DI VIRGINIA MURRU
Altro che ‘pax’ sul conflitto commerciale in atto tra Cina e Usa. Il veleno delle ritorsioni sta seguendo altre direttive, ma l’origine degli attriti è sempre il medesimo, ossia il protezionismo, allo scopo di preservare il “made in Usa”, ma più verosimilmente per l’affermazione della supremazia economica. L’ostilità verso l’ex impero sovietico non ha più ragione d’essere, ora gli scenari sono cambiati, la supposta minaccia deriva da un’economia a torto definita ‘emergente’, la Cina, appunto, che contende il primato economico sul piano globale agli States.
Nel 2004 la Cina ha superato il Pil degli Usa; ha in mano buona parte del suo debito pubblico, e la crescita congiunturale è il doppio di quella americana.
Ma sono stati gli Usa a dare il ‘là’ e aprire un’ostilità degna di guerra fredda, attraverso l’imposizione di dazi su acciaio e alluminio, che hanno colpito l’export della Cina in modo non indifferente.
E così si provoca l’orgoglio del ‘dragone’, che ha dimostrato, negli ultimi dieci anni, di sapere aggirare in modo sopraffino le regole delle democrazie occidentali, concedendo al tanto demonizzato capitalismo di entrare dalla finestra, per pure ragioni d’impulso e convenienza interna, ma di lasciare libero l’ingresso principale al PCC. Nonostante il consistente pacchetto di riforme attuato tra gli anni ‘80 e ’90, che ha permesso in fin dei conti l’introduzione del libero mercato, favorendo l’iniziativa privata, e svincolando l’industria dagli artigli dello Stato, i conti ancora non tornano per le credenziali della democrazia. Si è seguita soprattutto una strategia di politica economica che favorisse gli investimenti dall’estero, non di difficile attuazione, considerata l’alta competitività dei costi nel mercato del lavoro.
Il partito comunista al Governo tuttavia svolge ancora un ruolo di ‘supervisione’ politica ed economica, nonché finanziaria, non di poco conto. Tutto questo nonostante i progressi voluti di Deng Xiaoping, che hanno spianato la strada ad un Paese a due sistemi, ma ancora lontano dai progressi sul piano delle riforme democratiche esatte dall’Occidente.
I cinesi chiedono comunque a gran voce di sospendere la quarantena di penalizzazioni nella circolazione di quel flusso impressionante di merci con il quale invade i paesi occidentali. Il Paese però non sarebbe pronto ad essere riconosciuto ‘idoneo’, quale ‘Economia di mercato’, a godere degli stessi diritti delle democrazie occidentali che ne fanno parte, perché alle loro spalle c’è una storia di progresso nei diritti fondamentali che dovrebbe costituire una garanzia nelle relazioni internazionali. La Cina è ancora lontana dal traguardo, nonostante il lungo percorso volto ad affrancarsi dal ‘timbro a cartiglio’ di nazione fondata su un regime totalitario, le ‘carte’ non sarebbero in regola. In realtà né gli Usa né l’Ue vorrebbero riconoscere alla Cina lo status di Economia di mercato per ragioni di competitività (‘eccessiva’) sui costi del lavoro, e dunque sul prezzo dei prodotti. La competitività è tale che, se le si concedesse questo lasciapassare, si rischierebbe di mettere sul lastrico l’industria in Occidente.
In sostanza, i cinesi sanno bene che non è questione di regole anti-dumping, e non violano nemmeno, secondo il governo cinese, le disposizioni del Wto (Organizzazione mondiale del Commercio). Il fatto è che né gli Usa né l’Ue, la vogliono quale ‘terzo incomodo’, proprio per i rischi che incombono sulle imprese e sul settore dell’industria in generale.
Hanno già dimostrato, i cinesi, che non vi è alcun articolo del Wto in contrasto con l’acquisizione dello status di economia di mercato, e ci tengono a precisare che i 15 anni di permanenza nell’Organizzazione ormai sono scaduti, quasi automaticamente pertanto le spetta il riconoscimento che ne legittimerebbe a tutti gli effetti il ruolo, insieme alle altre economie dell’Occidente.
Non c’è da stupirsi se poi si stringono relazioni internazionali di ferro tra Cina e Russia. Risale ad alcuni mesi fa la visita del ministro della Difesa cinese a Mosca, il quale ha poi dichiarato: “Siamo qui per fare sapere agli americani quanto stretti siano i legami tra i due Paesi.”
Mentre il Global Times, quotidiano cinese, titolava al riguardo: “La pressione occidentale del blocco Nato avvicina Russia e Cina.”
L’Europa marcia sempre al passo degli Usa, ma gli americani, con l’attuale assetto politico, stanno dimostrando che a seconda degli interessi in gioco, sanno come svincolarsi dagli impegni già siglati, e non si fanno condizionare dalle reazioni dell’Unione europea, addirittura nel mirino dei dazi sull’export di autoveicoli. L’Europa, qualora il conflitto e la tensione dovessero malauguratamente aumentare, rischia di ritrovarsi come una casetta di paglia tra due fuochi. ‘America first’ non riconosce ‘i parenti’ se vi sono interessi economici da tutelare.