IN ITALIA NON SI MUORE ABBASTANZA

DI PIERLUIGI PENNATI

Questa la frase attribuita al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e poi da lui smentita: “Gli italiani muoiono troppo tardi e ciò incide negativamente sui conti dell’Inps”.

La battuta sarebbe stata infelice e per molti verosimile, dato che mostra un ministro insensibile e cinico come sembrano essere gli amministratori negli ultimi tempi, ma la realtà è, se possibile, ancora più dura, infatti l’amministratore pubblico che fa quadrare i conti in modo coerente oggi è visto come colui che non tiene più conto di altri fattori, persino la vita umana.

È per questo che non ci stupiamo, la matematica non è un’opinione e non ammette errori, i numeri sono da sempre asettici e fini a se stessi, un ministro che dicesse questo, quindi non commetterebbe nessun errore e nessuna caduta di stile: avrebbe solo evidenziato quale sia il posto reale riservato alla vita ed alla dignità umana dal sistema economico dal mero punto di vista matematico, cioè nessuno.

Reduci dal conflitto mondiale e dal fascismo i padri della nostra patria hanno scritto un documento, la nostra Costituzione, che conteneva i principi fondamentali per la vita e la dignità delle persone nella nostra repubblica, diritti del singolo e doveri reciproci, tutti valori imprescindibili, tra questi i più importanti ed articolati nel testo sono forse il diritto al lavoro (artt. 4, 35, 36, 37, 38, 39 e 40), alla famiglia (artt. 29, 30 e 31), alla salute (art. 32, all’istruzione ed alle arti (art. 9, 33 e 34), all’informazione (art. 21) e, nel senso più generale, alla pari dignità sociale (art. 3).

Tutti diritti che, attraverso leggi che considerano solo i numeri, possono essere definiti oggi come ampiamente negati o difficili da conseguire, basti pensare ai provvedimenti che li riguardano, il “Jobs Act”, la “buona scuola” e le continue riforme sanitarie che privilegiano i manager ed aumentano i costi per i singoli, riducendo per tutti questi argomenti le possibilità di accesso ai servizi dei cittadini.

Tutto è “privato”, vale a dire demandato alla libera imprenditoria personale, con la conseguenza che tutto diventa “privato”, vale a dire assente.

Rispetto al 1970 il cittadino di oggi è privato di molti dei diritti e dei servizi che possedeva, tra questi un libero accesso alle cure, le analisi e le terapie costano ed i tempi per ottenerle sono spesso biblici, con l’effetto che moltissimi rinunciano, il “posto fisso”, sogno di quegli anni è oggi diventato un’utopia, il Jobs Act, con le sue “tutele crescenti” che non crescono mai, ha reso la sopravvivenza dei singoli e delle famiglie precaria, l’istruzione è resa più complicata da una “buona scuola” che non tiene in adeguato conto le necessità di alunni ed insegnati e le pensioni sono oggi minate persino dall’incremento della salute generale che, nonostante tutto, migliora.

Dovrebbe essere ovvio, per ogni servizio erogato vi sono sempre almeno tre elementi in concorrenza tra loro: la richiesta, i costi e la capacità di erogazione, lo squilibrio tra di essi genera vuoti di lavoro o, al contrario, paralisi e per questa ragione i tre valori dovrebbero essere in grado di modificarsi nel tempo per potersi adattare l’uno all’altro.

Negli ultimi venti anni, invece, per ragioni di bilancio ed indipendentemente dagli altri due fattori, vengono continuamente ridotti i budget, ragione per cui dopo grandi riduzioni e tagli ai settori a parità o persino aumento della richiesta, per evitare le paralisi, si deve oggi eliminare quest’ultima.

Proprio questa sembra essere la filosofia che chi ha travisato le parole del ministro dell’Economia vuole far apparire e proprio questa sembra essere la modalità realmente adottata in tutti i settori dello Stato per risolvere i suoi problemi gestionali: eliminare la clientela eliminandone così i relativi costi.

Ecco che se i tribunali sono pieni si fa in modo che qualche reato non lo sia più e che l’accesso alla giustizia sia più difficoltoso, aumentandone i costi preventivi e complicandone le modalità di attivazione.

Se la sanità non ce la fa più si impongono ticket sempre più costosi, fino all’assurdo che alcuni medicinali, gli antibiotici per esempio, ed alcune prestazioni, le piccole radiografie, spesso costano meno a pagamento che di ticket SSN e le visite specialistiche, a parità di costi, si fanno “privatamente”, alleggerendo il Servizio Sanitario Nazionale ed impedendo alla fine a molti di potersi curare.

Infine, se i numeri dell’occupazione non aumentano si creano i posti precari, così ogni anno si avranno migliaia di nuovi posti di lavoro da sbandierare, ma con l’effetto di avere complessivamente meno occupati e con loro minori diritti dei lavoratori, contribuzione sociale e dignità della persona.

La conclusione di un bilancio puramente matematico della vita di uno stato, il nostro, evidenza che qualche volta persino vivere diventa una colpa: l’essere umano, per la società dei numeri bancari, non è un valore, ma un elemento da sfruttare a piacimento per incrementare il profitto in una corsa senza obiettivi, perché l’aumento del profitto non ha un tetto, ma tende sempre al rialzo a discapito degli altri fattori in gioco.

La direzione presa è certamente pericolosa, quando si raggiungerà il limite e si dovrà dire stop all’incremento del profitto per poter rispettare i diritti ed i valori fondamentali dell’uomo?

Personalmente credo che questo limite sia stato già raggiunto e, per quella che è la mia formazione, ampiamente superato, facendomi ritenere che per proseguire si dovrebbe tornare indietro, almeno un po’, rimettendo i valori umani, perlomeno quelli scritti nella nostra costituzione, prima di tutto il resto.

Un giorno, forse, le banche saranno ricchissime, ma non esisteranno più i risparmiatori: progresso e civiltà non sono solo un aumento di indici economici, progresso e civiltà sono soprattutto il rispetto per le persone, la capacità di convivenza, mutuo aiuto e collaborazione, la rincorsa del mero profitto, invece, prima o poi ucciderà l’umanità, intesa come popolazione, dato che quella intesa come sentimento sembra essere già più che agonizzante.

In tristitia hilaris, in hilaritate tristis, grazie Giordano Bruno per avercelo fatto notare, quelle che sembrano battute divertenti o scandalose nascondono spesso una grande tristezza che ci da modo di capire quale potrebbe essere il nostro destino se non cambieremo direzione ricominciando dall’uomo e non più dal denaro.

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