DI VIRGINIA MURRU
I tedeschi di Deutsche Bank, nel 2011, hanno giocato sullo stato dell’economia italiana, che lottava strenuamente per riuscire ad avere ragione di una crisi aggressiva, che stava intaccando il sistema profondamente: il paese sembrava davvero prossimo al baratro. Certamente era l’anticamera della recessione. La crisi economica globale, aveva del resto risparmiato solo la Cina e l’India, ma non gli States, proprio qui si era scatenata la tempesta, e l’Europa, per ovvie ragioni, non ne fu immune.
La Deutsche Bank, l’istituto di credito più importante della Germania, ma anche uno dei maggiori a livello internazionale, aveva deciso nel 2011 di trarre vantaggio della situazione, dato che deteneva 8 miliardi di euro in titoli del nostro debito (Btp). Giocando le sue carte poteva con un soffio farci scivolare davvero in basso, e infatti lo fece, ma barando, nascondendo, appunto, i suoi assi nella manica.
Ai suoi manager bastava speculare sui titoli di Stato italiani (il debito sovrano era veramente critico), del resto avevano davanti i più potenti mezzi di ‘forecast’ finanziari per intuire che il Paese controllava a fatica i remi di una congiuntura fortemente segnata dalla crisi globale. Crisi partita dagli States nel 2007, legata ai mutui subprime, al quale poi è seguito il crack di Lehman Brothers. Una delle principali banche d’affari americane, caduta in un crocevia di eventi sfavorevoli che la misero in ginocchio; non era invulnerabile alla stregua di una statua di bronzo, era un gigante con i piedi d’argilla. All’inizio del 2016 ha perso il 48% di valore delle sue azioni.
In un mondo globalizzato nessuno è più al sicuro in ambito finanziario, e nemmeno gli accessi di Deutsche Bank sono stati ‘a prova di scasso’, dato che due anni fa ha rischiato il default, poi salvata dal provvidenziale soccorso di Stato, con le mani lunghe di Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. Non è un mistero né per i tedeschi, naturalmente, né lo è in Europa, anche se il salvataggio è avvenuto in deroga, e in barba ai regolamenti dell’Ue (alle regole del Bank Recovery and Resolution Directive che impedisce un salvataggio di Stato, ossia il bail-out).
Regolamenti che proprio i tedeschi, vigilando come molossi in ambito Eurozona, hanno strenuamente difeso. Hanno puntato i fari, per esempio, su un Istituto di credito italiano, su Monte dei Paschi, che aveva necessità di un intervento pubblico per essere messo in salvo, ma i tedeschi a suo tempo espressero tutto il loro dissenso in ambito Ue, dichiarandosi contrari. Eppure il loro governo non era agli esordi quando ha deciso di salvare Deutsche Bank, ne avevano già fatte di operazioni in deroga alle norme europee sui loro istituti. Del “rischio default” del colosso finanziario, ne ha parlato diffusamente anche il settimanale finanziario tedesco, Handelsblatt.
Una premessa per concludere che questi giganti della finanza, possono diventare dei burattinai, e usare le liane che li legano agli Stati in crisi, tramite appunto i titoli che possiedono del debito sovrano, per realizzare operazioni a loro favore, senza alcuno scrupolo morale, in totale cinismo, anche se lo Stato in questione finisce poi in una scarpata.
E’ quello che stava accadendo all’Italia nel 2011, Deutsche Bank era come un caimano che aveva nelle potenti fauci una parte consistente di titoli di Stato, e di quegli 8 mild, nel primo semestre dell’anno, decise di venderne 7, ma senza fare tanto rumore. Si comportò tuttavia come un ladro che ruba con la luce accesa, anzi, quasi alla luce del sole. Speculò sulle disgrazie di un Paese in affanno, le cui finanze facevano acqua da tutte le parti. La vendita dei titoli ne portò al tracollo il valore, lo spread fece un balzo terribile, tale da causare la caduta del governo Berlusconi.
Prima un’implosione di cause, e poi con la spinta causata dai manager di DB, l’esplosione, al quale seguirono, come avvoltoi, i declassamenti delle Agenzie di Rating: un tornado. Uno dei momenti congiunturali più difficili per il Paese.
Ma fino a che punto sono responsabili i tedeschi della Deutsche? Certamente questo colosso conosce bene tutta la potenza esplosiva di certe armi finanziarie, ne fu il detonatore, e premette il fatale ‘pulsante’, per pura speculazione, per i propri interessi, dato che fin da allora, il maggiore istituto bancario tedesco, accusava falle nei suoi sistemi.
Ora, sulla maxi speculazione della Deutsche indaga la Procura di Milano (da ottobre), per ragioni di competenza territoriale (è stata la difesa della banca tedesca a chiederlo), dopo essere passata per quella di Trani. Non si è trattato di avocazione, lo ha deciso la Corte di Cassazione. L’accusa è di manipolazione del mercato, un’operazione finanziaria di circa 10 mld di euro. I magistrati pugliesi avevano chiesto il rinvio a giudizio di 5 manager, i top alla guida del gruppo Deutsche nel 2011 (ora c’è un nuovo management): l’ex presidente Josef Ackermann, e due ex Ad, Jurgen Fitschen e Anshuman Jail, e dello stesso Istituto, in qualità di persona giuridica.
Dall’indagine e dal controllo di documenti sequestrati da agenti della finanza nella sede milanese, è emerso che, dopo la vendita dei titoli di Stato italiani (7 mliardi in Btp), nel primo semestre 2011, Deutsche aveva ricominciato ad acquistare titoli del nostro debito sovrano (nel mese di luglio), i quali, proprio in seguito ai movimenti di mercato causati dalla speculazione, erano stati svalutati parecchio, e pertanto era più che mai conveniente acquistare.
E infatti acquistò di nuovo titoli per un importo di circa 3 miliardi, ma non lo fece sapere in giro, per non destare sospetti. Solo che non sono occorsi droni particolari per venire a capo degli intenti truffaldini del management dell’istituto tedesco. E non era il solo ‘malloppo’: altri quattro miliardi e mezzo di titoli erano in mano ad una società che la Deutsche aveva acquisito nel 2010.
Dagli atti risulta che solo alla fine di luglio del 2011, la banca tedesca annunciò la vendita dei titoli italiani avvenuta entro giugno, ma tenne ben stretto in pugno il segreto sui nuovi acquisti. Strategie, ovviamente, per fare passare in sordina l’operazione, ma i manager erano ben consapevoli del colpo inferto allo Stato italiano, causando la volata dello spread (ossia i rendimenti tra Btp e bund tedeschi), e facendo cadere il governo, il quale fu consegnato ad un ‘Caronte’ esperto in ambito finanziario, Mario Monti.
Certo, in seguito alla travolgente crisi della Grecia, e la forte esposizione al rischio delle banche tedesche, la mega operazione dei titoli di Stato italiani, rappresentava un affare non di poco conto per Deutsche. E intanto l’Italia stava per seguire le sorti della Grecia.. Il Financial Times, tanto per amplificare sul piano internazionale la notizia sul preoccupante stato dell’economia italiana, fece sapere che gli investitori fuggivano dal Paese, terza economia della zona euro. Secondo i magistrati italiani, la decisione dei manager di Deutsche, di ridurre l’esposizione sui titoli di Stato italiani, per importi così rilevanti, è a dir poco eclatante per quel che concerne i reali intenti.
C’era la volontà di lucrare su un momento veramente drammatico per l’Italia; le conseguenze, infatti si ripercossero sul differenziale di rendimento tra Btp decennali e omologhi Bund, uno schizzo che a fine anno superò i 500 punti base.
In Parlamento si chiese l’intervento di una Commissione d’inchiesta, e c’era ben donde. Nel bilancio della Deutsche Bank, tra i documenti, c’è un prospetto che indica l’esposizione al rischio dei paesi più vulnerabili in quel periodo (Grecia in primis, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna), nella colonna riguardante l’Italia si evidenzia, per il primo semestre 2011, un’esposizione di 996 milioni.
E’ pur vero, che in un periodo di buio pesto per l’economia europea, non era inconsueto per le banche, effettuare operazioni di cessione di titoli di Stato a rischio, mentre si attivavano anche ‘derivati di copertura’ (Credit Default Swap, per esempio).
Il management della Deutsche ha pertanto manipolato i mercati, e lo ha fatto con metodi a dir poco illeciti, poiché nei primi mesi del 2011 li rassicurava sulla sostenibilità del debito sovrano italiano, mentre in realtà, stava già pianificando una drastica riduzione dell’esposizione al rischio, attraverso la vendita dei titoli di debito contenuti nel suo portafoglio.
E portò, come si è visto, a compimenti gli obiettivi con una vendita massiccia di ben 7 miliardi di euro, proprio entro giugno di quell’anno.
Ovviamente non era pensabile che i mercati finanziari restassero indifferenti, l’operazione influenzò pesantemente il valore di mercato dei titoli, e non solo. Fu una slavina che tutto travolse all’interno del suo raggio d’azione: lo spread, il rating delle Agenzie internazionali, che peraltro sono state perseguite a loro volta dalla Procura di Trani per i danni che hanno causato all’economia italiana. Il declassamento del rating italiano, un dannosissimo downgrade, secondo le accuse della Procura (da A a BBB+), fu deciso “illegittimamente e dolosamente” da S&P nel 2011 “al solo fine di danneggiare l’Italia”.
Ma non finì così, tante furono le ripercussioni, tra queste anche il versamento di 2,5 miliardi di euro da parte del Ministero del Tesoro alla banca d’affari americana Morgan Stanley. Il pagamento era dovuto perché stabilito da una clausola in un contratto di finanziamento tra il Ministero dell’Economia e la banca Usa. Tale condizione portò all’estinzione di un derivato e il conseguente pagamento dell’importo da parte del Ministero del Tesoro.
Secondo un’indagine della COnsob, poi trasmessa alla Procura di Trani, che già stava indagando su Standard & Poor’s, Morgan Stanley è azionista dell’Agenzia di rating, il che crea le premesse per i fortissimi dubbi sulle mosse seguite alla tempesta scatenata da Deutsche Bank.
Ci si chiede come mai il Mef abbia ceduto alle pressioni di Morgan Stanley e abbia autorizzato il pagamento senza nulla obiettare in merito. Ci fu Brunetta, all’epoca, che espresse sarcasmo per il comportamento ‘impassibile’ del Ministro dell’Economia.
Ma alla Procura di Trani i dubbi sono aumentati quando si è scoperto che, nel periodo in cui il Tesoro ha versato la somma di due miliardi e mezzo, ai vertici della banca d’affari americana c’era Domenico Siniscalco, che aveva ricoperto la carica di Direttore Generale al Tesoro (in Italia, ovvio), e successivamente era anche diventato ministro dell’Economia. Interrogativi che passeranno alla Procura di Milano, che ora ha in mano gli atti.