DI VIRGINIA MURRU
Lo aveva anticipato già a settembre scorso l’Ocse, con una previsione al ribasso della crescita economica globale, il cui Outlook dovrebbe passare, secondo l’Organizzazione (con sede a Parigi), da +3,9% – stime di maggio – a +3,7%, sia per il corrente anno che per il prossimo. Un ‘soft landing’ del Pil globale, che tuttavia orienta verso la fine del ciclo positivo degli ultimi quattro anni, e pertanto il picco di crescita si avvierebbe verso la contrazione, destinata a proseguire nel breve periodo.
Al fisiologico andamento del ciclo si potrebbero aggiungere dinamiche di politica economica e instabilità di carattere geopolitico, nonché aggiustamenti di politica monetaria nelle economie avanzate e in quelle emergenti, e infine la destabilizzazione dovuta alle tensioni derivanti dal protezionismo e imposizione di nuovi dazi, che hanno scatenato, nel volgere di un semestre, un vero e proprio conflitto commerciale, con fibrillazione dei mercati al seguito.
Ma l’Outlook dell’Ocse non è ovviamente l’unico che presenta valutazioni al ribasso nella crescita globale, c’è anche l’Fmi (Fondo Monetario Internazionale), il quale, nelle ultime previsioni di ottobre, ha tagliato le stime sul Pil sia per il 2018 che per il prossimo anno, passando dal 3,9% al 3,7% per il biennio.
Secondo il World Economic Outlook del Fondo, le cause vanno ricercate nel conflitto commerciale scatenato dall’establishment Usa, che potrebbe portare ad una flessione dell’espansione economica globale, pari allo 0,8% nei prossimi due anni, con effetto boomerang proprio sugli States, e poi in Cina, economia bersaglio di queste politiche commerciali aggressive. La Cina già sta seguendo un trend di contrazione nella crescita; secondo le previsioni del Fmi, già nel 2019 il Pil passerebbe dal 6,4% al 6,2%, in linea tuttavia con le stime riguardanti la crescita globale.
In un articolo pubblicato su Investment Managers, gli analisti concordano in generale con le previsioni delle Organizzazioni internazionali: le stime macroeconomiche dei prossimi due anni confermerebbero il trend al ribasso del Pil globale.
Secondo queste analisi, gli Usa sono avviati verso una crescita del 2,9%, ossia la migliore performance dal 2006, andamento favorito dall’espansione fiscale, ma il riflesso non durerebbe a lungo, già s’intravede una riduzione degli effetti delle riforme fiscali, alla quale si aggiunge il riverbero negativo delle politiche commerciali e le contrazioni delle condizioni finanziarie. Fattori che dovrebbero condurre verso il rallentamento ciclico, secondo gli analisti, non proprio ‘soft’: dal 2,9% si passerà al 2,3% nel 2019.
Non si escludono nei prossimi due anni, contrazioni più brusche nella crescita, per via delle dinamiche legate alla politica economica portata avanti dagli Usa. La decelerazione in corso potrebbe derivare anche dall’interazione di dati legati al calo di fiducia, riduzione delle scorte, flessione della spesa e investimenti.
C’è poi l’influenza esercitata dalla politica monetaria, anche se con gli scenari attuali sarebbero da escludere fenomeni di recessione, e tuttavia nel 2020 è attesa una decelerazione, inferiore alla media. La Fed continuerà, ma non per molto, la politica di rialzo dei tassi, con tre rialzi previsti per il 2019. Sarà il 2020 a sancire l’inversione di rotta dell’economia più solida del pianeta.
In Europa il trend di contrazione della crescita è già in corso, l’economia dell’area euro in particolare sconta i riflessi derivanti dall’instabilità politica di alcuni Stati membri, Italia in primis. Il 2018 per l’Ue, in termini di crescita, ha frenato oltre le aspettative, e non andrà oltre l’1,9% nel corrente anno, con una flessione pari allo 0,6% rispetto al 2017. La tendenza è orientata verso un’ulteriore contrazione nel 2019, che dovrebbe attestarsi sull’1,4%, e, in ‘progresso’ negativo, il 2020 dovrebbe registrare l’1,2%.
Tutto questo in un contesto di dati riguardanti i consumi, stabili, mentre freneranno gli investimenti da parte delle imprese, e la redditività, considerato che la domanda di credito, rispetto al 2014, è ai minimi.
La tendenza al rallentamento potrebbe indurre la BCE a portare allo 0% i tassi sui depositi nel 2020, nonostante la controtendenza dei dati relativi all’inflazione, vicina al sospirato target del 2%.
Ulteriori fattori di rischio potrebbero provenire, per l’area euro, dalle politiche di bilancio dell’Italia, e l’instabilità che ne è seguita, con annessi rischi di contagio finanziario. E c’è poi la questione rovente riguardante la Brexit, spina sul fianco dell’Ue da ormai due anni. I progressi compiuti dalla premier Theresa May, che ha dovuto cedere ad un compromesso con i negoziatori dell’Unione europea, ha creato forti opposizioni nel Regno Unito, tanto che il ‘dossier’ relativo allo sdoganamento della Brexit, peraltro tenuto riservato dalla May, difficilmente passerà l’iter di approvazione del Parlamento, previsto a breve.
Altri elementi negativi per la crescita in Europa, derivano dall’imposizione dei dazi sull’export di auto Ue negli Usa.
Insomma stime che prevedono scenari non proprio esaltanti, ma del resto i fenomeni economici sono caratterizzati da cicli racchiusi in tempi limitati, e pertanto bisognerebbe sempre mettere in conto queste variabili, soprattutto quando si ragiona su contesti globali.