BUON FERRAGOSTO, MA NON PER TUTTI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Mentre ci accingiamo a trascorrere una delle più antiche festività italiane, istituita nientemeno che 2032 anni fa, nel 18 a.C. dall’imperatore Augusto da cui trae il nome e che significa “Feriae Augusti” (il riposo di Augusto), ci sono migliaia di poveri lavoratori costretti a lavorare per noi.
Non parlo di coloro che servono a garantire servizi pubblici davvero essenziali e senza dei quali ci sarebbero disastri e problemi, ma di quei “poveri” lavoratori, spesso vessati e sottopagati, che sono realmente costretti dai loro datori di lavoro ad essere a nostra disposizione per il nostro piacere, che spesso piacere nemmeno è, ed in particolare quei lavoratori che tengono aperti in questi giorni festivi i centri commerciali, i supermercati e gli outlet, che ormai non chiudono più nemmeno a natale e capodanno.
Due, massimo tre giorni di chiusura all’anno, 48 ore settimanali, spesso anche di più e non sempre pagate, e competizione aperta tra chi riesce ad impiegarsi comunque, a qualunque costo, si deve pur sbarcare il lunario con un costo del lavoro abbassato drasticamente da disoccupazione ed immigrazione.
Nemmeno nell’antica Roma avevano osato tanto: Augusto, oltre all’evidente scopo propagandistico sulla sua persona, aveva aggiunto il Ferragosto ad altre festività già presenti nello stesso mese, in particolare i Consualia, cui fu legato fin dall’inizio, che era un periodo di meritato riposo e festeggiamenti per celebrare la fine dei lavori agricoli, dedicati a Conso che, nella religione romana, era il dio della terra e della fertilità.
L’antico Ferragosto, quindi, era un premio per chi già lavorava duramente tutto l’anno ed originariamente cadeva il 1º agosto congiungendo tra loro le feste del mese e generando gli Augustali, un adeguato periodo di riposo per recuperare le forze dopo le grandi fatiche nei campi.
Fu la Chiesa Cattolica a spostarlo al 15 di agosto, per far coincidere l’importante ed irrinunciabile ricorrenza laica con la festa religiosa dell’Assunzione di Maria, cui anche il Duomo di Milano è dedicato, e da oltre due millenni è una festa intoccabile, nessuno può lavorare a Ferragosto, cattolico o laico che sia.
La tradizione, originata fin dalla sua istituzione, vuole che questo giorno siano di festa e gioia conviviale, persino il “Palio dell’Assunta”, che si svolge a Siena il 16 agosto, è una reminiscenza delle antiche corse di cavalli romani che si tenevano in quella giornata, ma alla fine, dopo quasi due secoli, ce l’abbiamo quasi fatta: in nome di un consumismo che ci sta consumando anche la festa italiana più antica sta per essere cancellata, almeno per i molti che, pur non essendo essenziali per la sopravvivenza del genere umano, sono oggi costretti a lavorare sottomessi e dare la possibilità a chi è ancora libero di fare shopping invece che trascorrere la giornata all’aperto, approfittando del bel tempo.
Di questo passo, prima o poi la festa sarà abolita anche per tutti gli altri, ormai il ferragosto non ha più senso per nessuno, i gremitissimi centri commerciali non vendono comunque a sufficienza per ripagarsi gli straordinari ed i costi festivi ed il sapore finto di questi luoghi sta piano piano sbiadendo anche l’illusorio piacere di una passeggiata e di un gelato nei loro viali.
Il retroscena è spesso terribile, nascosto dalle vetrine luccicanti, i lavoratori degli esercizi sono spesso “stagionali” o precari, sottopagati e senza diritti, sotto il ricatto dell’allontanamento immediato senza tutele del lavoro, tra l’indifferenza di tutti coloro che non vogliono sapere cosa succede agli “altri”, almeno fino a quando gli altri non saranno essi stessi.
Grande o piccolo che sia l’imprenditore oggi vuole sempre di più al minor costo, anzi gratis, spesso infrangendo i diritti dei propri dipendenti che sono sempre più disposti a privarsene per necessità ed affamando sempre più la popolazione di lavoratori in una società dove chi paga le tasse è stupido e debole e chi ricatta i propri dipendenti si sente intelligente e potente.
Oggi è ferragosto, nei paesi più industrializzati d’Europa non si lavora nemmeno nei festivi, tanto meno in giornate come queste, in quelli decadenti invece sì, si lavora spesso anche a Natale e capodanno riducendo le feste a meri eventi commerciali.
Possiamo davvero considerarci fortunati a vivere in un paese di questo tipo?
Personalmente credo che il lavoro vada sempre rispettato, qualunque esso sia, perché è sempre dignitoso quando è svolto dall’uomo, il lavoro di un automa non è né nobile né dignitoso, è solo lavoro, ma quando è un essere umano a svolgerlo acquista un valore differente e non solo economico: oggi siamo così abituati a non rispettare più il lavoro degli altri che a poco a poco anche il nostro lavoro sta perdendo di dignità e nobiltà senza che ce ne rendiamo pienamente conto.
Se il progresso è avere i negozi aperti la domenica, Natale e Ferragosto, allora viva il regresso, se questo serve a recuperare quei valori umani che persino i romani imperiali, quelli con potere di vita e di morte sul popolo, non negavano ai propri sudditi ai quali, invece, riconoscevano la dignità di lavoratori istituiendo per loro nuove feste e non altri turni forzati.
A Natale, quest’anno, chiediamo dignità per chi lavora ed oggi, Ferragosto, andiamo al mare od ai monti, non nei centri commerciali: il recupero della nostra umanità passa anche da questi piccoli gesti.

UOVA CONTANTAMINATE, MA CI SALVA IL MADE IN ITALY

DI PIERLUIGI PENNATI
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Una volta tanto il Made in Italy è una garanzia anche in patria e non soltanto per la qualità dei manufatti o per il loro gusto, ma anche per l’autosufficienza delle risorse, infatti,  il se 2 agosto l’Olanda ha scoperto un lotto contenente Fipronil, vietato dalle leggi europee, nell’azienda olandese Chickfriend ed arrestato due dirigenti, l’Italia è tra i paesi fortunati che praticamente non importano uova potendole produrre quasi interamente sul suolo nazionale.
Secondola Commissione Europea “Anche l’Italia ha ricevuto uova” dalle aziende in esame, ma il ministero della Salute ha assicurato che non risultano distribuzioni contaminate sebbene siano stati comunque confiscati articoli mai messi in commercio per prevenirne la vendita.
Il Fipronil, il cui nome chimico è fluocianobenpirazolo, è un insetticida ad ampio spettro che disturba l’attività del sistema nervoso centrale dell’insetto impedendo il passaggio degli ioni cloruro attraverso il recettore del GABA ed il recettore del Glut-Cl, ciò causa la ipereccitazione dei nervi e dei muscoli degli insetti contaminati.
La sostanza viene usata prevalentemente per la prevenzione contro le pulci ed antiparassitario per gli animali da compagnia, il suo veleno, la cui concentrazione è volutamente blanda nei prodotti in commercio, ha una lenta attività d’azione per evitare che l’insetto avvelenato muoia immediatamente e faccia prima rientro nella sua colonia liberando l’organismo che infestava e diventando un “untori” per tutta la sua colonia.
Pur essendo categoricamente vietato nei trattamenti anti-pulci di animali destinato al consumo umano, perchè secondo l’Oms è pericoloso per fegato, reni e tiroide, per causare problemi all’uomo occorrono alte dosi di prodotto e non dovrebbe essere il caso dell’attuale scandalo alimentare.
Le persone esposte al Fipronil a forti dosi si possono osservare ipereccitabilità, irritabilità, tremori e, ad uno stadio più grave, letargia e convulsioni.
I sintomi sono reversibili, una volta terminata l’esposizione la sostanza si assorbe lentamente attraverso l’intestino e siccome non è noto un antidoto specifico i medici consigliano una lavanda gastrica per ridurre l’assorbimento  ed un purgante salino o carbone attivo.
Secondo la UE i Paesi dell’Unione coinvolti, compreso l’Italia, sono il Belgio, i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, la Svezia, il Regno Unito, l’Austria, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia e la Danimarca, a cui si devono aggiungere Svizzera e Hong Kong.
Una volta tanto, però, l’Italia è libera da questo rischio sia per la possibile limitata concentrazione di prodotto nei nostri alimenti, compreso quelli di pasticceria, sia per la produzione quasi interamente nazionale di uova: quando il Made in Italy ti salva la vita.

STIAMO DIVENTANDO TUTTI MIGRANTI ECONOMICI

DI PIERLUIGI PENNATI
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“Laurea magistrale a pieni voti in ingegneria civile, ottima conoscenza della lingua tedesca e buona della lingua inglese, gradita esperienza Erasmus, disponibilità a trasferte in Italia ed estero, contratto di 6 mesi, 600 euro netti al mese, ticket restaurant per ogni giorno lavorato, zona Grugliasco”.
L’annuncio è di maggio, ma ancora la foto impazza sulla rete come fonte di ilarità tra chi del dramma vede solo l’assurdità ridendone invece di scandalizzarsi o lo strumentalizza contro gli immigrati “mantenuti dallo stato”.
L’indignazione immediatamente seguita all’annuncio ne ha provocato il ritiro e la rettifica ed a seguito degli insulti e delle richieste di chiarimenti piovute nei loro uffici, la società si è affrettata a dichiarare che «L’annuncio non è nostro perché noi non facciamo annunci su cartaceo e stiamo cercando di capire come ci sia finito. Cerchiamo un ingegnere con quelle caratteristiche ma solo per uno stage post-laurea».
Si tratta della società Gruppo Dimensione, multinazionale con sede italiana a Torino, che – è scritto nel loro sito – «svolge attività di consulenza e servizi altamente specializzati nel campo dell’ingegneria civile e degli impianti tecnologici.»
La vice presidente, Marie Chantal Manenc, ha subito precisato che la richiesta riguardava  «solo un tirocinio, serve per qualificare il candidato, insegnandogli quello che all’università non si impara, e per valutare l’opportunità di assumerlo», poi, se il periodo di stage si conclude favorevolmente, l’azienda assume il candidato «Con un contratto di apprendista» e «per quelli che sono all’estero siamo sui 2400-2.500 euro. Netti, eh!»
Nulla di strano, quindi, la legge viene pienamente rispettata e così grazie alle nuove norme sul Jobs Act, le tutele crescenti e gli apprendistati, un laureato super qualificato deve lavorare per quasi quattro anni a condizioni da terzo mondo per riuscire ad avere un contratto che si avvicina al “normale”, dato che vivere in trasferta all’estero per 2.550 euro netti al mese non sembra certo una retribuzione stellare e per le destinazioni italiane, solo probabilmente dato che non viene dichiarato, ancora meno.
Qualcosa deve essere andato storto quando è stata approvata la legge attuale, i giovani, se non cambiano ancora le condizioni e dopo tutto questo peregrinare ed avere difficoltà, dovranno lavorare fino a 70 anni e forse più per poter avere una pensione, la cui “normalità” viene messa costantemente discussione, posizionando le condizioni ed il mercato del lavoro italiano tra quelli “da terzo mondo”.
Pur essendo comparso solo sul sito del Comune di Torino nella sezione InformaLavoro, senza menzionare che i 600 euro fossero da ritenersi compenso per uno stage, e solo una volta in formato cartaceo, l’eco mediatica sembra aver fatto comunque il suo dovere e se l’azienda ha sostenuto ufficialmente che «questa faccenda è un disastro per l’immagine del gruppo», dopo le telefonate di insulti della prima ora sono state da essa ricevute «all’incirca una cinquantina» di candidature con i requisiti richiesti, che ora «andranno valutati in modo più approfondito».
Il bilancio finale è che al di là dell’indignazione istantanea e le risa dei qualunquisti l’annuncio ha attirato l’attenzione e quasi 50 laureati altamente qualificati si sono dichiarati disposti, al di là di tutto, ad entrare in competizione per lavorare quasi gratis solo per riuscire poi a guadagnare quanto un operaio specializzato.
Per completezza di informazione riporto che in un’indagine comparsa il 18/11/2014 sul Sole 24 Ore, la differenza delle retribuzioni tra Italia e Germania portava già differenze dal 40 al 70% in più rispetto all’Italia e, solo per fare un esempio la retribuzione media di un operaio generico italiano stimata in 29.523 Euro l’anno diventava 49.507 Euro sul suolo tedesco e con un welfare state certamente più elevato.
Sembra di capire che qualcosa da noi non sta andando come ci hanno prospettato e se i nostri ragazzi guardano all’estero è perché là, la mano d’opera, è meglio retribuita, considerata e produce più dignità e stabilità del lavoro, trasformando di fatto tutti noi in “migranti economici”.
Non volevamo che le nostre aziende emigrassero all’estero, così costringiamo ad andarci le nostre migliori risorse, mentre da noi ormai solo chi proviene da paesi dove le condizioni sono ancor meno favorevoli accettano le condizioni di vita al limite della dignità che le aziende nostrane oggi offrono “a norma di legge”.
Dite a Renzi e Salvini che senza rispetto nessuno starà mai a casa propria, tutti, prima o poi, cercheranno un posto dove vi sia maggiore “giustizia sociale” rispetto “a casa loro”, per andare avanti, qualche volta bisogna tornare indietro, almeno ai tempi in cui in Italia i diritti e la dignità dei lavoratori erano ancora valori da salvaguardare.

PIGNORATI BENI PER 10 MILIONI, "BUTTIAMO TUTTO IN VACCHI"

DI IMMACOLATA LEONE
 
Gianluca Vacchi, noto imprenditore bolognese, re dei social, di Instangram e noto per il suo ego smisurato, come ammesso da lui stesso, ha problemi economici.
Notizia seria, per noi comuni mortali, diffusa oggi dai quotidiani del gruppo QN, Quotidiano Nazionale, la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno e Quotidiano.net.
Da un debito iniziale di 30 milioni, della First Investments spa, di cui Vacchi è amministratore unico, ed il successivo mancato pagamento della restante parte di 10 milioni, il Banco Popolare, ora Banco BPM, in seguito ad una fusione, ha iniziato le azioni esecutive per entrare in possesso di alcuni beni, barche, ville, azioni, ed alcune quote di un esclusivo golf club, appartenenti a Vacchi.
Azioni partite gia nel dicembre del 2015, data della terza rata insoluta, ed oggi divenute esecutive.
Gianluca Vacchi, fresco cinquantenne, nasce molto bene, la sua famiglia è a capo di un’azienda,l’IMA, l’impresa familiare fondata da suo padre negli anni Sessanta, produttrice di oggetti di nicchia, ma assolutamente indispensabili: cioè macchine che confezionano prodotti cosmetici e farmaceutici, oggi azienda leader a livello mondiale.
A trent’anni lascia l’azienda di famiglia e si butta nel duro mondo degli affari, compra 12 aziende, le “risolleva” e poi le rivende, spaziando nei settori più disparati: dai camper, agli oblò per lavatrici, agli orologi Toy Watch, diviene anche il primo fondatore in Europa di un’azienda di last minute.
“Enjoy” è il suo motto, il suo stile di vita, il suo pensiero unico è rendere pubblica su Instangram , facebook e youtube, ogni momento della sua “regale” vita, delle sue bellissime fidanzate, del suo tempo libero, dei suoi amici, dei suoi tatuaggi, del numero di addominali fatti, dei suoi balletti con la fidanzata del momento, le ospitate come dj nelle discoteche, i suoi abiti gialli, rosa, tutti perfetti sul suo fisico scolpito.
Insomma una gran figata di vita, invidiata e ammirata, a seconda dei casi, anche quando entra in casa inforcando la sua Harley.
Sono sincera, fino a sei mesi fa non conoscevo Gianluca Vacchi, quando per un caso fortuito, mi imbatto in un suo video, in cui lo si vede uscire da una specie di involucro, poi ho scoperto trattarsi di una camera di crioconservazione, cioè un macchinario che porta il corpo a delle temperature sottozero per sentirsi giovani mantenendo la pelle soda.
Vacchi, esce dalla camera di crio indossando una bizzarra mutanda col bozzo, visibilmente infreddolito, ma sempre col suo sorriso smagliante, comincia a a ballare e a mimare un ballo lap dance.
Trovandolo molto bizzarro, l’ho cercato sul social facebook ed ho visto questo giovanotto attempato, sorriso smagliante, occhiali che fanno tanto figo, e improponibili abbigliamenti, da lui perfettamente indossati, come un divo di Hollywood ecco.
Poi non paga, leggo i commenti dei comuni mortali, tanta ammirazione per lo sfoggio di una vita patinata e impossibile e tanto tanto livore per la sua fortuna.
Ma, come tutti sanno, la dea fortuna è bendata, ed essendo uscito dalla sua visuale, adesso finisce tutto in “Vacchi” .

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ALITALIA É SANA MA SI (S)VENDE LO STESSO

DI PIERLUIGI PENNATI
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I nodi sono venuti al pettine da tempo e forse i lavoratori che hanno respinto in massa il piano di ristrutturazione con 2.000 licenziamenti, su 12.000 impiegati, sapevano già che i loro ulteriori sacrifici erano inutili: Alitalia è sana ed il problema è solo gestionale, ma viene ceduta ugualmente all’asta.
Che qualcosa non andasse lo si era capito da subito, solo un paio di settimane dopo il voto di fine aprile che cassava l’accordo raggiunto da CGIL CISL e UIL, il docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss, Antonio Bordoni, a seguido di uno studio commissionato da un editore affermava che “Gli stipendi sono più bassi, con più passeggeri per dipendente. Il problema? Contratti di servizio onerosi e poco sviluppo nel lungo raggio”.
L’obiettivo dello studio non era attribuire delle colpe, ma cercare di capire se dopo la bocciatura del piano industriale questo potesse essere riproposto da qualunque possibile nuovo assetto azionario e, quindi, cercare di evitarlo.
Il rifiuto dei tagli aveva immediatamente portato i benpensanti a bollare i dipendenti come “furbetti del cartellino”: privilegiati che non volevano rinunciare a nulla, nullafacenti che avevano portato al collasso la compagnia e volevano continuare a farlo, ma non era così, il costo del lavoro non centrava nulla, dato che Alitalia era “Meglio di Air France, Lufthansa e British” secondo Bordoni.
I lavoratori spesso lo sanno prima degli analisti e del pubblico, chi percepisce uno stipendio sa quanto guadagnano i colleghi di altre compagnie e quante ore di lavoro realizzano, come e con quale sforzo, e nessuno di loro aveva mai detto che, dopo la prima grande ristrutturazione, la situazione Alitalia fosse da lager, ma nemmeno da paese del bengodi, consapevoli di non essere in una situazione di grande privilegio rispetto ad altre compagnie, se non per il maggior rispetto della loro dignità, che in qualche concorrente sembrerebbe a rischio, e della stabilità di impiego, il posto fisso e dignitoso era già un valore sufficiente.
Dopo il piano di ristrutturazione che prevedeva essenzialmente solo tagli al personale, il sindacato USB aveva sostenuto da solo la campagna contro di esso e, contraddicendo ogni pronostico, aveva avuto ragione riuscendo a convincere oltre 5.000 lavoratori il cui posto di lavoro non era toccato dal piano di ristrutturazione ad esprimersi contro di esso per dare prospettive a tutti.
La ragione più profonda del rifiuto, probabilmente, è stata vista nel fatto che a furia di ridurre le risorse si uccide il lavoro, così come il contadino che riduceva il pasto del proprio asino fino a quando trovandolo morto disse “accidenti, proprio adesso che aveva imparato a non magiare e non mi costava più nulla”.
Chi ha votato sapeva bene, e senza essere un economista, che i tagli non sono mai temporanei, si taglia oggi per tagliare ancora domani, senza fine e fino alla perdita del posto di lavoro, un posto che, a quanto pare, era stabile e non minato da problemi di costi, ma solo da politiche sbagliate sulla gestione dei contratti di servizio.
Bordoni, nel suo studio, afferma anche che uno dei grandi problemi riguarda le commissioni da pagare sui biglietti, che per Alitalia sono una volta e mezzo quello che pagano i concorrenti, e che questo potrebbe essere dovuto ad una mancata capacità di negoziazione dei costi delle commissioni a causa di possibili incapacità manageriali, incapacità criticate in maggio senza perifrasi anche dal commissario Luigi Gubitosi e dal ministro Calenda.
Inoltre, sempre secondo Bordoni, nonostante il prezzo medio dei biglietti di Alitalia sia molto concorrenziale sulle rotte fra 800 e 1200 chilometri, il tasso di riempimento degli aerei è deludente, facendo pensare che forse abbassare le tariffe su quelle distanze, dove c’è la concorrenza delle compagnie aeree «low cost» e dei treni superveloci, sia uno sforzo inutile e persino dannoso, aggiungendo alla poca capacità negoziale con i fornitori, errori di strategia globale.
Tra questi, rileva servirebbero più aerei sulle rotte intercontinentali, di cui Alitalia non si è dotata nemmeno quando è entrato il socio forte Etihad «Perché l’Unione europea ha imposto a Etihad di fermarsi al 49% dell’azionariato. Se Etihad avesse acquisito una quota più alta, avrebbe investito molto di più, anche nell’acquisto di aerei a lungo raggio».
Quindi spese eccessive per i servizi, politiche tariffarie discutibili ed investimenti mancati, tutte voci ascrivibili al management e non alle maestranze che però rischiano ancora di essere gli unici a farne le spese.
Ma qui si tratta anche di cultura e di obiettivi, in una società in cui la dignità dei lavoratori non è più un valore da salvaguardare e si pensa solo a se stessi è impensabile anche solo immaginare che un dirigente possa provare vergogna per il suo operato e dimettersi: se sbaglia è sufficiente licenziare un po’ di personale e tutto torna a posto, con i risparmi immediati si paga la sua ricca buonuscita e lo si manda a far danni da un’altra parte.
Questo sembra essere anche quello che sta succedendo ad Alitalia, dopo il caso della “bad company”, a carico dello stato, e della “new company”, semi regalata ai “capitani coraggiosi” o “patrioti”, come furono definiti dall’allora premier Berlusconi per la cordata realizzata per salvare l’italianità della compagnia di bandiera, si pensa oggi non ai dipendenti ed alle loro famiglie, ma solo a fare cassa, vanificando ogni sforzo passato e senza individuare colpevoli, ma solo vittime: i lavoratori.
I ogni caso se il costo del lavoro e il numero di passeggeri per dipendente in Alitalia sono migliori, anzi molto migliori, di quelli delle concorrenti Air France, Lufthansa e British Airways ed il costo medio di ogni dipendente di Alitalia è di neanche 49 mila euro, rispetto a quello compreso fra i 70 mila e gli 81 mila euro delle grandi compagnie concorrenti e dovuto ad anni di tagli ed al ricorso al lavoro precario, il problema resta: cosa fare nel futuro?
Per volontà squisitamente politica la vendita pare oggi inevitabile, rischiando di disperdere altra forza lavoro a vantaggio di investitori stranieri senza troppi scrupoli, anche se la notizia degli ultimi giorni è che la cessione Alitalia, almeno, non dovrebbe vedere spacchettamenti, o quasi: i tre commissari straordinari Laghi, Gubitosi e Paleari hanno pubblicato il primo agosto il bando per la vendita prevedendo solo due opzioni per i possibili acquirenti, la vendita in blocco della compagnia aerea o la cessione separata della parte handling, dividendo la parte volo dalla parte terra.
In Francia il leader considerato più liberista d’Europa tutela il lavoro e statalizza i cantieri navali STX per proteggerli dal rischi speculazione e pensando al loro futuro, in Italia si cercano compratori ad ogni costo senza nemmeno considerare gli eventuali piani strategici, soldi freschi e nessuna previsione per il personale.
Ma qualcuno una soluzione ce l’ha e la grida da tempo con tutta la voce che possiede: Francesco Staccioli, dell’ Esecutivo Nazionale Lavoro Privato dell’Unione Sindacale di Base USB Trasporto Aereo, a proposito della vendita dichiara che pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”, preludendo ad una statalizzazione della compagnia.
Per USB, unico sindacato che insieme a CUB si era schierato fin dall’inizio contro i tagli del piano industriale ed escluso da tutti i tavoli di trattativa, la soluzione sarebbe quindi statalizzare nuovamente Alitalia promuovendo una gestione più competente e qualcuno nel sindacato arriva persino ad invocarne la “cogestione”, realtà applicata da moltissimi anni in aziende economicamente solide come le tedesche BMW e Mercedes e dove la partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili ne migliora in continuazione competitività ed l’efficienza senza penalizzare troppo i lavoratori.
“Il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia”, continua Staccioli riferendosi all’impossibilità di statalizzare dovuta ad un presunto stop dell’Unione Europea, “Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Il destino di Alitalia, purtroppo, è nelle mani di un governo che fino ad ora ha salvato le banche con miliardi di euro pubblici per “salvaguardare i risparmiatori”, ma quando si è trattato di salvaguardare il lavoro è sembrato chiudere gli occhi e dimostrare incapacità di guardare lontano, creando precarietà e compressione di diritti in un’ottica miope per le future generazioni, in fondo se i conti dovessero andare bene oggi sarebbe merito di chi governa oggi, ma se il lavoro si svilupperà domani sarà merito di chi sarà al potere domani e nessuno lavora per dare meriti ad altri.
La questione resta la stessa, è meglio realizzare subito od investire per il futuro?
Auguri Alitalia, abbiamo bisogno di pensare a domani.

NON SOLO CERVELLI IN FUGA

DI PIERLUIGI PENNATI
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A quanto pare molti cervelli sono fuggiti da molto tempo, in particolare quelli di chi, pensando di essere il più furbo, supporta la devastazione del nostro paese favorendo lo sfruttamento e le vessazioni nel mondo del lavoro.
Ormai non sono più solo i cosiddetti “cervelli” a scappare dall’Italia, ma anche la mano d’opera, più o meno specializzata, che serve alla nazione per supportare l’economia dello stato ed in particolare una delle nostre industrie più importanti e redditizie: il turismo.
Favorito da un rapporto uno ad uno con gli impiegati e dai contratti a termine per le stagioni, il mercato della mano d’opera hoteliera non è immune allo sfruttamento dilagante, con offerte di lavoro che si trasformano in veri e propri ricatti per sottopagare il personale, approfittando del suo stato di necessità.
Schiavi, più che impiegati, alle dipendenze di molti albergatori e ristoratori senza troppi scrupoli.
È questa la storia di due lavoratrici tra i tanti, Maurizia e Antonella i loro nomi, che dopo un solo mese di superlavoro non pagato hanno avuto il coraggio di lamentarsi con chi le sfruttava e sono state cacciate seduta stante dall’hotel dove lavoravano senza possibilità di scampo, dovendo persino riparare per la notte nei locali di una associazione di volontariato ed ora la loro lamentela è diventata una forte denuncia.
A seguito di situazioni simili, non sempre denunciate e non sempre facili da segnalare, anche nell’industria del turismo gli operatori specializzati preferiscono ormai rivolgersi all’estero, dove un minimo di legalità e dignità dell’uomo sono ancora rispettate e la storia delle due coraggiose è così solo la punta dell’iceberg che sta cominciando ad emergere.
Se in altri settori lo sfruttamento sommerso è di più facile emersione per la complicità di una maggior concentrazione di persone in un’unica impresa che favorisce la solidarietà, nell’industria alberghiera e della manutenzione di stabili ed appartamenti i piccolissimi gruppi di lavoro di singoli operatori lo rendono incontrollabile ed elevatissimo ed è spesso frenato solo dall’etica dei datori di lavoro, che non essendo un requisito obbligatorio è maggiormente presente dove, spesso per ragioni culturali, la pratica dello sfruttamento del lavoro non è solo un divieto legale ma è mal vista nella società civile e pertanto meno praticata.
Così se gli italiani di oggi rifiutano alcuni tipi di lavoro, specie nella mautenzione e pulizia degli immobili, forse non è solo perché, per parafrasare una nota ministra, sono choosy (schizzinosi), ma anche  soprattutto perché i lavori cosiddetti “umili” o meno qualificati sono anche i più sfruttati e sottopagati.
Le lamentele denunciate da Maurizia e Antonella sono ben conosciute agli uffici vertenze sindacali, si tratta generalmente della mancata fruizione giorno libero, delle ore di straordinario non retribuite e che spesso arrivano a pareggiare le ore di lavoro minando la salute e dimezzando di fatto la paga rispetto al pattuito, della mancata assegnazione di un alloggio temporaneo, che aumenta i costi di soggiorno che dovrebbero, invece, essere inclusi nel contratto di servizio, del demansionamento di fatto, con l’assegnazione di compiti “accessori” di pulizia, facchinaggio e quant’altro non dovuti e non inclusi nel contratto, e della frequente nocività dei luoghi di lavoro della quale non si può discutere pena l’immediato licenziamento.
Ma se il lavoro non fosse così sfruttato ed i contratti di lavoro fossero dignitosi, quanti italiani sarebbero oggi contenti anche solo di poter pulire le latrine?
Purtroppo la dignità del lavoro, qualsiasi esso sia, non è più considerata nemmeno un optional e non solo in certe umili professioni, è emblematico il caso del lavoratore costretto ad urinarsi addosso alla FIAT di Chieti e se Maurizia e Antonella, impiegate per la stagione estiva sulla riviera romagnola, hanno avuto il coraggio di denunciare lo sfruttamento affrontando il licenziamento, centinaia di migliaia, e forse ancor più, di lavoratori, non lo fanno per non perdere anche quelle poche risorse che hanno faticosamente raggiunto.
Non c’è nessun Welfare, nessun diritto di cittadinanza che porti un colore della pelle od una nazionalità, quello che oggi subisce uno qualsiasi di noi lo subiremo domani tutti noi: negli anni ’70 andava di moda pensare che fosse normale pagare un lavoratore od una lavoratrice filippina di meno, ancorché, in quegli anni, in regola con le tasse, oggi ci lamentiamo dei cervelli in fuga, questi non sono altro che il risultato del generale disinteresse a quello che “succede agli altri”.
Non sono religioso, ma credo nell’etica della reciprocità come valore morale fondamentale e se il celebre rabbino Hillel, vissuto molto prima di Cristo lo aveva già capito e scriveva «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia.», forse dovremmo interrogarci su quanto più socialismo ci sia nella religione rispetto a quanto oggi è riposto nella democrazia costituzionale degli stati, il nostro compreso.
Platone, ancor prima, sosteneva che «Una delle punizioni che ti spettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori», se la pensiamo ancora come lui dovremmo riflettere molto attentamente sul continuare a scandalizzarci per quanto succede ad “altri” senza che “noi” si muova un dito.
Se davvero vogliamo che i cervelli, e tutto il resto dei loro corpi, restino a casa nostra dovremmo cominciare a pensare di più in modo sociale, collettivo e lungimirante.
Il nostro futuro è già nel nostro oggi.

ALITALIA È PRONTA PER IL BANCHETTO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Lo avevano già annunciato nella riunione con i sindacati del  27 luglio scorso e tre giorni dopo lo hanno reso ufficiale: i tre commissari straordinari incaricati dal governo hanno emesso il bando definitivo per la vendita di Alitalia SAI e Cityliner, confermando il termine per la presentazione delle offerte vincolanti per il prossimo 2 ottobre.
Nel bando, articolato e circostanziato, si evidenzia la previsione di priorità per le offerte che garantiscano l’unicità aziendale, senza, però disdegnare la vendita della compagnia a pezzi che possano essere acquisiti da soggetti diversi e, secondo alcuni sindacati, la sorpresa nello spezzettamento sarebbe la previsione di scorporo del settore dell’handling, unico settore che anche nel corso delle gestioni da essi criticate produceva ricavi interessanti e che in conseguenza di ciò potrebbe ora essere venduto a parte, confermando le preoccupazioni di come la vendita possa diventare la spartizione delle spoglie di Alitalia a tutto vantaggio di competitori che potrebbero strappare alla nazione parti importanti di un mercato ricco come quello del trasporto aereo italiano.
Pur non mettendo in dubbio le prerogative che la legge assegna ai commissari, viene contestato che “spetta al Governo prendere le decisioni strategiche che riguardano il patrimonio industriale e sociale del nostro Paese in un settore che registra una crescita a due cifre per il 2017 in Italia.”.
Francesco Staccioli, Segretario Nazionale del Sindacato di base USB Trasporto Aereo, a proposito dello spacchettamento aziendale dichiara: “Per USB è inaccettabile persino l’ipotesi dello scorporo dell’Handling. Continuiamo a chiedere il blocco della svendita di Alitalia e pretendere che il Governo batta un colpo, senza più nascondersi dietro falsi alibi, tra l’altro smascherati impietosamente in Francia. Settembre si profila un mese sempre più decisivo.”
Al di là di altre possibili considerazioni, è ormai di dominio pubblico che la vicenda Alitalia nascondeva grandi limiti nella gestione della compagnia e che il problema non era il suo costo di gestione, in linea e talvolta inferiore a quello del mercato e dei concorrenti, ma, semmai risiedeva nell’ottimizzazione dell’organizzazione ed nella necessità di una strategia di miglioramento dei ricavi fino ad ora assente, quindi la scelta di vendere, o svendere, a pezzi la compagnia, tradizionalmente di bandiera e fiore all’occhiello dell’immagine italiana nel mondo, si fa davvero incomprensibile se non si pensi a realizzare a tutti i costi il realizzabile, senza tener conto del mercato del lavoro e del possibile impatto futuro sull’economia nazionale.
La pratica degli ultimi decenni ha evidenziato come ad ogni ristrutturazione, cessione, vendita, siano seguiti problemi occupazionali: il nuovo acquirente sistematicamente taglia i costi del personale ed ottimizza le spese anche comprimendone i diritti, producendo un amento della disoccupazione e vessando i lavoratori.
È questo il destino previsto per Alitalia?
Hanno sbagliato i dipendenti che a maggioranza assoluta hanno rifiutato ieri 2000 esuberi su 12000 dipendenti per doverne affrontare forse un numero maggiore in altre compagnie per effetto della vendita all’asta?
Inoltre, che tipo di reale danno sociale può provocare questa operazione?
L’emersione del reale stato di salute economica di Alitalia ha evidenziato come la compagnia fosse sana, come il personale non avesse alcuna colpa del suo dissesto economico e come le sue potenzialità fossero da sempre elevate, sarebbe ora sufficiente continuare a considerarla un “patrimonio nazionale” da difendere per poterla in breve tempo far ripartire.
In altri stati si operano scelte diverse a tutela del mercato interno del lavoro, in Francia, il leader considerato più liberista dell’Unione, pensa a statalizzare dei cantieri navali perché patrimonio indiscusso dello stato e scalzando persino il governo italiano che vuole investire in essi; in Germania è legge l’obbligatorietà della “cogestione” persino nelle aziende private, che realizza una partnership attiva con i lavoratori nei processi decisionali aziendali e la loro partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili migliorandone la competitività e l’efficienza; in Italia, invece, abbiamo ceduto, e continuiamo a farlo, grandi parti di aziende strategiche nazionali che, in qualche caso producevano, ed ancora producono, risultati importanti, come ENAV che realizza ogni anno oltre 70 milioni di euro netti di utile consolidato, vicini al 10% del suo fatturato e che sono persi per sempre.
Forse dovremmo cominciare a ripensare al mercato interno del lavoro come un bene da tutelare e non come un valore da svendere, forse dovremmo cominciare ad attuare la nostra Costituzione repubblicana, prima di pensare a smantellarla, forse dovremmo riflettere sul valore delle ultime tre parole della prima frase della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

STAVOLTA HAI TOPPATO ALLA GRANDE

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Enrico Mentana carissimo, di solito mi piaci molto, però stavolta hai toppato alla grande.
Da giornalista ti sarebbe bastato leggere la prima ANSA del mattino per capire che dei lavoratori in procinto di essere licenziati, con la complicità di una legge che impedisce loro di scioperare persino quando perdono il posto, erano così disperati, arrabbiati e stressati da mesi di appelli caduti nel vuoto e nel silenzio stampa, che non hanno trovato di meglio che fare la “guerra tra poveri”, vale a dire impedire in modo estemporaneo a chi era stato assunto con meno diritti e meno stipendio di loro, all’unico scopo di “rubare” il loro posto di lavoro, di sostituirli.
Era il primo agosto?
Che ci vuoi fare, l’azienda ha scelto bene la data per metterli sul lastrico: quando quelli come te devono andare in vacanza e se ne fregano dei portabagagli, troppo umili e lontano dai ricchi vacanzieri…
Qualcuno è partito in ritardo per le vacanze e qualcuno, per quello che ha fatto, verrà sanzionato duramente, perderà il posto di lavoro e si troverà una multa salata per aver cercato di difenderlo.
Caro Enrico Mentana, se sei davvero sensibile ai problemi della gente, se davvero tieni alla repubblica fondata sul lavoro, rettifica, chiedi scusa e licenzia chi ti ha consigliato male, fossi anche tu stesso.
Chi è conosciuto e famoso come te provoca grandi benefici, ma può fare anche gravi danni, a te non costa nulla, anzi, ammettere i propri errori ti rende più grande e forti di tutti quegli stupidi che non sanno farlo.
Io sto con chi difende il proprio posto di lavoro, io sto con chi, per farlo, infrange le “regole” volute da chi non vuole essere disturbato mentre schiaccia i diritti degli altri e rovina le loro vite.
Fallo anche tu, stai con noi.
http://www.rds.it/podcast/100-secondi-con-mentana-01-08-2017-1057-01-08-20171057/

 

SCANDALOSO. LICENZIANO PER RIASSUMERE CON SALARI PIÙ BASSI. SCIOPERO A MALPENSA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dal nostro inviato a Malpensa

É in corso dalle 5 di questa mattina uno sciopero spontaneo dei lavoratori del trasporto bagagli di Linate e Malpensa dopo le ultime inutili proteste dei lavoratori contro il sistema di subappalti che si vorrebbe diffondere negli scali italiani, licenziando personale dalla aziende concessionarie per poi riassumerlo decimato e con salari insufficienti dai vincitori degli appalti, secondo i sindacati solo un modo per vessare e sfruttare i lavoratori senza una reale necessità di risparmio.

Nei giorni scorsi le proteste dei sindacati avevano avuto voce quasi unanime, FILT FIF UILT FLAI USB CUB ADL avevano diramato un comunicato contro questo sistema dannoso per il lavoro e per la dignità dei lavoratori senza essere stati ascoltati e, complice la franchigia imposta dalle autorità dello stato in materia di scioperi, le aziende stavano procedendo alla sostituzione del personale con le nuove imprese appaltanti contando sulla “pace sociale” da questa ingenerata a loro favore.

I lavoratori, invece, hanno deciso di infrangere questa assurda regola che permette alle aziende di vessare il personale ed ai lavoratori di protestare riunendosi in assemblea proprio nei luoghi di lavoro e bloccando così le operazioni di carico e scarico dei bagagli nel primo giorno di lavoro delle nuove cooperative.

I viaggiatori hanno da subito riportato sul web «Migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate».

Secondo i sindacati l’agitazione sarebbe la mancata risposta da parte delle istituzioni dopo l’incontro svoltosi ieri in prefettura a Varese per l’ingresso della cooperativa Alpina che dovrebbe iniziare a operare in subappalto per contri di Ags.

I viaggiatori sono scatenati sui social, fin dalle prime ore del mattino scrivono su Twitter «1 agosto, sciopero a Linate e Malpensa. Ma che bel vivere», «Linate, agitazione spontanea del personale aeroportuale. Bravi, proprio bravi», «A Linate ore di attesa, migliaia di passeggeri bloccati, coincidenze saltate per “sciopero spontaneo” addetti ai bagagli».

Luca Pistoia, Rappresentante Sindacale USB che si trova sul posto dichiara che si è trattato di un “Grande risultato dei lavoratori degli handlers di Malpensa e Linate contro l’entrata delle cooperative, a fronte della mobilitazione di tutti i lavoratori che hanno di fatto bloccato gli aeroporti è stato emanato un provvedimento da ENAC che sospende in modo temporale il loro accesso”

Ora, ottenuto il primo provvedimento, il braccio di ferro continuerà nelle sedi istituzionali per difendere il lavoro di tutti, non si tratta di una “guerra tra poveri”, lavoratori contro e passeggeri in ostaggio, si tratta di una lotta per la dignità del lavoro oggi troppo spesso osteggiata da regole contro lo sciopero e contro i diritti che stanno minando i fondamento della nostra repubblica “fondata sul lavoro”.

Intorno alle 8,30 Milan Airports ha scritto che «Causa agitazione sindacale spontanea del personale di terra si stanno verificando disservizi e ritardi su Malpensa. Seguiranno aggiornamenti», i sindacati, per ora dichiarano che la protesta, che va avanti dal mese di Maggio, proseguirà unitaria fino a che l’azienda non recederà dalle sue intenzioni, per la salvaguardia della dignità e delle tutele dei lavoratori di Linate e Malpensa, a tal proposito Luca Pistoia di USB dichiara: “L’ingresso delle cooperative nell’unico servizio in cui sono ancora assenti, quello di Handling, significherà, come ben sanno i lavoratori, l’abbassamento delle condizioni di lavoro e la frantumazione dei diritti, per questo la protesta unitaria di tutti i sindacati del comparto proseguirà fino a che non verranno accolte per intero le richieste dei lavoratori: fuori le cooperative dal Comparto Handling”.

IN ARRIVO ALTRI TAGLI ALLE PENSIONI

I PIERLUIGI PENNATI
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Nell’assoluto ed ormai sistematico silenzio mediatico è iniziata da qualche settimana, nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, l’iter di due proposte di legge per modificare il quarto comma dell’articolo 38 della Costituzione, una a firma del suo presidente, Andrea Mazziotti, e l’altra del piddino Ernesto Preziosi, membro della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.
L’articolo in oggetto, dopo aver sancito i diritti dei cittadini con le frasi “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” prevede: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.”
Le due proposte in discussione sono molto simili tra loro, la proposta Mazziotti, sottoscritta da oggi 35 parlamentari tra Civici Innovatori, PD, FI e AP e dai quali si sono sfilati quelli di FdI dopo una prima adesione, chiede la sostituzione integrale del comma con le parole « Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni », di fatto aggiungendo però solo la parte “secondo principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni”.
Nella proposta Preziosi, invece, dopo il secondo comma dovrebbe esserne inserito uno disponente che “il sistema previdenziale debba essere improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e l’equità tra le generazioni, nonché la sostenibilità finanziaria”.
Sebbene non citata direttamente da Mazziotti, Le ragioni di questo cambiamento risiederebbero proprio nella sua “sostenibilità finanziaria” infatti nel suo sito web afferma che “Il rapporto Pensions at Glance 2015, diffuso dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) il 1° dicembre 2015, mette in luce in maniera molto netta alcune difficoltà del sistema previdenziale italiano.”
In particolare “Nel quinquennio 2010-2015 la spesa per le pensioni pubbliche ha in media assorbito il 15,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL). Si tratta del secondo valore più alto tra i Paesi dell’OCSE dopo la Grecia, una percentuale che sicuramente diminuirà all’aumentare del PIL italiano, ma che va comunque abbassata con una rimodulazione della spesa pensionistica nella direzione di una maggiore sostenibilità.”
e poiché “L’ISTAT ha poi reso noto che il 70 per cento della spesa pensionistica totale è assorbito da pensioni di vecchiaia.” e che “Nonostante un incremento graduale dell’età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni.”, il pericolo sarebbe che “il nostro sistema pensionistico non è in grado di reggere il peso di tre fattori concomitanti: la bassa età effettiva di uscita dal mercato del lavoro (la quarta più bassa dell’OCSE), il bassissimo tasso di occupazione per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni (il 26%, contro una media OCSE del 45%) e il fatto che ancora oggi molti pensionati ricevano pensioni generose, nonostante un basso livello di contributi versati.”
Sono proprio queste ragioni, secondo i proponenti, che sarebbero alla base dell’avvertimento dell’OCSE che “i lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile, a una bassa remunerazione in lavori precari non riescano a maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati.”
Insomma se vogliamo la pensione da vivi dovremmo abbassare immediatamente i costi della previdenza di oggi per permettere ai pensionati di domani di poter continuare a riceve, od almeno ricevere, una pensione.
“Se si va avanti così, – continua Mazziotti – le generazioni future avranno pensioni enormemente più basse di quelle di chi in pensione ci è già andato, se le avranno.” E poiché “qualsiasi intervento normativo non può ignorare le discriminazioni e le situazioni di privilegio, che già oggi sottraggono risorse alle pensioni più basse e che, soprattutto, si scaricheranno sulle spalle delle generazioni future. La presente proposta di legge costituzionale intende dunque introdurre nella Costituzione nuovi principi cardine ai quali devono conformarsi gli istituti previdenziali e assistenziali previsti dalla Carta.”
Quindi, il risultato sembra essere che per abbassare ancora le pensioni di oggi ci si appella nientemeno che alla costituzione stessa, affermando, “non si può considerare equo un Paese nel quale il sistema pensionistico discrimina fra pensionati di generazioni diverse. Viene meno un caposaldo della Costituzione, il principio di uguaglianza. Per questo, nella proposta si prevede che gli istituti, previsti dall’art. 38 e predisposti o integrati dallo Stato, devono essere informati ai principi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni.”
La conseguenza è che dopo aver aumentato l’età pensionabile più volte, modificati i criteri di erogazione, tagliata sanità e welfare in nome del pareggio di bilancio, invece di rilanciare e difendere l’industria ed il lavoro, si cerca di raggranellare ancora qualche soldo facendo sempre leva sulle categorie più deboli, i pensionati, addirittura in nome di una ipotetica equità futura.
Ma se è già stupefacente che per difendere le banche si trovino miliardi e per il lavoro si spremono anche quelli che lo hanno più, quello che maggiormente incuriosisce è che ad una proposta del centro destra in tale direzione fa eco una proposta del PD che, se possibile, è ancora più dura e sprezzante nei suoi termini, infatti se a destra si parla solo di equità generazionale, nascondendosi dietro gli allarmi dell’OCSE, a sinistra, se il PD lo è ancora, per lo stesso scopo si vorrebbe introdurre addirittura nella Costituzione la “sostenibilità finanziaria“ dello stato, cioè che se per qualsiasi altra ragione, scelte sbagliate e sprechi compresi, la sostenibilità fosse dubbia, i già poveri pensionati sarebbero comunque in prima linea a farne le spese.
Vogliamo la pensione da vivi, ma anche che sia adeguata e dignitosa per chi la riceve e non solo sostenibile per il bilancio dello stato a favore di banche e finanzieri, il lavoro, la pensione, la salute, la libertà, il welfare state, sono valori irrinunciabili: si può vivere senza una cassaforte piena, non lo si può fare senza una società solidale.

A CHI DICE CHE E' COLPA NOSTRA SE SIAMO POVERI, DRITTO SUI DENTI

DI IMMACOLATA LEONE
Siamo ridotti alla fame, facciamo tre lavori per portare a casa l’equivalente di mezzo stipendio mezzo,
mangiamo male perché costa mangiare discretamente,
non ci curiamo più perché sono finiti i soldi, bisogna solo sperare che un male incurabile non ti venga a trovare,
ci vestiamo al mercatino dell’usato, che se prima era divertente ora é l’unica alternativa, e quando pensi di essere riuscito a pagare l’ultima bolletta e sorridi stanco ,
e pensi che anche stavolta sei riuscito a pagarla, ecco che, ne arriva unaltra e strabuzzi gli occhi, se ti si buca un dente attaccati, gli occhiali li hai incollati.
E il mutuo? E la benzina? vabbe vai a piedi finche col caldo non ti coglie un infarto.
E i libri di scuola? Li avevi dimenticati, stupida, e allora cominci a correre, a correre prima che ti raggiunga la depressione altrimenti é la fine.
Ecco a chi dice che stiamo cosi perché lo abbiamo voluto noi,
dritto sui denti.

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LIBERISMO: SI, MA SENZA AUTOLESIONISMO

DI PIERLUIGI PENNATI
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La nazionalizzazione dei cantieri STX non passa inosservata, non solo per la mossa decisamente controcorrente rispetto ai tempi, nei quali “il mercato” sembra essere la soluzione migliore per i più “autorevoli” economisti ed influenti politici, ma soprattutto perche nel farla si scopre che un liberista dichiarato come Macron pensa che esistano ancora beni nazionali da difendere e non solo da vendere.
Nel farlo dà uno schiaffo all’industria italiana, scalzando Fincantieri, ed alla politica nazionale, facendo risvegliare il politico più presente nei media dei giorni nostri, Matteo Renzi, da un sonno liberista nel quale Macron doveva essere un conpagno di merende ed invece si fa i fatti suoi.
Il sindacato USB, impegnato nella campagna per la nazionalizzazione di Alitalia ed Ilva, non perde tempo e titola “Nella Ue nazionalizzare si può. La Francia lo fa per STX, l’Italia deve farlo per Alitalia e Ilva”.
Stefano Fassina non è da meno e scrive sulla sua bacheca Facebook “Il Governo Macron ha deciso di nazionalizzare i cantieri Stx di Saint-Nazaire cancellando brutalmente la soluzione già contrattata per il passaggio del 67% della proprietà del cantiere navale a Fincantieri. Il Governo italiano rimane a guardare.”
Se la critica al governo è chiara, è altrettanto chiaro che la mossa scoperchia un problema assai più grande: vale sempre la pena di privatizzare?
Vendere o svendere beni dello stato è una tendenza diffusa sempre più, non solo in Italia, ma in Italia ha raggiunto negli ultimi decenni livelli davvero da record, sono state privatizzate sia aziende sane che aziende in crisi per colpa non del mercato e della richiesta, ma dei manager incapaci, premiati per andarsene e regalando ad altri incapaci che poi hanno continuato la rovina.
È il caso di moltissime aziende, “Intanto, Vivendi ha conquistato TIM. Ma è soltanto l’ultima acquisizione di preziosi e strategici asset italiani da parte di altri paesi dell’Ue, in un quadro di conclamata assenza di reciprocità.”, continua Fassina, “L’intervento dello Stato in imprese di primaria rilevanza per lo sviluppo del Paese rimane un tabù? È grave e irresponsabile la passività del Governo.”
Abbiamo assistito inermi a privatizzazioni inutili e dannose, persino aziende ultrasane, produttive e strategiche per la sicurezza nazionale, come ENAV, l’Ente Nazionale di Assistenza al Volo, che produce da sempre utili record, dagli oltre 50 milioni nel momento della sua privatizzazione ai ben 76 dell.anno scorso, ceduta al 49% per circa 400 milioni, valore recuperabile in meno di 8 anni e perduto per sempre.
In Francia Macron sostiene di voler proteggere l’industria nazionale, in Italia Padoan replica che serve proteggere le banche, il capitale innanzitutto, nel frattempo da noi si disperdono centinaia di migliaia di posti di lavoro a costi sociali superiori ai costi per la loro protezione nazionalizzando, quindi una riflessione seria dovrebbe forse essere fatta prima che sia troppo tardi e si sia troppo poveri e senza lavoro per poter reagire senza una rivoluzione armata, perché si sa, il popolo affamato non ha mai risposto a nessuna legge, democratica o meno.
Troppe aziende sono state privatizzate per proteggere il capitale, sarebbe ora di cominciare pensare di proteggere il lavoro, in fondo, e fino a quando qualche scellerato non riuscirà a cambiarla, è scritto anche nell’articolo 1 della nostra costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”

UNA PETIZIONE PER IL DIRITTO DI SCIOPERO

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
La parola diritto deriva dal tardo latino dirictum e seppur in alcuni casi usata secondo la destinazione originale, procedere diritto, o anche il significato opposto di rovescio o verso, come un colpo diritto del tennis od il diritto della medaglia, il suo significato più intenso è quello assunto a partire dal medio evo, intendendo ciò che è giusto, equo secondo la legge e che è possibile pretendere.
Il diritto di qualcuno è anche il dovere di altri di concederlo, quindi diritti e doveri spesso si uniscono, ma qualche volta si contrappongono e l’esercizio da parte di qualcuno di un diritto può entrare in conflitto con l’esercizio di un altro diritto da parte di altri, rendendo necessaria una mediazione.
È questo il caso del diritto di sciopero, sancito come “costituzionale” dai padri fondatori è stato esercitato senza regole fino al 1990, quando, complice qualche concentrazione di scioperi nei trasporti che avevano creato disagi considerati “sproporzionati” nella cittadinanza, il legislatore ha pensato di regolamentare il settore così come, per altro, precisato nel testo costituzionale all’articolo 39: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolamentano” e che fino ad allora non erano state emesse.
In particolare la relazione che si era voluta assumere era il conflitto tra il diritto di sciopero e gli altri diritti costituzionalmente tutelati, così una prima stesura della legge aveva cominciato a porre difficoltà agli scioperanti affinchè i cittadini fossero avvertiti in tempo della eventualità e potessero comunque fruire di un minimo di servizi.
Da allora la legge di strada ne ha fatta tanta, dato che una seconda stesura, nel 2000, inaspriva le sanzioni per i lavoratori e dava maggiori poteri ad una commissione ad och creata a “garanzia” dell’osservanza della legge che delibera interpretativa su delibera interpretativa ha piano piano svuotato di potere il diritto di sciopero a favore delle aziende fino ad arrivare ai giorni nostri nei quali le difficoltà e le regole per poter esercitare il diritto sono così tante e tali da renderlo totalmente inefficace, con gioia dei datori di lavoro.
Per scioperare nei trasporti, per esempio, un sindacato deve dichiarare alla controparte aziendale il proprio dissenso. Fatto ciò l’azienda entro 5 giorni deve incontrare il sindacato per il “raffreddamento” del conflitto. L’incontro è obbligatorio, ma può essere disertato o presenziato senza accordo, cosa che capita regolarmente. Fatto ciò e non ottenuto nulla, il sindacato deve chiedere al prefetto od al ministero del lavoro la convocazione di un secondo incontro per lo stesso motivo, “raffreddare” il conflitto in essere. L’autorità interpellata chiama le parti entro altri dieci giorni e sia che la riunione vada ancora deserta o che non vi sia accordo solo successivamente può essere proclamato uno sciopero con almeno 12 giorni di preavviso.
Dalla tempistica sono sempre esclusi i giorni di invio documentale e degli incontri, così, se tutto va bene, dall’inizio ufficiale del conflitto, che di solito segue già di almeno qualche giorno l’inizio della protesta,  prima di poter “legittimamente” proclamare uno sciopero passano almeno 20 giorni ed almeno un mese prima di poterlo effettuare.
A questo punto sarebbe bello se fosse finita qui, invece è proprio ora che cominciano i disagi, gli scioperi devono rispettare una miriade di regolette introdotte dalla Commissione di Garanzia istituita dalla legge sullo sciopero che, a tutela degli altri diritti, limita modalità durate e concentrazioni di scioperi, al punto che spesso i sindacati avviano le agitazioni senza grossi motivi al solo scopo di “prenotare” le date utili a poter scioperare.
Basta dare un’occhiata in qualsiasi momento al calendario degli scioperi pubblicato nel sito della Commissione per capire già dalla prima occhiata che si tratta di una situazione insostenibile: http://www.cgsse.it/web/guest/elenco-scioperi
A questo vanno aggiunte le franchigie, date e periodi nei quali non si può scioperare, estati, ponti festivi, etc, cui si sommano le fasce protette giornaliere e, dulcis in fundo, le “comandate aziendali”, vale a dire i contingentamenti di personale che in ogni caso non può scioperare.
Questo è un altro punto decisamente dolente, dato che se in una località è prevista una sola persona in servizio nel tempo dello sciopero e la legge recita “le esigenze fondamentali di cui all’articolo 1; salvo casi particolari, devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero” è decisamente difficile dividere in un terzo la persona e frazionare una prestazione se questa non è articolata.
Ma se tutto finisse qui sarebbe ancora un paradiso, il vero problema, dopo tutte queste regole, diventa anche la mediazione, chiamata dalla legge “contemperazione” dei diritti, dato che i diritti sono tanti e spesso non chiaramente correlati.
Nella legge, la 146/90 modificata dalla 83/00, in particolare, si specificano sia i destinatari delle limitazioni, citando “Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporti di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.”, che i beneficiari: “tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico: la sanità; l’igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali; b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole; c) per quanto concerne l’assistenza e la previdenza sociale, nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario; d) per quanto riguarda l’istruzione: l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione; e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva pubblica.
Ora, ci sono ancora moltissime cose da dire, ma di fronte ad una tale mole di difficoltà, di diritti da contemperare e “scuse” adottate dalle controparti sembra evidente che il diritto di sciopero non è più esigibile veramente e come tale non è nemmeno più un diritto.
Mediamente un lavoratore spende 80 euro al giorno per scioperare, non si diverte e non va in vacanza, e le proteste, specie ultimamente, sono unicamente per licenziamenti, vessazioni, soprusi e cattiverie di ogni genere, che, in questa situazione, non possono più essere difese, svuotando completamente il senso non solo del diritto, ma della partecipazione sociale e riducendo tutti in schiavitù.
La punta dell’iceberg è stata forse raggiunta il 23 giugno scorso, quando il ministro dei trasporti Delrio è intervenuto in extremis con un decreto a bloccare gli scioperi previsti per due giorni dopo perché era previsto facesse “troppo caldo per autorizzare uno sciopero nel settore del trasporto pubblico locale”.
Troppo caldo per scioperare, ma non troppo per lavorare e certamente troppa autorità per assumere provvedimenti con tali motivazioni.
La reazione è stata quasi subito importante e condivisa da costituzionalisti, giuristi, docenti, avvocati e personaggi del mondo politico e della vita sociale del paese, inducendo il sindacato USB ad indire una petizione popolare per chiedere il ripristino del diritto di sciopero oggi negato.
A pochi giorni dal suo inizio, nel silenzio della “grande” comunicazione e nonostante le ferie estive, più di 3.000 persone hanno già firmato la petizione sulla piattaforma change.org.
Secondo il sindacato “La difesa della Costituzione e del diritto di sciopero dovrebbe rappresentare una via obbligata per tutti coloro che si definiscono democratici”, lamentando che “Purtroppo invece oggi gran parte delle forze politiche e dei mezzi di informazione sembra fare a gara per chi si dimostra più contrario all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito”.
I diritti dei lavoratori, la legge 300 o “statuto dei lavoratori”, e tutte le conquiste nel mondo del lavoro sono state possibili attraverso questo strumento che oggi sembra essere in pericolo di estinzione, l’invito dell’organizzazione sindacale USB è quindi di “firmare e a far firmare l’Appello in difesa del lavoro, della Costituzione e del diritto di sciopero”.
https://www.change.org/p/presidente-camera-deputati-e-presidente-del-senato-appello-in-difesa-del-diritto-di-sciopero

ATTENTI AL ROAMING, LE TRAPPOLE DELLA (DIS)UNIONE EUROPEA

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Ad un mese dall’introduzione del roaming Europeo vale la pena di fare un primo bilancio ed una piccola guida di istruzioni per l’uso per non incappare in grandi problemi quando si è all’estero.
C’è ormai una generazione di quindicenni che non ha mai visto la lira e che non ha la minima idea di come poteva essere l’Europa prima degli accordi di Schengen, passaporti per espatriare e cambi di valuta ad ogni frontiera, oltre, ovviamente, ai problemi legati alle comunicazioni che sono rimasti fino al 15 giugno di quest’anno quando, per effetto di una legge comunitaria, è stato abolito il costo del roaming telefonico per gli apparati mobili in tutti i paesi dell’Unione Europea.
Per molti di noi questo è stato un grande traguardo, perché chi va frequentemente all’estero in effetti ne aveva grande disagio, dato che, curiosamente, per chiamare lo Sri Lanka dall’Italia i costi possono variare da 1 a 3 centesimi al minuto, mentre per Germania e Francia si va dai 50 centesimi in su, a meno di non sopportare un comunque costoso contratto a forfait.
Ecco che l’abolizione del roaming risolve finalmente il problema introducendo un curioso paradosso, chiamare in tutta Europa dall’estero diventa persino più conveniente che dal proprio paese, infatti quando si viaggia la tariffa resta identica verso tutti gli stati e, per esempio, se avete 200 minuti per chiamare in Italia trovandovi in Francia potrete usarli verso tutti i paesi dell’unione senza ulteriori addebiti, Francia su Francia, Francia su Italia, etc.
La ratio della cosa è semplice e scritta nella legge: favorire gli spostamenti per scopi turistici e lasciare inalterato tutto il resto, quindi varrà la prevalenza su un periodo di quattro mesi, nei quali la maggior parte del tempo e del traffico dovrà essere trascorso e generato nel proprio paese di provenienza, nel nostro caso l’Italia.
Tutto risolto?
Certo che no, l’Europa è un’associazione strana, ci sono 28 paesi aderenti dei quali solo 18 adottano l’euro ed altri paesi non aderenti che pur adottando l’euro non sono assoggettati alle leggi comunitarie, parliamo di Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano, Montenegro, repubblica del Kosovo e le basi sovrane a Cipro di Akrotiri e Dhekelia e per ultimo c’è uno stato, la Svizzera, che pur essendo in posizione centrale rispetto all’unione adotta gli accordi di Schengen solo per le persone e non le merci, senza aderire all’unione e senza adottare l’euro.
Uno strano agglomerato le cui insidie sono dietro l’angolo, infatti se avete deciso di attraversare l’unione Europea per le vostre vacanze dovrete stare molto attenti a come impostate il vostro telefonino, dato che questo non conosce le leggi europee e per lui il roaming è roaming, vale a diche che agganciandosi ad un altro operatore estero non farà differenza se questo risiede in uno stato aderente all’UE o meno.
Quindi, uscendo dall’Italia, per navigare in rete, si dovrà abilitare il roaming internazionale e disabilitare, per non avere interruzioni, i limiti dei dati in roaming durante la permanenza all’estero, dati limitati per legge ad una sessantina di euro di costi, proprio per prevenire possibili abusi prima dell’abolizione dei costi.
Ora si sarà completamente in balia del roaming automatico e si dovrà prestare attenzione a dove ci si trova, se in Svizzera od in prossimità di uno degli stati sopra citati, vale a dire Andorra, Monaco, San Marino, Città del Vaticano, Montenegro, repubblica del Kosovo e le basi sovrane a Cipro di Akrotiri e Dhekelia, perché in questi posti il roaming può costare ancora davvero caro.
Ecco che se trovate ad Andorra un paio di megabyte di traffico Internet, corrispondenti ad una o due fotografie visualizzate in FaceBook, vi costeranno già una trentina di euro e se non avete una prepagata… beh, meglio aprire un mutuo.
Uno dei problemi è che, eccezion fatta per la Svizzera dove la dogana è ancora presente e visibile, gli altri stati spesso non ne sono più dotati od al massimo si passa attraverso una frontiera presidiata ma non attenta e non sempre la propria compagnia telefonica avverte correttamente o in tempo dell’uscita dai confini UE, così la prima connessione regalerà denaro, e non poco, alla locale compagnia telefonica rovinandovi un po’ le vacanze.
Una soluzione alternativa, almeno temporanea, per prevenire costi troppo alti potrebbe essere la sottoscrizione di un contratto limitato per il roaming internazionale odi pacchetti dati e minuti da usare all’estero, questo non vi salverà dallo spendere alcuni euro extra, ma almeno non vi prosciugherà il credito, dato che a seconda della compagnia questi pacchetti costano al massimo da 4 a 20 euro.
In ogni caso, l’attenzione deve sempre essere alta, l’Unione Europea non è un vero stato, non ha un solo prefisso telefonico e non ha regole comuni se non codificate nei limiti delle attribuzioni del parlamento comunitario, quindi prima di spostarsi, in Europa e non, si deve sempre vigilare e controllare le regole locali.
Per il resto, buone vacanze a chi ci va.

CONDANNA PER APPROPRIAZIONE INDEBITA, PER UMBERTO BOSSI E FIGLIO

DI IMMACOLATA LEONE

Il processo “The Family” così soprannominato per le spese private della famiglia Bossi, dove venivano utilizzati i soldi dei rimborsi elettorali per scopi personali, oggi è arrivato al capolinea, il giudice Maria Luisa Balzarotti ha così sentenziato: due anni e 6 mesi per Umberto Bossi, un anno e 6 mesi per il figlio Renzi e 2 anni e 6 mesi per l’allora tesoriere Belsito.
Nelle indagini, riguardanti il periodo tra il 2009 e il 2011,Belsito si appropriò di circa mezzo milione di euro, Umberto Bossi circa 208mila, il figlio Renzo 145mila euro più 48mila euro per acquistare una autovettura con annessa assicurazione e centinaia di multe. E la famosa laurea albanese costata 77mila euro.
La famiglia Bossi, Belsito, Roberto Maroni, e i legali tutti, inorriditi hanno gridato ad una sentenza ingiusta, ed essendo solo di primo grado andranno avanti.

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DISAGI ALTERNI PER LO SCIOPERO NAZIONALE TRASPORTI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Lo sciopero si sarebbe dovuto tenere il 26 giugno, ma il ministro Del Rio lo aveva differito con un’ordinanza nella quale compariva anche la motivazione che faceva “troppo caldo” per creare disagi, ma evidentemente non per lavorare, quindi USB Lavoro Privato e FAISA Confail, i sindacati che lo avevano indetto, lo hanno spostato, non senza protestare, a ieri , giovedì 6 luglio, quando le temperature pare fossero adatte a consentire l’astensione del lavoro.
Quattro o 24 ore di astensione a seconda delle città, come al solito controverse e come al solito segnate da episodi di differente intolleranza, sia dei cittadini, che delle imprese, come a Trento, dove Trentino Trasporti, affermando di non aver ricevuto in tempo la documentazione, ha intimorito i lavoratori con minacce dirette di sanzioni disciplinari, facendo fallire l’iniziativa.
Secondo USB, tramite Daniel Agostini segretario generale USB Trentino Alto Adige, si tratta di un inaccettabile «comportamento anti-sindacale, porteremo Trentino Trasporti Esercizio in Tribunale». In tutte le altre imprese trentine lo sciopero si è tenuto regolarmente.
A Roma i sindacati parlano di una adesione al 90%, e forti disagi si sono registrati a Napoli, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Firenze, dove scioperava anche il sindacato locale SUL, Venezia e molte altre città, con metro, autobus, tram, vaporetti e parte del trasporto ferroviario fermi per quattro o ventiquattro ore con modalità diverse da città a città a seconda dei sindacati.
I lavoratori protestavano contro la privatizzazione del trasporto pubblico locale e, nel caso delle 24 ore, erano comunque garantite le due fasce fino alle 8.30 e dalle 17 alle 20, che però non hanno evitato la folla alle fermate dei bus che rientravano ai depositi, mentre a Venezia lo sciopero ha creato solo disagi limitati per mezza giornata.
Secondo USB Lavoro Privato e FAISA Confail la privatizzazione delle aziende di trasporto pubblico locale e la riorganizzazione del settore tramite fusioni e liquidazioni comporteranno licenziamenti ingiustificati, USB chiede perciò di «difendere il diritto dell’esercizio di sciopero nei servizi pubblici essenziali, contro la politica delle privatizzazioni, le norme per la riorganizzazione dei servizi pubblici locali e delle aziende partecipate che prevedono fusioni, chiusure e liquidazioni e un esubero di personale di oltre 300.000 lavoratori».

PER RENZI VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTÙ

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ha comunque cantato vittoria dopo l’esito delle comunali, lo hanno fatto tutti, si vince e si perde e si deve far buon viso a cattivo risultato, il cambio di rotta, però, fa pensare che davvero questa volta Renzi sia in grande difficoltà: convocare la Direzione del PD a porte chiuse non passa certo inosservato, soprattutto perché è la prima da quando è segretario del PD.
Dopo i primi Tweet, le comunicazioni FaceBook e le dirette streaming sistematiche, l’ultimo cambiamento di pochi giorni fa era sempre nella direzione telematica, “L’Unità”, checché se ne sia detto organo tradizionale di partito da sempre, diventa “Democratica” e si distribuisce solo on line, a conferma dell’orientamento renziano alla comunicazione, subito dopo, però, un grande dietro front: la riunione della Direzione PD si terrà a porte chiuse.
Nel dire no allo streaming della Direzione, Renzi incolpa Pisapia: «E la roba di Pisapia si è rivelata un mezzo flop» ed aggiunge «In questa riunione dobbiamo parlare di cose di lavoro, ma se c’è la tv sai in quanti si alzano per prendere la parola e distinguersi…».
Vizi privati quindi, nessuna pubblicità, i panni sporchi si lavano in famiglia e nessuno deve sapere se davvero c’è una crisi interna e quanto questa sia è grande, anche se il sospetto è che entrambe non debbano essere trascurabili se persino Matto Renzi teme la comunicazione che è fin dal principio uno dei suoi cavalli di battaglia e principale alleato.
La Direzione PD di oggi è annunciata come squisitamente organizzativa, ci sono le feste dell’Unità da organizzare, quelle hanno al momento conservato il nome, ed i congressi locali di ottobre, quindi nulla di che, se non fosse che proprio il leader PD denunci la propria debolezza affermando: «Evitiamo la solita scena del Pd che litiga. In questa riunione dobbiamo parlare di cose di lavoro, ma se c’è la tv sai in quanti si alzano per prendere la parola e distinguersi…».
Certo, all’interno del partito le polemiche non sono tenere negli ultimi tempi e, nonostante le dichiarazioni di calma, la tensione di Renzi si percepisce tutta, altrimenti non avrebbe detto ai suoi «non voglio fare la guerra a nessuno, nemmeno a Dario. Diciamoci la verità, io non l’ho attaccato, lo strappo lo ha fatto lui e ora deve essere lui a ricucire. Se in direzione non parla e fa la parte di quello che non dice niente, nessun problema, ma se invece parte contro di me, allora la mia reazione sarà durissima. Del resto, i numeri sono dalla mia, lui al massimo in direzione avrà una decina di voti perché anche i suoi gli hanno detto che ha sbagliato ad attaccarmi dopo le dichiarazioni di Romano».
Da parte sua Franceschini replica secco con un «se Matteo non mi attacca, non ho motivo di farlo nemmeno io», mentre Cuperlo avverte senza mezzi termini: «mi aspetto che (Renzi n.d.r.) capisca che il partito è una comunità e non una caserma, che il segretario non è il comandante in capo. In un partito si discute e ci si confronta».
Dunque, il problema di oggi sembra essere proprio Renzi, che si è presentato per rottamare i vecchi quadri ed adesso, dopo gli insuccessi delle sue iniziative politiche, referendum costituzionale sopra tutte, evidentemente non vuole essere rottamato a sua volta e le Direzioni diventano sempre più calde, tanto calde da suggerire di non diffonderne i contenuti in barba alla tanto decantata trasparenza.
Alla fine anche per Renzi ci sono vizi privati e non solo pubbliche virtù e discuterne pubblicamente non piace a nessuno, soprattutto quando si pensa di essere ancora sulla cresta dell’onda e di poter utilizzare la propria popolarità anche per altri scopi, infatti, nel suggerire di tenere la calma ha già la testa altrove e  dice ai suoi: «Non cedete alle provocazioni, state buonini. Dobbiamo prendere il passo della maratona perché le elezioni anticipate non ci sono più. Abbiamo davanti a noi più di sei mesi di tempo, nei quali io girerò l’Italia per il mio libro e poi in treno».
Libri, campagne elettorali e rilancio della propria immagine, qualcuno potrebbe chiamarlo ego smisurato, altri potrebbero vedere interessati retroscena, quello che è certo è che quel «Se perdo il referendum, lascio la politica», sembra ormai, almeno da lui, dimenticato.

BATTERI FECALI NEL CAFFÉ

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Il colore è simile al cioccolato, ma non il gusto, e dopo aver letto questi risultati non sembra più azzardato affermare che qualche volta il caffè è una vera m…a, almeno secondo un’indagine del programma di giornalismo investigativo della BBC Watchdog che ha annunciato di aver trovato nel ghiaccio di tre delle più grandi catene di caffetteria del Regno Unito una presenza di batteri fecali.
I reporter riferiscono di aver effettuato i test prelevando segretamente il ghiaccio da bevande delle catene Costa Coffee, Starbucks e Caffe Nero e che i test hanno rilevato diversi livelli di batteri fecali.
L’esperto Tony Lewis ha affermato che i livelli riscontrati erano “consistenti” ed ha aggiunto che “Questi non dovrebbero essere presenti in nessun livello – indipendentemente che la quantità trovata sia significativa o meno”.
Nella stessa indagine è stata valutata anche la pulizia di tavoli, vassoi e sgabelli di 30 esercizi delle tre catene .
I risultati sono stati eclatanti: sette campioni di ghiaccio su 10 della catena Costa sono stati trovati contaminati da batteri fecali e sia da Starbucks che Caffè Nero in tre campioni su 10 testati erano contenuti batteri fecali coliformi.
Mr Lewis, membro del Chartered Institute of Environmental Health, ha detto che questo tipo di batteri sono “patogeni opportunistici – fonte di malattie umane”.
A seguito dell’indagine Costa ha detto di aver aggiornato le sue linee guida per la gestione del ghiaccio e di essere in procinto di introdurre nuove attrezzature di conservazione del ghiaccio, Starbucks condurrà proprie indagini a seguito della denuncia affermando che la catena considera l’igiene in modo “estremamente serio” ed un portavoce di Caffe Nero ha assicurato che “un’indagine approfondita” era in corso, e che la catena avrebbe preso “misure appropriate”.

LA COMMISSIONE EUROPEA FA TANA ALLA GOOGLE

DI IMMACOLATA LEONE
Dopo sette anni di indagini, arriva una multa record di 2,42 miliardi di euro, comminata dalla Commissione Ue, alla Google per abuso di posizione dominante nei motori di ricerca.
Secondo l’accusa dell’Antitrust europea, Google favorirebbe il suo servizio di ecommerce a discapito di altri. Questo avrebbe favorito concorrenza sleale e influenzato le scelte dei consumatori.
Ad esempio, se una persona cerca, su google, qualcosa da acquistare, il servizio shopping propone prodotti sponsorizzati da Google, lasciando indietro gli altri.
Come sottolineato dalla Commissione ” le prove dimostrano che il competitor messo maggiormente in risalto compare soltanto a pagina 4 dei risultati”, e se la prima pagina guadagna il 95% di tutti i click e la seconda solo l’1%, si spiegano molte cose.
La Google ora ha 90 giorni di tempo per pagare, altrimenti pagherà un’altra multa pari al 5% del fatturato giornaliero.
Il vicepresidente senior e consigliere generale di Google, Kent Walker, ha dichiarato che “siamo rispettosamente in disaccordo con le conclusioni annunciate oggi. Analizzeremo nel dettaglio la decisione della Commissione, considerando la possibilità di ricorrere in appello, e continueremo a sostenere la nostra causa.
Quando fate acquisti online – quello che volete è trovare in maniera facile e veloce i prodotti che state cercando. Allo stesso tempo, chi li vende vuole promuovere questi stessi prodotti. Ecco perché Google mostra annunci pubblicitari Shopping, mettendo in contatto le persone con migliaia di inserzionisti, grandi e piccoli, portando benefici ad entrambe le parti».
Per Google potrebbe non essere finita dal momento che l’Antitrust Ue, sta continuando le indagini, sempre per abuso di posizione dominante, su altri due fronti: uno riguarda il sistema operativo per dispositivi mobili Android e l’altra la piattaforma di raccolta pubblicitaria AdSense.

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SONO HITLER E LA NOTIZIA FA IL GIRO DEL MONDO

DI PIERLUIGI PENNATI
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pierluigi-pennati
Pubblicata sul sito in lingua inglese World Daily News Report il 20 giugno scorso, la notizia non ha tardato a fare il giro di tutto il mondo e persino importanti giornali italiani come Libero lo hanno riportato, questo sarebbe il testo tradotto:
“ARGENTINA: UN UOMO DI 128 ANNI SOSTIENE DI ESSERE ADOLF HITLER
Dall’Argentina arriva una notizia shock: un uomo di origine tedesca di nome Herman Guntherberg, che ha la bellezza di 128 anni e vive nella città di Salta, a nord-ovest del Paese sudamericano, ha annunciato al mondo di essere nientemeno che Adolf Hitler, il dittatore nazista, che oggi avrebbe proprio quell’età.
Intervistato dal giornale El Patriota, Guntherberg ha raccontato di essersi nascosto per anni e di aver potuto rifugiarsi in Argentina nel 1945, grazie ad un passaporto falso procuratogli dalla Gestapo poco prima che finisse la Seconda Guerra Mondiale. Avrebbe deciso di svelarsi solo dopo che i servizi segreti israeliani, il Mossad, hanno annunciato lo scorso anno di voler abbandonare la caccia ai criminali del Terzo Reich – la cui follia, come quella del loro capo, era riconducibile anche ad una serie di droghe -, ritenendoli ormai tutti morti. L’uomo ha detto di essere accusato di “molti crimini” dei quali si dichiara innocente, perciò di aver passato tutto quel tempo a nascondersi, ma avrebbe in serbo un’autobiografia in cui racconterà la sua verità. “Sono stato descritto come un cattivo solo perché abbiamo perso la guerra – ha sostenuto –. Quando la gente leggerà il mio lato della storia, cambierà il modo in cui mi percepisce”.
Ma è una bufala.
Il World Daily News Report è un giornale satirico dichiarato e molto ben fatto, tanto che moltissimi altri siti e quotidiani in tutto il globo hanno riportato la notizia come vera e non sono mancate testate che tutti considerano “autorevoli”.
La traduzione della dichiarazione di responsabilità del sito alla fonte di tutto recita:
“Il World Daily News Report si assume comunque ogni responsabilità per la natura satirica dei suoi articoli e per il contenuto fittizio dei loro contenuti. Tutti i personaggi che appaiono negli articoli su questa pagina – anche quelli basati su persone reali – sono puramente immaginari, ed ogni somiglianza tra loro e persone vive, morte o non morte è solamente un miracolo”
Bufala, dunque, ma la psicosi collettiva non sente ragioni, milioni di click, l’unità fittizia oggi quasi più importante quanto il denaro, per nulla, oppure per qualcosa, dato che proprio i click ed il traffico in rete oggi produce guadagno più di altri prodotti reali e forse qualcuno sperava in un incremento dei propri affari.
Bel tentativo, ma meglio rimanere affidabili, la fiducia è una cosa serissima, difficile da conquistare e facilissima da perdere, alle volte basta un click, appunto.
Per i più puntigliosi di seguito il testo integrale tradotto dall’originale:
“Un anziano di Salta in Argentina sostiene di essere il famigerato dittatore tedesco Adolf Hitler e di aver trascorso 70 anni in clandestinità. In un’intervista al quotidiano ultra-conservatore El Patriota, l’immigrato tedesco naturalizzato spiega di essere arrivato nel paese nel 1945 con un passaporto che lo identifica Herman Guntherberg.
Egli sostiene il suo era un passaporto falso prodotto dalla Gestapo verso la fine della guerra e che lui è in realtà l’ex leader nazista, Adolf Hitler. Dice che ha deciso di uscire allo scoperto dopo che un anno fa i servizi segreti israeliani ufficialmente abbandonato la loro politica di perseguire gli ex criminali nazisti.
“Sono stato accusato di un sacco di crimini fatto che non ho mai commesso. A causa di ciò, ho dovuto spendere più di metà della mia vita a nascondermi dagli ebrei, così ho avuto già la mia punizione “. L’uomo anziano sostiene si sta preparando a pubblicare la sua autobiografia per il ripristino la sua immagine pubblica. “Sono stato dipinto come un cattivo ragazzo solo perché abbiamo perso la guerra. Quando la gente leggerà la mia versione della storia, cambierà il modo in cui mi percepiscono “.
Dice che il suo libro sarà scritto sotto il nome di Adolf Hitler e sarà disponibile dal mese di settembre.
Molte persone, tra cui la moglie di 55 anni, Angela Martinez, credono che Herman Guntherberg in realtà non sia Adolf Hitler, ma sia semplicemente affetto da demenza. La signora Martinez sostiene il marito non ha mai parlato di Hitler fino a circa due anni fa, quando ha iniziato a mostrare segni di Alzheimer. “A volte, dimentica chi sono e dove si trova. Sembrava come in trance, e parlava di ebrei e demoni. Poi è tornato alla normalità. “
Lei pensa che suo marito potrebbe, eventualmente, essere stato un nazista e che può sentirsi in colpa per il suo passato, ma è convinta che non è Hitler. La moglie del signor Guntherberg sostiene che non sia Adolf Hitler, ma solo un uomo vecchio e senile che sta cominciando a perdere la lucidità.
Anche se quanto sostiene l’uomo appare piuttosto discutibile, si è acceso un animato dibattito in Israele e nella comunità ebraica americana per quanto riguarda il futuro dei criminali nazisti sopravvissuti. Il Mossad aveva dimostrato in passato la sua ambizione e portata globale con la cattura del criminale nazista Adolf Eichmann nel 1960 in Argentina, ma ha abbandonato questa missione negli ultimi anni.
Il Centro Wiesenthal, che sta ancora cercando di trovare e perseguire i criminali nazisti, ha criticato pubblicamente Israele nel mese di marzo dicendo che lo Stato ebraico stava ‘a malapena collaborando’ alla sua missione. Più di 70 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, pochi stati ed istituzioni stanno ancora cercando di trovare e perseguire i nazisti sopravvissuti e la maggior parte di loro morirà certamente senza mai essere stati puniti per i loro crimini.”
http://worldnewsdailyreport.com/argentina-128-year-old-man-claims-he-is-adolf-hitler/

ESPUGNATA LA " STALINGRADO D'ITALIA"

DI PIERLUIGI PENNATI
Sesto San Giovanni, città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza, antifascista per vocazione e tradizione, ci voleva un segretario «educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini», sono parole sue, come Renzi per farla cadere: dopo 71 anni di gestioni di sinistra la città passa con un risultato incredibile al centro destra.
Un evento ritenuto assurdo da tutti, la città era conosciuta anche come la “Stalingrado d’Italia” e persino il sindaco uscente, Monica Chittò, ha ammesso che «è un dato nazionale», anche se sostiene di sentirne “tutta la responsabilità”.
L’affluenza è stata bassa, solo il 45,61% degli aventi diritto, pari a 27.970 elettori, che però costituisce già un dato in aumento rispetto al 2012, quando Chittò aveva trionfato, che era stato di appena il 39,37% e che genera un risultato netto ed epocale anche nel complesso, dato che già poco dopo la chiusura dei seggi la situazione era chiara e si è conclusa con un quasi incredibile 58,63% dei voti allo sfidante di destra, Roberto Di Stefano.
Renzi appare sereno, «Lo sapevano tutti chi avrebbe vinto, le Politiche un’altra cosa», sostiene, eppure la situazione è chiara, «Siamo riusciti ad espugnare la “Stalingrado d’Italia”» ha detto trionfante il neo sindaco di Forza Italia di Sesto San Giovanni che, dopo 10 anni in aula sui banchi dell’opposizione, è oggi al governo ed afferma che «ha vinto il cambiamento». Già, ma quale cambiamento?
Forza Italia non è certo un partito nuovo e non è nemmeno sulla cresta dell’onda, ma a Sesto San Giovanni, simbolo della resistenza, pur di cambiare si vota all’opposizione, un’opposizione tutto sommato stabile, ma pur sempre impressionante.
Così a Sesto si Cambia, come in molti altri centro d’Italia, una batosta più che clamorosa per un centrosinistra che ha perso una delle sue storiche roccaforti e che ha visto, se possibile ancor più clamorosamente, la lista formata da Sesto nel Cuore, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, venir sostenuta nel ballottaggio anche da molte altre liste civiche che in altri tempi avrebbero forse votato diversamente.
L'immagine può contenere: sMS

NOME IN CODICE: AQUILA 100, COSTO 1 MILIONE DI EURO

DI IMMACOLATA LEONE

Siamo nell’era tecnologica e digitale, tutto ciò che ci circonda ormai è tecnologia avanzata ed a noi non tocca che subirne gli effetti, positivi o negativi che siano.
Oggi l’utilizzo di un drone è diventato indispensabile.
Rispetto all’uso monotematico di un agente 007, i droni svolgono compiti diversi e sono utilizzati nei campi più svariati, siano essi civili che militari.
Il drone piu costoso del mondo lo ha portato in Italia Ugo Vittori, ex poliziotto squadra mobile, oggi titolare dell’agenzia di investigazioni Eagle Keeper, di Bologna, capofila dell’antifrode applicata alle assicurazioni.
Un investimento andato a buon fine grazie all’alleanza economica con la Sky Sapience, partnership israeliana, e del Centro costruzioni di Domenico Beccidelli.
Aquila 100 non è un drone, ma un “sistema di intelligence”, di tecnologia israeliana, capace di trasmettere dati criptati in tempo reale, alimentato grazie ad un generatore montato su un pick up, lavora dai 10 ai 45 gradi, ha un puntatore laser il cui raggio emesso è invisibile all’occhio umano, ma servono lenti speciali.
Il suo cuore è il Payload che vede tutto, e un rilevatore incorporato segnala se un uomo è armato,
con una combinazione di termocamera più una serie di sensori è in grado di rilevarne l’impronta della mano lasciata sulla corteccia di un albero fino a 10 km di distanza, sia di giorno che di notte.
Attualmente è utilizzato sulle navi sulla striscia di Gaza,
per individuare l’arrivo di eventuali missili.
E’ unico nel suo genere, a differenza degli altri droni in uso militare che, dopo un volo di 15 minuti, devono immediatamente rientrare alla base altrimenti precipitano, come gia accaduto, Aquila 100 può rimanere in volo per un mese di fila, autoalimentandosi di benzina, con il suo generatore equipaggiato.
Il prototipo, ma neanche tanto, ha superato brillantemente la naturale diffidenza della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che sta pensando seriamente di utilizzarlo per la protezione dei concerti dei Depeche Mode e di Vasco Rossi.
Sono quattro i piloti abilitati a governare Aquila 100, tre uomini e una donna, Antonio Cavallone, Donato Giannini, Fabio Mongile
e poi c’è lei, Barbara Manfredi, 42 anni e piglio deciso, l’unica donna al mondo in grado di governare Aquila 100.
Vi pare poco?

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LA BOMBA INESPLOSA

DI PIERLUIGI PENNATI
Era il 12 marzo 2014 quando Matteo Renzi, già Premier, nel corso di una riunione del Consiglio dei Ministri affermava: “Lo dico qui, prendendomene la responsabilità, che se non riesco a superare il bicameralismo perfetto non considero chiusa l’esperienza del governo, considero chiusa la mia esperienza politica”.
Da allora una lunga lista di promesse che, tralasciando le riforme mancate, da sole avrebbero già da tempo dovuto cancellarlo dalla politica nazionale, invece pare sia il candidato premier alle prossime elezioni politiche.
A questo punto appare chiaro che quando a scuola lo avevano soprannominato “il bomba” non esageravano, di bombe fin qui ne ha piazzate, ma lui non accenna a voler esplodere, mentre tutti intorno a lui sono scoppiati dalla fatica.
Ma vediamo cosa ha detto precisamente dopo quel 12 marzo 2014, quando le promesse di andarsene si sono moltiplicate:
30 marzo 2014, TG2:
“O facciamo le riforme, o non ha senso che io stia al governo. Se non passa la riforma del Senato, finisce la mia storia politica”.
29 dicembre 2015, Conferenza stampa di fine anno:
“È del tutto evidente che se perdo il referendum costituzionale, considero fallita la mia esperienza in politica”.
12 gennaio 2016, Repubblica.tv:
“Intendo assumermi precise responsabilità. È un gesto di coraggio e dignità. Se perdo il referendum io non solo vado a casa, ma smetto di far politica”.
20 gennaio 2016, Aula del Senato:
“Lo ripeto anche qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza politica. Credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica”.
25 gennaio 2016, Quinta Colonna su Rete 4:
“Io non sono come gli altri, se gli italiani diranno No, prendo la borsettina e torno a casa”.
7 febbraio 2016, Scuola di formazione del PD:
“Se vince il No prendo atto del fatto che ho perso. Dite che sto attaccato alla poltrona? Tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona”.
12 marzo 2016, Scuola di formazione del PD:
“Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa, ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”.
20 marzo 2016, Congresso dei Giovani Democratici:
“Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più”.
28 aprile 2016, #matteorisponde su Facebook:
“Sto personalizzando? No, se perdi una sfida epocale che fai? Racconti che i cittadini hanno sbagliato? No, hai sbagliato tu”.
2 maggio 2016, ANSA:
“La rottamazione non vale solo quando si voleva noi. Se non riesco vado a casa”.
4 maggio 2016, RTL 102.5:
“Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone”.
8 maggio 2016, Che tempo che fa su RAI 3:
“Non è personalizzazione, ma serietà. Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto proprio di fare politica”.
11 maggio 2016, Radio Capital:
“Se non passa il referendum la mia carriera politica finisce qui. Vado a fare altro”.
11 maggio 2016, ANSA:
“Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo: finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro”.
12 maggio 2016), Porta a Porta su RAI 1:
“Se vince il No, mi dimetto il giorno dopo e torno a fare il libero cittadino”.
21 maggio 2016, L’Eco di Bergamo:
“Se perdiamo il referendum, vado a casa. Questa è personalizzazione? No. Questa è serietà”.
21 maggio 2016, durante un comizio a Bergamo:
“Non sono andato a palazzo Chigi dopo aver vinto un concorso, mi ci ha messo quel galantuomo di Napolitano con l’impegno di fare le riforme. Se non ottengo questo risultato, l’Italia continuerà a essere il Paese degli inciuci e del Parlamento più costoso del mondo. Se l’Italia vuole questo sistema, è giusto che lo faccia senza di me”.
22 maggio 2016, In mezz’ora su RAI 3:
“Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via”. (Nel governo Gentiloni tutti confermati, tranne il ministro Giannini)
1 giugno 2016, Virus su RAI 2:
“Se perdo il referendum troveranno un altro premier e un altro segretario”.
2 giugno 2016, Il Foglio:
“Io sono fiducioso che vinceremo bene. Ma se il referendum andrà male continuerò a seguire la politica come cittadino libero e informato, ma cambierò mestiere. Vuole uno slogan semplice? O cambio l’Italia o cambio mestiere”.
29 giugno 2016, eNews:
“Secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla?”.
31 luglio 2016, La Repubblica:
“Personalizzare questo referendum contro di me è il desiderio delle opposizioni, non il mio”.
17 novembre 2016, ANSA:
“Io non posso essere quello che si mette d’accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio”.
21 novembre 2016, #matteorisponde su Facebook:
“Non sto qui aggrappato al mantenimento di una carriera. Non ho niente da aggiungere al curriculum vitae”.
30 novembre 2016, Matrix su , Canale 5:
“Io sono un boy scout, non voglio diventare come gli altri, il mio lavoro deve servire a cambiare il paese. Se vogliono un bell’inciucione, se lo facciano da soli…”.
30 novembre 2016, Comizio ad Ancona:
“Non sono quello che fa accordicchi alle spalle dei cittadini. Per questo possono chiamare qualcun altro”.
30 novembre 2016, Repubblica.tv:
“Se gli italiani dicono No, preparo i pop-corn per vedere in tv i dibattiti sulla casta”.
Dopo di che, il referendum: 33.244.258 votanti su 50.773.284 di aventi diritto, il 65,47%, ha espresso la propria preferenza con 13.431.842 SI, il 40,88% e 19.420.271 NO, il 59,12%.
Quasi 20 milioni di italiani, il 38,25% della popolazione, ha detto a Matteo Renzi che poteva tranquillamente ritenere conclusa la sua carriera politica.
Quindi?
Quindi il bomba è ancora lì, più carico di prima e questa volta si vuole far eleggere, così non potremo nemmeno più accusarlo di non essere passato dalla prova elettorale.
Il metodo sembra funzioni, nel nostro paese vince chi la spara più grossa e Matteo Renzi usa da sempre l’artiglieri pensante con un bel numero di soldati nelle sue file.
Già, oltre a lui a sparare grosso ci sono stati altri, il renzismo, più che la rottamazione delle vecchia politica, sembra delinearsi come un modo di fare ben preciso: promettere e fare il contrario.
Insieme a lui anche Maria Elena Boschi si è data da fare con le bombe, il 27 aprile 2016 durante la trasmissione Otto e Mezzo su LA7 aveva detto “Se un governo ha avuto il mandato da Napolitano a fare le riforme e queste poi non passano, è normale che ne prenda atto”, poi, il 22 maggio 2016 a In mezz’ora su Rai 3 ha ribadito “Noi vinceremo, quindi questo problema non si porrà. Ma comunque sì, noi siamo molto serie e se Renzi perde anch’io lascio la politica, perché è un lavoro che abbiamo fatto insieme. Come potremmo restare e far finta di niente?”.
Il metodo renziano gli ha portato quindi una bella nomina a Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel successivo Governo fotocopia di Gentiloni, al contrario di quanto affermato, restando e facendo finta di niente.
Dario Franceschini, confermato al ministero dei Beni Culturali nel Governo Gentiloni, proseguiva la legislatura dopo aver detto seccamente su Repubblica il 29 maggio 2016 che “Il ritiro in caso di vittoria del No non è una minaccia, a me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio”.
Anche se il caso che ha fatto più eco è forse quello di Valeria Fedeli, Ministro dell’Istruzione nel Governo Gentiloni, che da vicepresidente del Senato a L’aria che tira, su La7, il 4 dicembre 2016 ha detto con piglio deciso e convinto: “Se vince il No il giorno dopo bisogna prenderne atto, non possiamo andare avanti perché non avremmo più l’autorevolezza. Sarebbe giusto rimettere il mandato da parte del premier ma anche da parte dei parlamentari: tolgo l’alibi a chi pensa ‘tanto stiamo lì fino al 2018’, perché pensano alla propria sedia. Io non penso alla mia sedia”.
Lavoro, tasse, RAI, immigrazione, scuola, casta, etc, se escludiamo una recrudescenza sui cittadini che ha provocato l’effetto di ridurre i procedimenti giudiziari ed i contenziosi fiscali a svantaggio dei loro diritti costituzionali, è davvero difficile trovare un provvedimento del Governo Renzi o dei suoi ministri accolto con favore dalla popolazione, eppure il bomba circola ancora e sta tornado.
La prova elettorale di domenica 11 giugno 2017 è stata importante, ma solo per le città.dove si è svolta, “senatores boni viri senatus mala bestia”, la politica nazionale si fa a Roma, i sindaci delle città sopravvivono spesso contro i loro stessi partiti, dovevamo votare subito, se il referendum fosse stato perso, si andrà, invece, a fine legislatura, permettendo di maturare quegli ingiusti privilegi che si era detto i parlamentari non dovevano più avere.
Se ancora una volta il bomba non esploderà dissolvendosi in una bolla di fumo, allora aveva ragione lui, gli italiani avevano sbagliato e sarà dimostrato che quasi 20 milioni di italiani non possono nulla contro una politica ingiusta, ma diffusa.

TROPPO ONESTA PER FARE IL POLIZIOTTO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Qualche volta l’onestà è una colpa, così grave che non puoi nemmeno fare il poliziotto.
Questo è quello che è successo a Maria Cristina Fossati, ex comandante della polizia locale di Lonate Pozzolo, un piccolo comune in provincia di Varese dove, a quanto pare, i problemi di corruzione non sono tanto differenti o meno importanti che altrove.
Il sindaco Danilo Rivolta aveva ripetutamente cercato di farle capire che la sua solerzia nel Far rispettare le leggi, ed in particolare gli abusi edilizi, non era gradita.
«Se non sistemi il tuo ufficio io ti faccio cacciare», le diceva il sindaco senza ottenere ascolto, perché per la comandante se sei un poliziotto di qualsiasi rango DEVI far rispettare la legge, così per la sua sordità agli avvertimenti era stata destituita e confinata in un ufficio da dove non poteva più indagare: demansionata.
A suo posto Costantino Gemelli, che ora, dopo che il tribunale le ha dato ragione, si trova indagato.
Un brutto pesce d’aprile per chi la voleva lontano dal suo ruolo di tutore della legalità, dal primo di aprile Fossati è vicecomandante del Comando di Busto Arsizio e siede al suo nuovo tavolo con orgoglio speciale: «Me lo aspettavo, sapevo che la conseguenza del mio doveroso rispetto della legge sarebbe stata la rimozione dal ruolo. Sapevo però che la Procura e le forze dell’ordine stavano lavorando in tutela della legalità e che la campagna diffamatoria montata contro di me si sarebbe sgretolata davanti alla verità. Era solamente questione di tempo», sono le sue parole.
Nel 2016, quando furono contestati a Rivolta una serie di illeciti, il sindaco, parlando di uno dei vigili non allineati, si sfogò lasciandosi andare ad un «Lo rovino, è un uomo morto, lo metto nella bara». Materia del contendere era un capannone di via Col di Lana che, secondo la Procura, avrebbe fruttato ai fratelli Rivolta una doppia tangente, quella versata dal venditore dell’immobile e quella versata dall’acquirente, a causa della volumetria maggiore di quella prevista, ed un chiosco per il quale era stata promessa una rapida quanto sospetta approvazione dell’ampliamento della sua superficie, oltre a vari illeciti, come lo sversamento di rifiuti inappropriati “autorizzati personalmente dal sindaco”.
«Hanno pisciato fuori dal vaso, domani revoco la responsabilità al comandante», «Li devo far scoppiare tutti», diceva il sindaco al telefono al segretario comunale Maurizio Vietri.
Oggi, che si spera l’incubo sia finito, Maria Cristina Fossati ammette: «Non posso nascondere di aver provato molta amarezza ho passato momenti difficili. Ma se noi che siamo tutori della legalità non facciamo il nostro dovere, che immagine diamo ai cittadini?».
Una storia onesta che passa inosservata a favore di tante storie disoneste che ormai non ci scandalizzano più, ma è proprio delle piccole e significative storie come questa che si nutre la nostra speranza: piccoli esempi che devono diventare grandi, se l’onestà fosse una malattia ci dovremmo augurare una violenta epidemia.
Grazie signora comandante, non cambi mai.

LA SINISTRA È MORTA, VIVA LA SINISTRA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Una giornata in famiglia, dopo la fatica delle primarie del “suo” partito, prima di tornare a Roma e preparare le prossime mosse: la nuova Direzione per epurare le ultime resistenze, la riorganizzazione degli organigrammi interni, la nuova legge elettorale e le priorità del Governo, con Alitalia e tutto il resto da rimediare prima delle nuove elezioni politiche.
Superato lo scoglio delle minoranze interne, per Renzi è ricominciata la campagna elettorale.
Mentre Andrea Orlando e Michele Emiliano, sconfitti alle primarie, non se ne vanno, anzi, rilanciano, partono le prime contestazioni, 68 e non 70% dei suffragi per Renzi, non 2 milioni di votanti ma tra 1,6 e 1,8 ed alla fine vincono tutti. Come al solito.
Qualcuno dice che il risultato era scontato, Emiliano, nonostante la netta sconfitta, giudica il suo 10% «un risultato straordinario», Orlando invece, resta più cauto, ma non meno combattivo e tutti, dico tutti, i miei contatti si dichiarano delusi: chi non è andato a votare per non sostenere un PD morente e chi si è chiamato fuori da tempo e ne contesta l’appartenenza alla sinistra più vera.
Insomma, malcontento generale per una votazione che ha interessato meno del 2% degli italiani che saranno chiamati a rinnovare il parlamento: il PD è morto, evviva il PD.
Un partito che fa parlare perchè ormai colonizzato da un solo soggetto che ne detta le sorti, ma non era così per tutti?
Un partito con un nome ed una tradizione ereditate dalla sinistra storica italiana che ha un leader maximo che dichiara di essere stato «educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini», grande democristiano, ma che di sinistra non ha mai avuto un gran che e che è comunque temuto dagli elettori della “vera” sinistra come se avesse detto di aver avuto come modello Ernesto Rafael Guevara De la Serna, meglio noto come il “Che Guevara”.
Se lo avesse almeno lasciato immaginare mi sarei davvero preoccupato per la possibilità che potesse ancora ingannare qualcuno con proclami socialisti e di sinistra, con la “giustizia sociale” citata ma non praticata, con il lavoro enunciato come diritto e poi reso precario dal jobs act, insomma con un’immagine di lotta e di sinistra si poteva pensare che qualche nostalgico si sarebbe lasciato ancora prendere per il naso, ma con Zaccagnini non si sbaglia, qualsiasi sia il nome del suo partito, tutti sapranno bene come votare.
Ognuno è padrone in casa propria, ma fuori da essa si deve fare i conti con il resto del mondo; il PD ha confermato il suo capo, bene, adesso tocca al resto del mondo guardare alla nuova legislatura, unica vera prova democratica collettiva consentita dal nostro ordinamento e che segnerà i prossimi cinque anni di governi.
Siamo abituati alle promesse elettorali, ma farsi buggerare due volte è davvero perverso e lamentarsi non serve a nulla, votare, qualche volta con coraggio, è l’unica cosa utile.
Il primo maggio, appena trascorso, è stato celebrato con molte passerelle ipocrite di valori celebrati per un giorno e rinnegati per tutto il resto dell’anno, ma una cosa ce l’ha ricordata: i diritti non li regala nessuno, i diritti si conquistano.

ALITALIA, UN KIT DA COSTRUIRE INSIEME

DI PIERLUIGI PENNATI
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È bastato un NO secco ad un accordo sbagliato che i lavoratori sono subito diventati dei “furbetti del cartellino”, equiparati a coloro che, nella pubblica amministrazione, si fanno i fatti loro invece di lavorare: fortunati dipendenti di una compagnia che li strapaga per non fare nulla, o quasi, e che oggi non vogliono rinunciare a nessuno dei loro “privilegi”.
Ieri Il Giornale titolava “I piloti kamikaze fanno saltare Alitalia”, gli altri quotidiani non erano più teneri ed il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha detto “La cosa più plausibile è che si vada verso un breve periodo di amministrazione straordinaria che si potrà concludere nel giro di 6 mesi o con una vendita parziale o totale degli asset di Alitalia oppure con la liquidazione”.
Tutti contro la scelta del 67% dei lavoratori che hanno respinto un accordo siglato da tutti i sindacati tranne USB, 10.000 lavoratori su circa 12.000 del totale sono andati alle urne esprimendo un voto che è comunque della maggioranza assoluta dei dipendenti, tutti ad affossare un piano capestro che vede lo stato ancora una volta grande assente ed oggi, se possibile, ricattatore.
Nell’era della disinformazione e delle facili cattiverie via social network, però, la realtà è ancora una volta molto differente da come viene dipinta e non si tratta né di dipendenti privilegiati né di guerre tra sindacati di base e “tradizionali”, quello che sta dietro la vicenda è molto più semplice e per certi versi più complesso, tanto da sembrare sfuggire alle normali regole economiche e di mercato.
Già, perché se un’azienda perde denaro ci saranno troppi costi, o troppi sprechi, od ancora pochi clienti, prezzi troppo alti, mercato saturo, … in Alitalia nulla di tutto ciò, se guardiamo i dati comparati tra le compagnie aeree nel mondo ed il costo del loro lavoro, verifichiamo facilmente che  in Alitalia questo non è superiore alla media, anzi, è andato calando negli anni collocandosi oggi tra i più bassi ed anche i costi di esercizio non sono superiori alle media, gli scali hanno costi uguali per tutti e le manutenzioni si fanno nello stesso modo su tutti i velivoli che sono sempre degli stessi modelli per tutte le compagnie. Allora, dov’è il problema, perché Alitalia è in perdita?
Gli economisti ci dicono che principalmente è perché viaggia con aerei troppo vuoti e tutti gli sforzi per contenere i costi e migliorare il servizio sono così vanificati. Io ci credo: da anni non prendo un volo Alitalia, non è competitiva, non certo per il prezzo del biglietto, quello è in linea con gli altri, ma per tutto il resto, dato che da Alitalia non sono disposto ad accettare quello che reputo “normale” per le altre compagnie aeree.
Così, se con Ryanair accetto di essere trattato come una merce qualsiasi, ammassato per ore in anticipo davanti ai cancelli di uscita per poi correre a prendere un posto prima degli altri, litigare per posizionare il mio trolley nella cappelliera, viaggiare scomodo e senza bibita e pagare come extra qualsiasi cosa, compreso il bagaglio in stiva, con Alitalia no: Alitalia “DEVE” farmi sedere comodo, accettare trolley, computer e borsa o borsello, servirmi una bibita molto buona ed avere personale paziente e gentile. Alitalia è una “compagnia di bandiera”, mica una “low cost”!
Proprio così, nell’era in cui ormai tutte le compagnie sono più o meno low cost e la distinzione tra i due servizi non è più così netta, Alitalia DEVE continuare a perdere denaro per mantenere un’immagine ormai non più necessaria e volare con mezzi vuoti perdendo denaro, tutto fa parte del gioco, immagine innanzi tutto.
Alitalia ha bisogno di cambiare, è rimasta troppo indietro, Alitalia non ha mai avuto necessità di “capitani coraggiosi” incompetenti ed antichi, commissari straordinari e nemmeno di ridurre ancora gli stipendi, Alitalia ha bisogno di un sistema di management vero che sappia cambiare con i tempi ed insieme ai lavoratori: Alitalia ha bisogno di se stessa, i nobiluomini e gli affaristi hanno fallito, appartengono ad un passato trapassato da molto tempo.
Oggi Alitalia può ripartire senza fermarsi, servono politiche di sviluppo condivise e compartecipate, con modelli gestionali nuovi per la compagnia ma collaudati altrove: cogestione e supporto pubblico.
La cogestione è possibile, dà i suoi frutti da sempre in Germania: sindacati che partecipano alla gestione aziendale condividendone benefici e responsabilità attraverso una democrazia interna molto stretta.
Il supporto pubblico, pensato almeno per le rotte “necessarie” al mantenimento della continuità del territorio nazionale, come avviene in Francia per i territori d’oltremare che sono collegati con contributi dello stato, è a conti fatti un risparmio, dato che molte città italiane “pagano” le compagnie aeree low cost, in termini di sconti e strutture, per avere un aeroporto vicino, determinando un costo sociale a carico di tutti ed usando, nei fatti, soldi pubblici per sostenere compagnie private. Anche questo è un aiuto di stato, perché non potrebbe essere usato per Alitalia?
Il mercato è ricco ed in espansione, i costi sono nella norma ed il personale ha competenze elevate, i mezzi ci sono tutti, ora serve solo buon senso, buona volontà e grande coesione, insieme ce la si può fare: io sto con i lavoratori Alitalia.

LAVORARE PER VIVERE, NON MORIRE PER LAVORARE

DI PIERLUIGI PENNATI
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L’occasione è la Giornata Mondiale sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro, che si commemora il 28 aprile, la notizia è che il numero dei morti sul lavoro non solo non cala, ma se possibile è persino in aumento percentuale rispetto al numero degli occupati.
A denunciarlo sono tutti i sindacati, che nei giorni scorsi hanno anche sfilato in manifestazioni per la sicurezza in tutta Italia, e le cifre sono davvero impietose: secondo l’INAIL, ogni anno ci sono circa 1.200 vittime del lavoro nel nostro paese. Dato approssimativo, poiché il monitoraggio si riferisce esclusivamente agli assicurati dell’ENTE e non alla totalità dei lavoratori, considerato che per chi lavora in nero non avremo mai una statistica certa.
Agricoltori anziani, lavoratori in nero, sfruttati dal caporalato, stagisti, etc, tutti coloro che per qualche ragione sono invisibili all’INAIL, ma che in qualche modo sbarcano il lunario, sfuggono ad ogni controllo ed il più delle volte i loro infortuni vengono coperti con altre ragioni per evitare il peggio, si lavora per vivere, anzi, per sopravvivere e se si può essere scoperti per non perdere il proprio lavoro.
Di tutti questi soggetti, che non sono pochi, non si sa quasi nulla, ma anche degli assicurati si parla poco, le morti sul lavoro non fanno grande notizia da sole, presi come siamo dalla valanga mediatica che privilegia le notizie stupide, ma incredibili, piuttosto che le informazioni utili, ma noiose, così che ci accorgiamo delle morti sul lavoro solo quando gli incidenti assumono il valore di una tragedia collettiva.
Tra ricatti di licenziamento, precariato, taglio dei fondi per la sicurezza e la tutela della salute, intensificazione di ritmi, aumenti di carichi di lavoro e politiche di profitto sempre più spinte, le misure di protezione per la salvaguardia della vita dei lavoratori, così come le tutele del posto di lavoro, diventano un lusso che pochi si possono permettere e le percentuali di incidenti mortali si incrementano ogni anno di cifre con valore delle decine di percentuale in un sistema sociale quasi indifferente ed ormai diventato disumano del quale ci si ricorda solo quando si celebra una ricorrenza.
Siamo stati tutti Charlie Hebdo per un giorno, possiamo essere disgustati dalle morti sul lavoro per un altro, domani si ricomincia, come sempre.
Così la strage è ormai quasi quotidiana, originata all’interno di un sistema sociale ormai non più retto da regole sociali ma solo da politiche di profitto, che considerano le persone numeri e sacrificano le vite alla redditività del capitale trasformando, in quest’ottica, gli incidenti in veri e propri veri e propri omicidi del capitalismo killer.
Le prove stanno nel dato più eclatante dell’intera statistica, cioè che circa il 95% dei soggetti deceduti sul lavoro era persone che operavano in aziende senza la copertura dell’articolo 18, vulnerabili quindi al licenziamento in caso di rifiuto anche parziale di prestazioni per ragioni di sicurezza, e che nel restante 5% delle morti avvenute all’interno di aziende con l’articolo 18, molti erano comunque lavoratori esterni ad esse che eseguivano lavori al loro interno: artigiani o lavoratori di piccole aziende comunque senza articolo 18.
In quest’ottica diminuire le tutele del posto di lavoro, come per esempio con il Jobs Act, diventa un comportamento potenzialmente killer da parte dello stato che dovrebbe, al contrario, tutelare i lavoratori, ed in questo le strutture sindacali hanno una grande responsabilità e dovrebbero mobilitarsi in modo permanente, e non solo per un giorno, trasformando la loro azione di “concertazione”, che ha caratterizzato almeno l’ultimo ventennio, in azione di “lotta” per tornare a quelle tutele e quei diritti abbandonati da troppo tempo in cambio di valori salariali asettici: non si vende e tantomeno svende la sicurezza e la dignità dei lavoratori.
Da sempre si lavora per vivere, ma se si deve morire per lavorare è tempo di cominciare a fare qualche riflessione.

COLPEVOLE DI ESSERE MALATO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Succede a Cuorgnè, un piccolo centro del Canavese tra Torino ed Ivrea, ma se fossimo stati altrove non sarebbe cambiato nulla, un’operazione al fegato, al cuore, una malattia che limita anche di poco le nostre capacità e si è subito fuori.
Questa volta è toccato a Franco Minutiello, sessanta anni, da tre anni ufficialmente malato di Parkinson ed ora senza lavoro a due anni dalla pensione.
L’azienda rifiuta ogni addebito: «Conosciamo bene la situazione di questo signore e ci dispiace molto per la sua malattia. Ma questa è un’azienda, non un istituto di carità» dice Alberto Garbarini, dirigente Tekonservice dove Franco Minutiello faceva il netturbino, «per noi lavorano già quasi trenta persone inabili. Per un dipendente malato in più non c’erano altre mansioni idonee da svolgere» ed a febbraio lo dichiara inidoneo nonostante avesse chiesto di poter accedere alla legge 104, che prevede una parte dello stipendio versato direttamente dall’Inps, e al part time, «questo per non gravare troppo sul mio datore di lavoro» dice, ma non è stato ascoltato.
Era stato assunto dieci anni fa dalla ditta che raccoglie i rifiuti nel Canavese come operaio e autotrasportatore e tre anni fa ha cominciato ad accusare i primi sintomi della malattia, quando la mano destra ha iniziato a tremare in modo insolito: «Ci spiace, lei ha il Parkinson» gli hanno detto i medici.
«Quell’occupazione non era il massimo, ma almeno mi dava da mangiare» dice l’operaio, ma il 17 marzo, dopo la lunga trafila vissuta tra ospedali, ambulatori, studi medici, arriva il telegramma della Teckonservice: «Inidoneo al lavoro».
«Ho sentito la terra franarmi sotto i piedi, è stata una mazzata», già nel 2015 è stato un continuo entrare e uscire dagli ospedali, «Mi sono dovuto assentare parecchio per le cure, non stavo bene e non potevo più svolgere la mia attività di netturbino come volevo e come pretendeva l’azienda da me» dice rattristato, «non hanno avuto alcun rispetto della mia vicenda e della mia persona».
Il suo avvocato, Silvia Ingegneri, dichiara che impugneranno il licenziamento davanti al giudice del lavoro del Tribunale a Ivrea, «Stiamo studiando il caso, ma c’è da dire che Minutiello è stato particolarmente sfortunato».
Il conflitto è con l’azienda, ma è lo stato il primo colpevole ad abbandonare i cittadini a se stessi: in nome di sprechi e mercato si riformano gli istituti sociali e si abbandonano le persone ai loro destini.
Ancora due anni e qualche mese e Minutiello avrebbe potuto accedere allo scivolo della pensione anticipata, ora la sua battaglia si trasferirà in Tribunale, circoscritta tra un’azienda che impiega altri disabili ed un altro colpevole di essere malato.
Una guerra tra poveri mentre lo stato resta a guardare.

PER PASQUA ALL’OUTLET LA COLOMBA DIVENTA UN LEONE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Due soli giorni di chiusura in un anno, l’anno scorso erano stati ben quattro, e la decisione di far lavorare duemila persone a Pasqua scatena la rivolta all’outlet di Serravalle Scrivia.
Nessun sindacato ad avviare la protesta, arrivano solo dopo ad organizzarla, in quasi venti anni nessuno si era accorto che mentre noi andiamo a fare shopping nel nostro tempo libero ci sono migliaia e migliaia di persone che lavorano per permettercelo e quelle persone sono polverizzate in migliaia di piccole realtà commerciali senza tutele, costrette a saltare tutte le domeniche, ed oggi anche le principali feste, per dare modo a chi è libero di cercare l’occasione, che molto spesso non c’è.
Un outlet center è una realtà complessa, costruito espressamente per generare un finto ambiente tra città campagna dove migliaia di negozi offrono i loro prodotti a prezzi scontati. L’affare non c’è quasi mai, la moda scontata è dell’anno prima ed anche più vecchia ed i prodotti nuovi hanno spesso sconti che anche i supermercati fanno, qualche volta una campagna genera una buona occasione, ma all’outlet ci si va perché, alla fine, è un grande “parco giochi” all’aperto, dove la ricerca dell’illusione di potersi permettere le cose da ricchi è il tema di fondo.
In questo ambiente sfavillante, musica e serenità ostentata i commessi e le commesse devono sorridere per sopravvivere, dal commercio alla ristorazione contratti a termine, anche di pochi giorni, molto precariato, part time e festivi non sempre pagati «E ora ci fanno lavorare anche il giorno di Pasqua. La prossima volta ci chiederanno di lavorare pure a Natale?», dicono i dipendenti, presente Alexander Delnevo, uno dei neo eletti rappresentanti dei lavoratori dice «Anche noi abbiamo famiglia, figli, esigenze personali».
Gli sconti non fanno sconto a nessuno di loro, ai dipendenti viene chiesto quest’anno di lavorare anche a Pasqua e santo Stefano, lasciando fuori solo Natale e Capodanno dai giorni lavorativi, per il momento, dato che i dipendenti erano già costretti a rinunciare a tutti i giorni festivi in nome del profitto e se per i sindacati finalmente attenti al caso il posto di lavoro si è ormai trasformato in un ricatto per il presidente dei commercianti della zona, Massimo Merlano, a ben vedere, è piuttosto una questione culturale: per lui il problema è nato «quando sono state concesse le autorizzazioni dalle amministrazioni che si sono succedute per l’apertura di grandi superfici commerciali, al di fuori del centri storici, con il benestare di tutti», poi è arrivato anche il decreto Salva Italia che ha liberalizzato del tutto le aperture.
Da  McArthurGlen, proprietaria di Centri Outlet in nove paesi del mondo, ribadiscono che «Agiamo nel rispetto della normativa, inoltre la nostra scelta è il linea con quelle di altri centri zona. Il Serravalle Designer Outlet ha dato e continuerà a dare considerevole impulso all’economia del territorio e a favorire l’occupazione».
Ricchezza, dunque, in cambio della vita sociale e famigliare delle persone compromessa dagli orari di apertura che in Germania, Austria Lussemburgo, Francia e Grecia risparmiano almeno la domenica ed i festivi, mentre in Italia, Inghilterra e Canada non danno tregua ai dipendenti che a Serravalle hanno per la prima volta costituito una rappresentanza sindacale e si preparano a non astenersi solamente dal lavoro, ma vogliono manifestare sulle rotatorie che conducono all’Outlet e lungo la provinciale Novi-Serravalle, organizzando picchetti per non far accedere la clientela ai negozi che apriranno comunque dove gli sarà possibile.
Il tentativo è di aumentare l’attenzione sul problema contando sui disagi che si potranno verificare sulla strada che, specialmente nei festivi, è solitamente molto trafficata, sfidando le leggi sull’ordine pubblico e la Commissione di Garanzia per gli Scioperi nei Servizi Pubblici Essenziali che potrebbe ravvisare qualche violazione ai diritti dei cittadini che voglio fare shopping, limitando le proteste per legge, come fa in molti altri settori, e sopprimendo i diritti dei lavoratori in rivolta in modo istituzionale ed indolore nell’unico interesse del profitto aziendale e del consumo.
Le aziende si stanno già organizzando: «Durante le festività, il flusso di visitatori italiani e stranieri nel bacino di Serravalle aumenta sensibilmente, anche grazie al fatto che il centro è diventato una destinazione turistica a tutti gli effetti e offre un’esperienza aggiuntiva oltre a quella culturale, che nei giorni di vacanza è molto apprezzata e fruita. Questo, nel rispetto della normativa», fa sapere la direzione dell’Outlet, «La scelta di rimanere aperti a Pasqua è inoltre assolutamente allineata a quelle di altri centri della zona. Una decisione che hanno condiviso in molti per soddisfare le richieste di clienti locali e turisti. Serravalle Designer Outlet ha dato e continuerà a dare considerevole impulso all’economia del territorio e a favorire l’occupazione. Infatti il centro ha appena completato una nuova fase di sviluppo che ha visto l’investimento di 115 milioni di euro. Non solo, nell’outlet di Serravalle sono impegnate circa 2 mila risorse di cui 400 inserite negli ultimi mesi».
Ma la protesta del Serravalle Outlet ha già contagiato anche il vicino Iper, un centro commerciale classico, costretto ad inseguire a propria volta le aperture domenicali e straordinarie e se sulla rete c’è già chi propone di organizzare una giornata “shopping free” per dare manforte ai lavoratori, dovremmo tutti riflettere davvero sul significato di spendere il nostro tempo libero domenicale e festivo in un outlet od un centro commerciale e se non sia meglio tornare alle vecchie tradizioni, prendendoci almeno una giornata a settimana libera da tutto, anche dallo shopping forzato.
In fondo anche Dio si è riposato il settimo giorno.

QUEI GRILLINI EUROPEISTI

DI PIERLUIGI PENNATI
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27 capi di stato e di governo ed un sindaco… grillino, che dopo aver incessantemente gridato all’uscita dell’Italia dall’UE, improvvisamente, cambia direzione e davanti alla platea annoiata di politici indifferenti al proprio ospite (l’unica che si è fermata a salutare Virginia Raggi è stata Angela Merkel) non solo non ha parole contrarie, ma addirittura diventa propositiva ed afferma “sono onorata di darvi il benvenuto a nome della città di Roma”.
Cerimoniale? Protocollo? Non si direbbe, nel suo discorso di benvenuto il sindaco di Roma ha parole positive e sincere per l’Unione, per lei l’Europa fu “un progetto visionario con l’obiettivo di garantire pace e benessere agli Europei”, “una scelta condivisa e non imposta da un vincitore, nata da un intento comune e dalla capacità di ascoltare i cittadini”, “Solidarietà”, “interesse dei popoli”, un’Europa, “solidale dei popoli”, che “abbiamo avuto in eredità tutti noi. Una eredità gioiosa e impegnativa da proseguire”.
Nella sala degli Orazi e Curiazi i leader europei sono chiamati a sottoscrivere un testo per rilanciare nei prossimi 10 anni l’integrazione europea davanti al documento originale del ’57, tutti sono ottimisti, Juncker è sicuro che “ci sarà un 100esimo anniversario Ue”, Gentiloni pensa che si debba “restituire fiducia ai concittadini”, per Mattarella “inizia una fase costituente” e Virginia Raggi non si tira indietro, abbandona l’acredine grillina contro questa Unione Europea foriera solo di danni per la nazione e rilancia: “Questa Europa non poteva realizzarsi in un giorno. Dobbiamo realizzarla noi, dobbiamo realizzare una comunità solidale. Stare insieme richiede impegno, soprattutto dopo anni segnati da una violenta crisi finanziaria che ha messo a nudo errori. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscerli e rilanciare la sfida: la finanza non è tutto. E nessuno deve rimanere indietro.”
Il sogno Europeo si fa grande e continua “La nostra generazione è chiamata a portare avanti quel sogno di Europa, ritornando allo spirito di quegli anni che oggi non c’è più e va recuperato.”
Europa, quindi, non da fuori, ma da dentro e con proposte precise “I cittadini devono essere messi al centro del potere decisionale. Le politiche non devono essere imposte dall’alto ma rappresentare la volontà popolare, introducendo strumenti di democrazia diretta e partecipata. Vanno tenute “in conto le attese dei cittadini”. L’Europa o è dei cittadini o non è Europa. Alcuni trattati, come il Regolamento di Dublino, vanno rivisti. Un’Unione soltanto economica non può durare. Lavoriamoci tutti insieme, aprendo porte e cuore ai cittadini. Solo con la partecipazione di tutti l’Europa sarà legittimata. L’unione può essere maggiore della somma delle sue parti. Questo concetto è alla base della cultura europea, all’interno della quale le diversità trovano valorizzazione nel rispetto delle identità nazionali.”
Di 27 capi di stato uno solo si è accorto del sindaco di Roma, quanti di loro si saranno resi conto che anche chi vuole uscire da un’Europa oppressiva si sente partecipe di essa e con essa vorrebbe in fondo crescere?
L’Italia è già un unione di culture che genera ricchezza, chissà se un piccolo sindaco bistrattato dai poteri forti è riuscito a toccare il cuore di quel re ormai nudo che oggi governa l’Europa.

LA MAFIA È ARRIVATA ALLA FRUTTA

DI PIERLUIGI PENNATI
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La mafia fiuta i business molto prima delle aziende e dello stato, questo è certo, e che le lunghe mani della mafia arrivassero in tutti i settori dove circolano soldi, meglio se tanti, tutti lo supponevamo, quindi lo stupore che crea il fatto che i Casalesi si erano messi in affari con i mafiosi in campo agricolo non verte tanto sul prodotto in sé stesso, quando al fatto che l’intera catena agricola, dalla produzione alla tavola, ne sia affetta.
Proprietari terrieri, contadini e manodopera sfruttata e sottomessa dalla mafia è cosa scontata, legata anche a territori difficili, ma che Gaetano Riina, fratello di Totò, avesse stipulato un patto con i camorristi per trasportare frutta e verdura da Roma in Sicilia non sembrava così ovviamente possibile.
Secondo la Coldiretti, che ha presentato un lavoro svolto dall’associazione dei coltivatori insieme a Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il risultato delle loro osservazioni evidenzia che il fenomeno delle agromafie è un affare che coinvolge l’intera filiera e nnon è radicato solo al Sud ma si è esteso in tutta Italia facendo perdere persino il primato alle città tradizionalmente conosciute come mafiose.
Se Reggio Calabria comanda ancora la classifica, Genova e Verona si trovano già al secondo e terzo posto nella “top ten” delle province più interessate dal business malavitoso, mentre Palermo si colloca solo al quarto posto e Caltanissetta, Catania, Agrigento ai piedi della classifica delle prime dieci, con Messina, Enna, Trapani, Ragusa, Siracusa solo oltre il ventesimo, pur restando il Sud comunque protagonista assoluto con due province in Calabria, tre in Sicilia, due in Campania (Caserta e Napoli) e Bari per la Puglia.
È il “Rapporto Agromafie 2017” a parlare chiaro e a collocare ai giusti posti il fenomeno, che avrebbe un giro di affari per quasi 22 miliardi di euro e con prodotti che vanno dal all’olio extra vergine di oliva, prodotto da Matteo Messina Denaro, alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di “Sandokan” dei Casalesi, fino al controllo del commercio ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, alla mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe ed alla proprietà e gestione di ristoranti, mettendo così le mani sull’intera filiera dei prodotti simbolo del Made in Italy, dalla produzione fino al consumo.
Nel corso della presentazione del rapporto, la Coldiretti ha anche allestito la mostra “La Tavola Delle Cosche” esponendo i prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan mafiosi, camorristici e ‘ndranghetisti per mostrare praticamente come un prodotto finito sulla nostra tavola al ristorante, come una pizza, per esempio, possa metterci in pratica “A Tavola Con Le Cosche” in un vero e proprio trionfo del “Made in Mafia”.
Il fenomeno, che ormai abbraccia per intero tutta la penisola e non esclude infiltrazioni all’estero, è ormai così esteso da fa dire al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina che “Il tema vero è riconoscere la complessità del fenomeno agromafie, al Nord come al Sud dobbiamo presidiare con grande attenzione”, aggiungendo che “Sulle agromafie non si può abbassare la guardia. Il mio ministero nelle attività di controllo ha fatto un salto di qualità enorme negli ultimi anni se penso ai 370mila controlli in tre anni che abbiamo realizzato autonomamente come ministero”.
Coldiretti ha anche commentato come a Genova “il dato emerso è particolarmente elevato a causa di un diffuso sistema di contraffazione ed adulterazione nella filiera olearia nelle fasi di lavorazione industriale ed approvvigionamento dall’estero di oli di minore qualità da spacciare come italiani. A tali aspetti si sono poi aggiunte le operazioni di contrasto delle Forze dell’ordine che hanno comportato il sequestro di prodotti agricoli esteri vietati o adulterati (ad esempio, farine Ogm e oli di palma). In provincia di Verona l’intensità dell’agromafia risulta significativa sia per il fenomeno dell’importazione di suini dal Nord Europa e indebitamente marchiati come nazionali, sia per gli interventi delle Forze dell’ordine a contrasto dell’adulterazione di bevande alcoliche e superalcolici come nel caso della rinomata grappa locale”.
Per Coldiretti, il dato più eclatante è che ormai i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola ed in particolare dei prodotti simbolo del Made in Italy, ricordando che i carabinieri del Ros hanno recentemente smascherato le attività criminali in Calabria della cosca Piromalli, che controllava produzione ed esportazione di agrumi verso gli Stati Uniti, ed hanno confiscato quattro società siciliane del settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello, oltre all’arresto di Walter Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco Schiavone detto “Sandokan”, per le sue imposizioni sulle forniture di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe.
Per il trasporto di frutta e verdura, la DIA, aveva già sequestrato a novembre i beni della “Autofrigo Marsala”, gestita da Carmelo Gagliano un imprenditore siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme a Gaetano Riina, fratello di Totò, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura. Gagliano, sconosciuto alla giustizia per reati di mafia, è stato posto anche sotto sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni, ma il suo sarebbe stato un ruolo di mero prestanome e nella ditta sequestrata ci sarebbero anche gli interessi di Ignazio Miceli, già colpito dal sequestro del patrimonio. Secondo quanto esposto, già nel 2011 erano emersi nel corso di un blitz alcuni contatti fra Francesco Schiavone, leader dei casalesi, e Gaetano Riina, che aveva preso il posto del fratello quale capomafia, ma nella sola Corleone.
“Solo nell’ultimo anno – ha evidenziato Coldiretti – le forze dell’ordine hanno messo a segno diverse operazioni contro le attività della malavita organizzata, con arresti, sequestri e confische contro personaggi di primissimo piano della mafia che hanno deciso di investire ed appropriarsi di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato è la moltiplicazione dei prezzi che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, ma anche pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero se non rischi per la salute.”, inoltre “ Nel febbraio scorso i Carabinieri del ROS hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di ‘ndrangheta Piromalli che controllava la produzione e le esportazioni di arance, mandarini e limoni verso gli Stati Uniti, oltre a quelle di olio attraverso una rete di società e cooperative. Nello stesso mese ancora gli uomini dell’Arma hanno confiscato 4 società siciliane operanti nel settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello. Attraverso la gestione occulta di oleifici e aziende, intestate a prestanome, il boss era in grado di monopolizzare il remunerativo mercato olivicolo. Sempre agli inizi di febbraio i carabinieri hanno arrestato Walter Schiavone, figlio capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone. L’accusa è di imporre la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe a distributori casertani e campani, ma anche in altre parti d’Italia, come in Calabria. A novembre 2016 è la Dia a mettere a segno il sequestro dei beni di un imprenditore dei trasporti siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme al fratello di Totò Riina, Gaetano, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura da Roma in giù, grazie anche al controllo del grande mercato di Fondi, nell’agro-pontino. A giugno la Guardia di Finanza mette a segno un blitz contro il clan camorristico Lo Russo. La cosca aveva il monopolio della distribuzione di pane e l’imposizione del prezzo di vendita, a grossi supermercati, a botteghe e agli ambulanti domenicali della zona.”
Neppure il centro di Roma è stato risparmiato, dove, da Piazza Navona alle zone considerate della Roma bene”, a maggio 2016 i carabinieri avevano sequestrato beni per 80 milioni di euro in bar, ristoranti e pizzerie ad almeno quattro imprenditori ritenuti coinvolti in traffici gestiti dalla camorra napoletana.
“Pochi giorni prima, ad aprile – ha continuato Coldiretti – le fiamme gialle sequestrano beni per 33 milioni alla cosca di ‘ndrangheta Labate. L’organizzazione criminale aveva il controllo del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio della carne”
Per far fronte a questa situazione diffusa, secondo il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo “bisogna, al più presto, portare all’esame del Parlamento o valutare l’ipotesi di una decretazione di urgenza, riguardo al testo della Commissione Caselli di Riforma dei reati agroalimentari per accendere il semaforo rosso alla rete criminale che avvolge da Nord a Sud tutte le filiere agroalimentari”, poiché “Di fronte a questa escalation senza un adeguato apparato di regole penali e di strumenti in grado di rafforzare l’apparato investigativo, l’enorme sforzo messo a punto dalla macchina dei controlli apparirà sempre insufficiente”.

MARTIN SCHULTZ, CHI È IL KAPÒ CHE SFIDA LA MERKEL

DI PIERLUIGI PENNATI
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Che Martin Schultz non avesse paura di nessuno lo avevamo intuito quando Berlusconi inveì contro di lui proponendolo per il ruolo di Kapò in un film sui nazisti, a quel tempo, però, Martin Schulz non era ben chiaro chi fosse e di cosa si occupasse.
Da allora ne ha fatta di strada, fino ad arrivare alla presidenza del suo partito, l’SPD, e candidandosi al non facile compito di diventare il successore di Angel Merkel, che si prepara ad entrare nella leggenda della Germania puntando al quarto mandato consecutivo, eguagliando la permanenza alla cancelleria di Helmut Kohl e guidando l’esecutivo eletto democraticamente più longevo di sempre, anche se i pronostici dicono che due tedeschi su tre non la vorrebbero più al comando.
Martin Schultz, nato 61 anni fa in una frazione di un paesino della Renania Settentrionale-Vestfalia, adiacente alla Aquisgrana che fu di Carlo Magno ed a soli 50 km da Maastricht, abituato così a respirare l’aria di campagna, ma dal sapore intensamente internazionale che insiste in quella zona di confini multipli ed aperti da tempi immemori.
Il più giovane tra cinque fratelli, è figlio di un poliziotto proveniente da una famiglia di minatori della Saarland e di madre borghese che fu cofondatrice della sezione locale della CDU della sua città natale Hehlrath, oggi divenuta parte nel non tanto più grande comune di Eschweiler.
Dopo il ginnasio superiore svolse un apprendistato come libraio, prestando poi attività presso diverse librerie e case editrici diventando persino proprietario di una libreria a Würselen tra il 1982 ed il 1994, quando fu eletto la prima volta deputato al Parlamento europeo.
La sua carriera politica non si è mai scostata dal Partito Socialdemocratico di Germania, a cui si iscrisse a diciannove anni nel 1974, diventando attivo all’interno della Jusos, l’organizzazione giovanile del partito e presiedendone la sezione di Würselen per poi passare alla sezione di Aquisgrana.
Fu anche consigliere comunale diventando sindaco a soli trentun anni nel 1987 e fece parte dell’SPD di Aquisgrana diventandone presidente nel 1996. Nel 2012 fu eletto presidente del Parlamento europeo e riconfermato nel 2014 è rimasto in carica fino al gennaio 2017 quando gli successe Antonio Tajani.
È stato membro del consiglio nazionale, dell’ufficio di presidenza e del direttivo federale dell’SPD, ma la svolta politica più importante nella sua carriera fu certamente l’ingresso nell’Europarlamento dove fu coordinatore del gruppo PSE nella sottocommissione per i diritti dell’uomo e nella commissione per le libertà civili e gli affari interni e dal 2000 al 2004 fu presidente della delegazione dei socialdemocratici tedeschi al Parlamento europeo, aggiungendo a questa carica, nel 2002, quella di primo vicepresidente dell’intero gruppo parlamentare socialista al Parlamento europeo e diventandone presidente dal 2004 al 2012, quando fu elezione alla presidenza del Parlamento Europeo.
Durante la Legislatura europea 2004-2009 risultò tra gli europarlamentari meno presenti ai lavori ed il suo modo, forse troppo deciso ed autoritario, di condurre i lavori dell’aula da Presidente, ha subìto spesso critiche da parte di molti deputati, famosa nella nostra nazione la polemica con Berlusconi, ma non sono state da meno quelle con gli inglesi Nigel Farage e Godfrey Bloom, lo svedese Olle Schmidt, i francesi Jean-Marie Le Pen e Daniel Cohn-Bendit, l’eurodeputato dei Paesi Bassi Barry Madlener e persino un intervento alla Knesset, il parlamento d’Israele, quando provocò la reazione dei ministri del partito The Jewish Home che abbandonano l’aula in segno di protesta per aver messo in evidenza, nel corso del suo intervento, la differenza di accesso all’acqua per i palestinesi e per gli israeliani. Uri Orback, ministro dell’Economia, in quell’occasione affermò che “È insopportabile sentir pronunciare menzogne alla Knesset e per giunta in tedesco”.
A novembre 2016 Schulz aveva annunciato che non si sarebbe ricandidato per il terzo mandato alla guida del Parlamento Europeo per potersi dedicare meglio alla sua carriera politica in Germania ricevendo la prima investitura del suo partito, che rendeva chiaro come sarebbe potuto pericolosamente diventare l’antagonista per il Partito Social Democratico di Angela Merkel alle prossime elezioni.
Investitura che aveva immediatamente fatto circolare voci di presunti “illeciti” durante i suoi mandati al Parlamento Europeo, secondo le quali avrebbe utilizzato soldi comunitari per la sua carriera nazionale. La risposta di Schultz fu, come al solito, lapidaria: si trattava semplicemente di un’incomprensione per non aver separato in modo sufficientemente chiaro le attività riferite all’Europa rispetto a quelle rivolte al suo partito.
La corsa alla cancelleria è ora più che mai aperta.

OERLIKON SENZA CUORE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dopo il licenziamento di un operaio a seguito di un intervento al fegato nella sede di Torino, ora un secondo licenziamento per un intervento al cuore a Bari, il 15 Marzo l’azienda aveva scritto a Massimo Paparella, operaio, “Con la presente le comunichiamo che a seguito degli accertamenti sanitari cui è stata sottoposta, abbiamo preso atto della sua sopravvenuta e stabile inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni specifiche assegnate. Pertanto nostro malgrado siamo costretti a interrompere il rapporto di lavoro”.
È così evidente che anche la Oerlikon Graziano ha problemi con il cuore, ma quello degli altri, dato che la dirigenza aziendale non sembra averne uno proprio, nemmeno dopo il primo dietro front e la riassunzione del dipendente di Torino a seguito della grande mobilitazione che aveva suscitato la cosa.
Non è nemmeno passato troppo tempo, così che si possa dimenticare, e la stessa azienda fa il bis licenziando un dipendente la cui unica colpa è essersi sottoposto ad un intervento cardiaco a seguito del quale, secondo la direzione aziendale, non sarebbe più in grado di svolgere il suo lavoro.
Come per il caso di Torino la misura ha provocato l’immediata reazione delle associazioni sindacali Bari che hanno subito programmato un primo sciopero di 4 ore per lunedì prossimo di tutti i lavoratori della Oerlikon-Graziano.
Secondo la FIOM il licenziamento sarebbe “l’ennesimo atto unilaterale e di barbarie delle corrette relazioni industriali consumatosi nella Oerlikon-Graziano”, definendo l’episodio “l’epilogo di un corso di azioni e scelte brutali, improntate a fare azienda sulla pelle dei lavoratori” e sempre secondo la FIOM il problema risiederebbe in “carenti piani industriali, deficitari di investimenti e di azioni che a tutt’oggi non vedono il Gruppo capace d’intercettare nuovi clienti e mercati con l’innovazione di processo e di prodotto si risponde con la via bassa del fare azienda che passa sulla carne viva dei lavoratori”.
Nel suo comunicato stampa, la USB di bari, nell’esprimere piena solidarietà al lavoratore licenziato pone l’accento sulle discussioni interne aziendali ricordando “che sempre nello stesso stabilimento, c’era già stata un’aspra polemica relativa alle pause necessarie per espletare i propri bisogni fisiologici.” e che “anni di lotte per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro che per la direzione della Oerlikon-Garaziano non sono servite a nulla.”
Inoltre la USB denuncia la possibilità di contagio aziendale: “Siamo convinti che queste iniziative aziendali saranno replicate da altre aziende. Infatti, i diritti dei lavoratori sono sempre più calpestati, basti vedere l’aumento dei casi di incidenti mortali ed il fatto che, per il padronato e per buona parte dei governanti, i Lavoratori devono tornare ad essere schiavi. Per questi motivi c’è bisogno di sindacati non concertativi che insieme ai lavoratori riprendano la lotta per i diritti e contro tutte le forme di lavoro schiavistico.”
Al momento quello che è chiaro è solo che non si deve mai abbassare la guardia.

AAA LEGGE ELETTORALE CERCASI

DI PIERLUIGI PENNATI
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È uscita un momento dal Parlamento per permettere la discussione di un provvedimento urgente e si è persa, nessuno più ne ha sentito parlare da allora, eppure aveva fatto discutere animatamente di sé senza risparmiare colpi bassi, chi la voleva proporzionale, chi con il premio di maggioranza, chi con lo sbarramento, poi, poi, poi… tra un’urgenza e l’altra è diventata meno importante e probabilmente è scappata lontano.
Al suo posto sono state depositate ben 28 nuove proposte, tutte differenti e tutte senza un “ampio consenso” a loro sostegno.
A questo punto l’unica cosa certa è la confusione, in Commissione Affari Costituzionali con le nuove proposte di Maurizio Lupi (AP) e di Celeste Costantino (SI) sono state illustrate ieri le modifiche suggerite da Toninelli, Giachetti, Pisicchio, Lauricella, Locatelli, Orfini, Speranza, Menorello, Vargiu, Nicoletti, Parisi, Dellai, Lauricella, Cuperlo, Rigoni, Martella, Invernizzi, Valiante, Turco, La Russa, D’Attorre, Quaranta, Menorello e  Brunetta.
Considerato che la Commissione è già sommersa da altri provvedimenti che l’aula attende di discutere, come il decreto sicurezza, il ddl per il contrasto alla radicalizzazione dell’Islam, il ddl sulla candidabilità e eleggibilità dei magistrati alle elezioni politiche, il ddl sui minori non accompagnati, l’istituzione di una Commissione di inchiesta sul caso Shabalayeva, la revisione dei ruoli delle Forze di Polizia e via discorrendo sarà complicato far arrivare in aula una proposta seria per la legge elettorale entro il 27 marzo, data in cui è stato per il momento calendarizzato il dibattito.
Se a questo aggiungiamo che, fatta eccezione per il M5s, nessun partito si è fino ad ora espresso durante la discussione generale, non solo la discussione su di essa, ma anche il percorso per la legge elettorale non si preannuncia per nulla facile.
Nel frattempo il Governo Gentiloni continua la strada iniziata da Renzi e governa senza porsi un limite temporale, se non la naturale scadenza della legislatura, per i prossimi giorni sono attesi avvicendamenti in molti vertici delle aziende dello stato e cambiamenti in continuità.
Come se nulla fosse, il 4 dicembre 2016 è già alle spalle ed il futuro nei pensieri degli stessi attori.
Se vale il detto inglese “nessuna nuova, buone nuove”, allora possiamo stare tranquilli.

BLOWIN'IN THE WIND ED È POLEMICA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Se il cavalcavia è crollato sulla A14 è colpa del vento, o forse si tratta di un errore umano per il quale il vento sarebbe stato determinante a far oscillare e poi crollare il ponte che stava subendo una manutenzione straordinaria. Qualche tecnico specializzato potrebbe aver commesso una leggerezza permettendo al vento, che non si può condannare, di provocare il disastro.
Oggi tutti si prodigano in dettagliatissime spiegazioni tecniche di cosa si stava facendo: sollevare un ponte per la sua manutenzione sostituendo gli appoggi di cemento armato che lo reggevano, probabilmente logori dopo quasi cinquantanni dalla loro messa in opera.
Pagine e pagine di descrizioni per capire la dinamica dell’accaduto, per ricostruire come è potuto capitare che un ponte sollevato ed instabile potesse crollare e le polemiche già imperversano.
Per ora sappiamo che, secondo la Società Autostrade, la società che effettuava i lavori «è una società specializzata con qualifiche di legge per i lavori in oggetto e munita di certificazione delle società Protos, Bureau Vertitas e Accredia. La stessa società aveva eseguito analoghi lavori su altri cavalcavia della stessa tratta. Autostrade per l’Italia ha già messo a disposizione della magistratura tutti gli elementi contrattuali relativi all’affidamento dei lavori».
Sappiamo anche che si stanno acquisendo «tutti gli elementi per ricostruire la dinamica dell’evento, partendo dai documenti progettuali elaborati dalla Delabech stessa».
Sappiamo che il sindaco di Castelfidardo, Roberto Ascani, ha affermato che «Gli operai stavano sollevando la campata del ponte con dei martinetti, quando la struttura ha ceduto: evidentemente qualcosa è andato storto; è, inconcepibile eseguire lavori di questa natura senza chiudere la A14».
Sappiamo che per la procura «Di certo siamo di fronte ad un errore umano e non ad un cedimento strutturale, ma per stabilire chi saranno gli indagati, bisognerà accertare per prima cosa la causa meccanica che ha fatto venir giù il cavalcavia. Soltanto dopo si potrà risalire a che livello è stato commesso l’errore».
Sappiamo che Autostrade per l’Italia, responsabile dell’infrastruttura, afferma trattarsi solo di «un tragico incidente non prevedibile», escludendo un possibile «cedimento strutturale».
Sarebbe, invece, assurdo immaginare che i pedaggi autostradali possano aver avuto un ruolo nella scelta del tipo di intervento, ma se il lato superiore di un ponte stradale può rimanere chiuso per giorni, tagliando e rendendo difficile la circolazione nell’intera area, perché un’autostrada non può fare altrettanto per un tempo più limitato?
Perché non si sono utilizzate grandi gru ed effettuato il lavoro in una sola notte, od al massimo in un giorno, introducendo qualche disagio autostradale ma preservando gli utenti?
Le polemiche imperversano e le ipotesi più accreditate sembrano essere solo errore umano o qualità del calcestruzzo, forse unite al vento forte in quel momento, le risposte, invece, speriamo non siano affidate solo al vento.

LICENZIMENTO OERLIKON, DUE BUONE NOTIZIE

DI PIERLUIGI PENNATI
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“I rappresentati locali della multinazionale svizzera mi hanno assicurato di voler ritirare la loro decisione che, prima di ogni altra cosa, presentava tratti di disumanità inammissibili”, ha dichiarato Sergio Chiamparino, Presidente della Regione Piemonte, che ha anche fatto gli “auguri ad Antonio Forchione, l’operaio ingiustamente licenziato dalla Oerlikon Graziano di Rivoli”.
È questa la prima buona notizia, Antonio Forchione, l’operaio licenziato perché non poteva più fare i turni e non si poteva trovare un altra posizione per lui, pur accettando un demansionamento, in un’azienda di 700 persone, potrà rientrare al lavoro.
Anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva giudicato la cosa “inconcepibile, inaccettabile, sbagliata”, dicendo che “Se una persona ha una situazione come questa, l’azienda si deve prendere la responsabilità di garantirgli un’opportunità. Se le notizie dei giornali corrispondono alla verità, è un errore molto grave che l’azienda deve immediatamente recuperare”.
L‘ampia solidarietà e la levata di scudi di tutti i sindacati hanno così fatto tornare l’azienda sui propri passi, e questa è la seconda buona notizia: la solidarietà ha vinto ancora una volta.
Secondo i sindacati, quello di Antonio non è una caso isolato, ma solo il terzo simile, dopo quello di due delegati sindacali a Bari e Sommariva Bosco e se oggi la Oerlikon Graziano, circa 700 dipendenti a Rivoli ed oltre 1.500 in tutta Italia, parla di “licenziamento indegno e gesto riprovevole” è certamente perché al contrario di molti altri casi, persino peggiori, l’indifferenza è stata vinta e la solidarietà ha trionfato.
Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, ha detto “Auspico che l’azienda ritorni sui suoi passi e si sforzi di trovare una soluzione adeguata alle attuali condizioni fisiche del lavoratore. Bene hanno fatto i sindacati a dichiarare due ore di sciopero. I lavoratori hanno compensato con la loro solidarietà la vergognosa mancanza di umanità di cui si è macchiata la Oerlikon”.
Sta ora a noi comprendere che senza questa solidarietà tutti gli Antonio d’Italia finiranno per fare la fine che avevano previsto per lui.

LA LEGGE È LEGGE, LA DIGNITÀ NON È PREVISTA

DI PIERLUIGI PENNATI
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55 anni di età, 37 di contributi, da 27 è turnista, a seguito di un trapianto di fegato può ancora lavorare, ma non fare i turni, in azienda c’è sicuramente posto per lui e forse i colleghi possono persino dargli solidarietà e trovare una soluzione, ma la legge è legge e non guarda in faccia nessuno.
Dal 4 dicembre la cassazione permette di licenziare per “profitto” e l’azienda ne “approfitta”: si chiama Oerlikon e si trova a Rivoli, ma non è né la prima né, purtroppo, sarà l’ultima a comportarsi così, le aziende da molti anni si organizzano contro i propri dipendenti ed il governo le aiuta.
“L’azienda non ha sentimenti, l’azienda è l’azienda, è fatta di numeri” mi disse una volta un capo del personale, l’azienda reagisce al mercato e si adatta. Iniziava una procedura di mobilità per 150 persone su 1200, oltre il 10% della forza lavoro, tra queste un invalido, si, perché se il numero dei dipendenti diminuisce, diminuiscono anche le quote obbligatorie di invalidi da assumere, così una  persona svantaggiata non era più “protetta” nemmeno dalla legge.
La mobilità è stata la prima vera riforma dell’articolo 18, prima di essa non si poteva licenziare, dopo lo si poteva fare in un tempo lungo e dichiarando lo stato di crisi aziendale, con una distinzione: se la crisi viene riconosciuta dai sindacati il “licenziamento lungo” ottiene la contribuzione dello stato, altrimenti se lo paga per intero l’azienda, che così “investe” sulla riduzione del proprio personale.
I sindacati “negoziano” contributi per il proprio benestare alla procedura, così che un accordo che porta al licenziamento di persone si trasforma in una risorsa per l’azienda e per il sindacato, che ammettendo la crisi aziendale percepisce da questa del denaro.
Non è uno scandalo, è la legge, e la legge è legge.
Successivamente, la nozione di stato di crisi è stata allargata agli “infungibili”, posizioni non più necessarie anche se l’azienda è in attivo, quindi ogni ristrutturazione era già una buona occasione per licenziare.
Oggi tra riforma dell’articolo 18, contratti a tutele crescenti, licenziamenti per profitto e precarietà dilagante, non solo il posto fisso non è più tale, ma anche chi lo aveva ha la valigia pronta sotto la scrivania. E qualcuno ha il coraggio di chiamarlo stato sociale, welfare e persino “concertazione”.
Diciamolo chiaro, i sindacati non servono più a nulla se sono incapaci di difendere i lavoratori con la lotta: per i tribunali sono sufficienti gli avvocati. I sindacati oggi non fanno più i sindacati, tranne gli autonomi, e non sanno fare nemmeno gli avvocati, quindi sono falliti, troppo occupati a mantenere in essere la loro macchina economica fatta di migliaia di funzionari e dipendenti che difendono i loro interessanti salari spesso a discapito dei lavoratori dell’imprenditoria privata ed in qualche caso pubblica.
Se antonio può essere licenziato a 5 anni dalla pensione in un’azienda di 700 persone, perché una disgrazia fisica gli impedisce di riprendere l’esatta posizione che aveva prima, se il nostro posto di lavoro può essere soppresso aumentando il carico di altri che non hanno strumenti per difendersi,  anch’essi affamati di lavoro, se i sindacati sono ormai un’entità fine a se stessa e se la legge è legge e non ha sentimenti, la nostra società è destinata ad estinguersi, molto prima della scomparsa delle api paventata da Einstein.
Le api, però, le rispettiamo, la dignità dell’uomo, invece, segue le regole del mercato, che oggi è ai minimi storici nel nostro paese.
Sono sconfortato, ma non mollo, la soluzione è la presa di coscienza e la ribellione, spegniamo le televisioni, rottamiamo i quiz e Sanremo, usiamo i media solo per informarci correttamente ed uniamoci per cambiare le cose: siamo tanti, siamo onesti e siamo molti di più dei disonesti che ci vogliono controllare: se ne prenderemo coscienza comincerà la nostra riscossa.

QUELLA FRETTA DI BANNARE DEL PRESIDENTE TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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Negli Stati Uniti tutto va molto in fretta, Trump incalza e la giustizia non resta al palo.
Dopo il primo bando per lo stop all’immigrazione da alcuni paesi mussulmani del 27 gennaio ecco ieri il secondo: non sono passati 100 giorni dall’insediamento del nuovo presidente che già ci sono stati corsi e ricorsi, ed ecco che appena preparato il nuovo decreto, un altro giudice spunta dal nulla per fermarlo.
Secondo i procuratori dello Stato delle Hawaii, che ha dato i natali a Barack Obama, «Il provvedimento sui migranti ha gli stessi difetti costituzionali di quello precedente» e ricorrendo ad un giudice federale vogliono ottenere un ordine temporaneo che blocchi l’attuazione del nuovo decreto esecutivo, come ha detto Neal Katyal, uno dei procuratori, alla CNN il bando «sconta ancora gli stessi difetti costituzionali e regolamentari» del precedente.
Secondo il dipartimento di Giustizia il nuovo ordine si trova al di fuori delle ingiunzioni che avevano bloccato il primo chiedendo al giudice di pronunciarsi prima dell’entrata in vigore del provvedimento, fissata per il prossimo 16 marzo.
Così il “muslim ban-bis”, ovvero la nuova versione del primo “travel ban” per mantenere il divieto di ingresso di 90 giorni negli Usa per i cittadini di alcuni Paesi a maggioranza musulmana, pur scendendo da sette a sei escludendo l’Iraq, potrebbe avere vita anche più breve della precedente, meno di una settimana.
La giustizia è veloce negli stati uniti, veloce, ma non “sommaria”.

ARTURO, UNA NUOVA SOCIAL DROGA

DI PIERLUIGI PENNATI
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Se Arturo è più popolare dei Dem è colpa nostra, ormai i partiti ci hanno rubato tutto e la gente “pensa alla salute”, anzi, nemmeno più a quella, dato che anche il SSN non è più accessibile a molti, e così pensiamo a divertirci in qualche modo.
Non è indifferenza, è droga vera e propria e non bisogna essere sociologi per capire il fenomeno, basta osservare la storia.
Platone già sosteneva nel 300 a.C.  che “Una delle punizioni che ti aspettano per non aver partecipato alla politica è di essere governato da esseri inferiori” ed alla fine questi esseri inferiori si sono dimostrati, invece, superiori distraendoci tutti dalla cose importanti, la politica appunto.
Ma Arturo fa anche di più, dimostra che in fondo l’informazione non è morta, è cambiata, se  “il Movimento Arturo ci mette nattimo a superare i follower di @articolo1dempro”, come dicono gli inventori, ovvero una bufala sorpassa in estensione e velocità l’account Twitter di Articolo 1 -l Movimento democratico e progressista fondato dagli scissionisti del PD, è evidente che le comunicazioni corrono ancora veloci, solo che il “popolo” non si fa più influenzare dalle cose reali, ma si “diverte” con le cose irreali che lo distraggano almeno un po’ da questa vita grigia e subordinata.
Il fondatore di Tivoli, Georg Carstensen (1812 – 1857) ottenne un permesso di cinque anni per creare Tivoli, raccontando al re Cristiano VIII che “quando la gente si diverte, non pensa alla politica” (cit.). Il giardino è ancora lì ed è famoso in tutto il mondo, a questo si sono unite le Slot Machine ed i gratta e vinci nostrani, oltre a farci comprendere perchè il Brasile, uno degli stati dove tradizionalmente la popolazione e più povera, ha il carnevale più ricco e fastoso del mondo.
Una stupita Giovanna Botteri, responsabile dei corrispondenti da New York per la Rai, si era lasciata andare in diretta un «Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta ed unita CONTRO UN CANDIDATO… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana? Le cose che sono state scritte, le cose che sono state dette evidentemente non hanno influito sull’elettorato e su questo risultato».
Lo scandalo riguarda l’influenza che i giornalisti vorrebbero avere a tutti i costi, ma i giornalisti hanno influenza, solo che anche questa segue le regole di mercato e la bufala “tira” di più della politica, ammettiamolo.
Così un movimento di sinistra inventato da una trasmissione televisiva per prendersi gioco di un partito supera in fretta i 21mila fan su Twitter, mentre i Democratici e Progressisti restano al palo con poco più di 7.700 follower.
Quindi, avanti tutta! Immediatamente il fake si moltiplica in Italia ed all’estero con l’apertura di circoli virtuali del Movimento ed attentamente segnalati su Google Maps e su tutti i social possibili, le associazioni collaterali che danno voce a minoranze e spcificità, come “Artura, “la voce delle donne di Movimento Arturo” che si batte per la giusta rappresentatività interna al nuovo soggetto politico inventato, il “Movimento Arturo Giovani”, “Revolucion Arturo” argentino e chissà dove finiremo.
L’importante è dimenticarsi che il susseguirsi del governi ci ha creato talmente tante occupazioni per rincorrere ICI, IMU , TASI, TARSI, IVA, ICA, etc., oltre a riforme di INPS, ASL, INAIL e tutto ciò che è possibile complicare (e guai a sbagliarsi che ti tagliano il conto in banca!), che il poco tempo lasciato dalle indispensabili incombenze amministrative per sopravvivere, i più lo passano incollati a TV, calcio, social, Slot e “divertimenti” che ci facciano dimenticare.
Un tempo per dimenticare c’era solo l’alcool, oggi ci sono anche i social, sarà davvero meglio?

ILVA: 3.300 IN CIGS E VENDITA ENTRO APRILE MA NON TUTTI SONO D’ACCORDO

DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato sottoscritto ieri al MiSE tra ILVA e sindacati l’accordo per il futuro della società e dei suoi dipendenti, al posto della solidarietà, che sarebbe scaduta giovedì, entrerà in funzione la cassa integrazione straordinaria per 3.300 persone delle quali 3.240 a Taranto e 60 a Marghera, riducendo di 1684 persone la richiesta iniziale dell’azienda.
Il provvedimento coinvolgerà in media 2500 lavoratori a Taranto e 35 a Marghera attraverso il sistema della rotazione bisettimanale che ridurrà anche gli esuberi temporanei e di una settimana ogni sei di CIGS per gli 800 operai dei reparti fermi o chiusi dove i lavoratori saranno impegnati in corsi di riqualificazione e formazione.
Per effetto del Decreto Sud, appena convertito in legge e che stanzia 24 milioni di euro nel 2017, il passaggio dalla solidarietà alla CIGS non avrà effetti sui livelli di reddito portando gli assegni CIGS al 70% della retribuzione, oltre alla maturazione dei ratei ai fini della pensione. Nessuna integrazione è prevista a carico della Regione Puglia per il sostegno al reddito, mentre potrebbero essere stanziati fondi per la formazione.
La viceministro Teresa Bellanova si dichiara soddisfatta affermando che la trattativa è stata «complessa» e che sia stato un «risultato importante e per nulla scontato» aggiungendo che il Governo «continuerà a monitorare la situazione con incontri bimestrali dedicati che io stessa presiederò, come ho proposto alle parti».
Anche i sindacati che hanno firmato l’accordo sono soddisfatti: «Abbiamo trovato il modo per alleviare l‘impatto su tutti i lavoratori e in particolare su quelli che in questi anni hanno maggiormente pagato la crisi in prima persona, con la definizione di un sistema di rotazione certo ed esigibile, sostenuto dalla formazione professionale» è il commento della FIM-CISL che ritiene che il documento protegga il reddito dei lavoratori durante tutta la prossima fase di vendita ai privati e del necessario nuovo piano industriale.
Per la UILM-UIL «è necessario non perdere altro tempo per il rilancio dell’azienda e verificare le prospettive del più grande gruppo siderurgico italiano».
Ma non tutti i sindacati sono d’accordo, USB non ha firmato ritenendo che «Serve una grande mobilitazione dei lavoratori delle aziende in crisi.» e critica anche i contenuti sociali dell’intesa affermando che «Sebbene sia stata confermata l’integrazione salariale al trattamento di Cigs, non è stato definito nessun percorso che salvaguardi davvero i livelli occupazionali.  Le pressanti rassicurazioni da parte del viceministro e dell’azienda sul fatto che non vi sono esuberi è contraddetta da un accordo che identifica aree e lavoratori in eccesso. La stessa volontà di ricorrere alla formazione, anche con il finanziamento della Regione Puglia, non rappresenta in alcun modo una garanzia di ricollocazione per i lavoratori interessati.»
Per il sindacato autonomo, maggioritario in azienda, la soluzione sarebbe quindi «Nazionalizzare l’ILVA» perché «i lavoratori, i tarantini e la città rischiano di tornare ad essere oggetto di nuovi profitti privati e di nuove speculazioni. Come insegna la vicenda di Piombino» ed annunciano nuove mobilitazioni.

L’ISTITUTO LUCE ED I RISULTATI 2016 SULL’EVASIONE FISCALE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Entusiasmo del Ministro Padoan e del Direttore dell’Agenzia delle Entrate per la presentazione dei risultati raggiunti nel 2016 dall’Agenzia che attraverso le linee operative del Governo ha ottenuto  19 miliardi di incasso per il 2016 attraverso la Tax Compliance, vale a dire l’adesione spontanea dei contribuenti a pagamenti e adempimenti di natura tributaria attraverso deterrenti quali controlli e maggiori sanzioni.
Il sistema intende premiare i contribuenti virtuosi e/o coloro che intendono condonare una propria posizione, con riferimento più specifico ai grandi contribuenti, e contemporaneamente generare una stretta di vite sugli evasori producendo l’effetto di riuscire a colpire molto più pesantemente chi già non ce la fa a finire il mese a vantaggio dei grandi gruppi industriali e bancari, mentre per mantenere le produzioni in patria ed attrarre investimenti dall’estero si dovrebbe invece pensare ad una riduzione del carico fiscale e non solo punire il piccolo contribuente.
È persino lo stesso Ministero degli Esteri che nei suoi siti web spiega come in altre nazioni europee sia più vantaggioso aprire un’impresa, fino a spingersi a descrivere nel dettaglio come fare e dove rivolgersi.
In Estonia, per esempio, il sito della Farnesina spiega come sia economicamente conveniente fare affari in quella nazione, diffondendo un documento ufficiale che spiega i cinque punti di forza Estoni: 1. Ottime tecnologie dell’informazione e diffusione (ampia) della lingua inglese e (piu’ ridotta) di quella italiana; 2. Buona posizione geografica; 3.  Sistema impositivo vantaggioso (aliquota impositiva unica del 20% per tutti ndr); 4. Stabilità politica; 5. Positivi indici su libertà economica, competitività e regolamentazione d’impresa. Il tutto seguito da indirizzi e numeri di telefono per aiutare gli italiani a migrare le loro imprese in quello stato.
Mentre il ministero degli esteri non lesina informazioni per incentivare la migrazione commerciale, nella nostra nazione per il Ministero delle Finanze non sembra essere molto importante se i deficit di entrate vengano ripianate nei bilanci esasperando la tassazione sui redditi da lavoro dipendenti e da pensione e tagliando i servizi sociali, facendo orientare il sistema fiscale italiano, al di là della propaganda governativa, non tanto a contrastare la piaga dell’evasione fiscale, ma trasformandosi in consulente di banche e grandi imprese che finiscono per produrre profitti eludendo ed evadendo il fisco, od almeno avendone vantaggi maggiori.
In questa precisa ottica non c’è gran che da essere allegri per 19 miliardi di introiti fiscali, quando l’evasione annua è valutata in almeno 180 miliardi, se i controlli fiscali sulle grandi imprese diminuiscono e se almeno 4 di quei 19 miliardi provengono da un condono fiscale, chiamato elegantemente Voluntary Disclosure, che  consentendo a chi ha illegalmente esportato all’estero capitali, di farli rientrare godendo di impunità penale e sconti sulle sanzioni.
Non è nemmeno tanto divertente pensare che nella delega fiscale e nel decreto “Cambia Verso” sono contenute norme che, mentre condonano gli evasori, aumentano la tassazione IRPEF sui redditi da lavoro dipendente e da pensione e non fa sorridere neppure il fatto che il nostro fisco da strumento di equità contributiva stia diventando una leva per aumentare le diseguaglianze sociali.
Nemmeno il primo Istituto Luce avrebbe potuto distorcere fino a questo punto la realtà per una propaganda che sa molto di regime, celebrando successi ottenuti a discapito della “pari dignità sociale” indicata dall’articolo 3 della costituzione, mentre dovremmo considerare il recupero dell’originale concetto espresso nel successivo articolo 53 dove “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, riequilibrando la pressione fiscale oggi tutta sbilanciata sui redditi da lavoro dipendente e da pensione e colpire, finalmente, quel 20% della popolazione che detiene il 70% della ricchezza nazionale.

CON STEINMEIER LA GERMANIA SCEGLIE LA STABILITÀ

DI PIERLUIGI PENNATI
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Dal dopoguerra ad oggi la Germania ha sempre inseguito stabilità e certezza, privilegiando la previdenza e la moderazione, per questo cinque anni fa il presidente Christian Wulff fu costretto a dimettersi per aver ottenuto un mutuo di 500.000 euro ad un tasso agevolato del 4% che aveva indotto dubbi sulla sua moralità, gli era succeduto Joachim Gauck, pastore protestante ed attivista per i diritti umani ai tempi della Germania Est, simbolo di moderazione, impegno sociale e stabilità, per il quale, però erano occorse tre votazioni.
Oggi l’Assemblea Federale ha eletto al primo scrutinio Frank-Walter Steinmeier a presidente della Repubblica con 931 voti a fovore su 1243 votanti, con 1229 voti validi, 14 non validi e 103 astenuti, il quorum era di 631 voti.
Con ben 300 voti oltre il quorum più che un’elezione è stato un plebiscito e non poteva essere altrimenti, infatti di Steinmeier molti tedeschi dicono che parla come un sacerdote, quindi per succedere ad un sacerdote vero serviva almeno uno pseudo sacerdote.
Scherzi a parte le previsioni davano Steinmeier eletto già alla prima votazione, a maggioranza assoluta, grazie all’appoggio della coalizione al governo e gradito a Verdi e Partito liberale (FDP), ma va ricordato anche che le funzioni del presidente in Germania sono simili a quelle nostrane, per lo più si tratta di rappresentanza, ruolo necessario per evitare un presidenzialismo che possa compromettere la democrazia parlamentare, come avvenuto durante la Repubblica di Weimar.
Il voto è espresso dall’Assemblea Federale, con i suoi 620 deputati, e da altri 620 delegati, con ruolo paritetico, inviati dai gruppi parlamentari dei singoli parlamenti regionali che compongono la Federazione Tedesca e che possono essere personalità non politiche ma provenienti dalla vita comune, come scienziati, sportivi, filosofi e persino attori.
Steinmeier era stato candidato alla cancelleria nel 2009 finendo sconfitto dalla Merkel e dall’attuale governo e fino al 2013 era stato a capo dell’opposizione in Parlamento per poi tornare a ricoprire la posizione di ministro degli Esteri che aveva avuto già in precedenza.
Il Frankfurter Allgemeine dipinge Frank-Walter Steinmeier come “meccanico delle dinamiche del potere”, grande mediatore ed uomo dell’unità, quindi non è una grande sorpresa che molti partiti abbiano hanno trovato una convergenza sul suo nome, Angela Merkel ha immediatamente commentato l’elezione dicendo che “Frank-Walter Steinmeier sarà presidente della Germania in tempi difficili e io sono certa che, nella sua funzione, potrà accompagnare molto bene il Paese in questi tempi”.
Le sue prime parole da presidente direttamente all’Assemblea plenaria sono state un elogio della Germania diventata simbolo di speranza nel mondo: “Non è meraviglioso che il nostro Paese, questa patria difficile, sia diventato per molti nel mondo un’ancora di speranza? Anche dopo la riunificazione c’era un po’ di risentimento contro gli stranieri, ed è stata superata. Sono sicuro che ci riusciremo anche oggi”.
Le elezioni federali del prossimo 24 settembre aspettano ora la Germania e sia che vinca ancora Angela Merkel che Martin Schulz, con Steinmeier alla presidenza, convinto ciecamente dello stretto legame tra gli interessi UE e quelli tedeschi, allergico ai facili populismi, e considerato da molti un presidente “anti-Trump”, la Germania potrebbe diventare il baluardo europeo contro il populismo dilagante.
Nel suo discorso ha ha esortato ad «avere coraggio» e aggiungendo che «quando il fondamento della democrazia altrove vacilla, allora noi dobbiamo restare saldi di fronte a questo fondamento».

IL LUSSO SENZA PIETÀ

DI PIERLUIGI PENNATI
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È passato poco più di un mese da quando un rogo ha distrutto parte dell’aeroporto di Fiumicino e Dolce & Gabbana, nell’ambito di una ristrutturazione conseguente ai fatti, licenzia senza riguardo le lavoratrici intossicate nel rogo di Fiumicino, tra cui alcune giovani mamme.
La comunicazione durante colloqui personali nei quali veniva letta una «fredda lettera che comunica il recesso del rapporto di lavoro dal prossimo 1 aprile. – precisa Francesco Iacovone dell’Esecutivo Nazionale USB – Le stesse lavoratrici che sono state costrette a prestare servizio all’indomani del terribile rogo di Fiumicino nell’aerea compromessa dall’incendio»
Secondo i sindacati si tratta di «Un licenziamento assurdo che non ha alcuna motivazione plausibile, visto l’alto numero di lavoratori a termine delle altre boutique, una delle quali proprio nello stesso sedime aeroportuale e le altre a Roma, che potrebbero assorbire senza traumi i licenziamenti.»
Dolce & gabbana studia le collezioni di moda facendo campagne pubblicitarie a favore della famiglia, ha lanciato l’hashtag #DGFAMILY ed aperto una apposita sezione dei propri siti web e delle linee stilistiche, «ma non si cura delle famiglie che lavorano alle proprie dipendenze.»
Dalla prossima settimana sono previsti scioperi ad oltranza e presidi alla boutique di via dei Condotti a Roma per sensibilizzare il pubblico, viene inoltre inoltrato un appello agli altri stilisti famosi «affinché intervengano per fermare questo scempio, togliendo la firma della propria griffe da un simile attacco alle lavoratrici, alle donne e alle mamme che si ritroverebbero senza reddito e nella disperazione.»
Secondo Iacovone «In questa triste storia vengono meno il diritto alla salute e quello al lavoro, senza neanche la terribile condizione di scelta tra l’uno e l’altro» e conclude affermando che «Lavoro e salute sono due beni che non sono in vendita e, quelli sì, sono beni di lusso».

MICHELE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Michele non era il primo
da anni sento di giovani e vecchi che si suicidano per il lavoro, persino un imprenditore che non voleva licenziare i suoi dipendenti, suicida perché non riusciva più a sostenere il rimorso di non riuscire a dare da lavorare per il pane alle famiglie dei propri dipendenti, un Marchionne al contrario.
Michele non era il primo
ed ogni volta che sento una notizia del genere mi viene un nodo allo stomaco, penso a chi ha troppo e non si vergogna ed allora mi viene da vomitare.
Michele non era il primo
ed io faccio quello che posso, anche se non abbastanza, lo ammetto.
Michele non era il primo
per dare a Michele ed agli altri come lui ragioni di autoeliminarsi, andando all’estero o suicidandosi, si fa molto, si aumenta il precariato ed abbassa il costo della manodopera, così si rilancia l’economia  (forse), ma si spinge la gente alla disperazione (certamente).
Michele non era il primo
e mentre si struggeva per il lavoro qualcuno pensava ad obbligarci a salvare una banca e garantire una gara di golf stanziando miliardi delle nostre tasse e nascondendo i nomi degli insolventi invece di sostenere l’occupazione stabile.
Michele non era il primo
ma si è suicidato mentre governava la sinistra da anni… qualcuno a sinistra dovrebbe riflettere.
Michele non era il primo… io vorrei che fosse l’ultimo!
Non si può morire per il lavoro in uno stato che si vanta di essere una potenza industriale, ma abbandona le persone a se stesse, utili a pagare tasse, inutili quando manifestano disagio.
Michele non era il primo, non scordiamocelo in favore di Sanremo.

LAVORATORI ATAC SENZA STIPENDIO DA DUE MESI

DI PIERLUIGI PENNATI
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Il problema delle manutenzioni ATAC era stato dichiarato dall’azienda romana risolto a giugno dello scorso anno, ma il comunicato diramato ieri dal sindacato USB sembra smentire:
«TRASPORTI: APPALTI MANUTENZIONE ATAC LAVORATORI SENZA STIPENDIO DA DUE MESI – USB: SITUAZIONE NON PIU’ SOSTENIBILE
Questa mattina i lavoratori addetti alla manutenzione delle vetture Atac, hanno manifestato tutta la loro indignazione sotto la sede di Via Prenestina.
Dallo scorso Ottobre i 140 dipendenti dell’azienda Corpa, alla quale Atac ha affidato il servizio, ricevono con ritardi inaccettabili gli stipendi.
“Attualmente l’azienda Corpa non paga i suoi dipendenti da due mesi” denuncia Fabiola Bravi dell’Unione Sindacale di Base.
“Stiamo assistendo ad un continuo rimpallo di responsabilità tra Atac e Corpa. Il Comune dal suo canto non interviene per sanare le criticità e nel frattempo i lavoratori affogano nei debiti e nella diperazione” prosegue Bravi.
Durante il presidio una delegazione è stata ricevuta dai vertici Atac.
Alla richiesta dell’USB del pagamento diretto degli stipendi da parte di Atac, come previsto dal codice degli appalti, i rappresentanti aziendali hanno risposto con proposte del tutto insoddisfacenti.
Per questo i lavoratori hanno deciso di proseguire la mobilitazione fino a quando non verrà riconosciuto loro il diritto ad una retribuzione puntuale.»

VIETATO ANDARE IN BAGNO ALLA FIAT CHRYSLER

DI PIERLUIGI PENNATI
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La Sevel di Atessa è in provincia di Chieti, non in India o Cina, in Italia, dove democrazia e rispetto dei diritti umani sono scritti nella costituzione e sono una bandiera da sventolare con orgoglio ai quattro venti, eppure in un’azienda che dovrebbe essere “nostrana”, dato che fa parte del gruppo Fiat Chrysler nato proprio nella nostra nazione, un operaio è stato costretto ad orinarsi addosso per il divieto persino di andare in bagno.
Inutile dire che il diritto di andare in bagno non è scritto così nella legge, però la Cassazione lo aveva più volte sancito, anzi, la Cassazione ha persino autorizzato la “pausa caffè”, purchè durasse non più di cinque minuti.
Ma la legge italiana è una cosa meravigliosa, perché è “interpretata” e non applicata dai giudici, che piano, piano, possono stravolgerla.
Adesso l’azienda dirà che l’operaio doveva imporsi e che il fatto ha creato un danno di immagine per l’azienda, il che rompe il rapporto fiduciario con lo stesso, risultato: potrebbe essere licenziato.
Alla fine sarà colpa sua.
L’episodio, sembra cronaca di oltre un secolo fa, di quando si moriva nelle fabbriche ed i lavoratori erano quasi degli schiavi, invece il fatto è avvenuto in un moderno stabilimento, il  più grande d’Italia e tra i primi in Europa per dimensioni, ed è stato denunciato dal sindacato USB, ma anche le altre sigle sindacali hanno chiesto chiarimenti all’azienda coinvolgendo tutto il gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles).
La risposta aziendale arriverà dopo le verifiche, ma l’episodio è già stato confermato da alcuni colleghi presenti al fatto.
Dalle testimonianze, l’operaio avrebbe chiesto più volte di poter andare in bagno senza ottenerne il permesso ed alla fine non ha potuto trattenersi più facendosela addosso.
Il comunicato stampa diramato dal sindacato USB di Chieti dice che “inascoltato, non gli è rimasto che urinarsi dentro i pantaloni. L’episodio varca ogni limite della decenza. Un fatto gravissimo che lede la dignità del lavoratore vittima dell’episodio e quella di tutti i lavoratori in generale. Pretendiamo che situazioni simili non si ripetano mai più”.
Gli fa eco Rifondazione Comunista,  Marco Fars, segretario abruzzese, e Maurizio Acerbo, della segreteria nazionale fanno sapere: “Spremere i lavoratori fino al divieto, ripetuto e continuato, di poter andare in bagno, è un fatto di una gravità inaudita, da condannare senza mezzi termini. Da molti anni nel gruppo FCA si assiste all’incremento di ritmi e carichi di lavoro al limite del sostenibile. Troppo spesso gli aumenti di produttività sono stati salutati come un fatto positivo, senza chiedersi come fossero possibili, ogni anno, aumenti produttivi da record. Nei giorni scorsi la risposta è arrivata, di nuovo, dalla palese manifestazione delle condizioni che i lavoratori, loro malgrado, sono troppo spesso costretti a subire. L’arroganza aziendale si è spinta fino a costringere un lavoratore ad urinarsi addosso, dopo che per troppo tempo gli è stato vietato di recarsi in bagno. La produzione viene prima di tutto e perciò i lavoratori non possono permettersi nemmeno il “lusso” di espletare bisogni fisiologici normali per qualsiasi essere umano. Ai lavoratori, costretti a carichi e ritmi di lavoro insostenibili, non viene riconosciuta nemmeno la dignità umana”. I due esponenti politici chiamano in causa anche le recenti riforme del lavoro e le ristrutturazioni aziendali frutto della globalizzazione post-crisi: “La vicenda Sevel ci ricorda l’importanza e la necessità di riportare la democrazia reale dentro e fuori le fabbriche. Questo totalitarismo aziendale è il prodotto di anni di “riforme” del lavoro che hanno sottratto ai lavoratori diritti e tutele e accordi sindacali capestro accettati da sindacati “firma tutto”. Questi sono i risultati della cancellazione dell’art.18”.

I GIUDICI BANNANO ANCORA TRUMP

DI PIERLUIGI PENNATI
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Quello che più stupisce nella vicenda tra Trump ed i giudici sul Muslim Ban, il provvedimento che vieta l’ingresso negli Stati Uniti di rifugiati e cittadini provenienti da sette paesi islamici, non è tanto che i giudici siano contro di esso, quanto che la giustizia sia così rapida: due gradi di giudizio in meno di venti giorni.
Il primo stop, arrivato da un giudice federale di Seattle, James Robart, aveva bloccato temporaneamente e su base nazionale il decreto di Trump in una sola settimana, ora, a distanza di un’altra settimana la conferma all’unanimità dei tre giudici della La Corte d’appello federale di San Francisco.
Di questo passo si arriverà ad una decisione della Corte Suprema in meno di un altro mese, forse prima.
“SEE YOU IN COURT, THE SECURITY OF OUR NATION IS AT STAKE!” Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 9 febbraio 2017, “Ci vediamo alla Corte, è in gioco la sicurezza della nazione”, ha twittato immediatamente il presidente statunitense appena appreso della decisione della Corte, la Corte, ovviamente, è quella Suprema, ultima possibilità per Trump di revisione della decisione.
Il decreto era stato presentato da Trump come provvedimento di “buon senso”, preoccupato per la sicurezza nazionale e come prevenzione contro il terrorismo, ma ora che i giudici gli danno contro il pericolo per lui sembra essersi spostato sulla magistratura. Aveva già insultato il giudice di Seattle per il ban al suo ban, definendolo “pseudo-giudice” e accusando la giustizia di essere “politicizzata”, ora attacca anche la Corte d’Appello.
In questo Trump ricorda molto un miliardario nostrano che fu a capo del governo, a dire il vero lo ricordava anche in campagna elettorale e, tutto sommato, anche per il comportamento con le donne ed i modi decisi, fin troppo decisi, al punto da compiere errori che però, dalla posizione di capo del governo, non si pagano di persona, ma si fanno pagare ai cittadini.
Negli USA tutto appare più veloce e se l’escalation di tensione interna non si fermerà, anche la carriera del presidente Trump potrebbe concludersi prima del previsto.

RICERCA: APPROVATO EMENDAMENTO STABILIZZAZIONE PRECARI ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA'

DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato appena approvato al Senato un emendamento al Decreto Mille Proroghe che stanzia circa 12 milioni per la stabilizzazione di circa 230 precari dell’ISS.
Cristiano Fiorentini dell’Esecutivo Nazionale USB che ha sostenuto la lotta dei precari, in un comunicato stampa scrive che è stata “Una grande vittoria arrivata dopo 81 giorni di occupazione”, “una lotta dura e lunghissima che ha visto la partecipazione di centinaia di lavoratori di ruolo e precari, i quali con grandissima determinazione hanno superato i tanti momenti difficili che in questi 81 giorni abbiamo incontrato.”
Non tutte le note sono negative, infatti “Diamo atto al Ministro Lorenzin che ha mantenuto l’impegno assunto pubblicamente, – continua – realizzando un investimento sull’Istituto Superiore di Sanità dopo anni di tagli. Un investimento” continua Fiorentini “che garantirà la stabilizzazione dei precari e il rilancio dell’Ente, a tutto favore dei cittadini”.
“Il percorso accidentato che abbiamo dovuto affrontare, durante il quale è stato fondamentale l’impegno dei parlamentari impegnati, in particolare la Sen. De Biasi presentatrice dell’emendamento, è sintomatico della difficoltà di chi lotta per valorizzare il settore pubblico in generale e la ricerca pubblica in particolare.” Le difficoltà incontrate danno  un valore maggiore alla nostra vittoria e lancia a tutti i lavoratori il messaggio che quando c’è organizzazione, determinazione e disponibilità al conflitto, si vince!”
“Domani si riunirà l’assemblea per decidere la fine dell’occupazione” conclude il dirigente USB.
Per una volta ogni ulteriore parola sembra superflua.

CHIUDE CRISITALY NEMMENO LA CRISI FA PIÙ NOTIZIA

DI PIERLUIGI PENNATI
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L’idea era venuta nl 2013 ad un informatico romano, “Non c’è nessun fine speculativo – diceva – L’idea è nata per un motivo banale: trovavo parecchia difficoltà nell’aggiornarmi sulle news, nei temi citati, e ho pensato che visualizzare la crisi potesse avere un impatto emotivo ancora maggiore, rispetto alla lettura. Mi auguro che questo possa risvegliare qualche coscienza e sollecitare la partecipazione volontaria al progetto”.
Nasceva così un sito web specializzato in notizie sulla crisi, una sorta di mappa della recessione nel nostro paese, aziende che chiudono, delocalizzano, suicidi di disoccupati, casi di usura.
Persino L’Espresso aveva riportato notizia, vera curiosità ma anche fatto di costume così diffusa che rendeva interessante persino creare, utilizzando gli strumenti della rete, una sorta di mappa sulla “geografia della crisi” che aveva investito il nostro paese già da qualche anno, un flusso ininterrotto di notizie specializzato in aziende che chiudono, posti di lavoro polverizzati, suicidi.
Credito, tasse, usura, degrado sociale, nuova povertà, malaffare, disservizi per la cattiva gestione politica, manifestazioni e proteste, perdita di posti di lavoro, case che non si hanno e suicidi, le più grandi vittime della crisi, erano le sezioni tematiche.
L’icona della morte, il teschio, caratterizzava la categoria suicidi provocando un colpo d’occhio sinistro e dirompente, e la materia prima non mancava, nel solo primo anno 6 suicidi a Caserta, 4 in Toscana, 1 a Milano ed altri un po’ dappertutto, tutti perché stanchi di non riuscire più a sopravvivere in modo dignitoso.
L’ultimo suicidio alle cronache pochi giorni fa, Michele, trentenne di Udine, si suicida lasciando una toccante lettera che tutti noi speriamo l’ultima.
Nel frattempo, però, persino la crisi non è più quella di prima, non sono le notizie a mancare, ora manca l’interesse e la speranza, e nemmeno i suicidi fanno più tanta audience, ci siamo abituati prima alle morti “sul” lavoro oggi non ci impressionano quasi più nemmeno le morti “per” il lavoro.
Così da qualche settimana persino Crisitaly, che raccoglieva le notizie sulla crisi, chiude: mancano i fondi. Nel sito web appare la scritta: “Crisitaly.org ha bisogno di voi. Fai una donazione via Paypal per contribuire alle spese di gestione e mantenimento del server e far tornare online Crisitaly.”
Non farò una donazione e spero non la faccia nessuno, non mi interessa finanziare un sito che diffonde notizie sulla crisi, voglio che la crisi finisca ed il sito sparisca per carenza di materia prima, continuerò, invece, non solo a denunciare la situazione, ma ad agire affinchè le cose cambino.
Solo con la partecipazione alla vita sociale del nostro paese possiamo cambiare le cose, votando non solo le promesse, ma anche e soprattutto l’onestà e togliendo il voto a chi non solo non mantiene le promesse, ma fa ed è disonesto.
Il cambiamento comincia sempre da noi, se siamo onesti noi lo saranno anche gli altri.

ONU ED UE CONDANNANO LA LEGGE ISRAELIANA

DI PIERLUIGI PENNATI
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A dicembre le Nazioni Unite avevano approvato una risoluzione contro gli insediamenti Israeliani in Palestina, passata con 14 voti favorevoli, 0 contrari ed una storica astensione degli USA, voluta dal presidente uscente Barack Obama, e Donald Trump non si era fatto attendere twittando “As to the U.N., things will be different after Jan. 20th. — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 23 dicembre 2016”, “alle Nazioni Unite le cose saranno differenti dopo il 20 gennaio”, e lo sono state.
Tra Trump e Netanyahu era stata subito intesa ed alla Kessnet, il parlamento monocamerale di Israele, i provvedimenti allo studio per la Cisgiordania erano tornati di stretta attualità e due giorni fa  è arrivata l’approvazione della controversa legge per la “regolarizzazione” degli insediamenti israeliani costruiti su terreni privati palestinesi in Cisgiordania con 60 voti a favore e 52 contrari.
Secondo fonti del Likud, l’approvazione era legata al coordinamento necessario in vista dell’incontro che si terrà con Donald Trump il 15 febbraio alla Casa Bianca ed il premier Benyamin Netanyahu ha dato la propria approvazione al voto da Londra senza poter partecipare al voto perché ancora in viaggio per rientrare a Gerusalemme.
La risposta dell’ONU non ha tardato, per l’inviato per il processo di pace in Medio Oriente, Nicolay Mladenov, la legge israeliana sulla “regolarizzazione” degli insediamenti e delle case costruite su terreni privati palestinesi ha superato “una grossa linea rossa” verso “l’annessione dei Territori Occupati”, aggiungendo che questa legge stabilisce un “precedente molto pericoloso”.
Questa è la prima volta che Israele legifera in tema di proprietà delle terre occupate ai palestinesi e che la legge venisse approvata non era dato per scontato. Benjamin Netanyahu non aveva mai cessato di dire che il provvedimento sarebbe stato esaminato secondo programma e che dei contenuti della legge era stata informata la nuova amministrazione statunitense, ma la tensione in aula è stata altissima.
Il leader dell’opposizione, il laburista Isaac Herzog, ha più volte avvertito durante i lavori che l’approvazione del provvedimento avrebbe portato Israele di fronte alla Corte Internazionale Penale dell’Aja, addossando la responsabilità all’assente Netanyahu, mentre dal fronte dei propositori della legge, Naftali Bennet, Leader di Focolare ebraico molto vicino al movimento dei coloni, ha osservato che “la determinazione paga”, anche se all’interno del Likud non tutti erano d’accordo e tra le file dei critici vi fosse anche il Procuratore Generale di Israele Avichai Mandelblit.
Legge che sana anche la situazione della colonia di Amona, sgomberata solo il 1 febbraio u.s. tra lo scalpore e le proteste degli occupanti, con l’obiettivo dichiarato di “regolarizzare gli insediamenti in Giudea e Samaria e consentire il loro continuo stabilirsi e sviluppo” e concede, in forma retroattiva, un meccanismo di compensazione per i proprietari palestinesi dei terreni degli insediamenti che riceveranno in cambio dei terreni espropriati un pagamento annuale pari al 125% del loro valore per un periodo di 20 anni o, in alternativa, altri terreni a loro scelta, ove questo fosse possibile.
Con il provvedimento vengono resi legali 3.800 alloggi già esistenti ed i proprietari palestinesi dei terreni su cui insistono non potranno più opporsi all’insediamento dei coloni ebraici, che vivranno in case di loro proprietà, ma su terreni che non posseggono, ottenendo al massino un risarcimento.
A detta del promotore del provvedimento, Naftali Bennet, però si tratta solo di rispetto delle regole ed ha dichiarato “Ai nostri amici dell’opposizione che si sono mostrati sorpresi che un governo nazionalista abbia passato una legge a beneficio degli insediamenti vogliamo dire che questa è la democrazia”.
La “sanatoria” approvata da Israele va però in senso diametralmente opposto alla Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dello scorso 23 dicembre, che chiedeva lo stop agli insediamenti nei Territori occupati, ed ha provocato la reazione secca non solo di Nicolay Mladenov, man anche del Segretario Generale Antonio Guterres che lo ha sostenuto.
Secondo Guterres la legge costituisce una  “violazione” che porterà a “conseguenze legali di vasta portata” ed ha quindi rivolto un invito ad Israele per “evitare qualsiasi azione che possa far deragliare la soluzione dei due Stati”.
Anche l’Unione europea non è rimasta a guardare e l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, ha subito “esortato” Israele a “non mettere in pratica” la norma votata ieri ed ha dichiarato in un comunicato “L’Unione europea condanna la recente adozione dei questa legge da parte della Knesset, che permette a Israele di appropriarsi di nuove terre palestinesi in Cisgiordania”.