DI VIRGINIA MURRU
Dopo l’ultima riunione del board sembra che non ci siano sostanziali cambiamenti nella politica monetaria, rispetto alle decisioni del Direttivo di gennaio, eppure la forward guidance, ossia le indicazioni e gli ‘input’ ai mercati, è cambiata. Il presidente Draghi, negli ultimi mesi, per esempio, quando si riferisce ai tassi d’interesse, precisa che essi “resteranno invariati”, ma l’espressione “o più bassi”, che ricorreva nel corso delle conferenze stampa, è stata ormai da mesi omessa.
Un segnale della volontà di uscire dal piano di stimoli monetari, del resto già concretizzatosi a gennaio con la riduzione di acquisti di assets, che ora sono esattamente la metà rispetto a dicembre (30 miliardi di euro al mese).
Gli interventi del Consiglio direttivo dell’Eurotower seguono una linea di prudenza, per ovvie ragioni, nonostante la notevole e costante crescita riscontrata nei paesi dell’Eurozona, restano ancora elementi che necessitano di un attento monitoraggio: il tasso d’inflazione è ancora distante dal target, ossia dal 2%.
Il presidente Draghi ha confermato, ieri, la decisione del board di Francoforte di continuare “gli acquisti di assets con il medesimo ritmo dei mesi scorsi, ossia 30 mld di euro al mese fino al prossimo settembre, fino a che non si manifesti un chiaro segno di adeguamento dell’inflazione rispetto al target.”
Confermati anche i tassi d’interesse, mentre la novità riguarda la stima sul Pil dei paesi della zona euro, che passa da 2,3% a 2,4%. Per il 2019, le stime restano all’1,9% e nel 2020 all’1,7%. La crescita, secondo il presidente, potrebbe essere incentivata da fattori locali, ma non è una garanzia, in quanto non si può trascurare il fattore globale, dal quale è possibile che derivino influenze negative.
Mario Draghi anche questa volta non ha mancato di sottolineare l’efficacia e il ruolo di supporto svolto dal Qe, aggiungendo che il sistema ha ancora necessità di mantenere bassi i tassi durante il programma di acquisto di titoli “e anche dopo”, ha aggiunto. Ma ha allo stesso tempo messo l’accento sull’improbabilità di un aumento del volume degli acquisti, qualora la crescita, in termini economici dell’area, dovesse venire meno.
Non è mancata nemmeno l’esortazione all’implementazione delle riforme strutturali, rivolta ai Governi dei 19 paesi facenti parte dell’area euro.
Uno dei giornalisti presenti alla conferenza stampa, ha rivolto a Draghi una domanda sulla situazione post elettorale italiana, e la risposta è stata che il board non ha affrontato questo tema. Tuttavia, per ciò che concerne la sostenibilità fiscale dei paesi ad alto debito, ha rimarcato Draghi, ultimamente i mercati non sembra che abbiano fatto pesare le conseguenze degli esiti elettorali, tanto da compromettere la fiducia. Secondo il presidente, però, a lungo termine, l’instabilità, potrebbe fare venire meno la fiducia.
Le dichiarazioni di Draghi ieri hanno avuto un riflesso positivo nei mercati finanziari, a Piazza Affari il Fitse Mib, indice dei principali titoli, ha corso a ritmi sostenuti guadagnando l’1,17%, a 22.700 punti (dopo un’ora circa dal discorso del presidente della Bce).
Nell’analisi di ieri non potevano mancare riferimenti alla politica protezionistica intrapresa dagli Usa. Ci sono ragioni di prudenza tutt’altro che irrilevanti nelle dichiarazioni del rappresentante della BCE, tutta l’Ue del resto è in qualche modo sotto pressione a causa dell’atteggiamento risoluto di Donald Trump, che intende procedere all’aumento dei dazi su acciaio e alluminio. E non importa se ha il mondo contro, compreso il suo consigliere più fidato, Gary Cohn, che peraltro ha dato le dimissioni. Si stanno creando veramente le premesse per una guerra commerciale globale, le cui conseguenze potrebbero estendersi anche al versante geopolitico.
E Draghi non poteva evitare di soffermarsi sulla questione che sta diventando ormai rovente sul piano internazionale, con qualche considerazione: “Si può maturare qualsiasi convinzione circa il commercio, ma non si possono portare avanti azioni a proprio vantaggio unilateralmente, poiché diventa pericoloso. Quando s’impongono tariffe incongrue ai propri alleati, alla fine c’è da chiedersi, chi sono i miei nemici?”
Già era noto, del resto, che l’Ue non avesse intenzione di subire senza intraprendere contromisure adeguate all’insidia, e infatti è già pronta una ‘ritorsione’ commerciale di 2,8 miliardi di euro.
Oggi la conferma che Trump ha firmato il decreto per rendere ufficiale quel fuoco di fila di dazi che non piacciono proprio a nessuno, e tanto meno ai mercati.
E’ un’offensiva protezionistico-commerciale che destabilizza gli equilibri globali, già di per sé non semplici. L’entità dei dazi è fortemente penalizzante, si tratta del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio.
Alla platea internazionale non occorrono giustificazioni protezionistiche, gli Usa non possono decidere unilateralmente, senza il minimo rispetto delle convenzioni e degli accordi. Pertanto, sostenere che l’establishment degli States agisce per “proteggere la sicurezza nazionale e i lavoratori americani”, non sussiste, non si può dimenticare che ci si confronta in un contesto di globalizzazione, gli effetti di una misura come questa non si fermano nelle frontiere di uno Stato, causano gravi ripercussioni in altri. Sono stati definiti “i dazi della discordia”, e questa è davvero la sostanza del provvedimento.
I mercati, intanto, non hanno proprio gradito, da Wall Street alle piazze europee a quelle asiatiche.