A nove anni, dai fatti ancora nessuna verità per l’omicidio di Chiara Poggi, un nuovo test del DNA scagionerebbe Stasi, oggi in carcere dopo due assoluzioni ed una condanna, unico imputato di un processo dalle molte leggerezze, partite dalla sua insistenza nel telefonare a Chiara Poggi invece di crearsi un alibi.
Erano le 13.50 quando Alberto Stasi scopre il cadavere di Chiara Poggi dopo averla lungamente cercata invano al telefono, la sua invasione sulla scena del delitto lascia fin dall’inizio molti dubbi, tra questi le scarpe da tennis senza tracce di sangue, prova che secondo i giudici della Cassazione lo inchioda alle sue responsabilità, la misteriosa sparizione di una bicicletta nera da donna, avvistata e poi scomparsa, ma anche la grande assenza di un’arma del delitto, mai trovata e mai definitivamente identificata.
Secondo gli investigatori Chiara Poggi muore tra le 9.12 e le 9.35, l’ex fidanzato non ha e non si procura un alibi insistendo invece nel telefonare a Chiara, dell’arma del delitto nessuna traccia, secondo i giudici la ragazza fu colpita con un martello portato da Stasi e da lui poi occultato insieme a due asciugamani da spiaggia.
Due testimoni notano una bicicletta nera da donna appoggiata alla villetta di Garlasco, alle 9.10 e tra le 9.23 e le 9.31, per poi sparire alle 10.20, mentre Alberto Stasi alle 9.35 Alberto era ancora a casa sua lavorando al computer.
Chiara fu assalita all’ingresso della casa, in pigiama, davanti alle scale che portano al piano superiore. Le impronte di digitali di Stasi vengono trovate un po’ dappertutto, sul dispenser del bagno ed in altri luoghi, ma aveva una relazione con Chiara e questo poteva essere normale.
Alla fine di tre lunghi e sofferti gradi di giudizio, la cassazione, il 12 dicembre 2015, conferma la sentenza-bis d’Appello e condanna definitivamente Stasi a 16 anni di reclusione, confermando la validità delle prove, tra queste la principale sono state le scarpe del ragazzo prive di sostanze ematiche dopo l’ingresso in casa e che avrebbero invece dovuto macchiarsi di sangue a causa della “camminata” nella villetta.
Oggi, la rivelazione choc: «Il DNA sotto le unghie di Chiara Poggi non è di Alberto Stasi ma di un giovane che la conosceva».
Lo dice una perizia di parte della famiglia di Alberto Stasi, il profilo del DNA trovato sotto le unghie di Chiara sarebbe sicuramente di un soggetto maschio con nove marcatori compatibili con la famiglia di un altro giovane che conosceva Chiara e solo cinque con quella di Stasi.
Elisabetta Ligabò, l’instancabile madre che ha sempre creduto all’innocenza del figlio lo rivela al Corriere, comunicando i risultati di laboratorio ottenuti da un conosciuto genetista su incarico di un’agenzia investigativa milanese, e che ora vorrebbe riaprire il caso.
La mamma di Stasi dichiara che presenterà un esposto per chiedere la revisione del processo sulla base di questa nuova prova che considera definitiva per dimostrare l’innocenza del figlio: «Non ho fatto che ripeterlo e finalmente ne ho la conferma. Mai e poi mai Alberto avrebbe potuto uccidere Chiara. Si amavano e avevano progetti in comune. La sera prima erano andati a cena insieme. Di lì a poco sarebbero partiti per le vacanze. Erano felici, uniti, erano spensierati, vivevano con la gioia e la fiducia nel futuro tipica dei giovani fidanzati. Alberto stava per laurearsi e se c’era una persona che più di ogni altra lo spronava e gli dava forza, che lo incoraggiava e lo appoggiava, quella era Chiara. Amo mio figlio, l’avrei amato anche da colpevole ma chi sa del delitto ha continuato a non parlare e a stare nascosto, scegliendo il silenzio, un silenzio terribile, asfissiante, un silenzio atroce che ha coperto e depistato. Così facendo non ha reso giustizia a una ragazza morta e, allo stesso tempo, sta uccidendo una seconda persona».
Secondo la madre, Alberto «è stato privato della vita. Io ho combattuto a lungo, a volte anche in solitaria, specie da quando è venuto a mancare mio marito. Ho combattuto contro le convinzioni dei tanti che a cominciare da qui, da Garlasco, subito avevano decretato la colpevolezza di mio figlio senza alcuna esitazione. Alberto il killer dagli occhi di ghiaccio… Non ho creduto nemmeno per un istante a una sua responsabilità. Non ha ammazzato Chiara. E se finora era una convinzione, adesso è una certezza: quella persona deve spiegarmi la presenza del suo DNA sotto le unghie della ragazza. Lo deve a me, lo deve ai genitori di Chiara, lo deve a tutti».
La prova del DNA fu misteriosamente sottovaluta e quasi ignorata nel corso del processo, ora, la nuova prova, individuata sotto forma anonima dal genetista, estraneo fino ad ora alle indagini, potrebbe riaprire il caso.
Dalle nuove analisi emerge che «una perfetta compatibilità genetica tra il profilo del cromosoma Y estrapolato dal professor De Stefano», il genetista che aveva effettuato le prime indagini presentate alla Corte d’Appello di Milano nel processo-bis, «sul quinto dito della mano destra e sul primo dito della sinistra, con il profilo genetico aploide del cromosoma Y ottenuto dal cucchiaino e dalla bottiglietta d’acqua». Gli oggetti al tempo analizzati, con il limite che «il cromosoma Y identifica tutti i soggetti maschi appartenenti al medesimo nucleo familiare ed esso non è utilizzabile per identificare un singolo soggetto ma, piuttosto, una famiglia».
In un paese di soli diecimila abitanti come Garlasco una famiglia potrebbe essere un nascondiglio troppo piccolo per poter celare una persona che deve dar conto delle ragioni del contatto diretto con Chiara, assassinata la mattina del 13 agosto 2007.
La madre di stasi chiede ora la scarcerazione del figlio come atto dovuto: «Credo sia giusto e sacrosanto che mio figlio esca dal carcere. Al più presto. Alberto e io abbiamo già atteso e sofferto troppo. Troppo».
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