DI VIRGINIA MURRU
Il dialogo tra Bruxelles e Roma resta aperto, la Commissione europea però questa volta lascia intendere che ci dovranno essere le condizioni per un’intesa di fondo con il Governo italiano. Il terreno del dialogo sta diventando però sempre più franoso; è in definitiva un braccio di ferro, poiché il governo continua a proclamare inflessibilità sui punti chiave del Documento programmatico, e porta avanti ad oltranza questa prova di forza nella speranza di avere ragione sulla logica di austerità (basata sulla richiesta di rispetto dei parametri stabiliti dai Trattati) imposta dall’Unione.
Si tratta dunque di un ultimatum: il dead line è stabilito per il 13 novembre, entro questi termini il Governo dovrà trasmettere a Bruxelles una copia della manovra con interventi di correzione considerevoli, qualora si ostinasse nella logica dell’intransigenza, sono pronte le misure e le penalizzazioni, che non sono di poco conto. Ai sensi dell’Art. 126 del Trattato sull’Ue, si procederebbe contro l’indisciplina nei conti del Paese; e qualora scattasse la procedura, l’Italia potrebbe essere penalizzata con circa 9 miliardi di euro. Un colpo piuttosto duro da metabolizzare, di questi tempi.
E’ l’ultima considerazione da fare in questa delicata circostanza, ma l’immagine dell’Italia ne viene fuori veramente male, siamo diventati il tiro al bersaglio in Europa, e non è edificante.
L’articolo del Trattato sull’Ue, citato, ossia il 126, si richiama espressamente al divieto, per gli Stati membri, di produrre eccessi in termini di disavanzo pubblico, per questo il Paese che se ne rende responsabile resta sotto il controllo diretto della Commissione europea, fino a quando il rapporto deficit/Pil diventa accettabile, ovvero sotto la soglia di sicurezza, che le autorità ritengono congrua. Altra nota dolente è la consistenza del debito pubblico, stimato intorno al 132% del Pil, in sostanza il rischio è che l’Italia non possa più accedere al programma dii acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea, che ha notevolmente contribuito a sostenere i conti pubblici fino ad ora.
Nemmeno le previsioni ottimistiche del vicepremier 5S Luigi Di Maio, sono state ‘scaramantiche’ verso una buona disposizione da parte delle autorità della Commissione europea. Valdis Dombrovskis, vicepresidente dell’esecutivo, è stato piuttosto chiaro, quasi lapidario sulla questione manovra: qualora non siano apportate considerevoli modifiche, a Bruxelles saranno costretti a “rivedere le conclusioni”, e il trattamento di “clemenza” riservato a Roma in altre circostanze non si ripeterà.
E infatti, a questo riguardo Dombrovskis dichiara:
“Abbiamo proceduto con parsimonia anche gli anni scorsi, sostenendo che l’italia era in sostanza in regola con i requisiti del Patto di stabilità, evitando così l’onere della procedura d’infrazione. Ma ora si chiede troppo alla Commissione, il Documento programmatico di bilancio non è stato modificato, ed è nostro compito “rivedere le conclusioni”. Roma non ha tenuto conto delle nostre richieste, ossia il miglioramento del deficit strutturale di 0,6%. Notiamo anzi che c’è un peggioramento di 0,8%, e dunque una deviazione pari all’1,4%: non è accettabile.”
La Commissione contesta al governo di Roma lo scostamento da quella linea di rientro del rapporto debito/Pil, che è oltre la soglia del 60% fissata dal Trattato di Maastricht, gli anni scorsi è stato verificato l’impegno a produrre un buon livello di avanzi primari, e per via di questo impegno si è deciso ogni volta di concedere fiducia all’Italia. L’attuale manovra è stata ritenuta troppo arbitraria sulla linea del rischio, non si tiene conto dei meccanismi di aggiustamento dei valori riguardanti il rapporto debito/Pil, questa è la ragione dell’allarme di Bruxelles, e la determinazione a prendere le misure necessarie qualora il Documento programmatico non sia sottoposto ad una sostanziale revisione.
Intanto il ministro dell’Economia Giovanni Tria, presente al meeting Ecofin, è rientrato a Roma prima del previsto, e non è apparso un buon segno di conciliazione con le autorità della Commissione, senza contare il fatto che i colleghi ministri dei Paesi membri, hanno in più circostanze dichiarato di non concordare con le misure di politica economica troppo spregiudicate intraprese dal Governo italiano. Non hanno convinto nemmeno le dichiarazioni spicciole del ministro Tria al suo rientro da Bruxelles, del resto è persona molto diplomatica, e parte dal principio che non giovi esprimere opinioni troppo schiette, semmai sia necessario privilegiare la via del dialogo, soprattutto in circostanze difficili come queste. In ogni caso l’atteggiamento è sintomatico di questa tensione, anche l’incontro che il ministro avrebbe dovuto avere con la stampa è saltato a chiusura dei lavori con Ecofin.
Nel corso del meeting, Pierre Moscovici, commissario agli Affari economici, è stato subito esplicito: “un conto è la richiesta di flessibilità, altro è chiedere di agire deliberatamente al di fuori delle regole”. Insomma si è sorvolato fino ad ora, non può essere il governo di un singolo Stato membro a decidere, senza tenere conto dei Trattati che sono stati firmati. L’Ue deve vigilare affinché proprio gli accordi siano rispettati, il ruolo di vigilanza è fondamentale.
Sul versante italiano non lampeggiano segnali di apertura verso un’intesa soddisfacente anche per la Commissione europea, non s’intravede un ravvedimento per quel che concerne la correzione della Nota di Aggiornamento al Def, il rapporto deficit/Pil resta quello dichiarato, ossia il 2,4% così contestato, spartiacque che ha creato i due fronti divergenti.