È bastato un NO secco ad un accordo sbagliato che i lavoratori sono subito diventati dei “furbetti del cartellino”, equiparati a coloro che, nella pubblica amministrazione, si fanno i fatti loro invece di lavorare: fortunati dipendenti di una compagnia che li strapaga per non fare nulla, o quasi, e che oggi non vogliono rinunciare a nessuno dei loro “privilegi”.
Ieri Il Giornale titolava “I piloti kamikaze fanno saltare Alitalia”, gli altri quotidiani non erano più teneri ed il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha detto “La cosa più plausibile è che si vada verso un breve periodo di amministrazione straordinaria che si potrà concludere nel giro di 6 mesi o con una vendita parziale o totale degli asset di Alitalia oppure con la liquidazione”.
Tutti contro la scelta del 67% dei lavoratori che hanno respinto un accordo siglato da tutti i sindacati tranne USB, 10.000 lavoratori su circa 12.000 del totale sono andati alle urne esprimendo un voto che è comunque della maggioranza assoluta dei dipendenti, tutti ad affossare un piano capestro che vede lo stato ancora una volta grande assente ed oggi, se possibile, ricattatore.
Nell’era della disinformazione e delle facili cattiverie via social network, però, la realtà è ancora una volta molto differente da come viene dipinta e non si tratta né di dipendenti privilegiati né di guerre tra sindacati di base e “tradizionali”, quello che sta dietro la vicenda è molto più semplice e per certi versi più complesso, tanto da sembrare sfuggire alle normali regole economiche e di mercato.
Già, perché se un’azienda perde denaro ci saranno troppi costi, o troppi sprechi, od ancora pochi clienti, prezzi troppo alti, mercato saturo, … in Alitalia nulla di tutto ciò, se guardiamo i dati comparati tra le compagnie aeree nel mondo ed il costo del loro lavoro, verifichiamo facilmente che in Alitalia questo non è superiore alla media, anzi, è andato calando negli anni collocandosi oggi tra i più bassi ed anche i costi di esercizio non sono superiori alle media, gli scali hanno costi uguali per tutti e le manutenzioni si fanno nello stesso modo su tutti i velivoli che sono sempre degli stessi modelli per tutte le compagnie. Allora, dov’è il problema, perché Alitalia è in perdita?
Gli economisti ci dicono che principalmente è perché viaggia con aerei troppo vuoti e tutti gli sforzi per contenere i costi e migliorare il servizio sono così vanificati. Io ci credo: da anni non prendo un volo Alitalia, non è competitiva, non certo per il prezzo del biglietto, quello è in linea con gli altri, ma per tutto il resto, dato che da Alitalia non sono disposto ad accettare quello che reputo “normale” per le altre compagnie aeree.
Così, se con Ryanair accetto di essere trattato come una merce qualsiasi, ammassato per ore in anticipo davanti ai cancelli di uscita per poi correre a prendere un posto prima degli altri, litigare per posizionare il mio trolley nella cappelliera, viaggiare scomodo e senza bibita e pagare come extra qualsiasi cosa, compreso il bagaglio in stiva, con Alitalia no: Alitalia “DEVE” farmi sedere comodo, accettare trolley, computer e borsa o borsello, servirmi una bibita molto buona ed avere personale paziente e gentile. Alitalia è una “compagnia di bandiera”, mica una “low cost”!
Proprio così, nell’era in cui ormai tutte le compagnie sono più o meno low cost e la distinzione tra i due servizi non è più così netta, Alitalia DEVE continuare a perdere denaro per mantenere un’immagine ormai non più necessaria e volare con mezzi vuoti perdendo denaro, tutto fa parte del gioco, immagine innanzi tutto.
Alitalia ha bisogno di cambiare, è rimasta troppo indietro, Alitalia non ha mai avuto necessità di “capitani coraggiosi” incompetenti ed antichi, commissari straordinari e nemmeno di ridurre ancora gli stipendi, Alitalia ha bisogno di un sistema di management vero che sappia cambiare con i tempi ed insieme ai lavoratori: Alitalia ha bisogno di se stessa, i nobiluomini e gli affaristi hanno fallito, appartengono ad un passato trapassato da molto tempo.
Oggi Alitalia può ripartire senza fermarsi, servono politiche di sviluppo condivise e compartecipate, con modelli gestionali nuovi per la compagnia ma collaudati altrove: cogestione e supporto pubblico.
La cogestione è possibile, dà i suoi frutti da sempre in Germania: sindacati che partecipano alla gestione aziendale condividendone benefici e responsabilità attraverso una democrazia interna molto stretta.
Il supporto pubblico, pensato almeno per le rotte “necessarie” al mantenimento della continuità del territorio nazionale, come avviene in Francia per i territori d’oltremare che sono collegati con contributi dello stato, è a conti fatti un risparmio, dato che molte città italiane “pagano” le compagnie aeree low cost, in termini di sconti e strutture, per avere un aeroporto vicino, determinando un costo sociale a carico di tutti ed usando, nei fatti, soldi pubblici per sostenere compagnie private. Anche questo è un aiuto di stato, perché non potrebbe essere usato per Alitalia?
Il mercato è ricco ed in espansione, i costi sono nella norma ed il personale ha competenze elevate, i mezzi ci sono tutti, ora serve solo buon senso, buona volontà e grande coesione, insieme ce la si può fare: io sto con i lavoratori Alitalia.
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