L’Environmental Protection Agency, l’agenzia per la protezione ambientale americana, per mesi si è rifiutata di certificare i veicoli a diesel 2017 di FCA in vendita negli Stati Uniti ed la accusa di aver truccato le emissioni di 100mila veicoli, proprio come fece Volkswagen che in questi giorni ha trovato un accordo per il dieselgate, atraverso un patteggiamento, soggetto all’approvazione del consiglio di sorveglianza, di 4,3 miliardi di dollari.
Poco meno della cifra che rischia Fiat Chrysler Automobiles per lo stesso motivo e che ammonterebbe potenzialmente a 4,63 miliardi per avere violato leggi sulle emissioni di ben 104.000 veicoli, tra veicoli pesanti e SUV, prodotti dal 2014 ed equipaggiati con centraline non conformi.
Marchionne, però, contesta i dati con una comunicazione ufficiale ribadendo che che gli standard sulle emissioni nocive sono stati «rispettati» e ritenendo che i sistemi di controllo delle emissioni FCA «rispettino le normative applicabili» e fornendo la propria disponibilità a collaborare con la nuova Amministrazione per «presentare i propri argomenti e risolvere la questione in modo corretto ed equo».
Inoltre, secondo Marchionne, «Non c’è nulla in comune fra il caso Volkswagen e quello Fca» poiché FCA dialoga con l’Epa «da più di un anno» evidenziando come sia curioso e «spiacevole» che l’Agenzia per la Protezione ambientale americana abbia deciso di affrontare il caso FCA pubblicamente.
Secondo i dati sulle vendite diffusi in giornata VW aveva registrato un record di vendite posizionandosi in vetta alla classifica dei costruttori mondiali con 10,3 milioni di veicoli venduti nel 2016, il 3,8% in più rispetto al 2015 nonostante la multa pagata e il blocco delle vendite a gasolio negli Usa ed anche se per Marchionne non ci sono somiglianze, il valore della multa e la dichiarazione che «FCA sopravviverà anche se le dovesse essere comminata una multa di 4,6 miliardi di dollari», non fanno apparire i casi tanto distanti.
Nel frattempo la notizia ha fatto crollare in borsa il titolo FCA che è stato sospeso più volte al ribasso, chiudendo a Piazza Affari con un calo del 16% e trascinando con sé anche la holding della famiglia Exor (-9,3%).
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