LA CENSURA NON PUO’ ESSERE LA MATITA ROSSA DELLA CORRETTA INFORMAZIONE

DI VIRGINIA MURRU

Il blog “Remocontro” – testata giornalistica molto seguita – ieri è stato oscurato dalla censura. I dirigenti di Facebook, con i loro droni, evidentemente passano al vaglio l’informazione che raggiunge le maglie strette del network, e avendo riscontrato dettagli non conformi ai loro ‘criteri’ di valutazione della correttezza, sono intervenuti.

Con un provvedimento ‘esemplare’: una settimana di oscurità, il blog non potrà diffondere gli articoli via Facebook fino a punizione conclusa.
Queste non sono lezioni da impartire ad una società civile, non vengono dalla fonte della libertà d’espressione alla quale siamo stati formati.

Si pensava che ‘censura’, all’alba del terzo millennio, fosse solo un ‘reperto archeologico’ (d’epoche non poi tanto remote), tuttavia ci sentivamo autorizzati a cancellarla dalla memoria, perché esorcizzata dal tempo, retaggio di un passato nemmeno tanto lontano, ma non più degno d’essere ‘traslata’ nel nuovo millennio.

E invece certe calamità vanno oltre le pietre miliari della storia, attraversano con inquietante immunità il nostro tempo, percorrono a velocità supersonica le autostrade telematiche della  comunicazione, e colpiscono bersagli che hanno solo il torto di portare avanti i valori impliciti nella libertà di pensiero.

E siamo costretti, ancora, nella galassia dell’informazione, a fare appello all’art. 21 della Costituzione, che sembra un ‘dettaglio’ scontato, e invece è sempre una buona sentinella per i fondamentali diritti umani sui quali si fondano i presupposti di una società civile.

Remocontro è una fonte d’informazione gestita peraltro da giornalisti che hanno alle spalle lunghi anni d’esperienza professionale, certamente una garanzia di correttezza e qualità, per quel che concerne gli articoli diffusi in rete. Leggendo l’articolo di Ennio Remondino, non si riesce a capire quale sia la ragione del provvedimento dei dirigenti di Facebook, lo sconcerto è grande, perché a questo punto, si rischia di precipitare nel girone infernale degli interrogativi senza risposta.

In apparenza, infatti, una motivazione sensata non esiste, non si riscontrano offese, riferimenti allusivi e tendenziosi, rimandi alle concezioni discutibili dell’Islam sui diritti umani riguardanti le donne. Poi, ‘la virtù del dubbio’, porta a ragionare sulle cause che hanno determinato e acceso la miccia della censura, e si conclude che solo l’azzardo, l’idea di mettere in risalto una semplice notizia che ha viaggiato velocemente nel web, è stato ritenuto, forse, un atto d’irriverenza.

L’ironia, ingrediente naturale della libertà d’espressione, ha reso l’articolo non ‘commestibile’ per certi palati sensibili, ma tant’è: nella mannaia della censura esiste talvolta un peccato originale che si chiama ‘rispetto della verità’.

La censura è un valore che viaggia al contrario, quasi teoria degli opposti, in un clima di tolleranza e rispetto della libertà di pensiero e opinione; non ‘rema contro’ per regolare gli eccessi, pure possibili in un regime di piena democrazia, ma perché tiene conto di una gerarchia di valori che ha simmetrie diverse in altri versanti.

In definitiva perché si difendono altre ragioni, che trascendono; intanto perché non sono limpide.
Nell’articolo si esprimono opinioni favorevoli, e non potrebbe essere altrimenti, verso la scelta operata dal principe saudita Salman, di concedere la libertà di guidare l’auto alle donne. Si sottolinea l’entusiasmo delle donne a Riad, che sono scese in piazza, insieme a tanti uomini (buon segno, decisamente), per festeggiare, a suon di clacson, questa svolta epocale per l’ortodossia del Wahabbismo Sunnita.

L’articolo mette in rilievo il clima da Medioevo in cui i diritti delle donne devono misurarsi, e questa felice intuizione del giovane principe, che ancora deve salire al potere, segno di lungimiranza, lacerazione di quella cortina d’acciaio in cui languiscono i diritti umani: una speranza della quale si doveva parlare. Si tratta di un avvenimento di grande importanza, un evento da celebrare, anche in Occidente.

Allora, non è piaciuto il rimando al Medioevo? Si doveva parlare d’Illuminismo, in riferimento al regime di Riad? In un clima di democrazia si chiamano le cose per nome, a volte perfino col cognome.

Non si ravvisano offese di alcun genere nell’articolo, ben altro corre in forma di raffica nel linguaggio del web, e basterebbe soffermarsi sui commenti nei confronti del radicalismo islamico, per comprendere che la gente non mette in bilancia le parole quando deve esprimere un’opinione.
C’era la verità sostanziale dei fatti, che poi è tutto per la deontologia professionale di un giornalista.

L’Arabia Saudita, grande alleata di Washington, è uno scacchiere sensibile nel Mediterraneo, forse, qualora si fosse puntato l’osservatorio sull’Iran, paese islamico a maggioranza sciita, l’eco avrebbe potuto essere diverso. A questo punto è lecito ragionare, dato che non si ha nemmeno il diritto di conosce il motivo della censura.

L’articolo pubblicato nel blog di ‘Remocontro’, firmato da Remondino, è davvero asettico, non reca nemmeno traccia di offesa diretta o indiretta, a questo punto tutti siamo suscettibili di censura e degni d’essere ‘perseguiti’ via web.

Non riconosciamo queste vie contorte della libertà d’espressione. Scorre sangue e lacrime dietro questi valori. Noi, in Italia, pensavamo d’avere lasciato la censura dietro il filo spinato di un regime autoritario che ha chiuso i suoi battenti nel ’45. Credevamo, anzi ne eravamo convinti, nonostante le difficoltà in cui si muove la stampa in Italia, e gli oltre cento giornalisti costretti a svolgere il proprio lavoro sotto scorta (perché minacciati dalla criminalità organizzata).

E nonostante fossimo consapevoli che siamo il fanalino di coda in Europa per quel che concerne la libertà di stampa. Malgrado questo, ci si illudeva d’essere al di là della sponda, oltre quel muro, nel quale troppi eroi sono stati immolati.