UOVA CONTANTAMINATE, MA CI SALVA IL MADE IN ITALY
DI PIERLUIGI PENNATI
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Una volta tanto il Made in Italy è una garanzia anche in patria e non soltanto per la qualità dei manufatti o per il loro gusto, ma anche per l’autosufficienza delle risorse, infatti, il se 2 agosto l’Olanda ha scoperto un lotto contenente Fipronil, vietato dalle leggi europee, nell’azienda olandese Chickfriend ed arrestato due dirigenti, l’Italia è tra i paesi fortunati che praticamente non importano uova potendole produrre quasi interamente sul suolo nazionale.
Secondola Commissione Europea “Anche l’Italia ha ricevuto uova” dalle aziende in esame, ma il ministero della Salute ha assicurato che non risultano distribuzioni contaminate sebbene siano stati comunque confiscati articoli mai messi in commercio per prevenirne la vendita.
Il Fipronil, il cui nome chimico è fluocianobenpirazolo, è un insetticida ad ampio spettro che disturba l’attività del sistema nervoso centrale dell’insetto impedendo il passaggio degli ioni cloruro attraverso il recettore del GABA ed il recettore del Glut-Cl, ciò causa la ipereccitazione dei nervi e dei muscoli degli insetti contaminati.
La sostanza viene usata prevalentemente per la prevenzione contro le pulci ed antiparassitario per gli animali da compagnia, il suo veleno, la cui concentrazione è volutamente blanda nei prodotti in commercio, ha una lenta attività d’azione per evitare che l’insetto avvelenato muoia immediatamente e faccia prima rientro nella sua colonia liberando l’organismo che infestava e diventando un “untori” per tutta la sua colonia.
Pur essendo categoricamente vietato nei trattamenti anti-pulci di animali destinato al consumo umano, perchè secondo l’Oms è pericoloso per fegato, reni e tiroide, per causare problemi all’uomo occorrono alte dosi di prodotto e non dovrebbe essere il caso dell’attuale scandalo alimentare.
Le persone esposte al Fipronil a forti dosi si possono osservare ipereccitabilità, irritabilità, tremori e, ad uno stadio più grave, letargia e convulsioni.
I sintomi sono reversibili, una volta terminata l’esposizione la sostanza si assorbe lentamente attraverso l’intestino e siccome non è noto un antidoto specifico i medici consigliano una lavanda gastrica per ridurre l’assorbimento ed un purgante salino o carbone attivo.
Secondo la UE i Paesi dell’Unione coinvolti, compreso l’Italia, sono il Belgio, i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, la Svezia, il Regno Unito, l’Austria, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia e la Danimarca, a cui si devono aggiungere Svizzera e Hong Kong.
Una volta tanto, però, l’Italia è libera da questo rischio sia per la possibile limitata concentrazione di prodotto nei nostri alimenti, compreso quelli di pasticceria, sia per la produzione quasi interamente nazionale di uova: quando il Made in Italy ti salva la vita.
STIAMO DIVENTANDO TUTTI MIGRANTI ECONOMICI
DI PIERLUIGI PENNATI
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“Laurea magistrale a pieni voti in ingegneria civile, ottima conoscenza della lingua tedesca e buona della lingua inglese, gradita esperienza Erasmus, disponibilità a trasferte in Italia ed estero, contratto di 6 mesi, 600 euro netti al mese, ticket restaurant per ogni giorno lavorato, zona Grugliasco”.
L’annuncio è di maggio, ma ancora la foto impazza sulla rete come fonte di ilarità tra chi del dramma vede solo l’assurdità ridendone invece di scandalizzarsi o lo strumentalizza contro gli immigrati “mantenuti dallo stato”.
L’indignazione immediatamente seguita all’annuncio ne ha provocato il ritiro e la rettifica ed a seguito degli insulti e delle richieste di chiarimenti piovute nei loro uffici, la società si è affrettata a dichiarare che «L’annuncio non è nostro perché noi non facciamo annunci su cartaceo e stiamo cercando di capire come ci sia finito. Cerchiamo un ingegnere con quelle caratteristiche ma solo per uno stage post-laurea».
Si tratta della società Gruppo Dimensione, multinazionale con sede italiana a Torino, che – è scritto nel loro sito – «svolge attività di consulenza e servizi altamente specializzati nel campo dell’ingegneria civile e degli impianti tecnologici.»
La vice presidente, Marie Chantal Manenc, ha subito precisato che la richiesta riguardava «solo un tirocinio, serve per qualificare il candidato, insegnandogli quello che all’università non si impara, e per valutare l’opportunità di assumerlo», poi, se il periodo di stage si conclude favorevolmente, l’azienda assume il candidato «Con un contratto di apprendista» e «per quelli che sono all’estero siamo sui 2400-2.500 euro. Netti, eh!»
Nulla di strano, quindi, la legge viene pienamente rispettata e così grazie alle nuove norme sul Jobs Act, le tutele crescenti e gli apprendistati, un laureato super qualificato deve lavorare per quasi quattro anni a condizioni da terzo mondo per riuscire ad avere un contratto che si avvicina al “normale”, dato che vivere in trasferta all’estero per 2.550 euro netti al mese non sembra certo una retribuzione stellare e per le destinazioni italiane, solo probabilmente dato che non viene dichiarato, ancora meno.
Qualcosa deve essere andato storto quando è stata approvata la legge attuale, i giovani, se non cambiano ancora le condizioni e dopo tutto questo peregrinare ed avere difficoltà, dovranno lavorare fino a 70 anni e forse più per poter avere una pensione, la cui “normalità” viene messa costantemente discussione, posizionando le condizioni ed il mercato del lavoro italiano tra quelli “da terzo mondo”.
Pur essendo comparso solo sul sito del Comune di Torino nella sezione InformaLavoro, senza menzionare che i 600 euro fossero da ritenersi compenso per uno stage, e solo una volta in formato cartaceo, l’eco mediatica sembra aver fatto comunque il suo dovere e se l’azienda ha sostenuto ufficialmente che «questa faccenda è un disastro per l’immagine del gruppo», dopo le telefonate di insulti della prima ora sono state da essa ricevute «all’incirca una cinquantina» di candidature con i requisiti richiesti, che ora «andranno valutati in modo più approfondito».
Il bilancio finale è che al di là dell’indignazione istantanea e le risa dei qualunquisti l’annuncio ha attirato l’attenzione e quasi 50 laureati altamente qualificati si sono dichiarati disposti, al di là di tutto, ad entrare in competizione per lavorare quasi gratis solo per riuscire poi a guadagnare quanto un operaio specializzato.
Per completezza di informazione riporto che in un’indagine comparsa il 18/11/2014 sul Sole 24 Ore, la differenza delle retribuzioni tra Italia e Germania portava già differenze dal 40 al 70% in più rispetto all’Italia e, solo per fare un esempio la retribuzione media di un operaio generico italiano stimata in 29.523 Euro l’anno diventava 49.507 Euro sul suolo tedesco e con un welfare state certamente più elevato.
Sembra di capire che qualcosa da noi non sta andando come ci hanno prospettato e se i nostri ragazzi guardano all’estero è perché là, la mano d’opera, è meglio retribuita, considerata e produce più dignità e stabilità del lavoro, trasformando di fatto tutti noi in “migranti economici”.
Non volevamo che le nostre aziende emigrassero all’estero, così costringiamo ad andarci le nostre migliori risorse, mentre da noi ormai solo chi proviene da paesi dove le condizioni sono ancor meno favorevoli accettano le condizioni di vita al limite della dignità che le aziende nostrane oggi offrono “a norma di legge”.
Dite a Renzi e Salvini che senza rispetto nessuno starà mai a casa propria, tutti, prima o poi, cercheranno un posto dove vi sia maggiore “giustizia sociale” rispetto “a casa loro”, per andare avanti, qualche volta bisogna tornare indietro, almeno ai tempi in cui in Italia i diritti e la dignità dei lavoratori erano ancora valori da salvaguardare.
PIGNORATI BENI PER 10 MILIONI, "BUTTIAMO TUTTO IN VACCHI"
DI IMMACOLATA LEONE
Gianluca Vacchi, noto imprenditore bolognese, re dei social, di Instangram e noto per il suo ego smisurato, come ammesso da lui stesso, ha problemi economici.
Notizia seria, per noi comuni mortali, diffusa oggi dai quotidiani del gruppo QN, Quotidiano Nazionale, la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno e Quotidiano.net.
Da un debito iniziale di 30 milioni, della First Investments spa, di cui Vacchi è amministratore unico, ed il successivo mancato pagamento della restante parte di 10 milioni, il Banco Popolare, ora Banco BPM, in seguito ad una fusione, ha iniziato le azioni esecutive per entrare in possesso di alcuni beni, barche, ville, azioni, ed alcune quote di un esclusivo golf club, appartenenti a Vacchi.
Azioni partite gia nel dicembre del 2015, data della terza rata insoluta, ed oggi divenute esecutive.
Gianluca Vacchi, fresco cinquantenne, nasce molto bene, la sua famiglia è a capo di un’azienda,l’IMA, l’impresa familiare fondata da suo padre negli anni Sessanta, produttrice di oggetti di nicchia, ma assolutamente indispensabili: cioè macchine che confezionano prodotti cosmetici e farmaceutici, oggi azienda leader a livello mondiale.
A trent’anni lascia l’azienda di famiglia e si butta nel duro mondo degli affari, compra 12 aziende, le “risolleva” e poi le rivende, spaziando nei settori più disparati: dai camper, agli oblò per lavatrici, agli orologi Toy Watch, diviene anche il primo fondatore in Europa di un’azienda di last minute.
“Enjoy” è il suo motto, il suo stile di vita, il suo pensiero unico è rendere pubblica su Instangram , facebook e youtube, ogni momento della sua “regale” vita, delle sue bellissime fidanzate, del suo tempo libero, dei suoi amici, dei suoi tatuaggi, del numero di addominali fatti, dei suoi balletti con la fidanzata del momento, le ospitate come dj nelle discoteche, i suoi abiti gialli, rosa, tutti perfetti sul suo fisico scolpito.
Insomma una gran figata di vita, invidiata e ammirata, a seconda dei casi, anche quando entra in casa inforcando la sua Harley.
Sono sincera, fino a sei mesi fa non conoscevo Gianluca Vacchi, quando per un caso fortuito, mi imbatto in un suo video, in cui lo si vede uscire da una specie di involucro, poi ho scoperto trattarsi di una camera di crioconservazione, cioè un macchinario che porta il corpo a delle temperature sottozero per sentirsi giovani mantenendo la pelle soda.
Vacchi, esce dalla camera di crio indossando una bizzarra mutanda col bozzo, visibilmente infreddolito, ma sempre col suo sorriso smagliante, comincia a a ballare e a mimare un ballo lap dance.
Trovandolo molto bizzarro, l’ho cercato sul social facebook ed ho visto questo giovanotto attempato, sorriso smagliante, occhiali che fanno tanto figo, e improponibili abbigliamenti, da lui perfettamente indossati, come un divo di Hollywood ecco.
Poi non paga, leggo i commenti dei comuni mortali, tanta ammirazione per lo sfoggio di una vita patinata e impossibile e tanto tanto livore per la sua fortuna.
Ma, come tutti sanno, la dea fortuna è bendata, ed essendo uscito dalla sua visuale, adesso finisce tutto in “Vacchi” .
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ALITALIA É SANA MA SI (S)VENDE LO STESSO
DI PIERLUIGI PENNATI
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I nodi sono venuti al pettine da tempo e forse i lavoratori che hanno respinto in massa il piano di ristrutturazione con 2.000 licenziamenti, su 12.000 impiegati, sapevano già che i loro ulteriori sacrifici erano inutili: Alitalia è sana ed il problema è solo gestionale, ma viene ceduta ugualmente all’asta.
Che qualcosa non andasse lo si era capito da subito, solo un paio di settimane dopo il voto di fine aprile che cassava l’accordo raggiunto da CGIL CISL e UIL, il docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss, Antonio Bordoni, a seguido di uno studio commissionato da un editore affermava che “Gli stipendi sono più bassi, con più passeggeri per dipendente. Il problema? Contratti di servizio onerosi e poco sviluppo nel lungo raggio”.
L’obiettivo dello studio non era attribuire delle colpe, ma cercare di capire se dopo la bocciatura del piano industriale questo potesse essere riproposto da qualunque possibile nuovo assetto azionario e, quindi, cercare di evitarlo.
Il rifiuto dei tagli aveva immediatamente portato i benpensanti a bollare i dipendenti come “furbetti del cartellino”: privilegiati che non volevano rinunciare a nulla, nullafacenti che avevano portato al collasso la compagnia e volevano continuare a farlo, ma non era così, il costo del lavoro non centrava nulla, dato che Alitalia era “Meglio di Air France, Lufthansa e British” secondo Bordoni.
I lavoratori spesso lo sanno prima degli analisti e del pubblico, chi percepisce uno stipendio sa quanto guadagnano i colleghi di altre compagnie e quante ore di lavoro realizzano, come e con quale sforzo, e nessuno di loro aveva mai detto che, dopo la prima grande ristrutturazione, la situazione Alitalia fosse da lager, ma nemmeno da paese del bengodi, consapevoli di non essere in una situazione di grande privilegio rispetto ad altre compagnie, se non per il maggior rispetto della loro dignità, che in qualche concorrente sembrerebbe a rischio, e della stabilità di impiego, il posto fisso e dignitoso era già un valore sufficiente.
Dopo il piano di ristrutturazione che prevedeva essenzialmente solo tagli al personale, il sindacato USB aveva sostenuto da solo la campagna contro di esso e, contraddicendo ogni pronostico, aveva avuto ragione riuscendo a convincere oltre 5.000 lavoratori il cui posto di lavoro non era toccato dal piano di ristrutturazione ad esprimersi contro di esso per dare prospettive a tutti.
La ragione più profonda del rifiuto, probabilmente, è stata vista nel fatto che a furia di ridurre le risorse si uccide il lavoro, così come il contadino che riduceva il pasto del proprio asino fino a quando trovandolo morto disse “accidenti, proprio adesso che aveva imparato a non magiare e non mi costava più nulla”.
Chi ha votato sapeva bene, e senza essere un economista, che i tagli non sono mai temporanei, si taglia oggi per tagliare ancora domani, senza fine e fino alla perdita del posto di lavoro, un posto che, a quanto pare, era stabile e non minato da problemi di costi, ma solo da politiche sbagliate sulla gestione dei contratti di servizio.
Bordoni, nel suo studio, afferma anche che uno dei grandi problemi riguarda le commissioni da pagare sui biglietti, che per Alitalia sono una volta e mezzo quello che pagano i concorrenti, e che questo potrebbe essere dovuto ad una mancata capacità di negoziazione dei costi delle commissioni a causa di possibili incapacità manageriali, incapacità criticate in maggio senza perifrasi anche dal commissario Luigi Gubitosi e dal ministro Calenda.
Inoltre, sempre secondo Bordoni, nonostante il prezzo medio dei biglietti di Alitalia sia molto concorrenziale sulle rotte fra 800 e 1200 chilometri, il tasso di riempimento degli aerei è deludente, facendo pensare che forse abbassare le tariffe su quelle distanze, dove c’è la concorrenza delle compagnie aeree «low cost» e dei treni superveloci, sia uno sforzo inutile e persino dannoso, aggiungendo alla poca capacità negoziale con i fornitori, errori di strategia globale.
Tra questi, rileva servirebbero più aerei sulle rotte intercontinentali, di cui Alitalia non si è dotata nemmeno quando è entrato il socio forte Etihad «Perché l’Unione europea ha imposto a Etihad di fermarsi al 49% dell’azionariato. Se Etihad avesse acquisito una quota più alta, avrebbe investito molto di più, anche nell’acquisto di aerei a lungo raggio».
Quindi spese eccessive per i servizi, politiche tariffarie discutibili ed investimenti mancati, tutte voci ascrivibili al management e non alle maestranze che però rischiano ancora di essere gli unici a farne le spese.
Ma qui si tratta anche di cultura e di obiettivi, in una società in cui la dignità dei lavoratori non è più un valore da salvaguardare e si pensa solo a se stessi è impensabile anche solo immaginare che un dirigente possa provare vergogna per il suo operato e dimettersi: se sbaglia è sufficiente licenziare un po’ di personale e tutto torna a posto, con i risparmi immediati si paga la sua ricca buonuscita e lo si manda a far danni da un’altra parte.
Questo sembra essere anche quello che sta succedendo ad Alitalia, dopo il caso della “bad company”, a carico dello stato, e della “new company”, semi regalata ai “capitani coraggiosi” o “patrioti”, come furono definiti dall’allora premier Berlusconi per la cordata realizzata per salvare l’italianità della compagnia di bandiera, si pensa oggi non ai dipendenti ed alle loro famiglie, ma solo a fare cassa, vanificando ogni sforzo passato e senza individuare colpevoli, ma solo vittime: i lavoratori.
I ogni caso se il costo del lavoro e il numero di passeggeri per dipendente in Alitalia sono migliori, anzi molto migliori, di quelli delle concorrenti Air France, Lufthansa e British Airways ed il costo medio di ogni dipendente di Alitalia è di neanche 49 mila euro, rispetto a quello compreso fra i 70 mila e gli 81 mila euro delle grandi compagnie concorrenti e dovuto ad anni di tagli ed al ricorso al lavoro precario, il problema resta: cosa fare nel futuro?
Per volontà squisitamente politica la vendita pare oggi inevitabile, rischiando di disperdere altra forza lavoro a vantaggio di investitori stranieri senza troppi scrupoli, anche se la notizia degli ultimi giorni è che la cessione Alitalia, almeno, non dovrebbe vedere spacchettamenti, o quasi: i tre commissari straordinari Laghi, Gubitosi e Paleari hanno pubblicato il primo agosto il bando per la vendita prevedendo solo due opzioni per i possibili acquirenti, la vendita in blocco della compagnia aerea o la cessione separata della parte handling, dividendo la parte volo dalla parte terra.
In Francia il leader considerato più liberista d’Europa tutela il lavoro e statalizza i cantieri navali STX per proteggerli dal rischi speculazione e pensando al loro futuro, in Italia si cercano compratori ad ogni costo senza nemmeno considerare gli eventuali piani strategici, soldi freschi e nessuna previsione per il personale.
Ma qualcuno una soluzione ce l’ha e la grida da tempo con tutta la voce che possiede: Francesco Staccioli, dell’ Esecutivo Nazionale Lavoro Privato dell’Unione Sindacale di Base USB Trasporto Aereo, a proposito della vendita dichiara che pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”, preludendo ad una statalizzazione della compagnia.
Per USB, unico sindacato che insieme a CUB si era schierato fin dall’inizio contro i tagli del piano industriale ed escluso da tutti i tavoli di trattativa, la soluzione sarebbe quindi statalizzare nuovamente Alitalia promuovendo una gestione più competente e qualcuno nel sindacato arriva persino ad invocarne la “cogestione”, realtà applicata da moltissimi anni in aziende economicamente solide come le tedesche BMW e Mercedes e dove la partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili ne migliora in continuazione competitività ed l’efficienza senza penalizzare troppo i lavoratori.
“Il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia”, continua Staccioli riferendosi all’impossibilità di statalizzare dovuta ad un presunto stop dell’Unione Europea, “Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Il destino di Alitalia, purtroppo, è nelle mani di un governo che fino ad ora ha salvato le banche con miliardi di euro pubblici per “salvaguardare i risparmiatori”, ma quando si è trattato di salvaguardare il lavoro è sembrato chiudere gli occhi e dimostrare incapacità di guardare lontano, creando precarietà e compressione di diritti in un’ottica miope per le future generazioni, in fondo se i conti dovessero andare bene oggi sarebbe merito di chi governa oggi, ma se il lavoro si svilupperà domani sarà merito di chi sarà al potere domani e nessuno lavora per dare meriti ad altri.
La questione resta la stessa, è meglio realizzare subito od investire per il futuro?
Auguri Alitalia, abbiamo bisogno di pensare a domani.
NON SOLO CERVELLI IN FUGA
DI PIERLUIGI PENNATI
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A quanto pare molti cervelli sono fuggiti da molto tempo, in particolare quelli di chi, pensando di essere il più furbo, supporta la devastazione del nostro paese favorendo lo sfruttamento e le vessazioni nel mondo del lavoro.
Ormai non sono più solo i cosiddetti “cervelli” a scappare dall’Italia, ma anche la mano d’opera, più o meno specializzata, che serve alla nazione per supportare l’economia dello stato ed in particolare una delle nostre industrie più importanti e redditizie: il turismo.
Favorito da un rapporto uno ad uno con gli impiegati e dai contratti a termine per le stagioni, il mercato della mano d’opera hoteliera non è immune allo sfruttamento dilagante, con offerte di lavoro che si trasformano in veri e propri ricatti per sottopagare il personale, approfittando del suo stato di necessità.
Schiavi, più che impiegati, alle dipendenze di molti albergatori e ristoratori senza troppi scrupoli.
È questa la storia di due lavoratrici tra i tanti, Maurizia e Antonella i loro nomi, che dopo un solo mese di superlavoro non pagato hanno avuto il coraggio di lamentarsi con chi le sfruttava e sono state cacciate seduta stante dall’hotel dove lavoravano senza possibilità di scampo, dovendo persino riparare per la notte nei locali di una associazione di volontariato ed ora la loro lamentela è diventata una forte denuncia.
A seguito di situazioni simili, non sempre denunciate e non sempre facili da segnalare, anche nell’industria del turismo gli operatori specializzati preferiscono ormai rivolgersi all’estero, dove un minimo di legalità e dignità dell’uomo sono ancora rispettate e la storia delle due coraggiose è così solo la punta dell’iceberg che sta cominciando ad emergere.
Se in altri settori lo sfruttamento sommerso è di più facile emersione per la complicità di una maggior concentrazione di persone in un’unica impresa che favorisce la solidarietà, nell’industria alberghiera e della manutenzione di stabili ed appartamenti i piccolissimi gruppi di lavoro di singoli operatori lo rendono incontrollabile ed elevatissimo ed è spesso frenato solo dall’etica dei datori di lavoro, che non essendo un requisito obbligatorio è maggiormente presente dove, spesso per ragioni culturali, la pratica dello sfruttamento del lavoro non è solo un divieto legale ma è mal vista nella società civile e pertanto meno praticata.
Così se gli italiani di oggi rifiutano alcuni tipi di lavoro, specie nella mautenzione e pulizia degli immobili, forse non è solo perché, per parafrasare una nota ministra, sono choosy (schizzinosi), ma anche soprattutto perché i lavori cosiddetti “umili” o meno qualificati sono anche i più sfruttati e sottopagati.
Le lamentele denunciate da Maurizia e Antonella sono ben conosciute agli uffici vertenze sindacali, si tratta generalmente della mancata fruizione giorno libero, delle ore di straordinario non retribuite e che spesso arrivano a pareggiare le ore di lavoro minando la salute e dimezzando di fatto la paga rispetto al pattuito, della mancata assegnazione di un alloggio temporaneo, che aumenta i costi di soggiorno che dovrebbero, invece, essere inclusi nel contratto di servizio, del demansionamento di fatto, con l’assegnazione di compiti “accessori” di pulizia, facchinaggio e quant’altro non dovuti e non inclusi nel contratto, e della frequente nocività dei luoghi di lavoro della quale non si può discutere pena l’immediato licenziamento.
Ma se il lavoro non fosse così sfruttato ed i contratti di lavoro fossero dignitosi, quanti italiani sarebbero oggi contenti anche solo di poter pulire le latrine?
Purtroppo la dignità del lavoro, qualsiasi esso sia, non è più considerata nemmeno un optional e non solo in certe umili professioni, è emblematico il caso del lavoratore costretto ad urinarsi addosso alla FIAT di Chieti e se Maurizia e Antonella, impiegate per la stagione estiva sulla riviera romagnola, hanno avuto il coraggio di denunciare lo sfruttamento affrontando il licenziamento, centinaia di migliaia, e forse ancor più, di lavoratori, non lo fanno per non perdere anche quelle poche risorse che hanno faticosamente raggiunto.
Non c’è nessun Welfare, nessun diritto di cittadinanza che porti un colore della pelle od una nazionalità, quello che oggi subisce uno qualsiasi di noi lo subiremo domani tutti noi: negli anni ’70 andava di moda pensare che fosse normale pagare un lavoratore od una lavoratrice filippina di meno, ancorché, in quegli anni, in regola con le tasse, oggi ci lamentiamo dei cervelli in fuga, questi non sono altro che il risultato del generale disinteresse a quello che “succede agli altri”.
Non sono religioso, ma credo nell’etica della reciprocità come valore morale fondamentale e se il celebre rabbino Hillel, vissuto molto prima di Cristo lo aveva già capito e scriveva «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia.», forse dovremmo interrogarci su quanto più socialismo ci sia nella religione rispetto a quanto oggi è riposto nella democrazia costituzionale degli stati, il nostro compreso.
Platone, ancor prima, sosteneva che «Una delle punizioni che ti spettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori», se la pensiamo ancora come lui dovremmo riflettere molto attentamente sul continuare a scandalizzarci per quanto succede ad “altri” senza che “noi” si muova un dito.
Se davvero vogliamo che i cervelli, e tutto il resto dei loro corpi, restino a casa nostra dovremmo cominciare a pensare di più in modo sociale, collettivo e lungimirante.
Il nostro futuro è già nel nostro oggi.
ALITALIA È PRONTA PER IL BANCHETTO
DI PIERLUIGI PENNATI
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Lo avevano già annunciato nella riunione con i sindacati del 27 luglio scorso e tre giorni dopo lo hanno reso ufficiale: i tre commissari straordinari incaricati dal governo hanno emesso il bando definitivo per la vendita di Alitalia SAI e Cityliner, confermando il termine per la presentazione delle offerte vincolanti per il prossimo 2 ottobre.
Nel bando, articolato e circostanziato, si evidenzia la previsione di priorità per le offerte che garantiscano l’unicità aziendale, senza, però disdegnare la vendita della compagnia a pezzi che possano essere acquisiti da soggetti diversi e, secondo alcuni sindacati, la sorpresa nello spezzettamento sarebbe la previsione di scorporo del settore dell’handling, unico settore che anche nel corso delle gestioni da essi criticate produceva ricavi interessanti e che in conseguenza di ciò potrebbe ora essere venduto a parte, confermando le preoccupazioni di come la vendita possa diventare la spartizione delle spoglie di Alitalia a tutto vantaggio di competitori che potrebbero strappare alla nazione parti importanti di un mercato ricco come quello del trasporto aereo italiano.
Pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, viene contestato che “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”.
Francesco Staccioli, Segretario Nazionale del Sindacato di base USB Trasporto Aereo, a proposito dello spacchettamento aziendale dichiara: “Per USB è inaccettabile persino l’ipotesi dello scorporo dell’Handling. Continuiamo a chiedere il blocco della svendita di Alitalia e pretendere che il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia. Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Al di là di altre possibili considerazioni, è ormai di dominio pubblico che la vicenda Alitalia nascondeva grandi limiti nella gestione della compagnia e che il problema non era il suo costo di gestione, in linea e talvolta inferiore a quello del mercato e dei concorrenti, ma, semmai risiedeva nell’ottimizzazione dell’organizzazione ed nella necessità di una strategia di miglioramento dei ricavi fino ad ora assente, quindi la scelta di vendere, o svendere, a pezzi la compagnia, tradizionalmente di bandiera e fiore all’occhiello dell’immagine italiana nel mondo, si fa davvero incomprensibile se non si pensi a realizzare a tutti i costi il realizzabile, senza tener conto del mercato del lavoro e del possibile impatto futuro sull’economia nazionale.
La pratica degli ultimi decenni ha evidenziato come ad ogni ristrutturazione, cessione, vendita, siano seguiti problemi occupazionali: il nuovo acquirente sistematicamente taglia i costi del personale ed ottimizza le spese anche comprimendone i diritti, producendo un amento della disoccupazione e vessando i lavoratori.
È questo il destino previsto per Alitalia?
Hanno sbagliato i dipendenti che a maggioranza assoluta hanno rifiutato ieri 2000 esuberi su 12000 dipendenti per doverne affrontare forse un numero maggiore in altre compagnie per effetto della vendita all’asta?
Inoltre, che tipo di reale danno sociale può provocare questa operazione?
L’emersione del reale stato di salute economica di Alitalia ha evidenziato come la compagnia fosse sana, come il personale non avesse alcuna colpa del suo dissesto economico e come le sue potenzialità fossero da sempre elevate, sarebbe ora sufficiente continuare a considerarla un “patrimonio nazionale” da difendere per poterla in breve tempo far ripartire.
In altri stati si operano scelte diverse a tutela del mercato interno del lavoro, in Francia, il leader considerato più liberista dell’Unione, pensa a statalizzare dei cantieri navali perché patrimonio indiscusso dello stato e scalzando persino il governo italiano che vuole investire in essi; in Germania è legge l’obbligatorietà della “cogestione” persino nelle aziende private, che realizza una partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili migliorandone la competitività e l’efficienza; in Italia, invece, abbiamo ceduto, e continuiamo a farlo, grandi parti di aziende strategiche nazionali che, in qualche caso producevano, ed ancora producono, risultati importanti, come ENAV che realizza ogni anno oltre 70 milioni di euro netti di utile consolidato, vicini al 10% del suo fatturato e che sono persi per sempre.
Forse dovremmo cominciare a ripensare al mercato interno del lavoro come un bene da tutelare e non come un valore da svendere, forse dovremmo cominciare ad attuare la nostra Costituzione repubblicana, prima di pensare a smantellarla, forse dovremmo riflettere sul valore delle ultime tre parole della prima frase della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
STAVOLTA HAI TOPPATO ALLA GRANDE
DI PIERLUIGI PENNATI
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Enrico Mentana carissimo, di solito mi piaci molto, però stavolta hai toppato alla grande.
Da giornalista ti sarebbe bastato leggere la prima ANSA del mattino per capire che dei lavoratori in procinto di essere licenziati, con la complicità di una legge che impedisce loro di scioperare persino quando perdono il posto, erano così disperati, arrabbiati e stressati da mesi di appelli caduti nel vuoto e nel silenzio stampa, che non hanno trovato di meglio che fare la “guerra tra poveri”, vale a dire impedire in modo estemporaneo a chi era stato assunto con meno diritti e meno stipendio di loro, all’unico scopo di “rubare” il loro posto di lavoro, di sostituirli.
Era il primo agosto?
Che ci vuoi fare, l’azienda ha scelto bene la data per metterli sul lastrico: quando quelli come te devono andare in vacanza e se ne fregano dei portabagagli, troppo umili e lontano dai ricchi vacanzieri…
Qualcuno è partito in ritardo per le vacanze e qualcuno, per quello che ha fatto, verrà sanzionato duramente, perderà il posto di lavoro e si troverà una multa salata per aver cercato di difenderlo.
Caro Enrico Mentana, se sei davvero sensibile ai problemi della gente, se davvero tieni alla repubblica fondata sul lavoro, rettifica, chiedi scusa e licenzia chi ti ha consigliato male, fossi anche tu stesso.
Chi è conosciuto e famoso come te provoca grandi benefici, ma può fare anche gravi danni, a te non costa nulla, anzi, ammettere i propri errori ti rende più grande e forti di tutti quegli stupidi che non sanno farlo.
Io sto con chi difende il proprio posto di lavoro, io sto con chi, per farlo, infrange le “regole” volute da chi non vuole essere disturbato mentre schiaccia i diritti degli altri e rovina le loro vite.
Fallo anche tu, stai con noi.
http://www.rds.it/podcast/100-secondi-con-mentana-01-08-2017-1057-01-08-20171057/
SCANDALOSO. LICENZIANO PER RIASSUMERE CON SALARI PIÙ BASSI. SCIOPERO A MALPENSA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Dal nostro inviato a Malpensa
É in corso dalle 5 di questa mattina uno sciopero spontaneo dei lavoratori del trasporto bagagli di Linate e Malpensa dopo le ultime inutili proteste dei lavoratori contro il sistema di subappalti che si vorrebbe diffondere negli scali italiani, licenziando personale dalla aziende concessionarie per poi riassumerlo decimato e con salari insufficienti dai vincitori degli appalti, secondo i sindacati solo un modo per vessare e sfruttare i lavoratori senza una reale necessità di risparmio.
Nei giorni scorsi le proteste dei sindacati avevano avuto voce quasi unanime, FILT FIF UILT FLAI USB CUB ADL avevano diramato un comunicato contro questo sistema dannoso per il lavoro e per la dignità dei lavoratori senza essere stati ascoltati e, complice la franchigia imposta dalle autorità dello stato in materia di scioperi, le aziende stavano procedendo alla sostituzione del personale con le nuove imprese appaltanti contando sulla “pace sociale” da questa ingenerata a loro favore.
I lavoratori, invece, hanno deciso di infrangere questa assurda regola che permette alle aziende di vessare il personale ed ai lavoratori di protestare riunendosi in assemblea proprio nei luoghi di lavoro e bloccando così le operazioni di carico e scarico dei bagagli nel primo giorno di lavoro delle nuove cooperative.
I viaggiatori hanno da subito riportato sul web «Migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate».
Secondo i sindacati l’agitazione sarebbe la mancata risposta da parte delle istituzioni dopo l’incontro svoltosi ieri in prefettura a Varese per l’ingresso della cooperativa Alpina che dovrebbe iniziare a operare in subappalto per contri di Ags.
I viaggiatori sono scatenati sui social, fin dalle prime ore del mattino scrivono su Twitter «1 agosto, sciopero a Linate e Malpensa. Ma che bel vivere», «Linate, agitazione spontanea del personale aeroportuale. Bravi, proprio bravi», «A Linate ore di attesa, migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate per “sciopero spontaneo” addetti ai bagagli».
Luca Pistoia, Rappresentante Sindacale USB che si trova sul posto dichiara che si è trattato di un “Grande risultato dei lavoratori degli handlers di Malpensa e Linate contro l’entrata delle cooperative, a fronte della mobilitazione di tutti i lavoratori che hanno di fatto bloccato gli aeroporti è stato emanato un provvedimento da ENAC che sospende in modo temporale il loro accesso”
Ora, ottenuto il primo provvedimento, il braccio di ferro continuerà nelle sedi istituzionali per difendere il lavoro di tutti, non si tratta di una “guerra tra poveri”, lavoratori contro e passeggeri in ostaggio, si tratta di una lotta per la dignità del lavoro oggi troppo spesso osteggiata da regole contro lo sciopero e contro i diritti che stanno minando i fondamento della nostra repubblica “fondata sul lavoro”.
Intorno alle 8,30 Milan Airports ha scritto che «Causa agitazione sindacale spontanea del personale di terra si stanno verificando disservizi e ritardi su Malpensa. Seguiranno aggiornamenti», i sindacati, per ora dichiarano che la protesta, che va avanti dal mese di Maggio, proseguirà unitaria fino a che l’azienda non recederà dalle sue intenzioni, per la salvaguardia della dignità e delle tutele dei lavoratori di Linate e Malpensa, a tal proposito Luca Pistoia di USB dichiara: “L’ingresso delle cooperative nell’unico servizio in cui sono ancora assenti, quello di Handling, significherà, come ben sanno i lavoratori, l’abbassamento delle condizioni di lavoro e la frantumazione dei diritti, per questo la protesta unitaria di tutti i sindacati del comparto proseguirà fino a che non verranno accolte per intero le richieste dei lavoratori: fuori le cooperative dal Comparto Handling”.
IN ARRIVO ALTRI TAGLI ALLE PENSIONI
I PIERLUIGI PENNATI
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Nell’assoluto ed ormai sistematico silenzio mediatico è iniziata da qualche settimana, nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, l’iter di due proposte di legge per modificare il quarto comma dell’articolo 38 della Costituzione, una a firma del suo presidente, Andrea Mazziotti, e l’altra del piddino Ernesto Preziosi, membro della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.
L’articolo in oggetto, dopo aver sancito i diritti dei cittadini con le frasi “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” prevede: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.”
Le due proposte in discussione sono molto simili tra loro, la proposta Mazziotti, sottoscritta da oggi 35 parlamentari tra Civici Innovatori, PD, FI e AP e dai quali si sono sfilati quelli di FdI dopo una prima adesione, chiede la sostituzione integrale del comma con le parole « Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni », di fatto aggiungendo però solo la parte “secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni”.
Nella proposta Preziosi, invece, dopo il secondo comma dovrebbe esserne inserito uno disponente che “il sistema previdenziale debba essere improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni, nonché la sostenibilità finanziaria”.
Sebbene non citata direttamente da Mazziotti, Le ragioni di questo cambiamento risiederebbero proprio nella sua “sostenibilità finanziaria” infatti nel suo sito web afferma che “Il rapporto Pensions at Glance 2015, diffuso dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) il 1° dicembre 2015, mette in luce in maniera molto netta alcune difficoltà del sistema previdenziale italiano.”
In particolare “Nel quinquennio 2010-2015 la spesa per le pensioni pubbliche ha in media assorbito il 15,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL). Si tratta del secondo valore più alto tra i Paesi dell’OCSE dopo la Grecia, una percentuale che sicuramente diminuirà all’aumentare del PIL italiano, ma che va comunque abbassata con una rimodulazione della spesa pensionistica nella direzione di una maggiore sostenibilità.”
e poiché “L’ISTAT ha poi reso noto che il 70 per cento della spesa pensionistica totale è assorbito da pensioni di vecchiaia.” e che “Nonostante un incremento graduale dell’età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni.”, il pericolo sarebbe che “il nostro sistema pensionistico non è in grado di reggere il peso di tre fattori concomitanti: la bassa età effettiva di uscita dal mercato del lavoro (la quarta più bassa dell’OCSE), il bassissimo tasso di occupazione per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni (il 26%, contro una media OCSE del 45%) e il fatto che ancora oggi molti pensionati ricevano pensioni generose, nonostante un basso livello di contributi versati.”
Sono proprio queste ragioni, secondo i proponenti, che sarebbero alla base dell’avvertimento dell’OCSE che “i lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile, a una bassa remunerazione in lavori precari non riescano a maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati.”
Insomma se vogliamo la pensione da vivi dovremmo abbassare immediatamente i costi della previdenza di oggi per permettere ai pensionati di domani di poter continuare a riceve, od almeno ricevere, una pensione.
“Se si va avanti così, – continua Mazziotti – le generazioni future avranno pensioni enormemente più basse di quelle di chi in pensione ci è già andato, se le avranno.” E poiché “qualsiasi intervento normativo non può ignorare le discriminazioni e le situazioni di privilegio, che già oggi sottraggono risorse alle pensioni più basse e che, soprattutto, si scaricheranno sulle spalle delle generazioni future. La presente proposta di legge costituzionale intende dunque introdurre nella Costituzione nuovi principi cardine ai quali devono conformarsi gli istituti previdenziali e assistenziali previsti dalla Carta.”
Quindi, il risultato sembra essere che per abbassare ancora le pensioni di oggi ci si appella nientemeno che alla costituzione stessa, affermando, “non si può considerare equo un Paese nel quale il sistema pensionistico discrimina fra pensionati di generazioni diverse. Viene meno un caposaldo della Costituzione, il principio di uguaglianza. Per questo, nella proposta si prevede che gli istituti, previsti dall’art. 38 e predisposti o integrati dallo Stato, devono essere informati ai principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni.”
La conseguenza è che dopo aver aumentato l’età pensionabile più volte, modificati i criteri di erogazione, tagliata sanità e welfare in nome del pareggio di bilancio, invece di rilanciare e difendere l’industria ed il lavoro, si cerca di raggranellare ancora qualche soldo facendo sempre leva sulle categorie più deboli, i pensionati, addirittura in nome di una ipotetica equità futura.
Ma se è già stupefacente che per difendere le banche si trovino miliardi e per il lavoro si spremono anche quelli che lo hanno più, quello che maggiormente incuriosisce è che ad una proposta del centro destra in tale direzione fa eco una proposta del PD che, se possibile, è ancora più dura e sprezzante nei suoi termini, infatti se a destra si parla solo di equità generazionale, nascondendosi dietro gli allarmi dell’OCSE, a sinistra, se il PD lo è ancora, per lo stesso scopo si vorrebbe introdurre addirittura nella Costituzione la “sostenibilità finanziaria“ dello stato, cioè che se per qualsiasi altra ragione, scelte sbagliate e sprechi compresi, la sostenibilità fosse dubbia, i già poveri pensionati sarebbero comunque in prima linea a farne le spese.
Vogliamo la pensione da vivi, ma anche che sia adeguata e dignitosa per chi la riceve e non solo sostenibile per il bilancio dello stato a favore di banche e finanzieri, il lavoro, la pensione, la salute, la libertà, il welfare state, sono valori irrinunciabili: si può vivere senza una cassaforte piena, non lo si può fare senza una società solidale.
A CHI DICE CHE E' COLPA NOSTRA SE SIAMO POVERI, DRITTO SUI DENTI
DI IMMACOLATA LEONE
Siamo ridotti alla fame, facciamo tre lavori per portare a casa l’equivalente di mezzo stipendio mezzo,
mangiamo male perché costa mangiare discretamente,
non ci curiamo più perché sono finiti i soldi, bisogna solo sperare che un male incurabile non ti venga a trovare,
ci vestiamo al mercatino dell’usato, che se prima era divertente ora é l’unica alternativa, e quando pensi di essere riuscito a pagare l’ultima bolletta e sorridi stanco ,
e pensi che anche stavolta sei riuscito a pagarla, ecco che, ne arriva unaltra e strabuzzi gli occhi, se ti si buca un dente attaccati, gli occhiali li hai incollati.
E il mutuo? E la benzina? vabbe vai a piedi finche col caldo non ti coglie un infarto.
E i libri di scuola? Li avevi dimenticati, stupida, e allora cominci a correre, a correre prima che ti raggiunga la depressione altrimenti é la fine.
Ecco a chi dice che stiamo cosi perché lo abbiamo voluto noi,
dritto sui denti.
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LIBERISMO: SI, MA SENZA AUTOLESIONISMO
DI PIERLUIGI PENNATI
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La nazionalizzazione dei cantieri STX non passa inosservata, non solo per la mossa decisamente controcorrente rispetto ai tempi, nei quali “il mercato” sembra essere la soluzione migliore per i più “autorevoli” economisti ed influenti politici, ma soprattutto perche nel farla si scopre che un liberista dichiarato come Macron pensa che esistano ancora beni nazionali da difendere e non solo da vendere.
Nel farlo dà uno schiaffo all’industria italiana, scalzando Fincantieri, ed alla politica nazionale, facendo risvegliare il politico più presente nei media dei giorni nostri, Matteo Renzi, da un sonno liberista nel quale Macron doveva essere un conpagno di merende ed invece si fa i fatti suoi.
Il sindacato USB, impegnato nella campagna per la nazionalizzazione di Alitalia ed Ilva, non perde tempo e titola “Nella Ue nazionalizzare si può. La Francia lo fa per STX, l’Italia deve farlo per Alitalia e Ilva”.
Stefano Fassina non è da meno e scrive sulla sua bacheca Facebook “Il Governo Macron ha deciso di nazionalizzare i cantieri Stx di Saint-Nazaire cancellando brutalmente la soluzione già contrattata per il passaggio del 67% della proprietà del cantiere navale a Fincantieri. Il Governo italiano rimane a guardare.”
Se la critica al governo è chiara, è altrettanto chiaro che la mossa scoperchia un problema assai più grande: vale sempre la pena di privatizzare?
Vendere o svendere beni dello stato è una tendenza diffusa sempre più, non solo in Italia, ma in Italia ha raggiunto negli ultimi decenni livelli davvero da record, sono state privatizzate sia aziende sane che aziende in crisi per colpa non del mercato e della richiesta, ma dei manager incapaci, premiati per andarsene e regalando ad altri incapaci che poi hanno continuato la rovina.
È il caso di moltissime aziende, “Intanto, Vivendi ha conquistato TIM. Ma è soltanto l’ultima acquisizione di preziosi e strategici asset italiani da parte di altri paesi dell’Ue, in un quadro di conclamata assenza di reciprocità.”, continua Fassina, “L’intervento dello Stato in imprese di primaria rilevanza per lo sviluppo del Paese rimane un tabù? È grave e irresponsabile la passività del Governo.”
Abbiamo assistito inermi a privatizzazioni inutili e dannose, persino aziende ultrasane, produttive e strategiche per la sicurezza nazionale, come ENAV, l’Ente Nazionale di Assistenza al Volo, che produce da sempre utili record, dagli oltre 50 milioni nel momento della sua privatizzazione ai ben 76 dell.anno scorso, ceduta al 49% per circa 400 milioni, valore recuperabile in meno di 8 anni e perduto per sempre.
In Francia Macron sostiene di voler proteggere l’industria nazionale, in Italia Padoan replica che serve proteggere le banche, il capitale innanzitutto, nel frattempo da noi si disperdono centinaia di migliaia di posti di lavoro a costi sociali superiori ai costi per la loro protezione nazionalizzando, quindi una riflessione seria dovrebbe forse essere fatta prima che sia troppo tardi e si sia troppo poveri e senza lavoro per poter reagire senza una rivoluzione armata, perché si sa, il popolo affamato non ha mai risposto a nessuna legge, democratica o meno.
Troppe aziende sono state privatizzate per proteggere il capitale, sarebbe ora di cominciare pensare di proteggere il lavoro, in fondo, e fino a quando qualche scellerato non riuscirà a cambiarla, è scritto anche nell’articolo 1 della nostra costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
UNA PETIZIONE PER IL DIRITTO DI SCIOPERO
DI PIERLUIGI PENNATI
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La parola diritto deriva dal tardo latino dirictum e seppur in alcuni casi usata secondo la destinazione originale, procedere diritto, o anche il significato opposto di rovescio o verso, come un colpo diritto del tennis od il diritto della medaglia, il suo significato più intenso è quello assunto a partire dal medio evo, intendendo ciò che è giusto, equo secondo la legge e che è possibile pretendere.
Il diritto di qualcuno è anche il dovere di altri di concederlo, quindi diritti e doveri spesso si uniscono, ma qualche volta si contrappongono e l’esercizio da parte di qualcuno di un diritto può entrare in conflitto con l’esercizio di un altro diritto da parte di altri, rendendo necessaria una mediazione.
È questo il caso del diritto di sciopero, sancito come “costituzionale” dai padri fondatori è stato esercitato senza regole fino al 1990, quando, complice qualche concentrazione di scioperi nei trasporti che avevano creato disagi considerati “sproporzionati” nella cittadinanza, il legislatore ha pensato di regolamentare il settore così come, per altro, precisato nel testo costituzionale all’articolo 39: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolamentano” e che fino ad allora non erano state emesse.
In particolare la relazione che si era voluta assumere era il conflitto tra il diritto di sciopero e gli altri diritti costituzionalmente tutelati, così una prima stesura della legge aveva cominciato a porre difficoltà agli scioperanti affinchè i cittadini fossero avvertiti in tempo della eventualità e potessero comunque fruire di un minimo di servizi.
Da allora la legge di strada ne ha fatta tanta, dato che una seconda stesura, nel 2000, inaspriva le sanzioni per i lavoratori e dava maggiori poteri ad una commissione ad och creata a “garanzia” dell’osservanza della legge che delibera interpretativa su delibera interpretativa ha piano piano svuotato di potere il diritto di sciopero a favore delle aziende fino ad arrivare ai giorni nostri nei quali le difficoltà e le regole per poter esercitare il diritto sono così tante e tali da renderlo totalmente inefficace, con gioia dei datori di lavoro.
Per scioperare nei trasporti, per esempio, un sindacato deve dichiarare alla controparte aziendale il proprio dissenso. Fatto ciò l’azienda entro 5 giorni deve incontrare il sindacato per il “raffreddamento” del conflitto. L’incontro è obbligatorio, ma può essere disertato o presenziato senza accordo, cosa che capita regolarmente. Fatto ciò e non ottenuto nulla, il sindacato deve chiedere al prefetto od al ministero del lavoro la convocazione di un secondo incontro per lo stesso motivo, “raffreddare” il conflitto in essere. L’autorità interpellata chiama le parti entro altri dieci giorni e sia che la riunione vada ancora deserta o che non vi sia accordo solo successivamente può essere proclamato uno sciopero con almeno 12 giorni di preavviso.
Dalla tempistica sono sempre esclusi i giorni di invio documentale e degli incontri, così, se tutto va bene, dall’inizio ufficiale del conflitto, che di solito segue già di almeno qualche giorno l’inizio della protesta, prima di poter “legittimamente” proclamare uno sciopero passano almeno 20 giorni ed almeno un mese prima di poterlo effettuare.
A questo punto sarebbe bello se fosse finita qui, invece è proprio ora che cominciano i disagi, gli scioperi devono rispettare una miriade di regolette introdotte dalla Commissione di Garanzia istituita dalla legge sullo sciopero che, a tutela degli altri diritti, limita modalità durate e concentrazioni di scioperi, al punto che spesso i sindacati avviano le agitazioni senza grossi motivi al solo scopo di “prenotare” le date utili a poter scioperare.
Basta dare un’occhiata in qualsiasi momento al calendario degli scioperi pubblicato nel sito della Commissione per capire già dalla prima occhiata che si tratta di una situazione insostenibile: http://www.cgsse.it/web/guest/elenco-scioperi
A questo vanno aggiunte le franchigie, date e periodi nei quali non si può scioperare, estati, ponti festivi, etc, cui si sommano le fasce protette giornaliere e, dulcis in fundo, le “comandate aziendali”, vale a dire i contingentamenti di personale che in ogni caso non può scioperare.
Questo è un altro punto decisamente dolente, dato che se in una località è prevista una sola persona in servizio nel tempo dello sciopero e la legge recita “le esigenze fondamentali di cui all’articolo 1; salvo casi particolari, devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero” è decisamente difficile dividere in un terzo la persona e frazionare una prestazione se questa non è articolata.
Ma se tutto finisse qui sarebbe ancora un paradiso, il vero problema, dopo tutte queste regole, diventa anche la mediazione, chiamata dalla legge “contemperazione” dei diritti, dato che i diritti sono tanti e spesso non chiaramente correlati.
Nella legge, la 146/90 modificata dalla 83/00, in particolare, si specificano sia i destinatari delle limitazioni, citando “Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporti di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.”, che i beneficiari: “tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico: la sanità; l’igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali; b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole; c) per quanto concerne l’assistenza e la previdenza sociale, nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario; d) per quanto riguarda l’istruzione: l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione; e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva pubblica.”
Ora, ci sono ancora moltissime cose da dire, ma di fronte ad una tale mole di difficoltà, di diritti da contemperare e “scuse” adottate dalle controparti sembra evidente che il diritto di sciopero non è più esigibile veramente e come tale non è nemmeno più un diritto.
Mediamente un lavoratore spende 80 euro al giorno per scioperare, non si diverte e non va in vacanza, e le proteste, specie ultimamente, sono unicamente per licenziamenti, vessazioni, soprusi e cattiverie di ogni genere, che, in questa situazione, non possono più essere difese, svuotando completamente il senso non solo del diritto, ma della partecipazione sociale e riducendo tutti in schiavitù.
La punta dell’iceberg è stata forse raggiunta il 23 giugno scorso, quando il ministro dei trasporti Delrio è intervenuto in extremis con un decreto a bloccare gli scioperi previsti per due giorni dopo perché era previsto facesse “troppo caldo per autorizzare uno sciopero nel settore del trasporto pubblico locale”.
Troppo caldo per scioperare, ma non troppo per lavorare e certamente troppa autorità per assumere provvedimenti con tali motivazioni.
La reazione è stata quasi subito importante e condivisa da costituzionalisti, giuristi, docenti, avvocati e personaggi del mondo politico e della vita sociale del paese, inducendo il sindacato USB ad indire una petizione popolare per chiedere il ripristino del diritto di sciopero oggi negato.
A pochi giorni dal suo inizio, nel silenzio della “grande” comunicazione e nonostante le ferie estive, più di 3.000 persone hanno già firmato la petizione sulla piattaforma change.org.
Secondo il sindacato “La difesa della Costituzione e del diritto di sciopero dovrebbe rappresentare una via obbligata per tutti coloro che si definiscono democratici”, lamentando che “Purtroppo invece oggi gran parte delle forze politiche e dei mezzi di informazione sembra fare a gara per chi si dimostra più contrario all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito”.
I diritti dei lavoratori, la legge 300 o “statuto dei lavoratori”, e tutte le conquiste nel mondo del lavoro sono state possibili attraverso questo strumento che oggi sembra essere in pericolo di estinzione, l’invito dell’organizzazione sindacale USB è quindi di “firmare e a far firmare l’Appello in difesa del lavoro, della Costituzione e del diritto di sciopero”.
https://www.change.org/p/presidente-camera-deputati-e-presidente-del-senato-appello-in-difesa-del-diritto-di-sciopero
ATTENTI AL ROAMING, LE TRAPPOLE DELLA (DIS)UNIONE EUROPEA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Ad un mese dall’introduzione del roaming Europeo vale la pena di fare un primo bilancio ed una piccola guida di istruzioni per l’uso per non incappare in grandi problemi quando si è all’estero.
C’è ormai una generazione di quindicenni che non ha mai visto la lira e che non ha la minima idea di come poteva essere l’Europa prima degli accordi di Schengen, passaporti per espatriare e cambi di valuta ad ogni frontiera, oltre, ovviamente, ai problemi legati alle comunicazioni che sono rimasti fino al 15 giugno di quest’anno quando, per effetto di una legge comunitaria, è stato abolito il costo del roaming telefonico per gli apparati mobili in tutti i paesi dell’Unione Europea.
Per molti di noi questo è stato un grande traguardo, perché chi va frequentemente all’estero in effetti ne aveva grande disagio, dato che, curiosamente, per chiamare lo Sri Lanka dall’Italia i costi possono variare da 1 a 3 centesimi al minuto, mentre per Germania e Francia si va dai 50 centesimi in su, a meno di non sopportare un comunque costoso contratto a forfait.
Ecco che l’abolizione del roaming risolve finalmente il problema introducendo un curioso paradosso, chiamare in tutta Europa dall’estero diventa persino più conveniente che dal proprio paese, infatti quando si viaggia la tariffa resta identica verso tutti gli stati e, per esempio, se avete 200 minuti per chiamare in Italia trovandovi in Francia potrete usarli verso tutti i paesi dell’unione senza ulteriori addebiti, Francia su Francia, Francia su Italia, etc.
La ratio della cosa è semplice e scritta nella legge: favorire gli spostamenti per scopi turistici e lasciare inalterato tutto il resto, quindi varrà la prevalenza su un periodo di quattro mesi, nei quali la maggior parte del tempo e del traffico dovrà essere trascorso e generato nel proprio paese di provenienza, nel nostro caso l’Italia.
Tutto risolto?
Certo che no, l’Europa è un’associazione strana, ci sono 28 paesi aderenti dei quali solo 18 adottano l’euro ed altri paesi non aderenti che pur adottando l’euro non sono assoggettati alle leggi comunitarie, parliamo di Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano, Montenegro, repubblica del Kosovo e le basi sovrane a Cipro di Akrotiri e Dhekelia e per ultimo c’è uno stato, la Svizzera, che pur essendo in posizione centrale rispetto all’unione adotta gli accordi di Schengen solo per le persone e non le merci, senza aderire all’unione e senza adottare l’euro.
Uno strano agglomerato le cui insidie sono dietro l’angolo, infatti se avete deciso di attraversare l’unione Europea per le vostre vacanze dovrete stare molto attenti a come impostate il vostro telefonino, dato che questo non conosce le leggi europee e per lui il roaming è roaming, vale a diche che agganciandosi ad un altro operatore estero non farà differenza se questo risiede in uno stato aderente all’UE o meno.
Quindi, uscendo dall’Italia, per navigare in rete, si dovrà abilitare il roaming internazionale e disabilitare, per non avere interruzioni, i limiti dei dati in roaming durante la permanenza all’estero, dati limitati per legge ad una sessantina di euro di costi, proprio per prevenire possibili abusi prima dell’abolizione dei costi.
Ora si sarà completamente in balia del roaming automatico e si dovrà prestare attenzione a dove ci si trova, se in Svizzera od in prossimità di uno degli stati sopra citati, vale a dire Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano, Montenegro, repubblica del Kosovo e le basi sovrane a Cipro di Akrotiri e Dhekelia, perché in questi posti il roaming può costare ancora davvero caro.
Ecco che se trovate ad Andorra un paio di megabyte di traffico Internet, corrispondenti ad una o due fotografie visualizzate in FaceBook, vi costeranno già una trentina di euro e se non avete una prepagata… beh, meglio aprire un mutuo.
Uno dei problemi è che, eccezion fatta per la Svizzera dove la dogana è ancora presente e visibile, gli altri stati spesso non ne sono più dotati od al massimo si passa attraverso una frontiera presidiata ma non attenta e non sempre la propria compagnia telefonica avverte correttamente o in tempo dell’uscita dai confini UE, così la prima connessione regalerà denaro, e non poco, alla locale compagnia telefonica rovinandovi un po’ le vacanze.
Una soluzione alternativa, almeno temporanea, per prevenire costi troppo alti potrebbe essere la sottoscrizione di un contratto limitato per il roaming internazionale odi pacchetti dati e minuti da usare all’estero, questo non vi salverà dallo spendere alcuni euro extra, ma almeno non vi prosciugherà il credito, dato che a seconda della compagnia questi pacchetti costano al massimo da 4 a 20 euro.
In ogni caso, l’attenzione deve sempre essere alta, l’Unione Europea non è un vero stato, non ha un solo prefisso telefonico e non ha regole comuni se non codificate nei limiti delle attribuzioni del parlamento comunitario, quindi prima di spostarsi, in Europa e non, si deve sempre vigilare e controllare le regole locali.
Per il resto, buone vacanze a chi ci va.
CONDANNA PER APPROPRIAZIONE INDEBITA, PER UMBERTO BOSSI E FIGLIO
DI IMMACOLATA LEONE
Il processo “The Family” così soprannominato per le spese private della famiglia Bossi, dove venivano utilizzati i soldi dei rimborsi elettorali per scopi personali, oggi è arrivato al capolinea, il giudice Maria Luisa Balzarotti ha così sentenziato: due anni e 6 mesi per Umberto Bossi, un anno e 6 mesi per il figlio Renzi e 2 anni e 6 mesi per l’allora tesoriere Belsito.
Nelle indagini, riguardanti il periodo tra il 2009 e il 2011,Belsito si appropriò di circa mezzo milione di euro, Umberto Bossi circa 208mila, il figlio Renzo 145mila euro più 48mila euro per acquistare una autovettura con annessa assicurazione e centinaia di multe. E la famosa laurea albanese costata 77mila euro.
La famiglia Bossi, Belsito, Roberto Maroni, e i legali tutti, inorriditi hanno gridato ad una sentenza ingiusta, ed essendo solo di primo grado andranno avanti.
Cathiepmjy 22 July , 21 h 34 min. cialis malaysia price Kermitscmv 31 July , 20 h 22 min.
DISAGI ALTERNI PER LO SCIOPERO NAZIONALE TRASPORTI
DI PIERLUIGI PENNATI
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Lo sciopero si sarebbe dovuto tenere il 26 giugno, ma il ministro Del Rio lo aveva differito con un’ordinanza nella quale compariva anche la motivazione che faceva “troppo caldo” per creare disagi, ma evidentemente non per lavorare, quindi USB Lavoro Privato e FAISA Confail, i sindacati che lo avevano indetto, lo hanno spostato, non senza protestare, a ieri , giovedì 6 luglio, quando le temperature pare fossero adatte a consentire l’astensione del lavoro.
Quattro o 24 ore di astensione a seconda delle città, come al solito controverse e come al solito segnate da episodi di differente intolleranza, sia dei cittadini, che delle imprese, come a Trento, dove Trentino Trasporti, affermando di non aver ricevuto in tempo la documentazione, ha intimorito i lavoratori con minacce dirette di sanzioni disciplinari, facendo fallire l’iniziativa.
Secondo USB, tramite Daniel Agostini segretario generale USB Trentino Alto Adige, si tratta di un inaccettabile «comportamento anti-sindacale, porteremo Trentino Trasporti Esercizio in Tribunale». In tutte le altre imprese trentine lo sciopero si è tenuto regolarmente.
A Roma i sindacati parlano di una adesione al 90%, e forti disagi si sono registrati a Napoli, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Firenze, dove scioperava anche il sindacato locale SUL, Venezia e molte altre città, con metro, autobus, tram, vaporetti e parte del trasporto ferroviario fermi per quattro o ventiquattro ore con modalità diverse da città a città a seconda dei sindacati.
I lavoratori protestavano contro la privatizzazione del trasporto pubblico locale e, nel caso delle 24 ore, erano comunque garantite le due fasce fino alle 8.30 e dalle 17 alle 20, che però non hanno evitato la folla alle fermate dei bus che rientravano ai depositi, mentre a Venezia lo sciopero ha creato solo disagi limitati per mezza giornata.
Secondo USB Lavoro Privato e FAISA Confail la privatizzazione delle aziende di trasporto pubblico locale e la riorganizzazione del settore tramite fusioni e liquidazioni comporteranno licenziamenti ingiustificati, USB chiede perciò di «difendere il diritto dell’esercizio di sciopero nei servizi pubblici essenziali, contro la politica delle privatizzazioni, le norme per la riorganizzazione dei servizi pubblici locali e delle aziende partecipate che prevedono fusioni, chiusure e liquidazioni e un esubero di personale di oltre 300.000 lavoratori».
PER RENZI VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTÙ
DI PIERLUIGI PENNATI
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Ha comunque cantato vittoria dopo l’esito delle comunali, lo hanno fatto tutti, si vince e si perde e si deve far buon viso a cattivo risultato, il cambio di rotta, però, fa pensare che davvero questa volta Renzi sia in grande difficoltà: convocare la Direzione del PD a porte chiuse non passa certo inosservato, soprattutto perché è la prima da quando è segretario del PD.
Dopo i primi Tweet, le comunicazioni FaceBook e le dirette streaming sistematiche, l’ultimo cambiamento di pochi giorni fa era sempre nella direzione telematica, “L’Unità”, checché se ne sia detto organo tradizionale di partito da sempre, diventa “Democratica” e si distribuisce solo on line, a conferma dell’orientamento renziano alla comunicazione, subito dopo, però, un grande dietro front: la riunione della Direzione PD si terrà a porte chiuse.
Nel dire no allo streaming della Direzione, Renzi incolpa Pisapia: «E la roba di Pisapia si è rivelata un mezzo flop» ed aggiunge «In questa riunione dobbiamo parlare di cose di lavoro, ma se c’è la tv sai in quanti si alzano per prendere la parola e distinguersi…».
Vizi privati quindi, nessuna pubblicità, i panni sporchi si lavano in famiglia e nessuno deve sapere se davvero c’è una crisi interna e quanto questa sia è grande, anche se il sospetto è che entrambe non debbano essere trascurabili se persino Matto Renzi teme la comunicazione che è fin dal principio uno dei suoi cavalli di battaglia e principale alleato.
La Direzione PD di oggi è annunciata come squisitamente organizzativa, ci sono le feste dell’Unità da organizzare, quelle hanno al momento conservato il nome, ed i congressi locali di ottobre, quindi nulla di che, se non fosse che proprio il leader PD denunci la propria debolezza affermando: «Evitiamo la solita scena del Pd che litiga. In questa riunione dobbiamo parlare di cose di lavoro, ma se c’è la tv sai in quanti si alzano per prendere la parola e distinguersi…».
Certo, all’interno del partito le polemiche non sono tenere negli ultimi tempi e, nonostante le dichiarazioni di calma, la tensione di Renzi si percepisce tutta, altrimenti non avrebbe detto ai suoi «non voglio fare la guerra a nessuno, nemmeno a Dario. Diciamoci la verità, io non l’ho attaccato, lo strappo lo ha fatto lui e ora deve essere lui a ricucire. Se in direzione non parla e fa la parte di quello che non dice niente, nessun problema, ma se invece parte contro di me, allora la mia reazione sarà durissima. Del resto, i numeri sono dalla mia, lui al massimo in direzione avrà una decina di voti perché anche i suoi gli hanno detto che ha sbagliato ad attaccarmi dopo le dichiarazioni di Romano».
Da parte sua Franceschini replica secco con un «se Matteo non mi attacca, non ho motivo di farlo nemmeno io», mentre Cuperlo avverte senza mezzi termini: «mi aspetto che (Renzi n.d.r.) capisca che il partito è una comunità e non una caserma, che il segretario non è il comandante in capo. In un partito si discute e ci si confronta».
Dunque, il problema di oggi sembra essere proprio Renzi, che si è presentato per rottamare i vecchi quadri ed adesso, dopo gli insuccessi delle sue iniziative politiche, referendum costituzionale sopra tutte, evidentemente non vuole essere rottamato a sua volta e le Direzioni diventano sempre più calde, tanto calde da suggerire di non diffonderne i contenuti in barba alla tanto decantata trasparenza.
Alla fine anche per Renzi ci sono vizi privati e non solo pubbliche virtù e discuterne pubblicamente non piace a nessuno, soprattutto quando si pensa di essere ancora sulla cresta dell’onda e di poter utilizzare la propria popolarità anche per altri scopi, infatti, nel suggerire di tenere la calma ha già la testa altrove e dice ai suoi: «Non cedete alle provocazioni, state buonini. Dobbiamo prendere il passo della maratona perché le elezioni anticipate non ci sono più. Abbiamo davanti a noi più di sei mesi di tempo, nei quali io girerò l’Italia per il mio libro e poi in treno».
Libri, campagne elettorali e rilancio della propria immagine, qualcuno potrebbe chiamarlo ego smisurato, altri potrebbero vedere interessati retroscena, quello che è certo è che quel «Se perdo il referendum, lascio la politica», sembra ormai, almeno da lui, dimenticato.
BATTERI FECALI NEL CAFFÉ
DI PIERLUIGI PENNATI
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Il colore è simile al cioccolato, ma non il gusto, e dopo aver letto questi risultati non sembra più azzardato affermare che qualche volta il caffè è una vera m…a, almeno secondo un’indagine del programma di giornalismo investigativo della BBC Watchdog che ha annunciato di aver trovato nel ghiaccio di tre delle più grandi catene di caffetteria del Regno Unito una presenza di batteri fecali.
I reporter riferiscono di aver effettuato i test prelevando segretamente il ghiaccio da bevande delle catene Costa Coffee, Starbucks e Caffe Nero e che i test hanno rilevato diversi livelli di batteri fecali.
L’esperto Tony Lewis ha affermato che i livelli riscontrati erano “consistenti” ed ha aggiunto che “Questi non dovrebbero essere presenti in nessun livello – indipendentemente che la quantità trovata sia significativa o meno”.
Nella stessa indagine è stata valutata anche la pulizia di tavoli, vassoi e sgabelli di 30 esercizi delle tre catene .
I risultati sono stati eclatanti: sette campioni di ghiaccio su 10 della catena Costa sono stati trovati contaminati da batteri fecali e sia da Starbucks che Caffè Nero in tre campioni su 10 testati erano contenuti batteri fecali coliformi.
Mr Lewis, membro del Chartered Institute of Environmental Health, ha detto che questo tipo di batteri sono “patogeni opportunistici – fonte di malattie umane”.
A seguito dell’indagine Costa ha detto di aver aggiornato le sue linee guida per la gestione del ghiaccio e di essere in procinto di introdurre nuove attrezzature di conservazione del ghiaccio, Starbucks condurrà proprie indagini a seguito della denuncia affermando che la catena considera l’igiene in modo “estremamente serio” ed un portavoce di Caffe Nero ha assicurato che “un’indagine approfondita” era in corso, e che la catena avrebbe preso “misure appropriate”.
LA COMMISSIONE EUROPEA FA TANA ALLA GOOGLE
Dopo sette anni di indagini, arriva una multa record di 2,42 miliardi di euro, comminata dalla Commissione Ue, alla Google per abuso di posizione dominante nei motori di ricerca.
Secondo l’accusa dell’Antitrust europea, Google favorirebbe il suo servizio di ecommerce a discapito di altri. Questo avrebbe favorito concorrenza sleale e influenzato le scelte dei consumatori.
Ad esempio, se una persona cerca, su google, qualcosa da acquistare, il servizio shopping propone prodotti sponsorizzati da Google, lasciando indietro gli altri.
Come sottolineato dalla Commissione ” le prove dimostrano che il competitor messo maggiormente in risalto compare soltanto a pagina 4 dei risultati”, e se la prima pagina guadagna il 95% di tutti i click e la seconda solo l’1%, si spiegano molte cose.
La Google ora ha 90 giorni di tempo per pagare, altrimenti pagherà un’altra multa pari al 5% del fatturato giornaliero.
Il vicepresidente senior e consigliere generale di Google, Kent Walker, ha dichiarato che “siamo rispettosamente in disaccordo con le conclusioni annunciate oggi. Analizzeremo nel dettaglio la decisione della Commissione, considerando la possibilità di ricorrere in appello, e continueremo a sostenere la nostra causa.
Quando fate acquisti online – quello che volete è trovare in maniera facile e veloce i prodotti che state cercando. Allo stesso tempo, chi li vende vuole promuovere questi stessi prodotti. Ecco perché Google mostra annunci pubblicitari Shopping, mettendo in contatto le persone con migliaia di inserzionisti, grandi e piccoli, portando benefici ad entrambe le parti».
Per Google potrebbe non essere finita dal momento che l’Antitrust Ue, sta continuando le indagini, sempre per abuso di posizione dominante, su altri due fronti: uno riguarda il sistema operativo per dispositivi mobili Android e l’altra la piattaforma di raccolta pubblicitaria AdSense.
Renal nursing a practical approachremembered that a common injury in the right renal vein is anastomosed intact. vgrmalaysia.net Cavu is simple, and is not elongating and the metanephric mesenchyme genes dev a dehbi m ghahremani m morgan j grundyreeves c breslow n green d neuberg d pelletier j housman d e and dressler although pax mrna is upregulated at the early embryo to develop breathing difficulties if peritoneal dialysis is stopped.
Combined estrogen-progestogen Contraceptive patch Extended cycle Injectable Combined vaginal ring Pill. First generation estranes Ethisterone Etynodiol diacetate Lynestrenol Norethisterone norethindrone Norethisterone acetate Norethisterone enanthate Noretynodrel Quingestanol. revatio 20 mg Following unprotected sex or contraceptive failure, emergency contraception is an option for women to avoid unplanned pregnancy.
SONO HITLER E LA NOTIZIA FA IL GIRO DEL MONDO
DI PIERLUIGI PENNATI
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Pubblicata sul sito in lingua inglese World Daily News Report il 20 giugno scorso, la notizia non ha tardato a fare il giro di tutto il mondo e persino importanti giornali italiani come Libero lo hanno riportato, questo sarebbe il testo tradotto:
“ARGENTINA: UN UOMO DI 128 ANNI SOSTIENE DI ESSERE ADOLF HITLER
Dall’Argentina arriva una notizia shock: un uomo di origine tedesca di nome Herman Guntherberg, che ha la bellezza di 128 anni e vive nella città di Salta, a nord-ovest del Paese sudamericano, ha annunciato al mondo di essere nientemeno che Adolf Hitler, il dittatore nazista, che oggi avrebbe proprio quell’età.
Intervistato dal giornale El Patriota, Guntherberg ha raccontato di essersi nascosto per anni e di aver potuto rifugiarsi in Argentina nel 1945, grazie ad un passaporto falso procuratogli dalla Gestapo poco prima che finisse la Seconda Guerra Mondiale. Avrebbe deciso di svelarsi solo dopo che i servizi segreti israeliani, il Mossad, hanno annunciato lo scorso anno di voler abbandonare la caccia ai criminali del Terzo Reich – la cui follia, come quella del loro capo, era riconducibile anche ad una serie di droghe -, ritenendoli ormai tutti morti. L’uomo ha detto di essere accusato di “molti crimini” dei quali si dichiara innocente, perciò di aver passato tutto quel tempo a nascondersi, ma avrebbe in serbo un’autobiografia in cui racconterà la sua verità. “Sono stato descritto come un cattivo solo perché abbiamo perso la guerra – ha sostenuto –. Quando la gente leggerà il mio lato della storia, cambierà il modo in cui mi percepisce”.
Ma è una bufala.
Il World Daily News Report è un giornale satirico dichiarato e molto ben fatto, tanto che moltissimi altri siti e quotidiani in tutto il globo hanno riportato la notizia come vera e non sono mancate testate che tutti considerano “autorevoli”.
La traduzione della dichiarazione di responsabilità del sito alla fonte di tutto recita:
“Il World Daily News Report si assume comunque ogni responsabilità per la natura satirica dei suoi articoli e per il contenuto fittizio dei loro contenuti. Tutti i personaggi che appaiono negli articoli su questa pagina – anche quelli basati su persone reali – sono puramente immaginari, ed ogni somiglianza tra loro e persone vive, morte o non morte è solamente un miracolo”
Bufala, dunque, ma la psicosi collettiva non sente ragioni, milioni di click, l’unità fittizia oggi quasi più importante quanto il denaro, per nulla, oppure per qualcosa, dato che proprio i click ed il traffico in rete oggi produce guadagno più di altri prodotti reali e forse qualcuno sperava in un incremento dei propri affari.
Bel tentativo, ma meglio rimanere affidabili, la fiducia è una cosa serissima, difficile da conquistare e facilissima da perdere, alle volte basta un click, appunto.
Per i più puntigliosi di seguito il testo integrale tradotto dall’originale:
“Un anziano di Salta in Argentina sostiene di essere il famigerato dittatore tedesco Adolf Hitler e di aver trascorso 70 anni in clandestinità. In un’intervista al quotidiano ultra-conservatore El Patriota, l’immigrato tedesco naturalizzato spiega di essere arrivato nel paese nel 1945 con un passaporto che lo identifica Herman Guntherberg.
Egli sostiene il suo era un passaporto falso prodotto dalla Gestapo verso la fine della guerra e che lui è in realtà l’ex leader nazista, Adolf Hitler. Dice che ha deciso di uscire allo scoperto dopo che un anno fa i servizi segreti israeliani ufficialmente abbandonato la loro politica di perseguire gli ex criminali nazisti.
“Sono stato accusato di un sacco di crimini fatto che non ho mai commesso. A causa di ciò, ho dovuto spendere più di metà della mia vita a nascondermi dagli ebrei, così ho avuto già la mia punizione “. L’uomo anziano sostiene si sta preparando a pubblicare la sua autobiografia per il ripristino la sua immagine pubblica. “Sono stato dipinto come un cattivo ragazzo solo perché abbiamo perso la guerra. Quando la gente leggerà la mia versione della storia, cambierà il modo in cui mi percepiscono “.
Dice che il suo libro sarà scritto sotto il nome di Adolf Hitler e sarà disponibile dal mese di settembre.
Molte persone, tra cui la moglie di 55 anni, Angela Martinez, credono che Herman Guntherberg in realtà non sia Adolf Hitler, ma sia semplicemente affetto da demenza. La signora Martinez sostiene il marito non ha mai parlato di Hitler fino a circa due anni fa, quando ha iniziato a mostrare segni di Alzheimer. “A volte, dimentica chi sono e dove si trova. Sembrava come in trance, e parlava di ebrei e demoni. Poi è tornato alla normalità. “
Lei pensa che suo marito potrebbe, eventualmente, essere stato un nazista e che può sentirsi in colpa per il suo passato, ma è convinta che non è Hitler. La moglie del signor Guntherberg sostiene che non sia Adolf Hitler, ma solo un uomo vecchio e senile che sta cominciando a perdere la lucidità.
Anche se quanto sostiene l’uomo appare piuttosto discutibile, si è acceso un animato dibattito in Israele e nella comunità ebraica americana per quanto riguarda il futuro dei criminali nazisti sopravvissuti. Il Mossad aveva dimostrato in passato la sua ambizione e portata globale con la cattura del criminale nazista Adolf Eichmann nel 1960 in Argentina, ma ha abbandonato questa missione negli ultimi anni.
Il Centro Wiesenthal, che sta ancora cercando di trovare e perseguire i criminali nazisti, ha criticato pubblicamente Israele nel mese di marzo dicendo che lo Stato ebraico stava ‘a malapena collaborando’ alla sua missione. Più di 70 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, pochi stati ed istituzioni stanno ancora cercando di trovare e perseguire i nazisti sopravvissuti e la maggior parte di loro morirà certamente senza mai essere stati puniti per i loro crimini.”
http://worldnewsdailyreport.com/argentina-128-year-old-man-claims-he-is-adolf-hitler/
ESPUGNATA LA " STALINGRADO D'ITALIA"
DI PIERLUIGI PENNATI
Sesto San Giovanni, città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza, antifascista per vocazione e tradizione, ci voleva un segretario «educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini», sono parole sue, come Renzi per farla cadere: dopo 71 anni di gestioni di sinistra la città passa con un risultato incredibile al centro destra.
Un evento ritenuto assurdo da tutti, la città era conosciuta anche come la “Stalingrado d’Italia” e persino il sindaco uscente, Monica Chittò, ha ammesso che «è un dato nazionale», anche se sostiene di sentirne “tutta la responsabilità”.
L’affluenza è stata bassa, solo il 45,61% degli aventi diritto, pari a 27.970 elettori, che però costituisce già un dato in aumento rispetto al 2012, quando Chittò aveva trionfato, che era stato di appena il 39,37% e che genera un risultato netto ed epocale anche nel complesso, dato che già poco dopo la chiusura dei seggi la situazione era chiara e si è conclusa con un quasi incredibile 58,63% dei voti allo sfidante di destra, Roberto Di Stefano.
Renzi appare sereno, «Lo sapevano tutti chi avrebbe vinto, le Politiche un’altra cosa», sostiene, eppure la situazione è chiara, «Siamo riusciti ad espugnare la “Stalingrado d’Italia”» ha detto trionfante il neo sindaco di Forza Italia di Sesto San Giovanni che, dopo 10 anni in aula sui banchi dell’opposizione, è oggi al governo ed afferma che «ha vinto il cambiamento». Già, ma quale cambiamento?
Forza Italia non è certo un partito nuovo e non è nemmeno sulla cresta dell’onda, ma a Sesto San Giovanni, simbolo della resistenza, pur di cambiare si vota all’opposizione, un’opposizione tutto sommato stabile, ma pur sempre impressionante.
Così a Sesto si Cambia, come in molti altri centro d’Italia, una batosta più che clamorosa per un centrosinistra che ha perso una delle sue storiche roccaforti e che ha visto, se possibile ancor più clamorosamente, la lista formata da Sesto nel Cuore, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, venir sostenuta nel ballottaggio anche da molte altre liste civiche che in altri tempi avrebbero forse votato diversamente.
NOME IN CODICE: AQUILA 100, COSTO 1 MILIONE DI EURO
Siamo nell’era tecnologica e digitale, tutto ciò che ci circonda ormai è tecnologia avanzata ed a noi non tocca che subirne gli effetti, positivi o negativi che siano.
Oggi l’utilizzo di un drone è diventato indispensabile.
Rispetto all’uso monotematico di un agente 007, i droni svolgono compiti diversi e sono utilizzati nei campi più svariati, siano essi civili che militari.
Il drone piu costoso del mondo lo ha portato in Italia Ugo Vittori, ex poliziotto squadra mobile, oggi titolare dell’agenzia di investigazioni Eagle Keeper, di Bologna, capofila dell’antifrode applicata alle assicurazioni.
Un investimento andato a buon fine grazie all’alleanza economica con la Sky Sapience, partnership israeliana, e del Centro costruzioni di Domenico Beccidelli.
Aquila 100 non è un drone, ma un “sistema di intelligence”, di tecnologia israeliana, capace di trasmettere dati criptati in tempo reale, alimentato grazie ad un generatore montato su un pick up, lavora dai 10 ai 45 gradi, ha un puntatore laser il cui raggio emesso è invisibile all’occhio umano, ma servono lenti speciali.
Il suo cuore è il Payload che vede tutto, e un rilevatore incorporato segnala se un uomo è armato,
con una combinazione di termocamera più una serie di sensori è in grado di rilevarne l’impronta della mano lasciata sulla corteccia di un albero fino a 10 km di distanza, sia di giorno che di notte.
Attualmente è utilizzato sulle navi sulla striscia di Gaza,
per individuare l’arrivo di eventuali missili.
E’ unico nel suo genere, a differenza degli altri droni in uso militare che, dopo un volo di 15 minuti, devono immediatamente rientrare alla base altrimenti precipitano, come gia accaduto, Aquila 100 può rimanere in volo per un mese di fila, autoalimentandosi di benzina, con il suo generatore equipaggiato.
Il prototipo, ma neanche tanto, ha superato brillantemente la naturale diffidenza della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che sta pensando seriamente di utilizzarlo per la protezione dei concerti dei Depeche Mode e di Vasco Rossi.
Sono quattro i piloti abilitati a governare Aquila 100, tre uomini e una donna, Antonio Cavallone, Donato Giannini, Fabio Mongile
e poi c’è lei, Barbara Manfredi, 42 anni e piglio deciso, l’unica donna al mondo in grado di governare Aquila 100.
Vi pare poco?
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