Che Moody’s si appresti a pagare una multa per aver gonfiato i rating fa certamente scalpore, sia per l’entità della cifra, 864 milioni di dollari, sia per il fatto che un’agenzia dalla quale dipende l’economia americana ed in parte quella mondiale possa aver agito in cattiva fede.
Il tema dovrebbe essere quindi chi controlla i controllori, ma questo farebbe passare in secondo piano il fatto che i rating gonfiati hanno provocato la crisi dei subprime ed il collasso del mercato immobiliare americano, che a cascata innescò il più grande terremoto finanziario ed economico del dopoguerra con ripercussioni in tutto il mondo ed è costata alle famiglie americane colpite dalla recessione circa 11 mila miliardi di dollari.
Davanti a questa cifra irrecuperabile 864 milioni di dollari sono certamente ben poca cosa, anche perché distribuiti tra il Dipartimento di giustizia, per 437,5 milioni di dollari, e le autorità giudiziarie di 21 stati Usa più il District of Columbia, in più la multa sembra costituire solo un terzo dei 2,5 miliardi di dollari guadagnati dall’agenzia negli anni precedenti alla crisi.
Creo la catastrofe, sopravvivo e tengo parte del malloppo, non male.
Ma Moody’s non è sola e nemmeno la prima, un anno fa Standard & Poor’s fu costretta a pagare 1,5 miliardi di dollari e le grandi banche di Wall Street in totale hanno già versato allo stato americano circa 162 miliardi di dollari in multe e sanzioni per la vendita di prodotti finanziari rischiosi ed il loro contribuito al caos scatenato sui mercati.
Ma se secondo l’accusa “Moody’s ha fallito nell’osservanza dei suoi standard di rating e ha tradito la missione della trasparenza” e l’agenzia riconosce “in parte” la colpa, la domanda è come controllare: chi controlla i mercati, banche comprese?
Se volto lo sguardo un poco più indietro, tutto sembra essere cominciato quando Bill Clinton, si quello che costruì anche il muro tra USA e Messico, nel 1999, come ultimo atto formale prima di lasciare la Casa Bianca, promulgò una legge chiamata Gramm-Leach-Bliley Act con la quale abrogò le disposizioni della Legge Glass-Steagall, detta anche “legge della separazione bancaria”, che imponeva la divisione delle banche ‘universali’ in due grandi gruppi: le banche commerciali e le banche d’affari.La differenza è grande, perché dal giugno 1933, per volere dell’allora Presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, con la Legge Glass-Steagall da lui promulgata le banche non potevano perdere il denaro dei correntisti, a meno che questi non si assumessero direttamente il rischio, infatti le banche commerciali erano dedicate solo al credito per famiglie e imprese, mentre le banche che giocavano in borsa con i soldi degli investitori privati, che si assumono il rischio di poter perdere tutti i propri soldi, non avevano alcuna possibilità di salvataggio dello Stato.
Negli anni successivi all’iniziativa americana del 1933, praticamente in tutto il mondo, si era sviluppata questa barriera la cui abrogazione ha favorito la costituzione di gruppi bancari che esercitano entrambe le attività e la trasformazione delle banche in generale che, svolgendo sia l’attività bancaria tradizionale che quella di banca d’investimento e assicurativa, hanno portato alla modifica del mercato globale delle valute del quale oggi siamo prigionieri.
Ma gli usa non furono i primi, in Italia Mario Draghi anticipò Clinton nel 1993 con il Testo Unico Bancario che, di fatto, apriva già alla commistione fra banche commerciali e banche d’affari in quanto aboliva la Legge bancaria italiana del 1936 che introdusse nel nostro paese lo standard americano della Legge Glass-Steagall.
Oggi ci stupiamo dei rating gonfiati e la soluzione pare essere una maggiore trasparenza e controllo, ma sappiamo bene che quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito ed i grandi gruppi finanziari sanno bene come rendere molto interessante il dito del saggio.