DI VIRGINIA MURRU
Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e figlia del fondatore del colosso tecnologico Huawei, è stata arrestata a Vancouver, su mandato degli Usa, la notizia è stata confermata dal Dipartimento di Giustizia canadese. A suo carico accuse di violazione delle sanzioni contro l’Iran. Lo sdegno della Cina era scontato, non concorda con i capi d’imputazione lanciati dagli Usa, e ne richiede la liberazione.
E siamo di nuovo in tempesta, o meglio sembrerebbe un fulmine a ciel sereno (o quasi), dopo gli accordi firmati a margine del G20 tra la delegazione americana e quella cinese. L’interpretazione di questa iniziativa assai poco diplomatica, nei confronti del top manager cinese, è da ricercare nel conflitto commerciale in atto sui dazi, ma anche in ragioni di spionaggio. Le manette sono scattate il 1° dicembre, anche se la notizia è trapelata dopo.
Una cosa è certa: i mercati non vanno a nozze con queste tensioni di carattere geopolitico, e quando viene meno il principio della stabilità, la reazione è assicurata, per questo non c’è da stupirsi se le piazze asiatiche sono crollate dopo la notizia dell’arresto di un manager simbolo, il CFO di una grande multinazionale cinese, qual è appunto Huawei. Non si può esigere pace, se poi s’innesca la miccia di un ordigno, il caos nei mercati era da mettere in conto, e la rivolta dei cinesi al provvedimento pure. Così, addio distensione; era un armistizio che per la verità sembrava costruito sotto la cenere di carboni roventi.
Il Wall Street Journal ha scritto che le indagini sulle presunte violazioni delle sanzioni sull’Iran sarebbero iniziate nei primi mesi del 2018. Attualmente la signora Meng è anche presidente in carica del board di Huawei, figlia di Ren Zhengfei, il fondatore. Si sospetta pure che ci siano stretti legami con il Partito Comunista Cinese, deduzioni che probabilmente vengono dallo spionaggio.
Huawei, in un comunicato, ha dichiarato che “Meng stava cambiando volo in Canada, quando è stata arrestata su richiesta degli Usa, per rispondere di non ben definite accuse a New York”. Pechino insiste sulla sua liberazione, sostenendo che si tratta di violazione dei diritti umani.
La società non rilascia altre dichiarazioni, e afferma di non essere a conoscenza dell’operato del direttore finanziario riguardo alle accuse che le sono state formulate, sottolinea tuttavia, che la compliance sulle leggi e regole internazionali, controlli e sanzioni, sono state ineccepibili , sempre osservate da Meng.
La richiesta di estradizione è stata già inoltrata. Il portavoce del Dipartimento di Giustizia americano non commenta, non è chiaro se si tratti di ‘minaccia cyber’ o vantaggi legati alla competitività. Come si sa, di certo c’è il crollo delle Borse asiatiche, e vi sono ragionevoli timori per la tregua commerciale di 90 giorni tra le due superpotenze. E infatti a Tokyo l’indice Nikkei ha chiuso la seduta in calo dell’1,91%; Hong Kong ha lasciato sul campo il 2,92%; Shanghai quasi il 2%. Ma le cose non vanno meglio nelle Borse europee, il contagio è arrivato un pò ovunque, Piazza Affari cede il 2%.
Huawei è il secondo produttore mondiale di smartphone, un gigante delle telecomunicazioni; con questa iniziativa gli Usa potrebbero veramente colpire la società tramite la catena di produzione sul piano globale, intanto i titoli dei fornitori asiatici sono già crollati. Eppure l’arresto non è così clamoroso, dato che il colosso cinese era ben sorvegliato in Occidente.
Senza contare, secondo un resoconto di Reuters, che c’è stato il divieto d’uso alle Agenzie governative americane, dei suoi telefonini. Ma c’è pure dell’altro: British Telecom avrebbe deciso di non utilizzare apparecchiature di rete Huawei, nelle sue reti 4G, per proteggere dati sensibili riguardanti i clienti. Del resto la notizia che la Cina si servirebbe dei suoi mezzi tecnologici più avanzati per ‘spiare’ gli Usa e altri paesi, non è di oggi.