DI VIRGINIA MURRU
Il 2018 è stato un anno di grandi rivolgimenti, in alcuni periodi da ‘cardiopalmo’, se si considerano le cause e gli effetti che hanno determinato crolli o forti stimoli nelle contrattazioni. La reattività dei mercati è nota, allorché si verificano eventi importanti di carattere geopolitico che rischiano di compromettere la stabilità, o scelte di politica economica che incidono fortemente negli equilibri del sistema globale. Tante sono state nel corso del 2018 le vicissitudini che hanno portato terremoti in borsa, da Wall Street alle piazze europee, a quelle asiatiche, i ‘veicoli’ di contagio in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione, sono scontati.
Insomma, un anno pessimo per i mercati finanziari, secondo Finanza online, quasi tutti gli asset sono in rosso, il 2018 potrebbe entrare negli annali come annus horribilis:
” tutte le principali asset class di investimento a livello globale (azioni, obbligazioni, oro e petrolio) sono avviate a chiudere l’anno in rosso.” Una situazione così nera non si vedeva da 20 anni.
Resoconto confermato da Il Sole 24 Ore:
“Le curve dei principali indici globali evidenziano un corale passivo da inizio anno: le azioni (indice Msci world) perdono il 5%, le obbligazioni (indice Jp morgan gbi global) il 3 per cento. Il petrolio (qualità Brent) è in calo del 10 per cento. E anche il bene rifugio per eccellenza, l’oro, quello che dovrebbe compensare gli investitori dai ribassi dei titoli più rischiosi, ha perso terreno da inizio anno (-5%)”.
L’ottimismo tra gli operatori dei mercati si è alternato al pessimismo, ossia alla massima cautela verso il rischio. Tra le cause che hanno creato un deterrente tra gli investitori, ci sono state le iniziative aggressive dell’establishment Usa volte a colpire l’export della Cina, una politica economica rivolta al protezionismo, al di là di ogni considerazione sulle relazioni internazionali, un equilibrio più che mai delicato, che necessita della distensione, non di erigere barriere, piuttosto anacronistiche nel terzo millennio. Eppure la politica mondiale già da anni ha virato a destra, e l’Europa ne è l’esempio più eclatante.
Cambiamenti di rotta che in diverse circostanze, dopo le consultazioni elettorali che hanno sancito la vittoria dei movimenti politici di destra, hanno destabilizzato i mercati, creando ondate di panico, perché la tendenza verso i populismi, quando non xenofobia, non viene recepita come fenomeno che determina stabilità, elemento del quale i mercati necessitano per operare con serenità, al di fuori dell’orbita del rischio.
La degenerazione della politica protezionistica messa in atto dall’amministrazione Trump, è stata la guerra commerciale, ancora in atto, che non ha risparmiato neppure i parenti più stretti, ossia l’Europa, minacciata dai dazi, non solo su alluminio e acciaio, ma anche sul settore degli autoveicoli, proprio per colpire forte, e per dire chiaro che non c’è nessuno, oltre le frontiere, degno di essere risparmiato.
Questa escalation d’incertezza e tensione, soprattutto tra le due grandi superpotenze , Cina e Usa, hanno fatto vibrare tutte le corde del rischio, e sia Wall Street che le piazze asiatiche, nonché quelle europee, hanno reagito con crolli memorabili. Gli Usa si possono permettere comunque i ‘ruggiti’ di Wall Street, e anche di ignorarli quando ci sono in gioco interessi così grandi.
Le scosse nei mercati hanno origine anche nei timori causati dal rallentamento della crescita globale, nella mancanza di un accordo sul bilancio da parte dell’amministrazione Usa. Negli ultimi giorni ci sono state oscillazioni notevoli tra gli estremi registrati a Wall Street lunedì 24 dicembre (seduta chiusa in negativo, la peggiore vigilia di Natale di sempre, con crolli che hanno superato il 2,5%), e il rally del 26, con picchi che non si verificavano dal 2009 ( il Dow Jones ha messo a segno il 4,9%, il Nasdaq il 5,84%), migliore seduta, appunto da dieci anni a questa parte. La Borsa americana ha chiuso lunedì 26 con il Dow Jones in rialzo di oltre mille punti.
A cambiare rotta verso l’ottimismo ha contribuito l’allentarsi della tensione tra Usa e Cina in ambito commerciale, ma soprattutto la schiarita nei rapporti tra Donald Trump e la Fed. Nei giorni scorsi il presidente Usa aveva fatto infatti trapelare l’ipotesi di un licenziamento di Powell, alla guida della Banca centrale americana da neppure un anno.
Poiché queste mine vaganti avevano destato non pochi allarmi negli ambienti finanziari, e incentivato la diffidenza sugli azzardi di Trump, la Casa Bianca ha pensato di rimediare con un comunicato di Kevin Hasset (Presidente del Consiglio degli advisor economici della Casa Bianca), il quale ha spiegato che il ruolo del presidente della Fed, Jerome Powell, non è in discussione, così come quello di Steven Mnuchin, segretario al Tesoro, verso il quale ci sono stati nei mesi scorsi dichiarazioni poco rassicuranti.
Secondo gli analisti, il quarto trimestre del 2018 è stato horribilis per i mercati finanziari, c’è la tendenza verso una fase ribassista, per sei sedute di seguito l’indice cinese a maggiore capitalizzazione (il CSI 300), ha chiuso in calo, e dal mese di febbraio il riscontro per le Borse mondiali non è lusinghiero, è anzi deludente. In particolare le perdite degli indici più importanti vedono un Dow Jones a -14,7%, S&P 500 a -15,6%, Nasdaq a -18,4%, FTSE 100 -9,6%, DAX -13,6%, Cac -14,1%, Hang Seng -5,4%, Shanghai -11,3%, Nikkei -16,9%.
Un panorama che non promette grandi cambiamenti in positivo nel prossimo anno, ormai alle porte. La Borsa di Tokio chiude l’anno in corso in negativo, per la prima volta da sei anni a questa parte. L’indice Nikkei chiude le contrattazioni con un calo pari allo 0,31%. Da gennaio a dicembre l’indice ha perso il 12,1%. Lo yen acquista energia sul dollaro perché gli investitori sono alla ricerca di beni rifugio.
La volatilità nei mercati è aumentata, come già è stato accennato, a causa della mancanza di propensione al rischio degli investitori, per alcuni analisti, oltre alle ragioni che rimandano alla guerra commerciale e alle tensioni di carattere geopolitico, c’è anche la linea della politica monetaria seguita dalle Banche Centrali, che hanno ridotto la liquidità e aumentato i tassi (come sta facendo da circa un anno la Fed).
Anche il bilancio delle Borse cinesi è in rosso, a causa delle tensioni commerciale tra i due colossi economici, Cina e Usa, e anche per ragioni da ricercare nel rallentamento della crescita nell’economia del drago.
Le previsioni per il 2019 non sono orientate al rialzo, i mercati finanziari continueranno a soffrire, soprattutto per il rallentamento della crescita a livello globale, oltre alle altre incognite delle quali si è trattato.
L’economia italiana, secondo il 65% degli operatori per il 2019 non ha davanti il campo dei miracoli, continuerà anzi il trend negativo iniziato negli ultimi trimestri del corrente anno, e la crescita subirà una brusca frenata; lo scenario europeo non sarà di stimolo, dato che il rallentamento riguarda anche l’Unione europea. La politica monetaria della BCE, inoltre, che a partire dal prossimo gennaio sospenderà del tutto le misure d’intervento attraverso l’acquisto di asset, non contribuirà a stimolare il sistema.