DI VIRGINIA MURRU
C’era attesa in apertura dei mercati stamattina, si voleva capire quale fosse il reale impatto del declassamento subito dall’economia italiana, purtroppo le Agenzie di rating esercitano un’influenza notevole sull’esito delle contrattazioni, certo gli investitori non possono ignorare i loro verdetti.
L’Italia dunque è passata da un rating Baa2 a Baa3, ossia al confine con il ‘junk’, la condizione in cui i titoli di Stato diventano carta straccia, e spalancano le porte alla speculazione, atto finale di un processo involutivo che potrebbe condurre al default, secondo gli analisti (soprattutto qualora si uscisse dall’euro).
Ovvero siamo ad un passo dall’inferno, ma possiamo salvarci, anche perché, dettaglio non indifferente, l’outlook è ritenuto stabile.
I mercati stamattina, in avvio di sessione, hanno risposto con ottimismo, l’economia italiana, ripetono comunque gli analisti, presenta basi di solidità, i fondamentali macroeconomici sono rassicuranti. Piazza Affari dunque oggi in apertura viaggia in positivo, a +1,82% (Fitse Mib) e a 19.420 punti, con un differenziale in calo, a 298 punti base, e un rendimento dei decennali di 3,35%.
Certamente sempre in area rischio, ma con l’impulso a ripartire, la lettura dei mercati oggi si fonda sulla fiducia, sulla possibilità di saltare il fosso, e riprendere quota.
Al buon esito e alla spinta in borsa hanno contribuito Ferragamo, FCA – per quest’ultima i mercati hanno ‘premiato’ la decisione ormai uffuciale di vendere Magneti Marelli – BPER, Banco BPM, Ubi Banca.
Ora l’osservatorio è puntato sulle recenti vicende che hanno riguardato la manovra del Governo, e la reazione di Bruxelles, la quale, com’è noto, è negativa. Si attende la risposta che arriverà dal ministro Giovanni Tria circa la lettera della Commissione, che è poco meno di un ultimatum a Roma, con richiesta di modifica del Draft Budgetary Plan, ossia il Documento Programmatico 2019 trasmesso una decina di giorni fa.
La tensione con i mercati è al momento sospesa con l’”armistizio” di oggi, ma è solo una battaglia vinta, non la “guerra” sui numeri della politica economica di Palazzo Chigi.
Scriveva a fine agosto ‘Il Sole 24 Ore’: “Tra settembre 2018 e maggio 2019 l’Italia se la gioca”, e in realtà il prossimo semestre sarà decisivo per il destino dell’economia del Paese, il tracciato relativo ai programmi del Governo comincerà a delinearsi con una segnaletica più chiara.
Si può contare sulla solidità dei fondamentali, ma siamo già in un contesto di decelerazione della crescita piuttosto evidente, spread e performance in borsa sono poco edificanti, in prospettiva c’è la fine del Qe, evento non indifferente per il Paese (riusciranno i privati a compensare la perdita di acquisti di titoli da parte della BCE?). C’è poca fiducia sull’economia da parte degli investitori stranieri, che continuano a vendere titoli di Stato, perché manca la credibilità sull’immediato futuro, insomma siamo poco convincenti, e più in là potremmo essere poco solvibili.
E da non sottovalutare il contesto internazionale, sul piano geopolitico instabile, con Donald Trump e la sua politica destabilizzante, la decelerazione della crescita globale, nonché guerra commerciale innescata dal presidente Usa che condiziona pesantemente i mercati, e infine i due schieramenti al Governo, che su certi temi sono piuttosto divisi, nonostante il collante del buon senso che prevale dopo ogni attrito.
Le vere prove di coesione giungeranno strada facendo, al momento l’intesa è sempre un cantiere aperto.