già storicamente provati oltre che non ancora adeguatamente valorizzati ed in piena crisi.
Due aspetti che già da sé valgono un rifiuto, dato che al loro posto sarebbe necessario che in un sistema democratico ben rappresentativo e ben funzionante vi siamo più forti meccanismi di “controllo ed equilibrio” e un ruolo legislativo più rilevante, osservato anche che la capacità di governo, oggi, non è minata da fattori istituzionali, ma da politiche deboli.
Inoltre, il testo sottoposto a referendum non modifica gli ingiustificati privilegi per le regioni a statuto speciale, mentre per le regioni più ricche e con bilanci più sani, introduce la possibilità di tornare ad acquisire rilevanti competenze.
Infine, se le regioni, specie al Sud ma non solo, non hanno sempre dato buona prova di sé, ma questo è un problema più politico che istituzionale, i Ministeri non sono stati da meno, poiché in una società articolata e multiforme, come la nostra, è difficile governare per decreti centrali rendendosi, invece, indispensabile una stretta collaborazione fra i differenti livelli di governo che possano, se necessario, coinvolgere i cittadini nelle scelte a loro rivolte.
È quindi proprio la logica di “maggior centralità” alla quale è ispirata la riforma a non garantire in alcun modo questo obiettivo, provvedendo, invece, solo a dare al Governo centrale la possibilità d’imporre ai territori le sue scelte, anche quelle potenzialmente e/o sicuramente dannose.
Tutto questo è stato già ampiamente dimostrato dalle scelte politiche compiute negli ultimi anni, promosse dagli esecutivi senza un sufficiente dibattito parlamentare e che stanno gradualmente rendendo diritti e servizi diseguali e sempre più dipendenti dalla ricchezza dei territori, aumentando la pressione fiscale in quelli più deboli e concentrando i pochi investimenti nelle aree più forti del paese, ridisegnando sanità, scuola, welfare in misura sbilanciata ed a danno del Sud, od almeno svantaggiandolo, ed anche la riforma, promossa dall’attuale esecutivo, di profonda trasformazione e concentrazione del sistema universitario, avrà effetti gravissimi sul futuro civile ed economico del Sud.
In Italia c’è sicuramente tanto da cambiare e da innovare, soprattutto al Sud, rapidamente e senza ripetere gli errori già fatti, ma nella società attuale le vere riforme, quelle utili e funzionali, possono nascere solo da un ampio confronto democratico e dall’attenta rappresentazione e composizione delle diverse esigenze territoriali, oltre che dall’interazione tra i saperi, le conoscenze e le culture politiche e sociali.
Il reggente buono ed illuminato che conosce i bisogni del suo paese è solo una pericolosa illusione, reminiscenza di regimi passati e non certo il possibile frutto di questa riforma costituzionale.