FMI. L’ECONOMIA ITALIANA IN CRESCITA, MA OCCORRE RISANARE I CONTI PUBBLICI

DI VIRGINIA MURRU

 

 
Christine Legarde, Direttrice del Fondo Monetario Internazionale, lo aveva già ricordato lo scorso dicembre: l’Italia deve intervenire sui conti pubblici e risanare il debito, per meritare di essere la terza potenza economica dell’Ue. In realtà il Paese lo è solo a livello ‘potenziale’, e grazie al grado di sviluppo industriale (in Europa secondi solo alla Germania).
 
Ma puntando l’attenzione ai dati macro dell’economia in area euro, in particolare sul Pil, siamo davvero – come sostiene il FMI – il ‘fanalino di coda’, visto che davanti a noi non c’è solo la Germania (2,5% di Pil), Francia (2,1%) e Spagna (2,8%), ma anche la Grecia, il cui Pil, 2%, è superiore a quello italiano, 1,5%.
 
Il Fmi considera in crescita l’economia dell’Italia (lo stesso livello del 2017), lo si deduce dalle risultanze del World Economic Outlook, ossia il rapporto sull’economia globale. Le tabelle del WEO sono state redatte in vista dei Meetings che iniziano proprio oggi a Washington.
 
Nei confronti dell’Italia, le stime per l’anno in corso, risultano in rialzo dello 0,1% rispetto all’Outlook di gennaio e di +0,4% rispetto al precedente elaborato lo scorso ottobre.
E tuttavia, il Fmi, insiste sulla richiesta di risanamento dei conti pubblici, lo esprime a chiare lettere nel Fiscal Monitor, nel quale si precisa che è fondamentale “l’avvio di un consolidamento di carattere fiscale, che esprima credibilità, oltre che l’ambizione di riuscire a collocare il preoccupante debito pubblico in un corso di costante riduzione”.
 
Per raggiungere questo obiettivo – secondo il Fmi – si dovrebbe procedere al taglio della spesa primaria corrente. Sarebbe altresì necessario un consistente aumento degli investimenti, una riduzione della pressione fiscale sul lavoro e il supporto delle fasce più fragili. Si dovrebbe, in questo contesto d’interventi, ampliare la base imponibile e operare una migliore perequazione attraverso la tassazione della ricchezza, in primo piano immobili e consumi.
 
Gli esperti del Fmi considerano positiva la crescita dell’economia italiana, ma non si può fare a meno di considerare la relazione con il resto dei paesi dell’Eurozona: il Paese, in questo confronto, resta comunque in coda. Il rapporto debito-Pil si stima che esprimerà una contrazione, raggiungendo il 129,7%, nel corrente anno, e 127,5% tra due anni, continuando, con gli interventi suggeriti, la sua discesa negli anni successivi.
 
I tecnici dell’Istituto hanno stimato che il pareggio di bilancio nel Paese sarà raggiunto nel giro di un anno. Tra le tante note negative espresse dai nostri conti pubblici, ce n’è una positiva: ossia che l’Italia sarà il solo Paese a mettere in rilievo un pareggio tra le maggiori economie dell’area euro, tranne, come al solito, la Germania, per la quale è previsto ancora un avanzo.
Il rapporto deficit-Pil sarebbe orientato verso una costante riduzione, nel 2018 all’1,6% e allo 0,9% nel 2019. A queste stime si aggiunge una contrazione della spesa pubblica, pari al 48,4% per quest’anno, con lievi flessioni in crescita per i prossimi due anni.
 
L’Outlook dell’Istituto di Washington mette in guardia anche dai rischi di rallentamento, nella crescita dell’economia globale, rischi e destabilizzazioni che interesseranno il medio e lungo periodo. Le politiche economiche degli Stati più influenti e le vulnerabilità del sistema finanziario, potrebbero riservare sorprese spiacevoli.
 
Per queste ragioni e tante altre implicate negli scenari economici e finanziari, le insidie restano sempre dietro l’angolo; in un contesto di globalizzazione non ci sono certezze nel lungo termine.
 
Il Fmi si rivolge alla classe politica di tutti i Paesi , agli operatori economici e investitori: la recente politica di aumento dei tassi d’interesse (la Fed in primis), dopo gli anni seguiti alla forte crisi economica e all’abbassamento dei tassi da parte delle Banche Centrali, mette il sistema a rischio, creando anche problemi di volatilità nei mercati.
 
Volatilità che si è riusciti a contenere negli ultimi anni con il supporto della politica monetaria, adottata non solo dalla Fed, ma in ampia misura anche dal Giappone, Ue (e nemmeno la Cina è stata esente da queste misure).
 
Nei mercati, con la riduzione della politica monetaria espansiva, si punta ora ad un regolare aumento dei tassi, ma queste dinamiche potrebbero sfociare in un fenomeno di rialzo dell’inflazione (realtà che in questo momento riguarda soprattutto gli Usa), rischio magari non connesso al breve periodo, ma che in futuro, specie nell’Ue, dopo la riduzione del Qe e il relativo processo di ‘normalizzazione’ del sistema, potrebbe rendere nuovamente necessaria la politica monetaria espansiva e relativo acquisto di asset da parte della BCE.
 
Nelle valutazioni e stime del Fmi, ci sono dettagli non lusinghieri che riguardano i cosiddetti ‘Paesi virtuosi’. Non di sola Italia ovviamente si parla quando si tratta di conti pubblici.
Un quinto di questi paesi, infatti, nel 2017, aveva un debito pubblico superiore al 70% del Pil. Secondo il Fmi, questi paesi mettono in evidenza ampi deficit primari, estesi a livello di record nelle economie emergenti e in quelle in via di sviluppo.
Il rischio dunque sarebbe la notevole vulnerabilità nel caso in cui si verificassero condizioni finanziarie sfavorevoli alla loro crescita, per via dei cambiamenti degli scenari globali in questo ambito, con limiti all’accesso ai mercati e le conseguenze sulle loro economie.
 
Qualora poi si verificassero problemi di carattere recessivo, i Paesi con un alto deficit e debito, non avrebbero spazi di manovra adeguati per aumentare la pressione fiscale (per esempio), e dunque bypassare le difficoltà.
 
Per quel che riguarda lo stato dei conti pubblici in Italia, la realtà globale è in continuo divenire, i cambiamenti non di rado arrivano improvvisi come tornado, basti pensare alla tempesta che scatenarono nel 2008 i mutui subprime negli Usa, le cui conseguenze (in Europa e non solo..) sono arrivate puntuali come raffiche nel sistema.
 
Il Fmi, nonostante la solidità dell’economia degli States, non esclude che proprio qui l’economia possa subire ulteriori scosse, e si stima infatti che nel volgere di un quinquennio, è verosimile che il debito pubblico possa superare quello del nostro paese (il debito americano, da 107,8% attuali, passerà in 5 anni a 117%..). Nessuno, cioè, da quando il mercato è diventato praticamente globale, può ritenersi tutelato all’interno delle proprie frontiere.