ORIO CENTER APERTO ANCHE A NATALE MA I LAVORATORI PROTESTANO

DI PIERLUIGI PENNATI

Era già accaduto a Serravalle ad inizio anno, quando alla notizia che avrebbero dovuto lavorare anche a pasqua i lavoratori del centro outlet si erano ribellati ottenendo solo un maggiore interesse della insensibile clientela, attirata in maggior numero proprio dalla protesta.

Adesso si replica, a Bergamo si lavora anche a Natale e Capodanno, giornate nelle quali tradizionalmente si dovrebbe stare con famiglia ed amici ed invece sembra ormai diventato più interessante poter andare al centro commerciale a passeggiare.

Il grido populista che richiama le nostre tradizioni e sacralità festive sembra dimenticato, qui non ci sono mussulmani da cacciare o migranti da rimandare a casa, qui ci sono le luci che accendono la fantasia delle persone: “offerta speciale”, “ribassi”, “vendita straordinaria”, “fuori tutto” e, più importante ancora “OUTLET”!

Tutti contenti, quindi, tutti meno loro: i dipendenti dei 280 esercizi che sono costretti dalla proprietà dei centri commerciali a rinunciare alle ferie per aprire i negozi destinati al piacere dei nostri occhi e delle tasche della direzione.

Già, ogni medaglia ha un suo rovescio e questa, come ormai tutte le “medaglie” nella nostra nazione, ha un rovescio davvero amaro per chi ci lavora, se ancora il lavoro nel commercio si può chiamare così.

Mentre l’attenzione generale è ormai da molti anni puntata solo sulle grandi aziende dove si lotta per tentare di salvare posti di lavoro destinati comunque ad essere persi per effetto dell’ampliarsi delle regole volute dai vari governi che hanno finito solo per favorire la precarietà nell’industria, nel dimenticato settore del commercio i risicati numeri di dipendenti medi pro impresa, rendono la precarietà una realtà non nuova, ma endemica e radicata che, piano piano, con la complicità dei dati sulla disoccupazione, si sta però trasformando in reale schiavitù.

Negli outlet, ovvero quei posti dove le grandi case di moda scaricano gli invenduti delle stagioni precedenti per potersi ancora sostenere e continuare a vendere nei negozi di punta senza perdere l’immagine del loro prodotto, la situazione è ancora più evidente, infatti questi enormi centri sono per definizione un luogo dove gli orari devono essere più elastici perché si trovano tipicamente fuori mano si deve dare modo agli acquirenti di poterli raggiungere quando hanno più tempo a disposizione, la sera, domenica ed i festivi.

Così, a poco a poco, gli orari si sono allargati, giorni di apertura ampliati e le chiusure ridotte, tanto che all’inizio del 2017 erano mediamente solo 4 in tutto l’anno: Pasqua, Sant’Angelo, Natale e Capodanno.

Così proprio per la riduzione da 4 giorni di chiusura a soli 2 si era scatenata la protesta a Serravalle ed i dipendenti, già esasperati dagli orari dei turni a loro volta “elastici” e dai ricatti delle proprietà, non ce la facevano più, risultato: uno sciopero proclamato il giorno di Pasqua un tempo festivo.

Ma al suono di “se non vieni a Pasqua puoi anche non tornare più al lavoro” solo 4 esercizi sul totale rimasero allora chiusi, facendo fallire miseramente lo sciopero in un tripudio di clienti curiosi attirati proprio dall’evento e terminato con un successo straordinario di vendite.

Alla fine il grido di aiuto dei dipendenti commerciali, sfruttati con contratti precari a mille euro al mese ed anche meno era diventato un boomerang e si era riversato si di loro stessi, come in un circo dove si torturano animali per il piacere degli astanti.

L’episodio, però, era solo il preludio al cambiamento permanente, con il passare dei mesi, e nell’indifferenza generale dei sindacati tradizionali, i due soli giorni di chiusura all’anno diventano la normalità dappertutto, tranne ad Orio al Serio, dove la proprietà comunica ai negozi che, pena la rescissione dei contratti, dovranno aprire anche a Natale e Capodanno, portando a zero in un anno i giorni di chiusura del centro.

Ovviamente i primi a reagire sono stati i dipendenti, ma la cosa curiosa è che a non starci, questa volta, non sono solo loro, ma addirittura i titolari degli esercizi, a loro volta ricattati dalla proprietà che non farebbe mancare velate minacce di aumenti di canoni di locazione o rescissioni dei contratti.

In una circolare datata 17 novembre la proprietà del centro scrive:

Egregi Signori, alla luce delle notizie che sono apparse in questi giorni su diversi organi di stampa locale e nazionale riteniamo importante intervenire in ordine alle prossime imminenti aperture.

In Oriocenter, come tutti sappiamo, svolgono la propria attività ben 280 operatori. Abbiamo appreso che alcuni vostri dipendenti e collaboratori avrebbero aderito ad una raccolta firme di protesta promossa dal sindacato USB.

Per quanto il malcontento ci risulti molto più circoscritto rispetto alle oltre mille adesioni dichiarate dalle organizzazioni sindacali, ci sembra doveroso richiamare la vostra attenzione affinché, per quanto vi compete, provvediate ad attivarvi tempestivamente per gestire al meglio le criticità che potrebbero emergere”.

Secondo il sindacato di base USB, unico sindacato che si sta occupando attivamente del problema, questa lettera sarebbe la traduzione in parole cortesi di quanto affermato verbalmente, vale a dire che alla direzione non importerebbe come si dovranno organizzare i commercianti che dovrebbero, a questo punto, allontanare i dipendenti che si rifiutano di lavorare a Natale per assumerne altri più “flessibili” negli orari.

Per sensibilizzare la clientela al problema, USB ha avviato da un mese una campagna di informazione con un presidio stabile in prossimità dell’ingresso del centro spiegando ai clienti che anche i dipendenti commerciali hanno una loro vita, una famiglia e delle relazioni personali e non è giusto che siano costretti sotto ricatto a lavorare anche a Natale e Capodanno, da sempre festività intoccabili.

È proprio durante il presidio che sarebbe nata la raccolta di firme quale risposta dei dipendenti alla situazione, più di mille i consensi raccolti spontaneamente e già consegnati al prefetto ed alle autorità cittadine con la richiesta di non concedere l’apertura straordinaria del centro almeno in quei due giorni.

Che la battaglia sia importante lo certifica il fatto che vi sono già stati tentativi ben riusciti di distrazione, il giornale locale, l’Eco di Bergamo, che pubblica stabilmente la pubblicità del centro, ha più volte dichiarato che tutte le iniziative erano in capo ad altri sindacati, citando Fisascat Cisl, Filcams Cgil e Uiltucs Uil come promotori delle proteste, cosicchè si è da subito creata non poca confusione su quali fossero gli interlocutori che non hanno portato ad alcun incontro costruttivo fino ad ora, dato che quei sindacati, a detta degli attivisti USB, non sono ne presenti ne attivi presso il centro e nonostante i trafiletti di precisazione pubblicati a seguito delle loro proteste, nessuno sarebbe ancora riuscito a trovare una interlocuzione effettiva con la proprietà che dallo stesso giornale pubblicizza e conferma le nuove aperture.

Così, un’altra volta, una vicenda triste che affligge i lavoratori si sta trasformando un nuovo affare per la proprietà dello stabile che sfruttando la pubblicità che il caso sta creando e cercando di porre in conflitto tra loro le sigle sindacali, unite alla confusione informativa, si aspetta un grande successo di pubblico a discapito della vita delle persone che ci lavorano e dei titolari di negozi che dovrebbero decidere se tiranneggiare i dipendenti per poter continuare la loro attività in un centro commerciale che, comunque, riceve milioni di visitatori all’anno.

Proprietà che ricatterebbe i negozianti, che sarebbero a loro volta costretti a ricattare i dipendenti per non rinunciare alla posizione all’interno del centro e dipendenti costretti a rinunciare agli ultimi giorni di libertà festiva per mantenere un posto di lavoro precario e spesso mal pagato in un clima generale di disoccupazione, impoverimento e disinteresse generale ai problemi del lavoro.

Certamente non una bella prospettiva, nonostante le dichiarazioni di crescita citate costantemente dal governo.

Ma l’Orio Center, che ha inoltre appena raddoppiato la sua dimensione con un nuovo edificio, non è che un esempio della situazione generale, se consideriamo che ogni “innovazione” in termini di negazione di diritti viene immediatamente mutuata dappertutto, mentre gli esempi di ampliamento, quando ci sono, restano casi isolati, facendo si che anche le apertura, ora effettuate “solo” dalle 8 del mattino all’una di notte, potrebbero ampliarsi per effetto di un nuovo tunnel sotterraneo che collegandolo direttamente all’aeroporto di Bergamo, che si trova proprio di fronte a soli 100 metri, potrebbe persino aprire sulle 24 ore diventando il centro commerciale dell’aerostazione con zero ore di chiusura all’anno.

La soluzione, già ventilata, costringerebbe tutti gli esercizi ad organizzarsi in turni, piccoli o grandi che siano, e persino le catene di supermercati che altrove, invece, effettuano almeno le chiusure notturne dovrebbero adeguarsi sdoganando una volta per sempre l’orario continuato anche nei centri commerciali.

Purtroppo con la lentezza e la leggerezza dell’indifferenza sociale, queste modalità di lavoro stanno piano piano diventando la norma ovunque spostando i centri tradizionali di aggregazione sociale, coincidenti con i centri cittadini, nelle periferie dove i caroselli della domenica negli Outlet Village e nei centri commerciali sempre aperti, stanno facendo chiudere tutti piccoli esercizi uccidendo artigianato, commercio ed attività una volta stabili.

Anche il conteggio dei posti di lavoro non sembra essere favorevole, dato che a migliaia di posti di lavoro nei grandi centri si contrappongono altrettanto perdite di posti negli esercizi cittadini, spostando così solo le condizioni contrattuali che a favore delle nuove modalità vanno riducendo salari e diritti in una sorta di spirale perversa che non è mai stato chiarito se davvero faccia bene all’economia, ma che è certamente chiaro stia danneggiando le persone che lavorano.

Un’analisi che è volutamente superficiale ed approssimativa, è sufficiente uscire di casa ed anche senza essere un economista capace si realizza immediatamente che le lamentele delle persone sono generali e precarietà e vessazioni sembrano senza soluzione di continuità e senza prospettiva futura.

Cambiare, come sempre, è possibile, ma, come sempre, dipende da tutti noi, pubblicità e slogan ubriacano oggi più di ieri come una droga che, terminato l’effetto, ci fa ricadere nei problemi quotidiani irrisolti e persino peggiorati nel frattempo facendoci diventare obiettivo a nostra volta delle vessazioni cui ci eravamo disinteressati.

Dal canto mio darò, come sempre, solidarietà ai lavoratori della domenica e festivi NON andando a fare la spesa in quei giorni, basta un po’ di organizzazione, a Natale trascorrere la giornata con i parenti a casa non è una novità, si fa da migliaia di anni, quando i centri commerciali non esistevano nemmeno e se cominceranno a restare deserti spero non apriranno più in quei giorni.

In Italia ci sono migliaia di associazioni che difendono i diritti degli animali con passione e tenacia, possibile che con i lavoratori non si riesca a fare la stessa cosa?

Non abbandoniamo i lavoratori del commercio, ma nemmeno gli altri, come si fa con i cani sull’autostrada, adottare a distanza un commesso od una commessa si può, basta fare a Natale, Capodanno, Pasqua e tutte le domeniche quello che si è sempre fatto prima, dedicarle alla famiglia, gli amici, a passeggiare al mare, lago, montagna od ovunque si voglia, è più salutare per noi stessi, per la società e persino per le nostre tasche.

Pensare che quello che fanno oggi ad un altro lo faranno domani a certamente a noi è ormai diventato l’unico modo di poter fare ancora del bene a noi stessi, quando politica e mondo sindacale tradizionale sono distratti in altre faccende siamo costretti ad aiutare ad aiutarci.

Al contrario, continuare a voler credere che queste situazioni siano destinate ad “altri”, senza considerare che piano piano toccheranno anche noi, è miope e sbagliato, nel corso degli ultimi venti anni sono stati tolti o ridotti moltissimi dei diritti che avevamo negli anni ’70, ma un diritto è un diritto e non dovrebbe scadere mai in favore del mercato, per evitare che il mercato arricchisca impoverendo le persone.

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