UN KAPÒ FA PAURA ALLA MERKEL
DI PIERLUIGI PENNATI
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Martin Schulz non è nuovo alle polemiche e non le ha mai mandate a dire a nessuno, la più famosa nel nostro paese è quella del 2003 con Berlusconi, che disse all’uomo politico tedesco, in risposta alle sue affermazioni suo proprio conflitto di interessi, al quoziente intellettivo del suo ministro Bossi e alla sua immunità parlamentare, «signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti: la suggerirò per il ruolo di kapo. Lei è perfetto!».
Ma anche nel 2009 Jean-Marie Le Pen fu duro con Schulz dicendo «M. Schulz, che è il Presidente del Gruppo Socialista all’Europarlamento, è un signore che ha l’aspetto di Lenin e parla come Hitler» e nel 2010, per ben due volte, prima con Daniel Cohn-Bendit, del quale doveva però essere alleato, e poi con Godfrey Bloom, eurodeputato britannico, che lo interruppe durante un intervento all’Europarlamento apostrofandolo con lo slogan nazista Ein Volk, ein Reich, ein Führer (“un Popolo, Un Impero, un Führer”), vi furono discussioni.
Nonostante i modi, però, Martin Schulz convince da sempre e con la Germania nazista sembra avere poco a che fare, appartiene infatti all’SPD, il più vecchio partito politico della Germania, membro dell’Internazionale Socialista, radicato profondamente nel mondo sindacale e dei lavoratori e considerato il partito che meglio ha incarnato nella storia l’identità socialista democratica. Partito che una settimana fa lo ha scelto come candidato per la cancelleria alle prossime elezioni politiche federali del 24 settembre.
La scelta, per ora, sembra essere stata davvero felice, infatti secondo un sondaggio dell’istituto ENMID realizzato per Bild, in soli sette giorni il gradimento SPD è aumentato di sei punti percentuali attestandosi al 29% e riducendo il distacco con Angela Merkel a soli 4 punti percentuali.
Anche per questo ieri, in Bavaria, Angela Merkel ed Horst Seehofer hanno riunito i vertici dei loro partiti tentando di serrare i ranghi tra CDU e CSU, i due partiti cristiano democratici che sostengono la quarta candidatura della cancelliera uscente e che oggi insieme possono contare sul 33% dei gradimenti.
Le due formazioni, però, sono fortemente divise sul tema dell’immigrazione che è stato quindi stralciato dal programma elettorale per essere ripreso al più presto dopo le elezioni di settembre nelle eventuali trattative per la formazione di un nuovo governo.
Per il partito di Angela Merkel e quello di arese Horst Seehofer si tratta di trovare un punto di intesa rispettando le differenze, infatti il leader della CSU avrebbe voluto fissare già nel programma elettorale comune un tetto massimo di 200.000 di ingressi di nuovi profughi in Germania, mentre la cancelliera era stata assoluta nel rifiutare ogni quantificazione.
“Sono più i punti che ci uniscono che non quelli che ci dividono” ha dichiarato ieri Angela Merkel, all’avvio della riunione che si concluderà oggi, dimostrando ottimismo per l’andamento dei lavori, Martin Schulz, dal canto suo, è già diventato un fenomeno mediatico con una candidatura sostenuta da tifoserie riunite in Gruppi Facebook, ritratti blu-rosso o travestimenti da Robin Hood e la copertina dello Spiegel con la scritta “San Martin”.
La rete lo chiama “The Schulz”, scimmiottando quel “The Donald” che era stato di Trump, ma che non è solo un fenomeno virtuale, oltre ai sondaggi, i 2000 nuovi iscritti alla SPD in una sola settimana pesano molto ed anche un altro sondaggio pubblicato dalla rivista “Bento”, dedicaa ai giovani, sottolinea come anche tra gli elettori tra i 18 e i 30 anni Schulz sia già in vantaggio su “Mutti”, soprannome assegnato da più di dieci anni ad Angela Merkel.
Secondo ENMID, Verdi e Die Linke perdono due punti attestandosi all’8%, mentre AFD, la destra di Alternativa per la Germania, resta stabile all’11% ed al 6% i liberali della FDP e se SPD, Linke e Verdi decidessero di formare una coalizione potrebbero avere il 45% delle preferenze secondo il sondaggio.
Infine, alla domanda su quale cancelliere preferirebbero avere, il 41% ha risposto Merkel ed il 38% Schulz.
La campagna elettorale in Germania è più che mai aperta e la cautela espressa dalla cancelliera uscente sul tema dell’immigrazione, sempre più attuale ed in evoluzione, fa pensare che non sarà facile per nessuno dei candidati convincere i tedeschi a farsi votare.
MARIA ELENA BOSCHI NON È ABBASTANZA “NORMALE”
DI PIERLUIGI PENNATI
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Vincenzo Barone, oggi direttore della Normale di Pisa nella quale fu respinto all’esame da “normalista” trent’anni fa e poi chiamato a dirigerla poco prima del referendum costituzionale, a novembre non strinse la mano a Massimo D’Alema che durante la campagna referendaria aveva provato a bacchettare i docenti.
Quel D’Alema che dalla Normale fu espulso perché con una media troppo bassa a causa del suo impegno in politica non poteva giudicarne il parere dei docenti, mentre il curriculum di Maria Elena Boschi, madrina di una riforma respinta dagli italiani chiamati a votarla, pare sia adatto per parlare di “La nuova frontiera dei diritti”.
Questo il titolo della conferenza pubblica che la Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Elena Boschi è stata invitata a tenere Scuola Normale Superiore, lunedì 6 febbraio, alle 17.30, presso la Sala Azzurra del Palazzo della Carovana a Pisa.
Il curriculum della Boschi, però, non è sembrato “normale” a molti studenti e docenti dell’ateneo e del resto d’Italia, tanto da far immediatamente scoppiare una polemica in rete dove sulla pagina Facebook della Scuola alcuni internauti hanno scritto, appunto, che «Non ha un curriculum da Normale», o «Facciamo finta che sia uno scherzo», «Mi chiedo quanto sia opportuna la presenza di un personaggio dalla levatura morale e culturale di costei nell’ambito dei Venerdí del Direttore», «Con l’occasione verrà proiettato il film “Mio Dio come sono caduta in basso “ Buona visione!» e persino «Degna persona per far da portavoce ai diritti! Diritti dei risparmiatori?».
Mentre qualcuno suggerisce all’ex ministra di ripensarci, Francesco Panaro, docente di sociologia all’università di Firenze, citando la Dialettica dell’Illuminismo di Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer, non ha pietà per i suoi colleghi pisani affermando che «Un tempo essi firmavano le loro lettere, come Kant e Hume, `servo umilissimo´, e intanto minavano le basi del trono e dell’altare. Oggi danno del tu ai capi di governo e sono sottomessi, in tutti i loro impulsi artistici, al giudizio dei loro principali illetterati».
Nel silenzio del loro direttore dalla normale di Pisa, con una nota ufficiale, tentano di stemperare la polemica e dichiarano che si tratta di una manifestazione legata a “I venerdì della Normale”, “pensati per dare occasione a un vasto pubblico di approfondire temi di interesse generale» e siccome il caso specifico tratta i diritti della persona nella società contemporanea, in particolare della donna, l’edizione speciale è stata indetta in concomitanza con la giornata internazionale sull’infibulazione femminile del 6 febbraio e per questa ragione Maria Elea Boschi, che è Sottosegretaria di Stato con delega alle Pari opportunità, «Riveste quindi un ruolo specifico, istituzionale, pertinente all’argomento» ed affronterà il tema dei diritti della persona in una prospettiva contemporanea e con uno sguardo al futuro.
Ma se alla Normale il curriculum conta, purché non sia troppo normale, a questo punto sapremo solo lunedì se si si è trattato di critiche isolate o se la ministra sarà travolta dai fischi e dalle polemiche.
SI TEME UN NUOVO AVVELENAMENTO PER OPPOSITORE DI PUTIN
DI PIERLUIGI PENNATI
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Vladimir Kara-Murza, coordinatore del movimento che fa capo a Khodorkovsky, l’arcinemico di Putin, è stato ricoverato ieri d’urgenza in terapia intensiva, dopo aver accusato un blocco degli organi interni.
Ne dà la notizia l’agenzia Interfax secondo la quale il suo avvocato, Vadim Prokhorov, che ricordando l’episodio di presunto avvelenamento del maggio del 2015, quando il giornalista aveva avuto un blocco renale e le analisi aveva rivelato tracce di metalli pesanti, in particolar modo manganese, ha detto che “i sintomi sono apparentemente simili a quelli che erano allora”.
La moglie Evgenia ha dichiarato a Radio Free Europe (RFE) “Il suo medico ha detto che le sue condizioni sono critiche” “presenta bassa pressione ed insufficienza respiratoria e le ragioni della cosa sono ancora una volta poco chiare” ed alla BBC ha aggiunto che è collegato al supporto vitale e si trova in “coma farmacologico”.
Il caso riporta alla memoria anche quello di Alexander Litvinenko, l’ex agente del Kgb morto a Londra nel 2007 a seguito di avvelenamento per aver ingerito una dose fatale di polonio.
Al momento non vi sono notizie di connessioni con il caso del 2015 quando i test clinici avevano confermato l’ingestione di sostanze velenose ed era stata chiesta dai suoi legali una commissione d’inchiesta per accertare se si fosse trattato di avvelenamento intenzionale, ma nessun procedimento penale era stato aperto.
Il 34enne giornalista Kara-Murza aveva recentemente viaggiato per tutta la Russia per promuovere un documentario sul suo amico Boris Nemtsov, ex vice premier russo diventato oppositore del presidente Vladimir Putin, ucciso nel febbraio del 2015 a due passi dal Cremlino e due giorni fa gli aveva rivolto un tributo su FaceBook.
Kara-Murza è stato vice presidente del partito liberale Parnas ed ha partecipato attivamente alla stesura del ‘Magnitsky Act’, la legge varata da Barack Obama che colpisce alti funzionari russi, per la quale si dice possa essere finito sulla “lista nera” dei servizi segreti russi, oltre a lavorare come coordinatore federale per la fondazione Open Russia di Mikhail Khodorkovsky, ex magnate del petrolio che ha passato dieci anni in prigione per essersi opposto apertamente al presidente russo, Vladimir Putin.
Il padre di Kara-Murza, che si chiama anch’esso Vladimir, ha dichiarato che “l’avvelenamento di due anni fa, non è stato superato senza lasciare traccia. La salute di mio figlio si è indebolita”, facendo temere per la sua vita.
Khodorkovsky ha scritto su Twitter che Kara-Murza è ” nelle mani di un buon medico”, aggiungendo “Lasciatelo lavorare”.
Nel 2016 aveva provocato indignazione un video apparso su Instagram con Kara-Murza ed un altro ativista nel mirino di un fucile di precisione.
SPARI AL LOUVRE, FRANCIA SENZA PACE
DI PIERLUIGI PENNATI
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“Allah Akhbar” questa volta riecheggiato al Louvre, un’aggressore armato di machete e un coltello si avventa contro un militare che apre il fuoco .
È successo verso le dieci di questa mattina, la stampa francese online riferisce che il prefetto di Parigi, Michel Cadot, ha affermato che il militare ha riportato una ferita leggera alla testa mentre l’aggressore è stato ferito allo “stomaco” ed è cosciente.
Secondo i giornali l’uomo avrebbe voluto accedere al corridoio delle boutique del Carrousel du Louvre trasportando due zaini, fermato dalla sicurezza avrebbe insistito per entrare e quando il militare si è avvicinato all’uomo, attirato dalla scena, questi avrebbe tentato di aggredirlo armato di coltello.
Il piano denominato “sentinelle”, instaurato dopo agli attentati del 13 novembre, ha prodotto l’immediata chiusura del museo, del vicino Palais Royal, il transennamento dell’intero quartiere del Louvre ed il fermo di un’altra persona in “atteggiamento sospetto”.
Il ministero degli interni ha definito quanto successo “un grave evento di pubblica sicurezza”.
PADOAN A BRUXELLES: “NIENTE MANOVRA, RISPETTATO IL PATTO DI STABILITÀ”
DI PIERLUIGI PENNATI
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“Nessuna #manovra estemporanea: riduciamo il debito nel nostro interesse con una strategia che protegge la crescita https://t.co/CkVKqJfJTs” (@PCPadoan) 2 febbraio 2017, con questo Tweet il ministro Padoan annuncia al web che non ci sarà alcuna nuova manovra perché a suo avviso il Patto di Stabilità è stato “pienamente rispettato” e il debito è “soddisfacente”.
Nella lunga lettera trasmessa alla Commissione europea contenente il “Rapporto sui fattori rilevanti” che influenzano la dinamica del debito pubblico italiano, Padoan è convinto che i risultati raggiunti possono essere considerati più che soddisfacenti.
L’esecutivo, quindi, non si muove dalle sue posizioni e continua a difendere la politica finanziaria portata avanti fino ad ora.
“In merito al presunto scarto tra il saldo di bilancio previsto per il 2017 dal Governo e il margine ritenuto necessario dalla Commissione onde ridurre progressivamente il debito pubblico, con la lettera di accompagnamento al Rapporto il Ministro indica le iniziative di politica economica capaci di colmare questa eventuale differenza. – cita il comunicato ufficiale del Ministero delle Finanze – Nell’ambito del lavoro di definizione della politica economica di medio periodo, e quindi in vista del DEF, il Governo prenderà tra l’altro provvedimenti di contrasto all’evasione fiscale in continuità con quelli già adottati nel recente passato, estendendone la portata, e di riduzione della spesa, anche grazie alla nuova modalità di costruzione del bilancio dello Stato entrata in vigore con la riforma completata nel 2016.”
La replica di Padoan al commissario Pierre Moscovici e al vicepresidente Valdis Dombrovskis fornisce un quadro dettagliato nel quale, a parere del Governo, i risultati di contenimento del debito e la traiettoria di discesa indicata per il futuro sono “più che soddisfacenti” per il nostro Paese ed a dispetto dei recenti rilievi effettuati dalla Commissione.
Quindi, no all’aggiustamento, di circa 3,4 miliardi di euro (pari allo 0,2% del Pil) richiesto da Bruxelles per rispettare le tappe di avvicinamento all’obiettivo di medio termine di deficit strutturale che viene considerato eccessivo anche perché, secondo il ministro, una correzione troppo rapida dei conti potrebbe danneggiare la ripresa nel momento in cui l’economia italiana sembra avere risultati migliori che nelle aspettative.
Ciò nonostante la lettera non è un semplice duro rifiuto alla Comunità Europea, il governo promette di continuare nel progetto di riforma strutturale già avviato dal precedente esecutivo per rilanciare le privatizzazioni nonostante la pausa dovuta alle condizioni di mercato sfavorevoli e di voler migliorare la strategia dei tagli alla spesa, il potenziamento della lotta all’evasione e l’aumento delle entrate fiscali: “L’ammontare generale dello sforzo strutturale per riprendere il percorso verso l’obiettivo di medio termine sarà composto per circa un quarto da tagli di spesa e per la parte restante da aumenti di entrate”, risparmi che “arriveranno per circa il 90% dai consumi intermedi e dalle agevolazioni fiscali”.
Le misure sul fronte della spesa, spiega il governo, “seguono i significativi progressi nel controllo della spesa negli ultimi anni e saranno ulteriormente inseriti in una più completa strategia di spending review nella prossima sessione di bilancio, grazie alla riforma del bilancio recentemente approvata”.
Nel documento Padoan fa cenno a possibili a ritocchi di accise e tassazione indiretta, che, data l’avversità anche di Renzi ad aumentare ulteriormente l’IVA, potrebbero vedere l’aumento delle imposte di bollo o di registro, che hanno un mediatico più contenuto.
In ogni caso l’obiettivo sembra essere ancora una volta la crescita attraverso il DEF che sarà preparato per aprile e che avrà la necessita di provvedimenti di legge per essere attuato.
Infine, per quanto riguarda il terremoto del centro Italia, Padoan ritiene che “non può stimare con esattezza l’impatto del terremoto sulle finanze pubbliche, ma sarà probabilmente molto superiore a 1 miliardo già nel 2017. Per mobilitare risorse a questo fine sarà creato un apposito Fondo”.
I COLONI ISRAELIANI RESISTONO ALLO SGOMBERO DI AMONA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Questa volta era toccato a loro, invece dei Palestinesi erano gli Israeliani a dover lasciare i territori e mentre da Gerusalemme giunge l’annuncio della creazione di nuovi alloggi in Cisgiordania le forze dell’ordine israeliane sono dovute intervenire ieri per obbligare i quasi 300 coloni di Amona, in Cisgiordania, a lasciare le loro case, che la corte Corte Suprema Israeliana ha stabilito essere state costruite su terreni di proprietà palestinese.
L’insediamento risale ad una ventina d’anni fa ed oggi la decisione di procedere alla sua evacuazione ha messo a dura prova la coesione del Governo nel quale non mancano radicali difensori dell’occupazione dell’area in base a quanto affermato nella Bibbia.
L’agenzia France Presse riferisce che la responsabile della diplomazia europea, Federica Mogherini, reagendo al quasi contemporaneo annuncio del via libera alla realizzazione di altri 3.000 alloggi nella stessa regione, ha affermato, nel quarto comunicato sull’argomento del genere in meno di due settimane da quando Donald Trump ha assunto la carica di presidente degli Stati Uniti, che dando ascolto a coloro che sostengono queste teorie, l’Esecutivo di Benjamin Netanhyahu mette a repentaglio anche solo la prospettiva di un regolamento del conflitto.
Questa mattina la situazione non era ancora migliorata e Micky Rosenfeld, portavoce della polizia, ha dichiarato che le forze dell’ordine sono dovute intervenire per obbligare alla evacuazione dall’insediamento circa 200 persone, rintanate in una sinagoga e in un’altra struttura.
Rosenfeld ha detto che l’intenzione della polizia, intervenuta ieri, era quella di completare l’operazione nel corso della giornata di oggi per evitare il Shabbat del Venerdì senza “gravi incidenti”, ma 24 poliziotti sono stati leggermente feriti, 800 persone, tra le quali molte giunte per aiutare gli insediati, sono state evacuate e 13 arrestate.
Al di fuori della risse, un paio di colpi, qualche lancio di pietre e gli arresti, gli scontri, nonostante le loro dimensioni, non hanno portato ad una recrudescenza della violenza nell’area, ma il prezzo politico potrebbe essere elevato per il governo destra Benjamin Netanyahu.
Amona è una colonia definita “selvaggia”, cioè illegale secondo la legge israeliana applicata alla maggior parte della territorio della Cisgiordania, e per questo la Corte Suprema israeliana ne aveva ordinato la demolizione entro l’8 febbraio perché era stata costruita su terreni privati palestinesi, le Nazioni Unite e gran parte della comunità internazionale non fanno questa distinzione e considerano illegali tutti gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati.
BENVENUTO BEBÉ, A MILANO COME IN FINLANDIA
DI PIERLUIGI PENNATI
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È stato consegnato ieri a Milano il primo “pacco dono” di benvenuto per tutti i bebè nati dal 15 dicembre scorso e che fa parte insieme ad una card di maternità per i genitori dei nuovi nati a Milano del primo provvedimento nel campo delle Politiche sociali della giunta Sala, progettato come una misura di sostegno al reddito e sostenuta anche da sponsor privati che offrono i prodotti.
L’iniziativa è destinata a tutte le famiglie residenti a Milano, senza limiti di reddito per il pacco dono, mentre il cosiddetto “reddito di maternità”, contenuto nel provvedimento, è riservato alle famiglie con ISEE inferiore ai 17.000 euro, e già assegnatarie di assegno di maternità Inps, e consiste in 1.800 euro nell’arco dell’anno da utilizzare per l’acquisto di beni e servizi per l’infanzia.
L’iniziativa doveva partire solo a marzo, ma l’assessore Pierfrancesco Majorino aveva forse fretta di partire e la prima scatola contenente una tutina, pannolini, alcuni prodotti per l’igiene del bambino e della mamma che allatta, due libri di fiabe e un manuale di consigli e di indirizzi utili per i servizi dedicati all’infanzia è stata consegnata ieri presso la farmacia Lloyds di via Imbonati 24 ad Annalisa e Massimiliano, genitori del neonato Riccardo.
“Iniziamo il mandato presentando una nuova misura di sostegno al reddito destinata alle mamme e famiglie milanesi che avranno un bambino”, aveva detto lo scorso anno Majorino, “Si partirà subito a settembre con i primi contributi per poi proseguire e consolidare l’intervento con l’inizio del 2017. Negli ultimi cinque anni Milano ha investito circa 154 milioni di euro in azioni di sostegno al reddito risultando prima in Italia per questo tipo di politiche. Contiamo di proseguire con lo stesso passo, le politiche per le famiglie, tutte, saranno la nostra ossessione”.
Così le famiglie dei primi 600 bimbi nati dal 15 dicembre scorso stanno ricevendo le lettere in cui è indicato il luogo in cui ritirare il proprio pacco dono.
Se l’iniziativa è una encomiabile novità in Italia ed il Comune di Milano un pioniere, il governo finlandese, invece, da quasi ottant’anni dona una scatola di cartone alle donne in attesa di un bambino.
La “scatola di cartone” è una tradizione iniziata nel lontano 1938 dall’idea di fornire a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro condizione sociale, un uguale inizio nella vita, ed è stata pensata per contenere il necessario per l’arrivo del bambino potendo persino essere utilizzata come letto. Oggi è convinzione diffusa che abbia contribuito a far raggiungere alla Finlandia uno dei tassi di mortalità infantile più bassi del mondo.
Il pacco maternità finlandese, regalo governativo, è fornito a tutte le donne incinte e la scatola/lettino contiene materassino, coprimaterasso, sottolenzuolo, copripiumino, coperta, sacca / trapunta con imbottitura in pelo naturale (pelo di cammello o lana di pecora naturale), tutina, cappello, guanti e stivaletti coibentati, abito con cappuccio e una tuta leggera lavorata a maglia, calze e guanti, cappello lavorato a maglia e passamontagna, body, tutine, calzini in modelli e colori unisex, accappatoio, asciugamani, forbicine per le unghie, spazzola per capelli, spazzolino da denti, termometro da bagno, tubetto di crema, salviette, libro illustrato e giocattoli per la dentizione.
Heidi Liesivesi, del Kela – l’Istituto delle assicurazioni sociali della Finlandia che proprio questo mese sta introducendo in quello stato il “Reddito di base”, una sorta di sussidio di disoccupazione di 560 euro al mese per un periodo di due anni, ha detto che «La tradizione della scatola di cartone risale al 1938, all’inizio era disponibile solo per le famiglie a basso reddito, dal 1949 è stata cambiata con la nuova legislazione, ora le future mamme per ottenere la sovvenzione in denaro o il pacco maternità prima del quarto mese di gravidanza devono sottoporsi a visita prenatale presso una struttura medica. La scatola con il materassino diventa il primo letto di un bambino”.
Ha inoltre aggiunto che “le mamme possono scegliere tra il pacco maternità, o una sovvenzione diretta in denaro, ora fissata a 140 euro, ma il 95% preferisce la scatola di cartone, che vale molto di più. La scatola di cartone ha avuto il merito non solo di fornire alle mamme il necessario per prendersi cura del loro bambino ma anche a contribuire a orientare le donne in gravidanza a prendere contatti con medici e infermieri al servizio del nascente stato sociale. La Finlandia nel 1930 era un paese povero con un alto tasso di mortalità infantile (65 su 1.000 bambini morti). Le cifre sono migliorate rapidamente nei decenni successivi».
In Finlandia la scatola di cartone, dopo settantacinque anni, fa oggi parte del rito che segna il passaggio verso la maternità e l’unione delle generazioni delle donne finlandesi, Panu Pulma, docente di Storia finlandese presso l’Università di Helsinki, ha dichiarato che «Ai genitori si raccomandava di non far dormire i bambini nel loro letto. L’introduzione della scatola di cartone utilizzata come letto, ha aiutato molti genitori a lasciare i loro bambini a dormire separati da loro. Uno degli obiettivi principali di tutto il programma è stato anche quello di far allattare di più le donne. A un certo punto, biberon e ciucci sono stati rimossi per promuovere l’allattamento al seno. E’ stato un successo. Tra gli oggetti inseriti nella scatola, ha avuto un effetto positivo anche quello del libro illustrato, ha incoraggiato i bambini a maneggiare i libri e un giorno a leggerli. In Finlandia la scatola di cartone è un simbolo, un simbolo dell’idea di uguaglianza, e dell’importanza dei bambini».
L’idea del “pacco dono per neonati” sembra quindi essere una buona idea che unita al sostegno per le famiglie meno abbienti speriamo possa contribuire, a Milano come in Finlandia ad accrescere il benessere e la salute dei bambini. Il primo passo è fatto e la direzione è giusta, guardiamo al futuro.
LA PIANURA PADANA NELLO SMOG
DI PIERLUIGI PENNATI
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Ci risiamo, alta pressione, freddo e zero precipitazioni, anche quest’anno le polveri fini non danno tregua con Como e Cremona in testa per i valori massimi nei primi 25 giorni di gennaio.
I valori rilevati dalle centraline sono almeno tre volte superiori al massimo consentito in tutte le province, con la sola esclusione della provincia di Sondrio, a Como sono stati misurati 213 microgrammi al metro cubo, 50 sopra il limite, e nel centro di Milano si è arrivati 159, mentre a Cremona, in gennaio sono stati già registrati 20 sforamenti sui 35 annui permessi dalla legge e la qualità dell’aria, non è un gran che migliore nemmeno in Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
Le piogge sono previste dalla mattina di giovedì, almeno a ridosso delle Alpi e, secondo Fosco Spinedi di MeteoSvizzera, molto attenta alla analoga situazione di smog nell’adiacente Canton Ticino, dovrebbero servire “per far tornare la situazione dell’inquinamento entro valori accettabili” e “far tornare nella norma la situazione”, almeno temporaneamente.
Nonostante la situazione nessuna amministrazione italiana ha ancora adottato alcun provvedimento per contrastare lo smog, mentre la vicina Svizzera ha abbassato i limiti di velocità in autostrada, nelle zone interessate alle alte concentrazioni, a soli 80km/h, bloccato la circolazione dei veicoli diesel più inquinanti, Euro3 e inferiori, ed introdotto il trasporto pubblico gratuito per indurre il maggior numero possibile di automobilisti a lasciare l’auto casa, oltre ad aver diramato l’invito ad abbassare a 18 gradi nelle stanze ed a 21 negli altri locali la temperatura nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro.
BELLO FIGO RESTA SENZA MUSICA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Alla fine hanno vinto loro ed il concerto romano di Bello FiGo non si terrà.
Gli organizzatori parlano di “minacce inaccettabili” nei confronti di Paul Yeboah, 21 anni, in Italia da 10 e residente a Parma dove paga regolarmente le tasse e produce milioni di visualizzazioni sul web, ma niente da fare se sei ghanese non puoi esibirti.
Responsabile della cancellazione sembra essere la piccola sigla di estrema destra “Azione Frontale” che già qualche giorno fa aveva contestato Bello FiGo con uno striscione appeso all’esterno del locale dove avrebbe dovuto esibirsi con la scritta “Roma non ti vuole” in caratteri gotici, poi una fitta campagna di insulti sul web contro il giovane che gioca spesso sui luoghi comuni della destra che vedono profughi “ricchi” “negli alberghi a 4 stelle” e pretendono cibo speciale e il wi-fi gratuito.
C’erano già stati annullamenti a Brescia, Borgo Virgilio (MN) e Legnano e questo doveva essere il concerto del rilancio, invece, Bello FiGo non si esibirà nemmeno a Roma e gli ex Magazzini generali a Ostiense che dovevano ospitarlo sabato prossimo, 4 febbraio, resteranno vuoti.
Pomo della discordia sarebbe in particolare la hit, “No pago affitto”, che ha già avuto oltre 9 milioni di visualizzazioni su YouTube dopo l’arrivo della notorietà seguita alla partecipazione alla trasmissione di Rete 4 “Dalla vostra parte” di fronte ad Alessandra Mussolini.
BASTA (CON) LA SALUTE
DI PIERLUIGI PENNATI
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“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Questo il testo integrale dell’articolo 32 della nostra Costituzione, ma che nella sanità italiana ci fosse qualcosa che non andava non è certo una scoperta di oggi, l’Albertone nazionale ci aveva ricamato sopra già a fine anni ‘60, prima con “il medico della mutua” e poi con il forse più famoso “prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue”, per finire addirittura con “Il ginecologo della mutua” dieci anni dopo.
La mutua, ovvero l’assistenza sanitaria fornita dallo stato, non è mai stata sinonimo di qualità, ma almeno era sinonimo di gratuità, oggi, invece, sembra non essere più ne l’uno ne l’altro, al punto che secondo il rapporto 2016 sulla povertà sanitaria sono 557mila gli italiani che non riescono a comprare i farmaci e gli italiani poveri sono 4,6 milioni, in crescita del 25% rispetto allo scorso anno, ed i costi dei farmaci per questi soggetti costituiscono una voce particolarmente pesante: tra i poveri quasi 6 euro su 10 finiscono in farmaci, contro una media di meno di 4 euro.
Ma non è tutto qui, le difficoltà non riguardano solo i meno abbienti, oltre 12 milioni di italiani hanno dovuto limitare il numero di visite mediche o gli esami di accertamento per motivazioni di tipo economico ed è stata registrato un aumento della richiesta di farmaci in tre anni del 16%, in conseguenza di un costante aumento di indigenti assistiti.
Il fenomeno ha fatto crescere la necessità di assistenza alternativa tramite il volontariato sviluppando le attività del Banco Farmaceutico che offre il suo aiuto soprattutto attraverso i medicinali raccolti nella Giornata di Raccolta del Farmaco, il 13 febbraio, senza l’aiuto del quale moltissimi non avrebbero avuto la possibilità di curarsi del tutto.
Eppure, come nei film di quaranta anni fa, non tutte le strutture sono al collasso, se negli ospedali pubblici le liste d’attesa sono infinite e l’accesso ai servizi difficile, in molte strutture private le attività sanitarie fioriscono, in ambienti raffinati, con personale cortese e premuroso, quasi sempre in convenzione con il SSN o con costi ormai non troppo distanti a quelli pagati per un ticket presso una struttura pubblica.
Ma non è tutto, a molti sarà capitato il caso, quello degli antibiotici e di alcuni tipi di radiografia ed esami del sangue per esempio, per i quali il costo del ticket, fissato allo stesso modo per tutte le prestazioni, è persino più oneroso del costo del medicinale o dell’esame.
“Vuole il generico?” è la domanda classica del farmacista che propone di pagare meno una medicina, “Preferisce il ticket o pagare la prestazione?” Per una panoramica od un esame del sangue in un centro convenzionato.
Così la sanità che dovrebbe curare i pazienti è la prima a dimostrare di essere ammalata e di una malattia profonda e radicata: l’indifferenza verso il malato. Per far quadrare i conti si aumentano i contributi del paziente fino a rendere non più conveniente la prestazione e “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, in contrasto con la norma costituzionale.
Specialisti ed economisti si sono alternati da sempre al capezzale della sanità pubblica per trovare un rimedio al suo cattivo stato di salute, persone spesso in conflitto di interesse e che non sono utenti delle strutture che amministrano, finendo con il trattare il caso solo come un problema economico e non umano.
Quante volte abbiamo sentito dire “basta la salute”, “pensa alla salute” o “se c’è la salute c’è tutto”?
Se davvero “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” allora dovremmo cominciare a ripensare la sanità mettendo il paziente al centro e non solo l’interesse economico.
La sanità in altri stati funziona benissimo e costa meno, da italiani spesso esportiamo tecnologie e stili di vita, nell’era di internet e della globalizzazione non dovrebbe essere tanto difficile cercare di importare buona gestione ed assistenza, così che un giorno si eviti di dover dire che “l’operazione è riuscita, ma il paziente (la sanità) è morto”.
TRUMP CONTRO TUTTI, TUTTI CONTRO TRUMP
DI PIERLUIGI PENNATI
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È ormai chiaro che Trump non passerà alla storia per essere stato il presidente più amato dagli americani e dal resto del mondo, ma che a pochissimi giorni dal suo insediamento potesse esserci già un così alto numero di contestazioni non era completamente prevedibile.
Trump mette d’accordo tutti contro di lui, al punto che manifestazioni e proteste contro l’ordine esecutivo sull’immigrazione non sembravano bastare, così persino in Silicon Valley è stata immediata la reazione: Google ha fatto sapere di aver stanziato 4 milioni di dollari, due donati dalla società ed altrettanti dagli impiegati, a favore degli immigrati ed i rifugiati colpiti dalla misura di bando dal territorio americano.
Ma non è la sola grande azienda a reagire contro Trump, un portavoce della catena di caffetterie Starbucks ha dichiarato che assumerà 10.000 rifugiati in tutto il mondo nei prossimi 5 anni e la società degli affitti brevi Airbnb sostiene che metterà a disposizione alloggi gratuiti.
Uber, la contestata società che attraverso un’applicazione offre un servizio alternativo al taxi, sta creando un fondo di difesa legale da 3 milioni di dollari e la sua rivale Lyft, che durante il week end ha già raccolto una cifra record di oltre 24 milioni di dollari in donazioni, ha annunciato ai suoi iscritti che donerà un milione di dollari all’American Civil Liberties Union (ACLU) per i prossimi 4 anni ed in Gran Bretagna, dove il primo ministro Theresa May ha già confermato l’invito a Trump nonostante il divieto di entrata negli USA imposto ai cittadini di sette paesi musulmani, una petizione contro la visita del presidente americano ha già superato il milione di firme.
Forse Trump non riuscirà a portare a termine il suo mandato, però un risultato certo lo ha già ottenuto: è riuscito a mettere d’accordo tutti, ma proprio tutti, contro di lui. Buongiorno presidente Trump.
ATTENTATO IN UNA MOSCHEA IN QUEBEC
DI PIERLUIGI PENNATI
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Sei morti e otto feriti a causa dell’irruzione di tre uomini armati in una moschea di Quebec City durante la preghiera della sera. L’attacco è avvenuto intorno alle 20 ora locale, l’una di notte in Italia, secondo un testimone tre individui armati hanno aperto il fuoco su una quarantina di fedeli presenti nel luogo di culto.
L’azione è stata confermata anche dal primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha definito il gesto “un attacco terroristico contro i musulmani in un centro di preghiera e accoglienza”, mentre la polizia ha reso noto che due persone sono state arrestate e che non ritengono possano esservi altri soggetti in fuga.
Il premier canadese ha anche dichiarato che i “canadesi di fede musulmana sono un importante parte della nostra società”. Ed ha twittato “Tonight, Canadians grieve for those killed in a cowardly attack on a mosque in Quebec City. My thoughts are with victims & their families. – Justin Trudeau (@JustinTrudeau) 30 gennaio 2017 (stasera i canadesi piangono per le persone uccise in un attacco codardo in una moschea a Quebec City. I miei pensieri sono per le vittime e le loro famiglie).
Il presidente del centro islamico, Mohamed Yangui, che al momento dei fatti non era nella moschea, si è dichiarato colto di sorpresa ed ha detto: “Perché sta accadendo qui? È una barbarie”. Yagui ha poi precisato che la zona della moschea attaccata è la sezione maschile, dove oltre agli uomini rimasti uccisi è anche possibile siano stati coinvolti dei bambini. Secondo altri testimoni all’interno del centro durante l’attacco potevano esserci tra le 60 e le 100 persone.
Anche il premier del Quebec, Philippe Coutillard, ha espresso il proprio cordoglio per le vittime e la piena solidarietà ai musulmani presenti in Canada. Il Centro Culturale Islamico era già stato al centro di episodi di intolleranza e lo scorso anno era stata recapitata all’imām una testa di maiale, animale che il Corano definisce impuro, con la scritta “Buon appetito”.
LA LEGA CHIUDE LE SEDI E DIVENTA NOMADE
DI PIERLUIGI PENNATI
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Il 1° dicembre era toccato al giornale La Padania, responsabili i tagli all’editoria stabiliti dal governo Renzi, anche se il sindacato interno al quotidiano preferiva attaccare la dirigenza di Via Bellerio che “nonostante le prospettive di crescita dei consensi politico-elettorali che tutti i sondaggi le riconoscono, ha deciso di non rinnovare il proprio contributo al bilancio dell’Editoriale Nord.”.
Qualche giorno fa è stata la volta del partito e dopo i primi 71 esuberi del 2014 chiude anche la sede di via Bellerio a Milano, mettendo in mobilità gli ultimi 24 dipendenti.
La decisione mette anche la parola fine al vecchio modo di essere un partito così com’era sempre stato fin dall’inizio e nelle strutture del Carroccio non ci sarà più neanche un funzionario stipendiato dalla casa madre.
Il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, dà la colpa al cambio del sistema di finanziamento dei partiti che “ha comportato anche per la Lega una improvvisa e drastica riduzione delle risorse economiche e finanziarie“, “fattori che hanno richiesto drastici interventi di ristrutturazione”.
Dal SINPA, il sindacato della Lega, nessuna nota ufficiale, mentre sono gli altri sindacati a farsi sentire, Andrea Montagni della Filcams Cgil dice “già nel 2014 la Lega aveva promesso e non mantenuto l’impegno a ricollocare i lavoratori e nel corso della mia esperienza sindacale solo il Carroccio e Forza Italia non si sono mai preoccupati del destino dei propri ex dipendenti. Persino la vecchia Democrazia proletaria si impegnò per trovare una sistemazione. Comunque sia, la Lega che a parole difende i lavoratori poi abbandona i suoi“.
Secondo i dirigenti del partito non è colpa loro, ma ora che la lega non ha più una sede ha dimostrato di non saper governare nemmeno i propri conti, trasformandosi da partito tradizionale in nomade della politica, una sorta di ROM senza fissa dimora costretto a spostarsi di volta involta per rincorrere la propria sopravvivenza.
Chissà se ora che anche Salvini non ha più una sede cambierà atteggiamento anche verso coloro che si spostano nelle roulotte.
QUANDO IL SAGGIO MOSTRA IL DITO, LO STOLTO GUARDA LA LUNA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Alla fine il pasticcio è diventato il problema ed il problema si è definitivamente perso di vista.
Già, perché ormai in Italia per governare serve solo una legge elettorale e non degli amministratori onesti e capaci, quindi puntiamo tutto su come li eleggiamo e non su come governano.
Nel testo di proprio pugno del 1936 Mussolini scriveva che “La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno” e per questa ragione ingovernabile, tanto è vero che non riteneva la forma dello stato preminente, ma bensì la sua possibilità di essere governato, spiegando benissimo che “il Fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma”.
La questione della governabilità è un problema da sempre e la repubblica Italiana sorta sulle ceneri dello stato fascista la ritenne secondaria rispetto alla democrazia, proprio per evitare che la repubblica diventasse quello stesso stato fascista che governava al posto degli italiani, convinto profondamente di un “antiindividualismo” per il quale lo stato e l’individuo coincidevano e dovevano essere posti “contro il liberalismo classico” perché “Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto”.
Mussolini riteneva che “La libertà non è un diritto, è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un’eguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C’è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C’è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria”.
Il governo Renzi ed altri altri prima di lui, hanno fatto di tutto per restaurare almeno in parte, e forse inconsapevolmente, questo stato di cose, noi siamo troppo giovani per ricordare e troppo assorbiti dai moderni doveri per volerlo studiare, ma se la giornata della memoria per lo sterminio ebreo serve a non dimenticare l’olocausto, una giornata della memoria per il periodo fascista dovrebbe essere istituita per non dimenticare quello da cui settanta anni fa siamo fuggiti a gambe levate ed ancora oggi diciamo di rifuggire.
Celebriamo una repubblica che non conosciamo e forse per questo cerchiamo di demolirla restaurando un passato che riaffiora dalla sue braci, perché in fondo noi siamo il nostro passato e prima di fare riforme dovremmo capire meglio la nostra storia per poter evitare gli stessi errori dei nostri antenati.
Così oggi si gioca tutto su di una legge elettorale che dovrebbe limitare l’accesso in parlamento alla democrazia diffusa in nome della governabilità, io, invece credo che dovremmo stabilire regolamenti semplici per ottenere in tempi ragionevoli leggi migliori e più condivise e per questo la prima riforma che credo ci serva dovrebbe riguardare la democrazia diretta, che in Italia è quasi totalmente assente.
Quello che intendo è che nel nostro moderno paese non è possibile introdurre nuove norme e nemmeno proporle senza un relatore in parlamento ed un iter parlamentare completo, così che il popolo può esprimere solo i propri rappresentanti tramite le elezioni e non giudicare il loro operato, se non alle successive elezioni, lasciando un vuoto abissale tra una votazione e l’altra e facendosi sempre gabbare prima di questa.
La possibilità di abrogare una legge, seppur con un iter difficile e complicato, non basta, i referendum dovrebbero poter essere anche propositivi, mentre in parlamento non dovrebbero poter cambiare le coalizioni a proprio piacimento, pena la decadenza dalla posizione.
Altri sistemi democratici prevedono queste norme e funzionano benissimo e le differenze e le distanze tra i politici ed i cittadini non sono così grandi come da noi e tutto è deciso con suffragio popolare: si chiama “democrazia diretta”, non è un assurdo e non è nemmeno complicato o costoso applicarla, serve solo volerla attuare.
Il modo, però, non può essere modificare una legge od un iter legale, il modo deve essere un cambio radicale di impostazione senza rincorrere le cose che già si hanno per stabilire metodi nuovi e semplici: democrazia proporzionale e partecipazione diretta.
Questo è uno stato democratico, gli altri sono solo dei surrogati e le nuove leggi solo stampelle sbilenche di apparati in rovina, ricominciare è possibile, ma va fatto partendo dalla parte giusta, cioè dall’allargamento della democrazia di base e non dalla compressione di quella rappresentativa.
10 EURO PER UNA NOTTE AL CLOCHARD HOTEL LINATE
DI PIERLUIGI PENNATI
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Il racket della disperazione colpisce i senzatetto all’aeroporto di Milano Linate: da quanto appreso sembra che la società di gestione aeroportuale consenta tacitamente, quando l’aeroporto è vuoto nelle ore notturne e di minor traffico, ai clochard di poter dormire in esso senza rischiare l’assideramento e qualcuno riesce persino ad approfittarne.
I senzatetto che dormono per terra possono non piacere ai pochissimi passeggeri di passaggio nella notte, ma è certamente un bel gesto altruista da non sottovalutare da parte della società che gestisce l’aeroporto, la sorpresa, però, arriva quando qualcuno scopre che, per poter dormire in una zona pubblica, un clochard deve addirittura pagare il pizzo ad una banda organizzata che ha preso possesso illegalmente degli spazi riscaldati e gestisce il pavimento come se ci si trovasse in un vero hotel e vende persino le coperte.
Quattro i sospetti “gestori”, tre donne ed un uomo probabilmente di nazionalità ROM, che non solo stazionavano permanentemente in aerostazione, ma addirittura facevano le ronde per organizzare i “posti letto” affinchè nessuno sfuggisse al controllo.
20 euro una coperta e 10 euro anticipati a notte, che fanno circa 300 euro al mese, praticamente un affitto in nero, pagato per avere qualcosa che in altre parti della città è possibile avere gratuitamente affidandosi ai servizi di ospitalità notturna gestiti da Comune di Milano ed associazioni varie di volontariato. Il più famoso tra tutti quello fondato da Fratel Ettore Boschini, da sempre un punto di riferimento metropolitano per tutti i clochard.
Ma altre mille domande affiorano: come è possibile che una banda di persone qualsiasi possa controllare un’area che dovrebbe già essere sotto controllo delle istituzioni per ragioni di sicurezza, vale a dire un aeroporto, obiettivo sensibile, sorvegliato e presidiato per impedire attentati e crimini di ogni genere.
Come avviene l’esodo, gli aeroporti non sono mai in aree cittadine ed in qualche modo i senzatetto devono potersi spostare e sopravvivere durante il giorno, possibile che questi vivessero tutto il giorno nell’edificio senza che nessuno si accorgesse della cosa?
Cosa spinge i senzatetto a fasi spillare quattrini da una banda di senza cuore e senza scrupoli che, smascherati dal cronista, dichiarano che l’Italia è una m.rda, dimostrando tutta l’attenzione che possono avere perso le persone e l’ambiente che li accoglie.
Risposte difficili da fornire, resta il fatto che siamo tutti ormai così insensibili alla disperazione che lo scandalo vero arriva solo quando al povero si chiede il pizzo, perché se non fosse successa questa cosa, oggi non sapremmo nemmeno che l’aeroporto di Linate, decisamente fuori mano per un clochard, in questi giorni di freddo intenso stava probabilmente salvando la vita a molti di loro.
La prossima volta che leggeremo di un barbone morto assiderato, cosa che capita almeno una volta all’anno a Milano, non stupiamoci ancora per l’accaduto, piuttosto chiediamoci cosa abbiamo fatto noi per evitarlo.
QUANDO LA CRONACA FA SCIOPERO, LO SCIOPERO NON FA CRONACA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Di solito sono chiamati a fare le cronache degli scioperi, questa volta, invece, tocca a loro scioperare e se anche la cronaca sciopera lo sciopero non fa più cronaca.
Già, perché se è il cronista a scioperare chi ne parla?
Nell’indifferenza più totale degli altri media l’assemblea dei giornalisti di Sky TG24 ha prima votato all’unanimità uno sciopero di 24 ore contro il piano di licenziamenti e trasferimenti comunicato dall’azienda e poi eseguito dalle 12 di oggi, martedì 24 gennaio, fino alla stessa ora di domani.
Quello che succede è ormai storia nota in molti ambienti, un piano di licenziamenti e trasferimenti mina l’organizzazione del lavoro e la stabilità delle famiglie coinvolte, le rivendicazioni sono altrettanto banali, qualità e credibilità del servizio in testa.
Il problema, però, non è se questi lavoratori siano stati fino ad ora dei privilegiati, se comunque sopravvivranno ai trasferimenti o se il loro servizio sia così importante da doverlo cristallizzare così com’è nei secoli dei secoli, il problema è che queste cose avvengono ormai in ogni situazione aziendale senza nemmeno più fare notizia, nemmeno quando sono coloro che diffondono le notizie ad esserne colpiti.
Le ragioni della ristrutturazione non sono state diffuse con il comunicato di sciopero, ma a questi professionisti deve andare la solidarietà che dovrebbe essere data a tutti i lavoratori onesti che si guadagnano da vivere, invece, giorno per giorno, perdiamo la sensibilità a qualsiasi notizia che non ci faccia saltare letteralmente dalla sedia e così perdiamo a poco a poco non solo pezzi di società e di cultura, ma la nostra identità e la nostra dignità: con tutti quelli che perdono il lavoro oggi, cosa vuoi che siano quattro spostamenti e/o licenziamenti.
Alla fine molti diranno che è colpa loro, non si sono mossi in tempo, non sanno gestire la cosa ed in fondo erano dei privilegiati.
Non lasciamoci sopraffare dall’indifferenza e dall’analfabetismo funzionale, salviamo la nostra società, per intero: solidarietà ai giornalisti di Sky TG24, che possano tornare a raccontare la loro avventura al passato e quella di quanti, come loro, la vivranno in futuro, purtroppo al presente. Senza discriminazioni.
LA CONSULTA PERDE LA PAZIENZA
DI PIERLUIGI PENNATI
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È caldo fin dal principio il clima all’udienza della Corte Costituzionale dedicata ai cinque ricorsi contro l’Italicum, la legge elettorale varata dal governo Renzi, l’avvocato dei ricorrenti, Vincenzo Palumbo, attacca a tutto campo ed accusa che ci sono voluti «8 anni per bocciare il Porcellum, col quale si è fatto in tempo ad eleggere 3 Parlamenti…e adesso l’Avvocatura generale dello Stato ci dice che non si può valutare la costituzionalità dell’Italicum perché è una legge che non è mai stata applicata!»
L’avvocato Palumbo è prolisso e non risparmia accuse, tanto che Presidente della Corte, Paolo Grossi, prima invita alla brevità, poi chiede di concludere per «non esasperare la Corte» arrivando fino alle minacce dicendo «state abusando della nostra pazienza».
Grossi ripete anche più volte di non fare «considerazioni che esorbitano dal piano giuridico della questione: evitiamo concioni (riunioni n.d.r.) politiche e limitiamo a questioni giuridiche», e chiede di rispettare due principi: «Primo, le esposizioni in quest’aula devono essere orali, le memorie sono agli atti. Secondo, siccome, parleranno altri cinque avvocati, invito a non esporre argomentazioni. Auspichiamo che avvenga presto la possibilità di sedere in camera di consiglio e poter deliberare», «tenete conto che la Corte deve lavorare non solo in udienza. Auspichiamo di poter lavorare presto anche in camera di consiglio».
L’udienza è durata dalle 9:30 alle 13, nel corso della quale la Corte, tredici giudici presenti, essendo dimissionario Giuseppe Frigo e assente Alessandro Criscuolo, ha per prima cosa ritenuto inammissibile l’intervento del Codacons perché tardivo, essendo giunto oltre i termini di tempo prestabiliti, e dopo aver letto le motivazioni della decisione, la seconda parte della seduta pubblica è stata dedicata alle questioni di merito con il relatore Nicolò Zanon chiamato a illustrare le posizioni dei tribunali ricorrenti e dell’Avvocatura dello Stato, che rappresenta la presidenza del Consiglio dei ministri.
Dalla parte del fronte anti Italicum l’avvocato Felice Besostri ha chiesto ai giudici di valutare che l’approvazione dell’Italicum avvenne col voto di fiducia mentre le leggi elettorali dovrebbero figurare nei regolamenti parlamentari tra quelle per cui la modalità dovrebbe essere esclusa: «Se questo è il ragionamento, questo vuol dire lasciare aperta per il legislatore la possibilità di approvare con la fiducia norme incostituzionali». Inoltre Besostri ha ricordato che il Porcellum, pur essendo incostituzionale, fu già usato in ben tre tornate elettorali e «questo non deve accadere più, «se le prossime elezioni dovessero essere fatte con legge incostituzionale, la democrazia sarebbe in pericolo», ha detto.
Nel dibattito spunta anche il parere del barbiere dell’avvocato Lorenzo Acquarone che, replicando alla posizione dell’Avvocatura di Stato di non poter valutare se l’Italicum abbia arrecato o meno danni ai cittadini visto che non è ancora entrata in vigore, ha replicato: “Il mio barbiere mi ha chiesto: Dunque, se si fa una legge sulla pena capitale, per sapere se è costituzionale bisogna prima aspettare che sia applicata la pena di morte e poi, una volta che il condannato è morto, decidere se era o no costituzionale ucciderlo? Mi pare un ottimo esempio”.
La seduta è stata aggiornata alle 16 di oggi pomeriggio e dopo i legali dei ricorrenti sarà la volta dell’avvocatura dello Stato esporre le sue tesi, per concludere con repliche, al termine delle quali i giudici si chiuderanno in camera di consiglio per la decisione finale.
Il verdetto è atteso al massimo entro mercoledì, per raggiungere il quale la corte ha già rinviato tutte le udienze in calendario per i prossimi due giorni, mentre le motivazioni saranno emesse entro i 30 giorni successivi.
STATO DI EMERGENZA O EMERGENZA DI STATO?
DI PIERLUIGI PENNATI
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Ricordo che molti anni fa discutendo degli orari e dei turni di lavoro di un servizio di emergenza per il quale servivano al minimo due persone per fronteggiare efficacemente gli eventuali interventi, la soluzione fu trovata osservando che se durante gli eventi avversi servivano almeno due persone e nei periodi di attesa nessuna, la media matematica era di una persona permanentemente in servizio, e così fu, nonostante il mio deciso disaccordo.
La fortuna ha sempre voluto che non succedesse mai nulla di veramente grave da dover rimpiangere la decisione, mai cambiata, dimostrando che la scelta fu giusta perché alla fine la buona volontà, l’intraprendenza e qualche piccola polemica presto dimenticata risolvono tutte le situazioni. Economicamente è conveniente, ma il problema permane.
Il problema sono i conti che non quadrano mai, quello che manca, spesso, non sono i soldi, ma la volontà di investire in sicurezza e prevenzione, complice la bassa incidenza degli eventi avversi. Facciamo un esempio: che io ricordi ad Alghero nevicò per davvero una sola volta nel corso del secolo scorso, quindi aveva senso avere un servizio di spazzaneve in quel luogo? Forse no, ma in Abruzzo, dove la neve cade sempre abbondantemente, forse si, almeno per centri di competenza territoriale che possano intervenire in caso di emergenza.
Non dico questo per polemizzare coi soccorsi, ma è davvero possibile che, a parte lo scetticismo iniziale che ha fatto partire gli uomini con molto ritardo, in Abruzzo non abbiano una motoslitta, tanto che il soccorso alpino abruzzese ha dovuto raggiungere la struttura rimasta sotto la neve con gli sci alpinismo e le pelli di foca?
Eppure, quando mio figlio si storse una caviglia sciando, nonostante il brutto tempo, fu portato al pronto soccorso in motoslitta a tempo di record. Per raggiungere l’hotel Rigopiano di Farindola, invece, la colonna dei soccorsi parte in macchina e si impantana quasi subito ed addirittura si dice che gli spazzaneve abbiano terminato il gasolio a metà del percorso, rendendo necessario recuperarlo a piedi da parte dei vigili del fuoco, e che successivamente la cupa notte e poi il guasto dell’unica turbina durante le operazioni abbiano “rallentato” ulteriormente la marcia dei volonterosi.
Mi scuso con tutti i volontari coinvolti, ma più che la cronaca di una squadra di soccorso sembra la storia dell’armata Brancaleone. Possibile che in tutta la zona non ci fosse nemmeno una motoslitta? Possibile che nel 2017 in una delle potenze economiche riconosciute del mondo moderno i soccorsi debbano arrivare a piedi con le pelli di foca? Possibile che i guai capitino davvero tutti insieme e per caso?
Se devo fare una polemica la faccio certamente con coloro che pensano al salvataggio delle banche e non alle vite umane e se devo fare un elogio questo va sicuramente agli uomini del soccorso, che, nonostante sembrino abbandonati dalle istituzioni italiane, non si fermano davanti a nulla ed invece di lamentarsi per i pochi mezzi prendono le pelli di foca e proseguono a piedi.
Questo, però, non è uno stato di emergenza casuale, questa è una vera e propria emergenza di stato voluta e non mi riferisco solo ad un terremoto od ad una valanga, ma all’incapacità delle istituzioni di guardare alla persona, considerando sempre e solo l’interesse economico ed i bilanci.
Se in tempo di attesa non servono motoslitte ed in emergenza ne occorrono molte, forse vale la pena di comprarne almeno una, ma sappiamo bene che le casette di legno per i terremotati di Amatrice (forse) arriveranno solo oggi, a distanza di mesi dalle prime scosse e senza sapere se per “merito” del nuovo sisma che ha accelerato le consegne, quindi non facciamoci illusioni, la prevenzione costa denaro quando viene fatta e vite umane quando si fanno solo statistiche.
Preferisco vivere … con meno banche magari, ma vivere.
CONTINUA LO SCIAME SISMICO
DI PIERLUIGI PENNATI
PER FASSINA MEGLIO SOLI CHE MALE ACCOMPAGNATI
DI PIERLUIGI PENNATI
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Il congresso di fondazione del partito non si è ancora tenuto, ma la discussione è già accesa all’interno di Sinistra Italiana, tanto che Stefano Fassina ha deciso persino di autosospendersi dal già nato gruppo parlamentare SI, ma avverte che non vuole strumentalizzazioni: “La discussione interna non può diventare occasione di battaglia congressuale. Dobbiamo trovare una posizione comune e costruttiva”.
La polemica sembra nascere dalla lettera inviata alla stampa dal capogruppo Arturo Scotto ed altri 15 parlamentari di Si a Giuliano Pisapia: “Quella lettera individua un problema vero, quello relativo al nostro posizionamento e al rapporto con il Pd, che però non può essere trasformato in un’iniziativa di battaglia congressuale. Di offese ne sono arrivate a valanga anche al sottoscritto, penso ad esempio a quando ero candidato a sindaco di Roma, ma un gruppo parlamentare serio ne discute e trova una posizione comune”.
L’on. Giovanni Paglia aveva definito sui social network gli estensori della lettera come “maggiordomi di Renzi” ed a chi chiede a Fassina se dopo il Pd voglia ora lasciare anche Sinistra Italiana, risponde: “Assolutamente no, il mio impegno continua sia nel partito che per il congresso fondativo di Sinistra Italiana a febbraio. Il punto è che dobbiamo imparare a discutere al nostro interno in modo più rispettoso”.
Dunque il congresso non sembra essere in discussione, infatti Fassina afferma che “il congresso si farà e servirà a fondare il partito e a chiarire da che parte stiamo, liberandoci da ogni ambiguità”, il suo scopo, quindi è quello di chiarire le posizioni prima di cominciare con il piede sbagliato e prosegue dicendo “penso che si debba portare avanti una posizione di autonomia rispetto al Pd con un programma di profonda discontinuità programmatica sia dalla famiglia socialista europea dell’ultimo quarto di secolo e sia da quanto ha fatto il governo di Matteo Renzi in Italia”.
Non è quindi disponibile a diventare “la compagnia low cost del Pd”, preferendo uno stacco netto con il passato, “per ricostruire la rappresentanza del mondo del lavoro e del vasto e contraddittorio popolo delle periferie non è praticabile un rapporto con i democratici e nemmeno con l’area Campo progressista”.
Secondo Fassina si deve stare “con quel popolo che reclama rappresentanza e che si è manifestato al referendum del 4 dicembre dicendo No. Propongo una politica di alleanze basata sui programmi, che non si preclude il rapporto con nessuno, nemmeno con il M5S”.
Sulla legge elettorale si esprime considerando “meglio l’impianto proporzionale”, perché “garantisce i cittadini su chi li rappresenta” considerando la posizione di Matteo Renzi sulla scelta di un modello con il ballottaggio “una mossa tattica per poi arrivare a una mediazione”.
Per lui Renzi non ha cambiato direzione ,”il segretario PD rimuove la profondità dei problemi e conferma la linea di accreditamento del suo partito verso l’establishment. È surreale che Renzi continui a trovare di sinistra il Jobs act, penso che sia una scappatoia senza respiro il suo tentativo di motivare la valanga di No ricevuti dai giovani al referendum con l’eccesso di slide e la scarsa presenza di cuore: lui il cuore ce l’ha messo, ma batteva a destra”.
I sostenitori di Renzi non hanno tardato a reagire nel tentativo di alimentare la polemica e l’Unità ha subito titolato “Sinistra italiana, neanche è nata e già è divisa.”, ma per Fassina, che non vuole polemiche, è meglio soli che male accompagnati e, soprattutto, per il partito che sta per nascere sono necessarie chiarezza di azione ed iniziative.
LUXOTTICA: NON È PIÙ SOLO UNA MONTATURA
DI PIERLUIGI PENNATI
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Leonardo Del Vecchio, “patron” di Luxottica non ha bisogno di occhiali, ci vede sempre bene, da quando ha iniziato la sua avventura con la società di Agordo.
Oggi lo scopo è fondere il leader delle montature con quello delle lenti. Perché? La risposta è nel comunicato del gruppo che dice che con questa operazione nascerà «un player integrato dedicato alla cura della vista e a creare un’esperienza di livello superiore per il consumatore. Insieme, Essilor e Luxottica saranno in una posizione migliore per offrire una risposta ai bisogni relativi alla vista di 7,2 miliardi di persone, 2,5 miliardi delle quali non hanno ancora accesso a una correzione visiva».
La stima del nuovo gruppo è di generare nel medio termine sinergie di ricavi e di costi per un ammontare tra i 400 e i 600 milioni di euro e di sviluppare ulteriormente l’integrazione ed i ricavi nel lungo termine.
La fusione ha un valore di 50 miliardi e si prospetta come la seconda operazione di fusione più importante cross border in Europa.
Del Vecchio dichiara di aver sognato questa fusione “da 50 anni”, aggiungendo che «Con questa operazione si concretizza il mio sogno di dare vita ad un campione nel settore dell’ottica totalmente integrato ed eccellente in ogni sua parte. Sapevamo da tempo che questa era la soluzione giusta ma solo ora sono maturate le condizioni che l’hanno resa possibile».
Per il presidente e CEO di Essilor, Hubert Sagnières, il progetto «si basa su una motivazione semplice: rispondere meglio ai bisogni di un’immensa popolazione mondiale relativi alla correzione e alla protezione della vista, unendo due grandi società, una dedicata alle lenti e l’altra alle montature».
Insomma il mercato degli occhiali è ancora grande ed il gruppo punta diritto ad esso, il termine dell’operazione è stimato per fine 2017, sapremo allora se si sia trattato solo di una “montatura”.
CEDRIC HERROU, QUANDO TI PORTA IL CUORE
DI PIERLUIGI PENNATI
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Può capitare che alla notizia che vi sono dei migranti che affrontano migliaia di chilometri in condizioni al limite della sopravvivenza, soffrendo in modo indicibile e rischiando la propria vita per un futuro non migliore, ma solo per un futuro che dove vivevano prima in qualche modo gli era negato, qualcuno di noi pensi che questo sia ingiusto, qualcun altro voglia fare qualcosa e pochi davvero la facciano, ma spingersi a sfidare da soli la legge perché il nostro cuore non sopporta la vista di tanta disperazione, capita davvero raramente.
Eppure a Cedric Herrou, una persona normale, giovane, barba, occhiali, un basco sempre in testa ed uno sguardo pulito, questa cosa è capitata qualche tempo fa e non guardando la TV, leggendo i giornali o navigando in rete, a lui è capitato lavorando.
Cedric Herrou è un contadino che coltiva olivi al confine tra Italia e Francia, lui le persone non le ha viste da dietro uno schermo, lui le ha incontrate, ha constatato che dormivano all’aperto, in condizioni disumane e che la loro disperazione era così grande da superare la paura di morire per strada.
Ecco che il suo cuore è scoppiato e lo ha costretto a fare qualcosa e per lui quel qualcosa è stato aiutare di persona quegli esseri umani abbandonati dagli stati più potenti del mondo, quegli stati che si incontrano per discutere del destino delle persone usando come sigla la lettera G maiuscola: Grandi.
Grandi davanti al mondo economico e piccoli, piccolissimi davanti all’umanità che soffre.
Cedric Herrou probabilmente non sa nulla di questo, lui ha 37 anni ed è un contadino che lavora la sua terra a Breil-sur-Roya, a pochi chilometri da Ventimiglia: uova, olio e olive che produce da solo.
Cedric Herrou, però, ha un cuore, un cuore che pulsa forte e che non ha retto davanti a tanto orrore e lo ha spinto a fare quello che, forse, non avrebbe mai pensato di fare: agire senza pensare, aiutare l’umano senza tener conto delle leggi degli uomini potenti. Dare una mano a quelle persone a sopravvivere.
Così dallo scorso marzo in poi ha aiutato almeno duecento migranti ad attraversare il confine tra Italia e Francia ed istigato 57 ad occupare un edificio in disuso delle SNCF per ripararsi dal freddo, solo che queste cose sono dichiarate illegali dal governo francese che lo ha posto adesso sotto processo per “aiuto all’ingresso, alla circolazione e al soggiorno di stranieri irregolari”. La pena prevede fino a 5 anni di reclusione e 30 mila euro di multa, ma la Procura di Nizza ha chiesto solo 8 mesi di carcere e la confisca del suo furgone.
Fuori dal tribunale il 4 gennaio scorso c’era una folla che lo acclamava come un eroe, dentro il palazzo il suo avvocato, Zia Oloumi, sosteneva che il suo assistito stava solo applicando uno dei valori fondamentali della repubblica francese, la fratellanza.
Ma le gesta di Cedric non sono passate inosservate, i lettori del quotidiano Nice Matin lo hanno eletto “Cittadino dell’anno della Costa Azzurra”, mentre il presidente del dipartimento Alpi Marittime del Partito Repubblicano Francese, Eric Ciotti, sostiene che quella di Herrou sia una «falsa generosità» e che le sue azioni siano «un insulto alle forze dell’ordine, ai doganieri e ai militari».
Dal canto suo Cedric Herrou ha già spiegato benissimo la cosa, ha detto «Mi metto fuori dalla legge per aiutare i minori. Non voglio dovermi vergognare, tra vent’anni». Quello che fa, perciò, lo fa per se stesso, per il suo cuore grande e debole di fronte alla miseria del mondo.
A chi lo intervista risponde «Io non sono mica un filantropo. Anzi, ero andato a vivere in campagna per starmene per conto mio! E so che se un giorno avrò dei figli, e tra 20 o 30 anni mi domanderanno da che parte ero, non avrò nulla da vergognarmi a rispondere. Del resto, per noi della Roya questa è una tradizione, ormai: ai tempi della Seconda guerra mondiale abbiamo nascosto gli ebrei, negli anni Trenta abbiamo aiutato gli italiani a passare il confine, per fuggire dal regime, compresa mia nonna… E poi, con questa legge che cosa dovrei fare, chiedere i documenti a qualcuno prima di aiutarlo? Sento la gente dire cose realmente ridicole: “Aiuti solo i neri, quando aiuti i bianchi?”. Beh, scusate tanto se nella mia vallata non abbiamo i barboni per le strade. Non ce li abbiamo bianchi. E neanche neri. Mi dispiace!»
Rabbia, indignazione ed incapacità distare fermo, fuori legge ma non contro la legge, Cedric non è un criminale, collabora persino con la Polizia, specie quando si tratta di minorenni, «molti passano dalla ferrovia – dice – e arrivano direttamente a casa mia. Io li sistemo, li faccio riposare, per loro faccio le carte per il Tribunale dei minori e poi li accompagno dalla polizia.», «Io ho un rapporto molto cordiale con la polizia della Valle. Non sono contro la polizia, sono contro il sistema che li costringe a obbedire a ordini illegali. E loro lo fanno, perché sono formati per eseguire, senza stare troppo a riflettere.»
Cedric Herrou non è un eroe e non vuole diventarlo, Cedric Herrou è una persona normale, tanto normale che fa sentire noi diversi, e forse lo siamo, incapaci di fare ancora come lui, andare dove ci porta il cuore.
BENVENUTO COLLEGA FACEBOOK
DI PIERLUIGI PENNATI
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Già, ormai tutti hanno un blog e sono diventati “giornalisti” e che FaceBook, che pubblica miliardi di “articoli” al giorno non lo fosse ancora diventato ufficialmente più che stupire fa emettere un sospiro di sollievo, finalmente getta la maschera e si impegna seriamente nel suo lavoro.
Si, perché cos’è oggi un “social network” se non una grande bacheca ed un immenso giornale delle opinioni, emozioni, immagini dei suoi utenti?
In fondo lo era fin dall’inizio, Zuckerberg cercava spazio all’università ed è nato FaceBook, oggi lo spazio è tutto suo, in tutto il mondo, e FaceBook diventa quello che è da sempre: in incredibile ed immenso giornale.
Ormai Google e FaceBook hanno il controllo delle informazioni in rete ed è quindi giusto che si dotino di regolamenti per il controllo almeno delle mistificazioni e, per fare ciò, fa la cosa giusta: vuole coinvolgere gli editori per provare a mettere in un angolo le fake news.
Come prendere la notizia?
Bene, perché il buon giornalismo ne gioverà certamente.
Male, perché il controllo di FaceBook su tutti noi aumenterà in modo esponenziale, se ve ne fosse ancora bisogno.
Le bufale, ormai virali, sono un danno anche per gli affari del network, quindi prenderne il controllo è indispensabile, non si tratta di un’apertura, ma di un’autodifesa con opportunità di sviluppo per se stessi.
Secondo il Wall Street Journal, la strada di Facebook appare ormai delineata ed il primo passo sarà quello di avere un ruolo sempre più attivo nella gestione dei contenuti coinvolgendo sempre più le grandi aziende editoriali.
L’iniziativa di oggi si chiama “alfabetizzazione alle notizie”, il cui intento sarebbe quello di proseguire più incisivamente gli sforzi degli ultimi mesi per spazzare dal newsfeed principale i post ad alto indice di disinformazione, ma per far ciò serve anche la partecipazione diretta delle grandi aziende editoriali, che potrebbero svolgere un’azione di controllo guadagnando a loro volta visibilità su Facebook ed allargando il loro business.
Il primo passo sarebbe l’inserimento di pubblicità nei video postati su Facebook iniziando da quelli degli inserzionisti e delle pagine pubbliche, per proseguire probabilmente con quelli degli utenti.
Secondo Fidji Simo, manager del gruppo, il “Progetto Giornalismo Facebook” vorrebbe produrre “informazioni di cui fidarsi”, sostenendo di avere “molto a cuore” questo obiettivo, essendo “sicuri che le persone vogliano essere informate”, ma senza che Facebook stesso diventi un vero e proprio “arbitro della verità”, secondo il volere di Mark Zuckerberg che esclude che FaceBook possa avere tra i suoi obiettivi quello di scegliere i contenuti destinati alla lettura da parte dei suoi iscritti.
Le fake news ed il sempre più importante peso del network nella vita delle persone in tutto il mondo avrebbero fatto pensare ad una propria responsabilità anche per come esso venga utilizzato dai suoi iscritti, senza rinunciare al dominio nella pubblicità digitale.
Come reagiranno le aziende editoriali che proprio nei giganteschi ricavi degli inserzionisti su Facebook vedrebbero una delle ragioni del loro declino lo sapremo presto, il fenomeno digitale è veloce come la rete, se sarà un “benvenuto collega” non tarderà a farsi sentire.
GLI USA ACCUSANO FCA: "EMISSIONI TRUCCATE". IL TITOLO CROLLA IN BORSA.
DI PIERLUIGI PENNATI
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L’Environmental Protection Agency, l’agenzia per la protezione ambientale americana, per mesi si è rifiutata di certificare i veicoli a diesel 2017 di FCA in vendita negli Stati Uniti ed la accusa di aver truccato le emissioni di 100mila veicoli, proprio come fece Volkswagen che in questi giorni ha trovato un accordo per il dieselgate, atraverso un patteggiamento, soggetto all’approvazione del consiglio di sorveglianza, di 4,3 miliardi di dollari.
Poco meno della cifra che rischia Fiat Chrysler Automobiles per lo stesso motivo e che ammonterebbe potenzialmente a 4,63 miliardi per avere violato leggi sulle emissioni di ben 104.000 veicoli, tra veicoli pesanti e SUV, prodotti dal 2014 ed equipaggiati con centraline non conformi.
Marchionne, però, contesta i dati con una comunicazione ufficiale ribadendo che che gli standard sulle emissioni nocive sono stati «rispettati» e ritenendo che i sistemi di controllo delle emissioni FCA «rispettino le normative applicabili» e fornendo la propria disponibilità a collaborare con la nuova Amministrazione per «presentare i propri argomenti e risolvere la questione in modo corretto ed equo».
Inoltre, secondo Marchionne, «Non c’è nulla in comune fra il caso Volkswagen e quello Fca» poiché FCA dialoga con l’Epa «da più di un anno» evidenziando come sia curioso e «spiacevole» che l’Agenzia per la Protezione ambientale americana abbia deciso di affrontare il caso FCA pubblicamente.
Secondo i dati sulle vendite diffusi in giornata VW aveva registrato un record di vendite posizionandosi in vetta alla classifica dei costruttori mondiali con 10,3 milioni di veicoli venduti nel 2016, il 3,8% in più rispetto al 2015 nonostante la multa pagata e il blocco delle vendite a gasolio negli Usa ed anche se per Marchionne non ci sono somiglianze, il valore della multa e la dichiarazione che «FCA sopravviverà anche se le dovesse essere comminata una multa di 4,6 miliardi di dollari», non fanno apparire i casi tanto distanti.
Nel frattempo la notizia ha fatto crollare in borsa il titolo FCA che è stato sospeso più volte al ribasso, chiudendo a Piazza Affari con un calo del 16% e trascinando con sé anche la holding della famiglia Exor (-9,3%).
IL POTERE LOGORA CHI NON CE L’HA
DI PIERLUIGI PENNATI ©
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Sembra di leggere in un libro di storia sulla rivoluzione industriale: padroni e dirigenti che insultano i dipendenti ed arrivano persino a picchiarli fisicamente. 54 denunce lo scorso febbraio e chissà quanti altri che non hanno ancora parlato per paura di perdere il posto di lavoro.
Mentre al governo si inventano metodi per far emergere il lavoro nero, ma soprattutto far pagare le tasse, dove le tasse si pagano spesso la situazione non è dignitosa, con buona pace di chi vuole abolire anche le tutele di base dei lavoratori.
Alla Gilardoni Raggi X di Mandello del Lario, in provincia di Lecco, le tasse si pagano da sempre e l’azienda è fiorente, dato anche il prodotto di nicchia, chiunque sia stato in un aeroporto, tribunale è passato sotto un metal detector costruito qui, ma anche TAC, radiografie e medicina nucleare, salute, sicurezza pubblica e non solo.
Contratti con le istituzioni, contatti con le autorità, tutto in regola, tranne la dignità e la tutela psicofisica dei lavoratori, così in un’azienda definita “realtà fondamentale per tutto il territorio e strategica per la sicurezza nazionale e non solo” dalla Procura di Lecco, sei persone sono attualmente indagate a vario titolo per reati impensabili nemmeno nelle imprese dove si parla di sfruttamento dei lavoratori.
Il dirigente della squadra mobile di Lecco, Marco Cadeddu, dice che sono state raccolte «direttamente e tramite i dipendenti prove video e audio di concrete violenze psicologiche e fisiche subite dai lavoratori, come morsi, lanci di oggetti, insulti. A essi si aggiungono documentazioni mediche e le risultanze dei controlli del dipartimento di igiene e prevenzione dell’ATS e della Direzione Territoriale del Lavoro».
Lesioni e maltrattamenti riferiti ad episodi verificatisi a partire dal 2012 è il reato ipotizzato a carico della signora Cristina Gilardoni e per l’ex direttore del personale Roberto Redaelli. Il procuratore di Lecco dott. Chiappani aggiunge che «i fatti sono abbastanza evidenti, ma andavano inquadrati in una visione complessiva, di sistematicità. Non essendo il reato di mobbing codificato abbiamo dovuto far riferimento alla giurisprudenza e inquadrare la vicenda come un allargamento al luogo di lavoro dei maltrattamenti in famiglia».
Ma proprietaria e direttore non sono soli , altri quattro gli indagati: il socio di minoranza Andrea Ascani Orsini, nipote della titolare e per il quale viene ipotizzata culpa in vigilando per carenze sulla legge antinfortunistica, Alberto Comi, consulente esterno dell’azienda che non sarebbe iscrizione nell’albo dei consulenti del lavoro ed i medici dell’azienda Stefano Marton e Maria Papagianni per i quali vi sarebbe “inosservanza degli obblighi inerenti alla funzione di medico” in relazione alla tutela della salute dei dipendenti.
La situazione era tanto grave che persino il figlio, Marco Taccani Gilardoni, era in dissenso con i metodi della madre e della dirigenza e che, sulla base delle indagini condotte dalla Procura di Lecco, si era fatto nominare in ottobre dal Tribunale di Milano commissario aziendale, azzerandone il CDA, vista la “complessiva negligente irragionevolezza dell’organo gestorio”.
«Un’indagine delicata, che ha richiesto tatto e sensibilità», secondo il dott. Chiappani, sono stati gli elementi essenziali dell’inchiesta sul “Caso Gilardoni Raggi X” alla quale hanno partecipato Polizia di Stato, il dipartimento igiene e prevenzione ATS Brianza e l’ispettorato del lavoro: «Persone provate, alcune devastate, dalla vita stravolta, senza più percezione di sè», aggiunge Marco Cadeddu che ha coordinato «un costante monitoraggio, calibrando gli interventi in modo da attutire gli attriti».
Nonostante i 22 casi accertati di lesioni, la Procura ha scelto di non ricorrere comunque alla custodia cautelare degli indagati a causa degli interessi in gioco: «La Gilardoni è un’azienda strategica, un intervento traumatico sulla direzione avrebbe condotto al collasso della situazione, ad un black out bancario. Era necessario dare continuità reputazionale e aziendale, garantire i posti di lavoro».
La perfetta sinergia degli organismi, tra i quali il Tribunale delle Imprese di Milano, unico in potere di commissariare la ditta, ed il Prefetto di Lecco, ha permesso di «far cessare la situazione di illegalità diffusa che si era creata».
Pochi tra i dipendenti se ne erano andati, quasi nessuno in questi tempi di crisi e diminuzione delle tutele sul lavoro se lo poteva permettere e così maltrattamenti e soprusi crescevano in un’escalation senza apparente fine in un’azienda modello, fiore all’occhiello della ricerca e della tecnologia italiana, che ha pochi concorrenti al mondo e che tutti ci invidiano. Se così stanno le cose in un’azienda avanzata e sotto la lente di ingrandimento delle istituzioni non oso pensare a cosa possa succedere in realtà meno tutelate o meno esposte.
REFERENDUM CGIL: TUTTO DA RIFARE?
DI PIERLUIGI PENNATI ©
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Inammissibile la richiesta di referendum denominato “abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi ” (n. 169 Reg. Referendum). Così la consulta ha oggi liquidato il problema e sebbene le altre richieste di referendum denominate “abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti” (n. 170 Reg. Referendum) e “abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)” ( n. 171 Reg. Referendum) siano state dichiarate ammissibili, per la CGIL è un gran smacco.
La causa del rifiuto sarebbe stata determinata dal fatto che, nella formulazione presentata, non ci si voleva limitare a cancellare la norma che ha sostituito il reintegro con l’indennizzo, quindi abrogarla, ma anche a creare di fatto una nuova normativa e dato che i referendum “propositivi” in Italia non sono previsti il quesito non può essere sottoposto a voto popolare per la sua introduzione legale.
Dopo un’udienza di circa un’ora e mezza a porte chiuse sui tre referendum abrogativi, per i quali erano state raccolte dalla CGIL 3,3 milioni di firme, e nella quale il vice avvocato generale Vincenzo Nunziata dell’Avvocatura dello Stato aveva ribadito l’inammissibilità dei quesiti, per altro già presente nelle memorie presentate per conto del Governo, la Corte ha ritenuto ammissibili i referendum sui Vaucher e gli appalti ma non quello sull’articolo 18.
Camusso non rinuncia, «Continueremo la nostra battaglia», afferma già dal pomeriggio, «Valuteremo le motivazioni della Corte e la rispettiamo ma siamo convinti che questa battaglia vada continuata, quindi la continueremo nelle forme che la contrattazione e la legge ci permettono», «Noi siamo convinti che la libertà dei lavoratori passi attraverso la loro sicurezza e quindi continueremo la nostra iniziativa per ristabilire i diritti», quindi, nei prossimi giorni il sindacato valuterà «tutte le possibilità» ancora rimaste, inclusa quella di rivolgersi alla Corte europea in materia di normative sui licenziamenti.
Camusso pensa ad una scelta non solo tecnica ed afferma che «É stato dato per scontato l’intervento del governo e dell’Avvocatura dello Stato, non era dovuto, è stata una scelta politica» e per quanto riguarda gli altri quesiti ammessi si dichiara già in campagna elettorale aggiungendo che sarà «grande e impegnativa».
Ma non è sola nel credere che non si sia trattato solo di diritto, Salvini parla di “sentenza politica, gradita ai poteri forti e al governo come quando bocciò il referendum sulla legge Fornero. Temendo una simile scelta anche sulla legge elettorale il prossimo 24 gennaio, preannunciamo un presidio a oltranza per il voto e la democrazia sotto la sede della Consulta a partire da domenica 22 gennaio”, mentre il 5stelle Danilo Toninelli dice “Non commento il no della Consulta al referendum sull’art.18 ma il Governo non canti vittoria: il Jobs Act è veleno per economia e lo aboliremo”.
Di Maio carica la dose guardando avanti: “Questa primavera saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher. La Corte Costituzionale ha appena dato l’ok. Sarà la spallata definitiva al Pd, a quel partito che ha massacrato i lavoratori più di qualunque altro e mentre lo faceva osava anche definirsi di sinistra!”.
Per la ministra Lorenzin la sentenza non avrà effetti sul governo poiché “non ha niente a che vedere con la durata del governo che è impegnato fuori dal Palazzo a far fronte alle priorità del paese e in Parlamento a fare la legge elettorale”.
Se per la CGIL la battaglia continua o, forse, è persino tutto da rifare sull’articolo 18, per i Voucher e la responsabilità sugli appalti si prospetta vita corta e se anche questa tornata elettorale si concluderà con un rifiuto per i provvedimenti del precedente governo sarà forse compito del prossimo riparare ai suoi fallimenti ed ai danni che avranno nel frattempo procurato.
I SOCIALISTI FRANCESI SCELGONO IL CANDIDATO PERDENTE
“Partita finisce quando arbitro fischia”. È al celebre aforisma di Vujadin Boškov che devono essersi ispirati i quasi due milioni di francesi che ieri hanno votato per il ballottaggio alle primarie della sinistra, preferendo, con oltre un milione di suffragi, il candidato Benoît Hamon al primo ministro uscente Manuel Valls e designando così il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali di aprile.
La corsa all’Eliseo, però, si annuncia difficile: secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto francese IPSOS Sopra Steria, al primo turno di elezioni Marine LE PEN potrebbe arrivare al 25%, François FILLON al 23%, Emmanuel MACRON al 17%, Jean-Luc MÉLENCHON al 14% e Benoît HAMON solo al 7%, seguito da François BAYROU al 5%, Nicolas DUPONT-AIGNAN e Yannick JADOT al 2,5%, per finire con Nathalie ARTHAUD e Philippe POUTOU all’ 1%, mentre Jacques CHEMINADE con un risultato inferiore allo 0,5 % non è considerato.
Secondo lo studio, il candidato della sinistra non andrebbe comunque oltre il quinto posto e non avrebbe possibilità di arrivare al ballottaggio finale, ma per citare ancora Boškov “chi non tira in porta non segna”, ed ai socialisti francesi non restava altra prospettiva che scegliere il candidato migliore e, sempre secondo IPSOS Sopra Steria, tra Valls ed Hamon vi era una seppur lieve differenza che porterebbe il voto dei francesi dal 6/7% del secondo al 9/10% del primo, quindi la scelta migliore sarebbe stata all’opposto.
In ogni caso per Hamon, non c’è tempo per esultare, il lavoro per convincere l’elettorato francese a votarlo non sarà semplice, soprattutto non sarà facile sedare l’ondata populista che sta vedendo la Le Pen favorita su Fillon, con i due che dovrebbero essere i veri protagonisti della delicata campagna elettorale che vedrà al suo termine in gioco il futuro dell’Eurozona alle elezioni europee di quest’anno, nelle quali la Francia è una delle protagoniste indiscusse.
Per lo scontro Fillon – Le Pen, IPSOS aveva inizialmente previsto la vittoria del primo, oggi ribalta leggermente i pronostici, ma dopo l’insediamento di Trump e l’inasprirsi delle polemiche populiste in campo internazionale, nel momento del voto reale per il loro presidente, i francesi potrebbero avere un istinto alla prudenza e ribaltare la situazione e quindi anche il candidato socialista, che oggi sembra perdente, potrebbe tentare il recupero.
“Elezioni vince chi prende più voti”, buon lavoro Benoît Hamon.
PER GRILLO FORSE ERA MEGLIO PENSARE ALLE VACANZE
DI PIERLUIGI PENNATI ©
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Forse sarebbe stato meglio pensare alle vacanze, effettuare qualche consultazione in più e poi, solo alla fine, lanciare un referendum. Grillo, invece, ha preferito fare il contrario e pensando ad un cambio radicale di marcia “per contare di più in Europa” è partito dalla base quasi senza paracadute, così invece di un dietro front ha fatto una giravolta, ma non senza pagarne le spese: l’uscita e rientro dal gruppo di Farange è costata al movimento la co-presidenza, che fino ad oggi è stata occupata da David Borrelli che, però, sembra anche essere il responsabile ed il promotore della figuraccia.
Borrelli, si era già espresso a favore dell’UE e con l’approvazione di Monti durante alcune interviste in occasione del caso Brexit e, secondo un documento in inglese presente sul sito www.politico.eu, l’accordo tra M5S ed ALDE sarebbe stato già pronto e scritto il 4 gennaio scorso con quattro punti fondamentali: “rinnovo della democrazia europea”, “riforma dell’Eurozona”, “diritti e le libertà” e “opportunità senza confini”.
La base 5stelle aveva detto si alla consultazione a sorpresa, ma, alla fine, i liberaldemocratici non hanno voluto chiudere ed a Grillo è rimasto solo il rientro nelle file degli euroscettici dell’UKIP, attaccando Verhofstadt, del quale dice “che oggi si propone come negoziatore per la Brexit dovrebbe solo vergognarsi, perché da meschino si è piegato alle pressioni dell’establishment”. Difende invece Borrelli affermando anche che “Le carte fatte circolare non ci appartengono, non abbiamo firmato nessun contratto, si tratta di un elenco di punti comuni e di contrasto”.
Anche la sopravvivenza dell’EFDD, però, sarebbe stata minata fortemente dalla fuoriuscita del M5S, il gruppo, attualmente composto da 44 parlamentari, senza i 17 grillini, sarebbe stato ridotto a soli 27, appena due in più del minimo di 25, in rappresentanza di sette diverse nazionalità, ammesso nel Parlamento europeo per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo, facendo rischiare l’UKIP di ritrovarsi nel novero dei non inscritti.
Farage ha quindi ben deciso di riaccogliere i grillini che, comunque, avevano nel cassetto l’opzione di restare nel gruppo come seconda più votata sul blog, mentre l’ipotesi di entrare tra i ‘non iscritti’ era la terza preferenza.
Se la strada per il movimento in Europa sarà ora più in salita lo vedremo presto, Grillo ha ribadito che il programma M5S in Europa “non cambia di una virgola e non sarebbe cambiato con l’ingresso in un altro gruppo” ed il primo appuntamento dovrebbe riguardare l’Euro che essendo “un sistema che ha generato surplus a favore della Germania” deve essere sottoposto a “referendum popolare” per la sua abrogazione, oltre alle battaglie politiche contro il TTIP, il CETA, il conferimento del MES alla Cina ed “il superamento del regolamento di Dublino“, per quanto riguarda il tema immigrazione. Buon lavoro grillini.
AL VOTO, AL VOTO. NEL M5S SI SCEGLIE A SORPRESA
DI PIERLUIGI PENNATI
Malindi, nulla da fare e poca fantasia, perché non votare per il futuro del movimento in Europa?
Deve essersi chiesto questo Beppe Grillo quando ha deciso di avviare a sorpresa delle consultazioni per scegliere le alleanze politiche in Europa e stabilire il futuro strasburghese del Movimento.
Così, cogliendo di sorpresa molti europarlamentari M5s, anche se la separazione con l’UKIP era nell’aria ormai da tempo e i tentativi portati avanti con i Verdi a dicembre, e poi falliti, resi noti a tutti non sapevano dell’improvvisa accelerazione, Grillo lancia il voto sul suo blog “dalle 10 alle 19 di oggi 8 gennaio e dalle 10 alle 12 di domani”.
La richiesta del leader del movimento sembrerebbe esser quella di aderire al gruppo ALDE (Alliance of Liberals and Democrats of Europe) e diventare la terza forza in Europa. Secondo Grillo il gruppo sarebbe stato l’unico “ad aprire un dialogo con noi, anche se questo deve avvenire con regole ben chiare verso il M5s”, oppure di aderire al Misto, “ma non essere in un gruppo vuol dire non contare”, o restare in EFDD.
In un lungo commento Grillo delinea la sua idea e chiede il voto “carpe diem”, chi c’è c’è, tanto che persino i suoi sono sorpresi. Carlo Sibilia, deputato M5s ed ex componente del direttorio afferma su FaceBook che “Votare informati è importante” e “Ecco cosa diceva il gruppo ALDE di noi meno di 3 anni fa: ‘per completezza, si segnala che anche ‘Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (ALDE)’, il gruppo più europeista e federalista esistente al Pe, ha espresso una posizione unitaria, la quale tuttavia ha considerato i sette punti per l’Europa del M5s come ‘completamente incompatibili con la loro agenda pro-Europa’ definendo il M5s ‘profondamente anti Europeo’ e il suo programma ‘irrealistico e populista’. ALDE è anche favorevole alla clausola ISDS nel TTIP. E quindi al TTIP stesso. Del resto se si definiscono liberali ci sarà un motivo”.
Ma non è tutto, secondo Sibilia “ALDE ha boicottato tutte le candidature del M5s alla presidenza e alla vicepresidenza di commissioni del parlamento Europeo” e concludendo “decidete se meglio soli (vi ricordo che il parlamento Europeo non ha iniziativa legislativa, cioè, per intenderci i deputati non possono proporre leggi) o male accompagnati e un po’ ipocriti. Buon voto”.
Anche Claudia Mannino non è tanto tenera e scrive “La nostra memoria corta non deve averla vinta in scelte del genere! io preferisco non aderire a nessun gruppo!”, mentre Mirella Liuzzi affida a Twitter il suo commento: “Meglio soli che male accompagnati, visti i precedenti”, e Nicola Morra, senatore M5s, sbotta: “Europa o Italia, siamo nati per essere una rivoluzione culturale prima ancora che politica. Se questo comporta un lungo attraversamento del deserto, non ci sono problemi. La solitudine della marcia non ci spaventa”.
Per Laura Ferrara, capogruppo uscente del M5s a Bruxelles, invece, allearsi con l’ALDE a Bruxelles “è l’unico modo per continuare ad avere un peso in Europa”.
Brexit ed avvenimenti in Europa per Grillo dovrebbero far ripensare seriamente alla natura del gruppo EFDD, aggiungendo che “ALDE conta 68 eurodeputati e con la presenza del Movimento 5 Stelle diventerebbe la terza forza politica al Parlamento europeo. Questo significa acquisire un peso specifico di notevole importanza nelle scelte che si prendono. Significa in molti casi rappresentare l’ago della bilancia: con il nostro voto potremo fare la differenza e incidere sul risultato di molte decisioni importanti per contrastare l’establishment europeo. Non rinneghiamo le scelte del passato che ci hanno portato dove siamo oggi. Vogliamo affrontare nuove sfide con maggiore determinazione”.
L’ingresso nel Parlamento europeo con le elezioni del 25 maggio 2014 è avvenuto dopo una consultazione online tra gli iscritti dando vita al gruppo EFDD (Europe of Freedom and Direct Democracy) insieme agli inglesi di UKIRP e altre delegazioni minori, “oggi” prosegue Grillo “abbiamo, per la seconda volta in tempi ravvicinati, l’opportunità di scegliere se e come dare un futuro al Movimento 5 stelle in Europa. Come sempre accade, a metà di una legislatura (dopo due anni e mezzo dall’inizio della stessa) si aprono i negoziati tra gruppi politici. Anche noi ne abbiamo valutati alcuni e tra quelli che ci interessavano, gli unici ad aprire il dialogo con noi sono stati gli eurodeputati di ALDE. Abbiamo fatto un tentativo di dialogo anche con il gruppo dei Verdi, che ha rifiutato la nostra richiesta di confronto. Ci è stato comunicato che un eventuale ingresso del Movimento 5 stelle nel gruppo dei Verdi avrebbe infatti ‘sbilanciato’ gli equilibri del gruppo stesso”.
Le condizioni politiche alla base dei negoziati con ALDE sarebbero molto chiari: “condivisione dei valori di democrazia diretta, trasparenza, libertà, onestà; totale e indiscutibile autonomia di voto; partecipazione dei cittadini nella vita politica delle istituzioni europee; schieramento compatto nelle battaglie comuni come la semplificazione dell’apparato burocratico europeo, la risoluzione dell’emergenza immigrazione con un sistema di ricollocamento permanente, la promozione della green economy e lo sviluppo del settore digitale e tecnologico con maggiori possibilità occupazionali”, in definitiva “il Movimento 5 stelle manterrebbe la sua piena autonomia con l’opportunità di dare vita a una nuova identità europea, che chiameremo DDM (Direct Democracy Movement) un progetto ambizioso che apre a un futuro in cui sempre più realtà europee condivideranno il valore della democrazia diretta”.
Se siete grillini e date spesso un’occhiata al blog, buon voto, altrimenti …
INCIDENTE AEREO A LINATE, VOLI DIROTTATI SU MALPENSA
Alle 18:20 di ieri 5 gennaio 2017 un Piper PA 46T, un piccolo aereo da turismo turboelica di aviazione generale, ha avuto una probabile anomalia al carrello costringendolo ad un atterraggio “duro” e finendo fuori pista.
Fortunatamente, il Piper non ha preso fuoco ed il meccanismo dei soccorsi, scattato immediatamente, faceva dirottare i voli su Malpensa mentre i vigili del fuoco e le forze dell’ordine intervenivano sul posto per soccorrere le due persone a bordo, uno dei quali era il pilota.
Le ambulanze accorse in codice rosso hanno però accertato che i due erano molto scossi ma senza ferite di particolare rilevanza, rifiutando persino di essere portati al pronto soccorso per altri accertamenti.
A seguito dell’incidente l’aeroporto di Linate è rimasto chiuso per circa tre ore, fino alle 22.
(foto tgcom24)
INCIDENTE AEREO A LINATE, VOLI DIROTTATI SU MALPENSA
DI PIERLUIGI PENNATI
Alle 18:20 di ieri 5 gennaio 2017 un Piper PA 46T, un piccolo aereo da turismo turboelica di aviazione generale, ha avuto una probabile anomalia al carrello costringendolo ad un atterraggio “duro” e finendo fuori pista.
Fortunatamente, il Piper non ha preso fuoco ed il meccanismo dei soccorsi, scattato immediatamente, faceva dirottare i voli su Malpensa mentre i vigili del fuoco e le forze dell’ordine intervenivano sul posto per soccorrere le due persone a bordo, uno dei quali era il pilota.
Le ambulanze accorse in codice rosso hanno però accertato che i due erano molto scossi ma senza ferite di particolare rilevanza, rifiutando persino di essere portati al pronto soccorso per altri accertamenti.
A seguito dell’incidente l’aeroporto di Linate è rimasto chiuso per circa tre ore, fino alle 22.
(foto tgcom24)
AL VOTO IL CODICE M5S, SANZIONE NON AUTOMATICA PER GLI INDAGATI
DI PIERLUIGI PENNATI
Dopo una gestazione avvenuta in sordina è pronto per il voto il codice etico del Movimento 5 Stelle che da oggi alle 10 potrà essere giudicato online da coloro che risultano iscritti al movimento entro il 1° luglio 2016 con documento certificato.
Quanti siano gli aventi diritto al voto non è dato sapere con precisione ed anche le modalità di certificazione ed approvazione del documento non sono disponibili, fatto sta che i “fortunati” iscritti, da domani, potranno dire se gli sta bene o meno un codice etico preconfezionato e non più discutibile, solo votabile.
Lo scopo dichiarato è di garantire una condotta, nel perseguire gli obiettivi del Movimento indicati nel “Non Statuto” o negli altri atti interni di indirizzo, da parte dei portavoce eletti, ispirata ai principi di lealtà, correttezza, onestà, buona fede, trasparenza, disciplina e onore, rispetto della Costituzione della Repubblica e delle leggi vigenti.
Tra i punti salienti vi sono il dovere, già espresso dall’art. 54 della Costituzione, per i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore, avendo comportamenti eticamente ineccepibili, anche a prescindere dalla rilevanza penale degli stessi. I portavoce dovranno anche astenersi da comportamenti suscettibili di pregiudicare l’immagine o l’azione politica del Movimento stesso.
Inoltre, negli eventuali procedimenti penali, il Garante del Movimento, il Collegio dei Probiviri od il Comitato d’appello, compiranno “le loro valutazioni in totale autonomia, in virtù e nell’ambito delle funzioni attribuite dal Regolamento del Movimento 5 Stelle, nel pieno rispetto del lavoro della magistratura.”
Secondo il testo da votare, “il comportamento tenuto dal portavoce può essere considerato grave dal Garante o dal Collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d’appello, anche durante la fase di indagine, quando emergono elementi idonei ad accertare una condotta che, a prescindere dall’esito e dagli sviluppi del procedimento penale, sia già lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del Movimento 5 Stelle. La condotta sanzionabile può anche essere indipendente e autonoma rispetto ai fatti oggetto dell’indagine.”
“In qualsiasi fase del procedimento penale, il portavoce può decidere di auto-sospendersi dal Movimento senza che ciò implichi di per sè alcuna ammissione di colpa o di responsabilità.”
“Il Garante del Movimento, il Collegio dei Probiviri o il Comitato d’Appello” … ”valutano la gravità dei comportamenti tenuti dai portavoce, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale”
Nessuna tolleranza per i condannati, infatti “è considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del Movimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo, eccettuate le ipotesi indicate all’ultimo comma. A tal fine, sono equiparate alla sentenza di condanna la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio. E’ invece rimessa all’apprezzamento discrezionale del Garante, del Collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d’appello la valutazione di gravità ai fini disciplinari di pronunzie di dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, di sentenze di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.”
Va però detto che non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce la ricezione, da parte di esso di “informazioni di garanzia” o di un “avviso di conclusione delle indagini”, essendo sempre rimessa alla discrezionalità del Garante e del Collegio dei probiviri o del Comitato d’appello la valutazione della gravità di fatti che configurano i cosiddetti reati d’opinione ipotesi di reato concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni, ovvero di fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale.
È comunque dovere dei portavoce, quando ne hanno notizia, “l’obbligo di informare immediatamente e senza indugio il gestore del sito dell’esistenza di procedimenti penali in corso nei quali assumono la qualità di indagato o imputato nonché di qualsiasi sentenza di condanna o provvedimento ad essa equiparato”.
Per ultimo “è dovere di ogni amministratore eletto nelle file de Movimento” il far rispettare il codice etico ai componenti delle proprie giunte, anche se in queste non risultano iscritti e/o eletti nel Movimento 5 Stelle.
Insomma, il partito non partito parte con un regolamento non regolamento votato da iscritti non iscritti, ma certificati prima del 1° luglio 2016. Pieni poteri da attribuire al Garante del movimento (Beppe Grillo n.d.r.), al Collegio dei probiviri ed al Comitato d’appello. Staremo a vedere.
GENTILONI NON SORPRENDE
DI PIERLUIGI PENNATI
Nessuna vera sorpresa alla conferenza stampa di fine anno di Gentiloni che, nel ricordare che il suo governo è nato il giorno successivo alle “dimissioni di Matteo Renzi, provocate dalla sconfitta al referendum” ha detto “Continueremo le riforme avviate dal governo Renzi” perché “Cancellare o relegare nell’oblio il governo Renzi sarebbe un errore” ed ancora “La rivendicazione di continuità non è un puntiglio, ma completamento delle riforme è un’esigenza del Paese, non abbiamo finito e non abbiamo scherzato. Tutti devono essere consapevoli che il processo di riforme andrà avanti nel tempo che abbiamo a disposizione”.
Si spinge poi sulla legge elettorale per la quale sostiene che “Il governo cercherà di dare un contributo anche sulla legge elettorale”, “Avere con sollecitudine regole elettorali non è interesse di chi vuole accorciare o allungare la legislatura, è interesse nostro e delle istituzioni e per questo il governo accompagnerà, sollecitando, questo percorso perché lo riteniamo importante”.
E per il 2017 “Il governo farà del suo meglio per migliorare la situazione del Paese” “proseguendo le riforme che sono avviate”, ma anche senza rinunciare a parlare del Jobs Act che considera “un’ottima riforma del lavoro”, sostenendo che “Nel contesto dell’economia italiana e dei suoi livelli di crescita i nostri numeri di lavoro a tempo indeterminato, di riduzione della disoccupazione, vanno nella direzione giusta”, ma poi, non perdendo di vista la possibilità imminente del referendum, “Certamente è qualcosa che dobbiamo sviluppare. E correggere e cambiare dove c’è da correggere e cambiare. C’è qualcosa da cambiare nei famosi voucher, senza accedere all’idea che questi voucher siano una specie di virus che semina lavoro nero nella nostra società. Perché nascono, all’opposto, come un tentativo di rispondere.”, ammettendo che “ci sono anche cose che non funzionano, eccessi o settori in cui l’uso dei voucher va limitato. Dobbiamo capire questi abusi che rischiano di snaturare uno strumento senza pensare che siano l’origine di tutti guai perché è una semplificazione che non aiuta”.
Sule tasse “Il governo negli ultimi due o tre anni ha fatto riduzioni fiscali molte serie”, ma non promette nulla, “non diciamo a 15 giorni dal nostro insediamento cose impegnative che potrebbero non essere mantenute”
La sicurezza resta un problema, “Non esistono paesi non a rischio ma esistono paesi che possono impegnarsi sul terreno della prevenzione e sicurezza e su quello dell’accoglienza”, “ci sono tante cose da fare. Dobbiamo mantenere alta la guardia “.
Per MPS sostiene che il governo ha “messo in sicurezza il risparmio con il decreto salva risparmio, la cui attuazione sarà lunga e complicata”, rivendicando di aver preso una decisione “strategica e fondamentale” con l’obiettivo principale di “salvaguardare i risparmiatori”.
Non sono mancate parole per la vicenda Vivendi per la quale ci sarebbe l’attenzione vigile del governo che è consapevole “dell’importanza di Mediaset in Italia” e per il quale “il fatto che sia oggetto di una scalata non ci lascia indifferente” ed in chiusura, incalzato dai cronisti, è riuscito persino a difendere la contestata nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Maria Elena Boschi, spiegando che si è trattato di una decisione personale, “che ci crediate o no”, dato che sarebbe “una risorsa e può fare un lavoro molto utile.”
Chi si aspettava sorprese è, evidentemente, rimasto deluso.
GENTILONI NON SORPRENDE
Nessuna vera sorpresa alla conferenza stampa di fine anno di Gentiloni che, nel ricordare che il suo governo è nato il giorno successivo alle “dimissioni di Matteo Renzi, provocate dalla sconfitta al referendum” ha detto “Continueremo le riforme avviate dal governo Renzi” perché “Cancellare o relegare nell’oblio il governo Renzi sarebbe un errore” ed ancora “La rivendicazione di continuità non è un puntiglio, ma completamento delle riforme è un’esigenza del Paese, non abbiamo finito e non abbiamo scherzato. Tutti devono essere consapevoli che il processo di riforme andrà avanti nel tempo che abbiamo a disposizione”.
Si spinge poi sulla legge elettorale per la quale sostiene che “Il governo cercherà di dare un contributo anche sulla legge elettorale”, “Avere con sollecitudine regole elettorali non è interesse di chi vuole accorciare o allungare la legislatura, è interesse nostro e delle istituzioni e per questo il governo accompagnerà, sollecitando, questo percorso perché lo riteniamo importante”.
E per il 2017 “Il governo farà del suo meglio per migliorare la situazione del Paese” “proseguendo le riforme che sono avviate”, ma anche senza rinunciare a parlare del Jobs Act che considera “un’ottima riforma del lavoro”, sostenendo che “Nel contesto dell’economia italiana e dei suoi livelli di crescita i nostri numeri di lavoro a tempo indeterminato, di riduzione della disoccupazione, vanno nella direzione giusta”, ma poi, non perdendo di vista la possibilità imminente del referendum, “Certamente è qualcosa che dobbiamo sviluppare. E correggere e cambiare dove c’è da correggere e cambiare. C’è qualcosa da cambiare nei famosi voucher, senza accedere all’idea che questi voucher siano una specie di virus che semina lavoro nero nella nostra società. Perché nascono, all’opposto, come un tentativo di rispondere.”, ammettendo che “ci sono anche cose che non funzionano, eccessi o settori in cui l’uso dei voucher va limitato. Dobbiamo capire questi abusi che rischiano di snaturare uno strumento senza pensare che siano l’origine di tutti guai perché è una semplificazione che non aiuta”.
Sule tasse “Il governo negli ultimi due o tre anni ha fatto riduzioni fiscali molte serie”, ma non promette nulla, “non diciamo a 15 giorni dal nostro insediamento cose impegnative che potrebbero non essere mantenute”
La sicurezza resta un problema, “Non esistono paesi non a rischio ma esistono paesi che possono impegnarsi sul terreno della prevenzione e sicurezza e su quello dell’accoglienza”, “ci sono tante cose da fare. Dobbiamo mantenere alta la guardia “.
Per MPS sostiene che il governo ha “messo in sicurezza il risparmio con il decreto salva risparmio, la cui attuazione sarà lunga e complicata”, rivendicando di aver preso una decisione “strategica e fondamentale” con l’obiettivo principale di “salvaguardare i risparmiatori”.
Non sono mancate parole per la vicenda Vivendi per la quale ci sarebbe l’attenzione vigile del governo che è consapevole “dell’importanza di Mediaset in Italia” e per il quale “il fatto che sia oggetto di una scalata non ci lascia indifferente” ed in chiusura, incalzato dai cronisti, è riuscito persino a difendere la contestata nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Maria Elena Boschi, spiegando che si è trattato di una decisione personale, “che ci crediate o no”, dato che sarebbe “una risorsa e può fare un lavoro molto utile.”
Chi si aspettava sorprese è, evidentemente, rimasto deluso.
"NESSUNA ALTERNATIVA AL PROPORZIONALE", QUANDO TUTTO È RELATIVO
DI PIERLUIGI PENNATI
Lo sapeva Einstein, ma non bisogna essere geni per capirlo: tutto è relativo.
Così, dopo aver tentato nel 2006 la stessa riforma costituzionale fallita anche da Matto Renzi, per un maggioritario che escludesse le minoranze e fornisse pieni poteri al vincitore delle elezioni in nome della governabilità, anche Silvio Berlusconi fa retromarcia, anzi, potremmo dire un vero e proprio “indietro tutta”.
Ecco che, alla vigilia dell’annuncio delle nomine dei sottosegretari del nuovo governo, un Berlusconi ormai ridotto ai minimi termini e con la credibilità ossidata dal tempo, la posizione ufficiale che dà del suo partito è il ritorno alle origini costituzionali: il proporzionale puro, o quasi.
“Noi non vediamo un’altra soluzione che quella di un sistema elettorale proporzionale che garantisca la corrispondenza tra la maggioranza parlamentare e la maggioranza popolare. E solo una legge proporzionale in uno scenario politico tripolare può garantire che la maggioranza in parlamento si identifichi con la maggioranza dei cittadini”.
Questo il Silvio Berlusconi di fine 2016 nel tradizionale messaggio di stagione a Paolo Russo, coordinatore di Forza Italia a Napoli, “Mi auguro che il governo Gentiloni traduca in concreto il proposito di facilitare un accordo su questa materia, che ovviamente spetta al Parlamento, e che in sede parlamentare il Pd dimostri di aver capito la lezione della sconfitta referendaria e si renda partecipe di un percorso condiviso sulle regole”.
Dopo tante battaglie per sdoganare un concetto di destra nell’Italia dalle radicate reminiscenze antifasciste e poter governare da solo, di fronte alla possibilità che a farlo siano altri, ed in particolare un movimento 5 stelle del quale dice che “non è credibile”, l’unica alternativa rimastagli per sopravvivere politicamente sembra essere quella di tornare a contare i singoli voti, e magari persino le preferenze.
Ma Berlusconi è Berlusconi e certamente la sola sopravvivenza gli va stretta, quindi apre già la campagna elettorale per tentare un rientro in grande stile, ancora una volta da leader e prodigando suggerimenti al governo che afferma di voler sostenere solo per i provvedimenti che riterrà utili e positivi, nonostante sia la fotocopia del precedente: “Al governo spetta gestire alcune vere e proprie emergenze sul piano interno e internazionale. Lo vedremo all’opera e valuteremo ogni provvedimento proposto dal governo stesso sostenendolo col nostro voto ove lo ritenessimo positivo e utile nei confronti dell’Italia e degli italiani. Questo da sempre è il nostro modo di essere all’opposizione, una opposizione responsabile che ci distingue dalla politica del tanto peggio, tanto meglio, proprio dell’opposizione della sinistra. Naturalmente si tratta di un governo molto simile al precedente, al quale noi non possiamo e non vogliamo assicurare il nostro sostegno, pur apprezzando lo stile sobrio ed equilibrato fin qui manifestato dal Presidente del Consiglio”.
Fin qui le novità non sembrano poi tante, in fondo sostenere i governi per i provvedimenti utili e per il rilancio dell’economia e dell’immagine nazionale non dovrebbe essere una concessione delle opposizioni ma un dovere civico di tutti, ma il punto è proprio questo, con un atto pubblico di apparente coerenza e responsabilità si ridà tono e vitalità ad un partito che ormai molti avevano pensato finito, che sarà di Forza Italia senza Berlusconi?
Eccolo quindi di nuovo alla carica ed in campagna elettorale: “Di fronte alla sconfitta del renzismo e all’evidente incapacità dei Cinque stelle di proporsi come credibile alternativa di governo solo una proposta politica seria, credibile, basata su un programma liberale e riformatore, sui principi cristiani e sui valori del partito del popolo europeo, può permettere all’Italia di uscire dalla crisi e al tempo stesso sconfiggere la disaffezione alla politica che ha portato metà degli italiani a disertare le urne. Ed è soprattutto nei confronti di questi italiani che noi dobbiamo svolgere una campagna di persuasione e di coinvolgimento”.
La stagione degli slogan e dei proclami sembra quindi ancora aperta nella nostra nazione e non mancano persino le promesse: “Nella cosiddetta povertà relativa ci sono pensionati che, dopo una vita di lavoro, avrebbero diritto a trascorrere con serenità e in condizioni dignitose la propria vecchiaia. Per questo l’aumento delle pensioni minime a mille euro è uno dei primi provvedimenti che prenderà il nostro governo. Siamo credibili nel prometterlo, perché lo abbiamo già fatto, nel 2001, quando abbiamo aumentato le pensioni ad un minimo di un milione di lire, cifra che allora significava un grande passo avanti”.
Indietro tutta, quindi, per andare avanti, ma se in Italia la vera crisi si gioca sulla credibilità, chi spunterà la partita: il nuovo che indietreggia od il vecchio che avanza?
IL JOBS ACT CAMBIA PER EVITARE IL REFERENDUM
DI PIERLUIGI PENNATI
Tutto da rifare. Sembra un bollettino di guerra quello che ogni giorno che passa rende sempre più evidente la situazione: nessuno dei governi tecnici o di responsabilità passati ha centrato davvero l’obiettivo.
Con tre milioni di disoccupati stabilmente censiti, i Vaucher venduti in ottobre a quota 121 milioni, mobilità, cassa integrazione e DISCOLL cestinati da capodanno e che la NASpI non lascia intendere di poter davvero soppiantare del tutto, il 2017 non sembra partire sotto buoni auspici ed a questo si aggiunga che le proteste non si fermano più alle piazze, ma imbracciano le armi del diritto proponendo referendum al posto di semplici manifestazioni e dichiarazioni di dissenso.
Per far fronte a questa situazione di emergenza, generata anche dalla pressione dei tre referendum promossi dalla Cgil sul ritorno all’articolo 18, l’abolizione dei voucher e la corresponsabilità negli appalti, il governo sembra essere pronto a una stretta sui voucher, abbassandone i tetti ed aumentando controlli e sanzioni.
I ticket da dieci euro lordi, ma che ne valgono solo sette, sono nati per pagare i lavoretti, ma sono diventati in fretta il simbolo della nuova precarietà e della protesta contro le politiche del lavoro dell’esecutivo Renzi dopo la liberalizzazione normativa.
I margini per intervenire non sembrano essere molti e, forse, solo la loro abolizione potrebbe segnare una vera novità, ma attualmente l’attesa del governo sembra essere per il primo monitoraggio sulla tracciabilità dei ticket, che potrebbe arrivare già nei prossimi giorni, e la decisione della Consulta l’11 gennaio.
Dalle tabelle INPS si dovrebbe poter dedurre se l’obbligo introdotto ad ottobre di mandare un SMS od una email almeno un’ora prima di impiegare la manodopera attraverso i Vaucher abbia funzionato da deterrente o meno. Senza un evidente calo delle cifre il ministro del Lavoro Poletti si è detto pronto a “rideterminare dal punto di vista normativo il confine del loro uso”.
Ma l’attesa è per la decisione della Corte sulla globalità dei quesiti proposti che potrebbero minare alle fondamenta l’intero impianto del Jobs Act, eventualità di fronte alla quale la sola modifica od abolizione dei voucher non sarà più così importante.
Ma se dovesse passare la sola richiesta di abolizione dei voucher, una loro modifica diventerà obbligata per riportare il tetto massimo di introiti per il lavoratore a 5 mila euro, dagli attuali 7 mila, o persino meno, ma anche inasprendo i controlli ed aumentando le sanzioni pecuniarie per i furbetti che vorrebbero sostituire i contratti di lavoro con i soli buoni.
Teoricamente i voucher dovevano consentire l’emersione del lavoro nero, ma sembra essere successo esattamente il contrario con i ticket utilizzati proprio per nascondere il lavoro nero.
Il parere su questo punto sembra essere unanime, i sindacati, ma anche il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano e il presidente dell’INPS Tito Boeri, hanno definito i voucher come una nuova frontiera per il precariato.
Il problema sarebbe che i datori di lavoro segnerebbero molte meno ore di lavoro di quelle effettivamente rese dal personale, per correre ai ripari solo durante i controlli, o peggio, quando accade un incidente del lavoro. In queste occasioni il datore di lavoro correrebbe e a compilare anche i voucher a copertura delle ore restanti per risultare in regola con i contributi.
Cesare Damiano aveva già dichiarato che “le prestazioni di lavoro accessorio devono tornare ad essere attività lavorative di natura meramente occasionale, rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro.”
Per fare ciò si dovrebbe tornare perlomeno alla legge Biagi dove erano elencate le tipologie di lavori ammessi, con i Vaucher, invece, lo spirito della legge Biagi è stato profondamente cambiato e l’idea di far emergere quote di lavoro nero si è trasformata esattamente nel suo contrario, dato che mentre la Legge Biagi prevedeva che i voucher potessero essere utilizzati solo per “lavoretti” con la nuova normativa i datori di lavoro possono pagare prestazioni che inizialmente non erano previste nel concetto di “buono lavoro“.
Oggi il Referendum della CGIL chiede la cancellazione del lavoro accessorio, il governo sembra essere quindi al lavoro per scongiurarlo.
E' IL KILLER DI BERLINO L'UOMO UCCISO A SESTO SAN GIOVANNI
DI PIERLUIGI PENNATI
Sarebbe l’attentatore del mercatino di Natale di Berlino, Anis Amri, quello rimasto ucciso questa notte durante un controllo documenti alla stazione di Sesto San Giovanni.
Gli agenti erano intervenuti a seguito di una segnalazione per dei rumori simili a spari o botti, prematuri per capodanno. Sul piazzale della stazione solo uno straniero, un nordafricano al quale hanno chiesto i documenti. L’uomo ha aperto lo zaino che aveva con sé ed estratta una pistola ha fato fuoco ferendo alla spalla un agente, Christian Movio.
L’identificazione dell’uomo è poi arrivata sia dai tratti somatici che dalla comparazione delle impronte. Il Ministro dell’Interno Minniti conferma: “E’ lui senza dubbio”.
Il tunisino sarebbe arrivato dalla Francia a Milano in treno e secondo Repubblica, avrebbe gridato “Allah akbar” prima di morire. A testimoniare il tragitto ci sarebbe un biglietto ferroviario trovato addosso.
In conferenza stampa Minniti ha spiegato che la vicenda “può portare a sviluppi futuri”, e che l’indagine è stata presa in carico dalla magistratura milanese.
Anis Amri ha trascorso cinque anni in Italia, sbarcato a Lampedusa nel 2011 e registrato come minore non accompagnato, era stato condannato per dei disordini nel centro di accoglienza dove era ospitato e trascorso quattro anni in carcere tra Catania e Palermo.
Il portavoce del ministro degli Esteri tedesco, in una conferenza stampa di governo a Berlino ha detto “Siamo molto grati alle autorità italiane per la stretta collaborazione”.
E’ IL KILLER DI BERLINO L’UOMO UCCISO A SESTO SAN GIOVANNI
Sarebbe l’attentatore del mercatino di Natale di Berlino, Anis Amri, quello rimasto ucciso questa notte durante un controllo documenti alla stazione di Sesto San Giovanni.
Gli agenti erano intervenuti a seguito di una segnalazione per dei rumori simili a spari o botti, prematuri per capodanno. Sul piazzale della stazione solo uno straniero, un nordafricano al quale hanno chiesto i documenti. L’uomo ha aperto lo zaino che aveva con sé ed estratta una pistola ha fato fuoco ferendo alla spalla un agente, Christian Movio.
L’identificazione dell’uomo è poi arrivata sia dai tratti somatici che dalla comparazione delle impronte. Il Ministro dell’Interno Minniti conferma: “E’ lui senza dubbio”.
Il tunisino sarebbe arrivato dalla Francia a Milano in treno e secondo Repubblica, avrebbe gridato “Allah akbar” prima di morire. A testimoniare il tragitto ci sarebbe un biglietto ferroviario trovato addosso.
In conferenza stampa Minniti ha spiegato che la vicenda “può portare a sviluppi futuri”, e che l’indagine è stata presa in carico dalla magistratura milanese.
Anis Amri ha trascorso cinque anni in Italia, sbarcato a Lampedusa nel 2011 e registrato come minore non accompagnato, era stato condannato per dei disordini nel centro di accoglienza dove era ospitato e trascorso quattro anni in carcere tra Catania e Palermo.
Il portavoce del ministro degli Esteri tedesco, in una conferenza stampa di governo a Berlino ha detto “Siamo molto grati alle autorità italiane per la stretta collaborazione”.
L'ULTIMO ATTO DELLA LEGGE FORNERO
DI PIERLUIGI PENNATI
Mentre siamo tutti in attesa di sapere se si voterà a primavera per il nuovo parlamento o per il referendum contro il Jobs Act una nuova scadenza sta per arrivare inesorabilmente: il 1° gennaio 2017 diremo addio definitivamente all’indennità di mobilità.
Per effetto di una delle norme contenute nel D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, detto anche “Salva Italia” o definito come “Riforma delle pensioni Fornero”, dal nome di Elsa Fornero che ne fu promotrice, dal 1° gennaio scomparirà, dopo 25 anni dalla sua introduzione, l’indennità di mobilità per i lavoratori colpiti da licenziamento collettivo. Ai disoccupati resterà solo l’assegno NASpI.
Per la precisione, sparisce l’indennità spettante ai lavoratori licenziati da imprese industriali con più di 15 dipendenti o commerciali con oltre 50, sostituito dall’assegno NASpI, uguale per tutti.
Con l’assegno di mobilità, i benefici fiscali riguardavano le assunzioni di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità indennizzata con una contribuzione previdenziale a carico dell’azienda pari a quella degli apprendisti, per 18 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato e 12 mesi a tempo determinato, più un contributo mensile, pari al 50% dell’indennità non ancora percepita suddivisa in fasce, 12 mesi per gli under 50; 24 mesi per gli over 50 e 36 mesi per gli over 50 residenti nel Mezzogiorno e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione.
Fino a fine 2014, un lavoratore del Sud over 50 licenziato, poteva avere fino a 48 mesi di di indennità di mobilità, dal 2015 al 2016 si è passati a 36 mesi e 24 mesi, mentre nel 2016 il sussidio durava 12 mesi per gli under 40 anni, 18 tra i 40 e i 49 anni al Sud o più di 50 al Nord e 24 per gli over 50 che risiedevano nel sud.
Ora, la durata della Naspi sarà quasi sempre inferiore alla mobilità e l’assegno potrà essere uguale fino al 75% dello stipendio medio degli ultimi 4 anni, diminuendo di mese in mese e solo chi è già in mobilità potrà continuare a percepire il vecchio assegno, mentre per gli altri non sarà più possibile ottenerne di nuovi.
Così Elsa Fornero, forse più conosciuta per il caso degli esodati, una massa di lavoratori rimasti incastrati tra l’allungamento dell’età pensionistica e la mobilità utilizzata come mezzo di prepensionamento, o per il famoso pianto pubblico, per l’errore commesso nell’abbandonare a se stessi migliaia di lavoratori ormai disoccupati per effetto della sua riforma, presto tornerà a far parlare di se per aver, forse, creato un ulteriore problema ad altre migliaia di persone.
Secondo uno studio del sindacato UIL il numero di persone interessate già nel 2017 potrebbe essere ragionevolmente di circa 185.000, così suddivise: 104 mila residenti nelle Regioni del Nord, 37 mila nelle Regioni del Centro, e 44 mila nelle Regioni meridionali. Per tutte queste persone, afferma ancora il sindacato, «a partire dal prossimo anno sarà più difficile, soprattutto al Sud, ricollocarsi nel mondo del lavoro».
La riforma segna un ulteriore passo nella parabola discendente dei diritti del lavoratori, da quando nel 1970, con la legge 300/70, detta statuto dei lavoratori, fu istituita la regola che tutelava le assunzioni a tempo indeterminato rendendo difficile e complicato licenziare.
La legge sulla mobilità, che fu istituita la prima volta nel 1991 e che ha avuto successive modifiche e norme collaterali, potrebbe essere considerata il primo importante passo verso l’abolizione di quell’articolo 18 tanto odiato dalle aziende ed il Jobs Act l’ultimo vero episodio importante.
Ora, in attesa di sapere se e quando voteremo per abolire il Jobs Act voluto dal governo Renzi, la legge Fornero continuerà come un fantasma ancora in circolazione a comprimere le possibilità di sopravvivenza per moltissimi lavoratori italiani delle classi più deboli già duramente provati negli ultimi anni e se tornare indietro non sembra un percorso ragionevole per il mondo delle banche e della finanza, una maggiore attenzione alle situazioni dei più indifesi dovrebbe essere data, almeno per riequilibrare alla base quelle giustizia sociale che sembra mancare sempre di più ogni giorno che passa.
VIRGINIA RAGGI RISCHIA L'ACCUSA DI ABUSO DI UFFICIO
DI PIERLUIGI PENNATI
La sindaca Virginia Raggi rischia l’iscrizione nel registro degli indagati per abuso d’ufficio per essersi assunta la responsabilità della nomina, ritenuta illegittima, di Raffaele Marra a direttore del personale del Campidoglio e successivamente del fratello di questi, Renato Marra, a responsabile del Turismo della Capitale.
La decisione dell’Authority arriva alla fine di una complessa istruttoria avviata da un esposto della DIRER, il sindacato dei dirigenti della Regione Lazio, nella quale compare anche la difesa di Marra da parte della sindaca di Roma che aveva dichiarato di aver compiuto da sola l’istruttoria sul conferimento degli incarichi ai dirigenti, mentre nel dispositivo dell’ordinanza di nomina si afferma “di conferire, con il riconoscimento della fascia retributiva, come risultante dall’istruttoria svolta dalle strutture competenti ai sensi della disciplina vigente, gli incarichi di direzione”.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione chiarisce in una nota che «la delibera adottata dall’Autorità è stata trasmessa alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, alla struttura comunale competente per l’accertamento dell’eventuale responsabilità disciplinare e alla procura regionale della Corte dei Conti e all’Ispettorato della funzione pubblica per le questioni relative all’inquadramento del dottor Marra nei ruoli della dirigenza di Roma Capitale. Ulteriori elementi riguardanti la procedura di interpello sono stati chiesti al Responsabile Prevenzione della Corruzione e Trasparenza di Roma Capitale».
L’ANAC ha specifica anche di aver «ritenuto configurabile il conflitto di interessi», dato che questa contestazione «sussiste sia nel caso in cui il dirigente abbia svolto un mero ruolo formale nella procedura che nell’eventualità di una sua partecipazione diretta all’attività istruttoria, come sembrerebbe emergere dall’ordinanza sindacale n. 95/2016».
Il parere dell’Autorità è stato trasmesso anche ai PM della Corte dei Conti per investigare sull’ipotesi che con il suo comportamento Virginia Raggi possa per aver provocato anche un danno all’erario comunale.
LA TRATTATIVA ALMAVIVA AL RUSH FINALE
DI PIERLUIGI PENNATI
La trattativa Almaviva è ripresa intorno alle 14,30 presso la sede del ministero dello Sviluppo economico dove sono arrivati anche i tre segretari generali di CGIL, CISL e UIL, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, presenti anche i tre segretari generali della categoria.
I sindacati avevano proposto ieri il congelamento degli scatti di anzianità per il 2017 in cambio del mantenimento degli organici, ma all’azienda non sarebbe bastato perchè si sarebbe trattato di “un singolare sistema di salario da restituire nell’anno successivo” e che “obbligherebbe comunque l’azienda ad accantonare il corrispondente ammontare e a registrare una ricaduta sostanzialmente nulla sul conto economico”, aggiungendo che la proposta dei sindacati sarebbe “dai contenuti approssimativi e dagli effetti inconsistenti”, “un alibi più che una proposta”.
Ma a poche ore dalla scadenza dei termini della procedura, anche in considerazione della distanza che separa le posizioni delle parti, una mediazione in extremis del governo è stata ritenuta accettabile almeno dai sindacati che in una nota congiunta dichiarano “CGIL, CISL, UIL e UGL danno la loro disponibilità ad accettare il percorso illustrato che, per avere efficacia e credibilità, dovrà prevedere una costante e fattiva presenza del Ministero”.
Nella proposta ammortizzatori sociali ed esodo volontario fino al 31 marzo 2017, insieme ad un impegno della parti sociali a proseguire il confronto per trovare soluzioni in tema di: recupero di efficienza e produttività in grado di allineare le sedi di Roma e Napoli alle altre sedi aziendali; interventi temporanei sul costo del lavoro.
Ora l’ultima parola spetta all’azienda, ma fuori dalle stanze di discussione, dove il clima è decisamente teso, la speranza più diffusa sembra essere quella che alla fine qualcosa si possa firmare: poco sarà sempre meglio di niente.
NON É DI STASI IL DNA SOTTO LE UNGHIE DI CHIARA
DI PIERLUIGI PENNATI
A nove anni, dai fatti ancora nessuna verità per l’omicidio di Chiara Poggi, un nuovo test del DNA scagionerebbe Stasi, oggi in carcere dopo due assoluzioni ed una condanna, unico imputato di un processo dalle molte leggerezze, partite dalla sua insistenza nel telefonare a Chiara Poggi invece di crearsi un alibi.
Erano le 13.50 quando Alberto Stasi scopre il cadavere di Chiara Poggi dopo averla lungamente cercata invano al telefono, la sua invasione sulla scena del delitto lascia fin dall’inizio molti dubbi, tra questi le scarpe da tennis senza tracce di sangue, prova che secondo i giudici della Cassazione lo inchioda alle sue responsabilità, la misteriosa sparizione di una bicicletta nera da donna, avvistata e poi scomparsa, ma anche la grande assenza di un’arma del delitto, mai trovata e mai definitivamente identificata.
Secondo gli investigatori Chiara Poggi muore tra le 9.12 e le 9.35, l’ex fidanzato non ha e non si procura un alibi insistendo invece nel telefonare a Chiara, dell’arma del delitto nessuna traccia, secondo i giudici la ragazza fu colpita con un martello portato da Stasi e da lui poi occultato insieme a due asciugamani da spiaggia.
Due testimoni notano una bicicletta nera da donna appoggiata alla villetta di Garlasco, alle 9.10 e tra le 9.23 e le 9.31, per poi sparire alle 10.20, mentre Alberto Stasi alle 9.35 Alberto era ancora a casa sua lavorando al computer.
Chiara fu assalita all’ingresso della casa, in pigiama, davanti alle scale che portano al piano superiore. Le impronte di digitali di Stasi vengono trovate un po’ dappertutto, sul dispenser del bagno ed in altri luoghi, ma aveva una relazione con Chiara e questo poteva essere normale.
Alla fine di tre lunghi e sofferti gradi di giudizio, la cassazione, il 12 dicembre 2015, conferma la sentenza-bis d’Appello e condanna definitivamente Stasi a 16 anni di reclusione, confermando la validità delle prove, tra queste la principale sono state le scarpe del ragazzo prive di sostanze ematiche dopo l’ingresso in casa e che avrebbero invece dovuto macchiarsi di sangue a causa della “camminata” nella villetta.
Oggi, la rivelazione choc: «Il DNA sotto le unghie di Chiara Poggi non è di Alberto Stasi ma di un giovane che la conosceva».
Lo dice una perizia di parte della famiglia di Alberto Stasi, il profilo del DNA trovato sotto le unghie di Chiara sarebbe sicuramente di un soggetto maschio con nove marcatori compatibili con la famiglia di un altro giovane che conosceva Chiara e solo cinque con quella di Stasi.
Elisabetta Ligabò, l’instancabile madre che ha sempre creduto all’innocenza del figlio lo rivela al Corriere, comunicando i risultati di laboratorio ottenuti da un conosciuto genetista su incarico di un’agenzia investigativa milanese, e che ora vorrebbe riaprire il caso.
La mamma di Stasi dichiara che presenterà un esposto per chiedere la revisione del processo sulla base di questa nuova prova che considera definitiva per dimostrare l’innocenza del figlio: «Non ho fatto che ripeterlo e finalmente ne ho la conferma. Mai e poi mai Alberto avrebbe potuto uccidere Chiara. Si amavano e avevano progetti in comune. La sera prima erano andati a cena insieme. Di lì a poco sarebbero partiti per le vacanze. Erano felici, uniti, erano spensierati, vivevano con la gioia e la fiducia nel futuro tipica dei giovani fidanzati. Alberto stava per laurearsi e se c’era una persona che più di ogni altra lo spronava e gli dava forza, che lo incoraggiava e lo appoggiava, quella era Chiara. Amo mio figlio, l’avrei amato anche da colpevole ma chi sa del delitto ha continuato a non parlare e a stare nascosto, scegliendo il silenzio, un silenzio terribile, asfissiante, un silenzio atroce che ha coperto e depistato. Così facendo non ha reso giustizia a una ragazza morta e, allo stesso tempo, sta uccidendo una seconda persona».
Secondo la madre, Alberto «è stato privato della vita. Io ho combattuto a lungo, a volte anche in solitaria, specie da quando è venuto a mancare mio marito. Ho combattuto contro le convinzioni dei tanti che a cominciare da qui, da Garlasco, subito avevano decretato la colpevolezza di mio figlio senza alcuna esitazione. Alberto il killer dagli occhi di ghiaccio… Non ho creduto nemmeno per un istante a una sua responsabilità. Non ha ammazzato Chiara. E se finora era una convinzione, adesso è una certezza: quella persona deve spiegarmi la presenza del suo DNA sotto le unghie della ragazza. Lo deve a me, lo deve ai genitori di Chiara, lo deve a tutti».
La prova del DNA fu misteriosamente sottovaluta e quasi ignorata nel corso del processo, ora, la nuova prova, individuata sotto forma anonima dal genetista, estraneo fino ad ora alle indagini, potrebbe riaprire il caso.
Dalle nuove analisi emerge che «una perfetta compatibilità genetica tra il profilo del cromosoma Y estrapolato dal professor De Stefano», il genetista che aveva effettuato le prime indagini presentate alla Corte d’Appello di Milano nel processo-bis, «sul quinto dito della mano destra e sul primo dito della sinistra, con il profilo genetico aploide del cromosoma Y ottenuto dal cucchiaino e dalla bottiglietta d’acqua». Gli oggetti al tempo analizzati, con il limite che «il cromosoma Y identifica tutti i soggetti maschi appartenenti al medesimo nucleo familiare ed esso non è utilizzabile per identificare un singolo soggetto ma, piuttosto, una famiglia».
In un paese di soli diecimila abitanti come Garlasco una famiglia potrebbe essere un nascondiglio troppo piccolo per poter celare una persona che deve dar conto delle ragioni del contatto diretto con Chiara, assassinata la mattina del 13 agosto 2007.
La madre di stasi chiede ora la scarcerazione del figlio come atto dovuto: «Credo sia giusto e sacrosanto che mio figlio esca dal carcere. Al più presto. Alberto e io abbiamo già atteso e sofferto troppo. Troppo».
BUFERA IN CAMPIDOGLIO: ARRESTATO MARRA, BRACCIO DESTRO DELLA RAGGI
DI PIERLUIGI PENNATI
Raffaele Marra, direttore del personale del comune di Roma e braccio destro di Virginia Raggi, è stato arrestato insieme a Sergio Scarpellini, presidente dell’omonimo gruppo immobiliarista, nell’ambito di una indagine dei Carabinieri su fatti che risalgono al tempo della giunta Alemanno, tra il 2013 al 2016, quando Marra era direttore dell’ufficio delle Politiche abitative del Comune e capo del Dipartimento del patrimonio e della casa.
Da un’inchiesta de L’Espresso erano emerse compravendite di case da privati ed enti con valutazioni fuori mercato che avevano insospettito gli investigatori ed il caso della fortuita vendita di un appartamento con il contemporaneo acquisto di un altro più pregiato gestita da Scarpellini non era passato inosservato, evidenziando nelle indagini la valorizzazione quasi tripla del primo ed uno sconto “di quasi mezzo milione di euro” per il secondo. Investito dalla polemica Marra aveva dichiarato “è una permuta indiretta, la fa chiunque”.
Secondo gli investigatori, Scarpellini avrebbe anticipato, mettendolo a disposizione di Marra, il denaro per acquistare l’attico di proprietà dell’ENASARCO, la cassa previdenziale degli agenti e dei rappresentanti di commercio, dove lui già viveva quale dipendente e contemporaneamente acquisito, in permuta, il vecchio appartamento del funzionario.
Dopo gli arresti i Carabinieri stanno eseguendo nuove perquisizioni in Campidoglio dove due giorni fa la polizia aveva acquisito le carte relative a tutte le nomine della sindaca Virginia Raggi.
IL PIANO DI RENZI: ANDARE ALLE URNE IN PRIMAVERA PER EVITARE IL REFERENDUM SUL JOBS ACT
DI PIERLUIGI PENNATI
Aveva detto che se vinceva il NO saremmo tornati indietro di 30 anni, il NO ha vinto e Matteo Renzi si è sbagliato di poco, aveva aggiunto uno zero di troppo alla sua stima, infatti stiamo forse per tornare indietro, ma di soli 3 anni, a prima del Jobs Act.
In realtà se questo potrà accadere lo sapremo solo il prossimo 11 gennaio, quando la Corte Costituzionale deciderà sull’ammissibilità dei referendum sul lavoro promossi dalla Cgil.
I quesiti in questione sono tre: abrogazione delle norme sui licenziamenti illegittimi, cancellazione dei limiti sulla responsabilità solidale in materia di appalti ed eliminazione delle norme su Voucher e lavoro accessorio.
Fin da ora i pronostici fanno tremare l’ex primo ministro che fa sapere che «Il Jobs Act non si tocca. Reintrodurre l’articolo 18 sarebbe come dire “ragazzi abbiamo scherzato”. Il giorno dopo arriverebbe un downgrading per l’Italia dalle agenzie di rating».
La legge è stata una delle bandiere dei suoi oltre mille giorni di governo e la sua revisione potrebbe disinnescare la bomba ad orologeria del referendum chiesto dalla CGIL con 3,3 milioni di firme raccolte e sul quale l’11 gennaio si pronuncerà la Corte Costituzionale. Nessuno ha però sollevato dubbi sul via libera della Consulta, dopo quello della Cassazione.
La strategia di Renzi potrebbe essere quella di andare alle urne in primavera proprio per evitare la consultazione, ma se nel suo partito in molti hanno dei dubbi a riguardo, la questione non sarebbe comunque chiusa, il Jobs Act, la revisione dell’articolo 18 ed in particolare il sistema dei Voucher non hanno convinto fin da subito e gli ultimi, secondo molti, sarebbero persino dannosi oltre che inutili per non aver mostrato evidenze di alcun emersione del lavoro nero.
Ora, dopo lo schiaffo del 4 dicembre Matteo Renzi non dorme più sonni tranquilli, un risultato referendario contro una delle leggi-manifesto del suo governo sarebbe un colpo dopo il quale diventerebbe davvero molto difficile riprendersi per tutto il PD che perderebbe ogni credibilità, avendo sostenuto i provvedimenti per i quali servirebbe ora una retro marcia totale.
Per disinnescare la mina referendaria il piano sarebbe semplice: elezioni anticipate. Il pensiero è stato esplicitato proprio dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti: «Se si vota prima del referendum il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile». Infatti, se la Consulta darà il via libera, il referendum si dovrebbe svolgere tra il 15 aprile e il 15 giugno ma, con le lezioni, slitterebbe di un anno.
Le polemiche seguite alle affermazioni del ministro hanno prodotto un’immediata levata di scudi costringendolo a correggersi e dichiarare che le sue parole erano solo «un’ovvia constatazione» e non «un’ipotesi invocata».
Susanna Camusso non ha perso l’occasione di ironizzare: «Immagino che Poletti abbia una sfera di cristallo e abbia in sé anche le funzioni di presidente della Repubblica» , «Niente furberie per evitare il referendum, le minacce sul voto non funzionano».
Ma non sono le uniche voci contrarie, Gaetano Quagliariello parla di «strage del senso delle istituzioni», Stefano Fassina evidenzia «la distanza del governo dal Paese reale» ed anche nella minoranza PD non mancano critiche, Cesare Daminao è convinto che «Con i referendum della Cgil bisogna misurarsi: non si può mettere la testa sotto la sabbia».
Il dopo Renzi comincia in irta salita, modificare il Jobs Act per rendere inefficace le firme od andare al voto, comunque vada non sarà facile uscirne.
GENTILONI INCASSA LA FIDUCIA ANCHE AL SENATO
DI PIERLUIGI PENNATI
Lega e Ala non hanno partecipato al voto, come avvenuto alla Camera, M5S invece resta in aula e vota contro, alla fine si contano 169 SI e 99 contrari, senza astenuti, lo stesso numero di sì del governo Renzi del 24 febbraio del 2014, ma con 139 contrari.
Il premier ha dichiarato che il “primo compito è completare le riforme”, “quello appena insediato non è un governo di inizio legislatura, ma innanzitutto deve completare la eccezionale opera di riforma, innovazione, modernizzazione di questi ultimi anni”, “Sarebbe assurdo pensare di completare le riforme avviate senza continuità”.
Il movimento 5 stelle, rimasto in aula, ha ribadito la sua posizione forte di “20 milioni di no al governo Gentiloni”.
La maggioranza richiesta, su 269 presenti e 268 votanti, era di 135 voti in un Senato che come alla Camera era stato svuotato delle opposizioni, ma anche con gli scranni dei ministri quasi vuoti.
I 35 senatori M5s in mattinata avevano abbandonato l’aula durante le dichiarazioni di voto lasciando polemicamente sui loro banchi deserti una copia della Costituzione, ma se i 18 senatori di ALA di Verdini, esclusi dagli incarichi ministeriali, hanno abbandonato a se stesso il nuovo premier, il nuovo governo si è arricchito inaspettatamente di due sì non previsti dei senatori ex SEL Dario Stefàno e Luciano Uras.
Favorevole al nuovo governo anche l’ex premier e senatore a vita Mario Monti.
I lavori della seduta sono stati immediatamente sospesi dopo il voto, Il Senato tornerà a riunirsi martedì 20 dicembre.
LA TERZA REPUBBLICA
DI PIERLUIGI PENNATI
Ci siamo svegliati una mattina con le città tappezzate di grandi manifesti di bambini che sorridendo esclamavano “Fozza Itaia”, è servito un po’ di tempo per capirlo, ma era il partito di Berlusconi che nasceva e con esso nasceva il cambiamento, non della politica, ma del modo di fare politica fino ad allora conosciuto, quello basato su di una solida e riconosciuta costituzione repubblicana antifascista che nessuno osava criticare, abusare, forse.
Era il 1994 e Berlusconi si poneva come il nuovo, il cambiamento e nel contempo un cittadino normale, operaio, artigiano, popolare. Nasceva in quel tempo l’idea di seconda repubblica, che gli esperti collocano tra il 1992 ed il 1994 a seguito dell’inchiesta “mani pulite”, e che ha visto cambiamenti davvero epocali, anche se non in ordine cronologico, tra i quali la famosa “svolta di Fiuggi” con la quale il Movimento Sociale Italiano abbandonò ufficialmente, per bocca del suo segretario Gianfranco Fini, i riferimenti ideologici al fascismo al fine di qualificarsi come forza politica legittimata a governare.
La scomparsa della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista Italiano, ma più specificatamente dell’alleanza politica fra Craxi, Andreotti e Forlani, il cosiddetto CAF, la crescita forse inaspettata della Lega Nord e il suo ingresso in Parlamento insieme alla nuova legge elettorale maggioritaria denominata Mattarellum del 1994, approvata a seguito dei referendum del 1991 e del 1993 sulla legge elettorale del Senato, segnarono il confine definitivo in pochi anni tra la prima e la seconda repubblica italiana.
Il referendum costituzionale del 4 dicembre scorso poteva, forse, segnare un ulteriore passo verso una terza repubblica, con cambiamenti importanti per la governabilità e la democrazia: a seconda dei punti di vista, scampato pericolo o mancata occasione.
Renzi, dopo Berlusconi, fallisce il secondo tentativo di modifica costituzionale nella stessa direzione, una sorta di abolizione, od almeno riduzione, del Senato così come lo conosciamo ora.
Non è un mistero che io fossi personalmente contrario, ma forse erano contrari anche molti tra coloro che hanno votato SI a questa riforma. Io ne conosco diversi, che, però, riconoscevano ad essa il merito di segnare un cambiamento, qualunque esso fosse.
Lo slogan del 1992, alla ricerca di un consenso popolare preventivo per introdurre il cambiamento, era “La politica, l’economia, la società, adesso si cambia davvero!”, nel 2016 il cambiamento lo si è cercato senza un preventivo consenso popolare con un “Basta un SI” recitato come un mantra nelle sole ultime due settimane di una campagna referendaria durata per il NO oltre otto mesi, da quando, cioè era mancata la maggioranza dei due terzi del parlamento per la sua approvazione senza voto popolare.
Quello che è successo fin dal risultato elettorale delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 è ormai cronaca e quasi tutta con il solo PD vero protagonista nel ruolo di suonatore e cantante, promotore di tre governi, tutti retti da una composizione in minima parte variabile, e con il suo ruolo centrale fisso insieme ad NCD ed UDC come alleati di maggioranza sempre presenti.
Così sia il Governo Letta, in dieci mesi, che quello di Renzi, in ventidue, non sono riusciti a convincere né il parlamento, né soprattutto gli italiani della qualità della loro azione di governo, il primo che non voleva essere il “Re Travicello” ed il secondo, forse, ha imitato troppo il successore della stessa favola di Esopo, fino a diventarne simbolo e vittima.
Oggi, il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni si è proposto dapprima come governo di scopo, dichiarato da molti fotocopia del precedente, per «Accompagnare e, se possibile, facilitare il percorso delle forze parlamentari per arrivare a nuove regole elettorali». Una nuova legge elettorale, quindi, e poi al voto. Invece ha formato un ampio governo “provvisorio”, con diciotto i ministri di cui ben 5 nuovi ingressi e la riconferma di tutti gli uscenti, tranne Stefania Giannini e Maria Elena Boschi che cambia ruolo e viene “promossa” a sottosegretario alla presidenza del consiglio.
Un governo tutt’altro che fotocopia, quindi, ma nemmeno provvisorio, almeno apparentemente, altrimenti perché allargare la cerchia dei ministeri? Solamente per allargare la maggioranza ed incassare la fiducia? Francamente sembra poco credibile e con il conforto delle dichiarazioni degli esponenti dello stesso PD, come Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, che affermano di votare si la fiducia, ma di riservarsi di decidere successivamente provvedimento per provvedimento.
Una legge elettorale e poi il voto non prevedono grandi provvedimenti ulteriori, se non quelli urgenti, quindi non vi sarebbe nemmeno ragione di altri cinque ministeri, ma, soprattutto, non vi era ragione di confermare tutti i ministri contro ogni pronostico e di fornire una sorta di promozione alla ministra Boschi, che il 22 maggio 2016, intervistata durante la trasmissione “In mezz’ora” ed incalzata da Lucia Annunziata che chiedeva “Io voglio un sì o un no, ma se Renzi perde e lascia la politica, lei lascia la politica o no?”, rispose “Si, perché è un lavoro che abbiamo fatto insieme e quindi ci assumiamo insieme le responsabilità di un progetto politico nel quale abbiamo creduto e lavorato per tanto tempo”.
Gentiloni, invece, la ricicla: si farà Gentiloni ingolosire dall’esperienza di governo e pensare di poter restare a sua volta fino a fine legislatura?
Comunque vada potrebbe essere un suicidio e se la prima repubblica non sembrava governabile per via di un sistema proporzionale che permetteva ai piccoli partiti di ricattare i grandi, la seconda repubblica non sembra aver prodotto un risultato apprezzabile. La montagna ha partorito il topolino. I governi non hanno mai davvero visto coalizioni ristrette. Quello di Letta ha visto il sostegno di ben 7 coalizioni. Quello di Renzi, 6, contraddicendo il mito di una governabilità a suon di maggioranze.
È proprio questa necessità sempre attuale di trovare accordi tra i partiti che, forse, ha spinto Renzi a tentare la modifica costituzionale, come già fece Berlusconi, ma entrambi hanno fallito ed entrambi hanno visto ridurre il consenso elettorale per i loro partiti ottenendo la reazione contraria e disgustata di molti italiani che prima li sostenevano.
La personalizzazione della politica, fatta di slogan, demagogia e populismo ha portato già una volta alla riduzione ai minimi termini o addirittura all’estinzione dei partiti che l’hanno promossa, come per Forza Italia ed AN e, dopo una prima aggregazione eterogenea, potrebbe oggi toccare al PD scindersi di nuovo e disperdersi ulteriormente permettendo ai partiti emergenti, e francamente vedo solo il movimento 5 stelle, di imporsi.
Saranno loro ad avviare il processo di riforme necessario per andare verso la terza repubblica? Non lo so. Penso però che non siano né il governo Gentiloni, né il Pd ancora troppo diviso, a gestire il cambiamento.
Attendiamo una repubblica che forse non verrà mai.
GENTILONI: PRIMO SI, OGGI LA CONTA AL SENATO
DI PIERLUIGI PENNATI
Dopo aver superato con 473 votanti, 368 sì e 105 contrari il primo voto di fiducia per il suo governo, risultato, per la verità non proprio entusiasmante anche per l’assenza delle opposizioni che hanno abbandonato l’aula prima del voto per andare a fomentare la folla davanti a Montecitorio, oggi si replica al Senato.
I voti alla camera sono stati dieci voti in meno rispetto a quelli avuti da Matteo Renzi nel suo primo voto di fiducia della Camera, ma all’epoca esisteva ancora Scelta Civica, che, dopo aver subito varie trasformazioni, è oggi in parte confluita in ALA che insieme a Lega e M5S non ha partecipato a questa votazione.
Anche Verdini e Scelta Civica hanno votato no, così come Forza Italia ed oggi al Senato potrebbero esserci delle sorprese, dato che la prima conta dei voti di fiducia favorevoli è davvero al limite.
Sisma, banche, Sud e lavoro sono le priorità dichiarate dal premier che intende andare “avanti finché avrò la fiducia”, ed ai 5 Stelle, ma in modo molto soft, rivolge un “il Parlamento non è un social”, al centro del suo discorso di ieri anche la necessità di «rasserenare il clima politico», che strappa l’unico applauso nei soli 17 minuti del suo intervento assestando anche un buffetto alle opposizioni che lasciano l’aula dicendo loro che «I paladini della Carta nel momento più importante non ci sono».
Denis Verdini che si aspettava un riconoscimento nel nuovo esecutivo per il sostegno al Governo Renzi e che può contare su 18 senatori a Palazzo Madama, ha fatto sapere che oggi potrebbero anche votare contro.
Il voto è previsto per le 15, ma già dalle 9.30 inizia la discussione sulle comunicazioni del premier Gentiloni che interverrà in replica alle 13.
GENTILONI INCASSA LA FIDUCIA ANCHE AL SENATO
Lega e Ala non hanno partecipato al voto, come avvenuto alla Camera, M5S invece resta in aula e vota contro, alla fine si contano 169 SI e 99 contrari, senza astenuti, lo stesso numero di sì del governo Renzi del 24 febbraio del 2014, ma con 139 contrari.
Il premier ha dichiarato che il “primo compito è completare le riforme”, “quello appena insediato non è un governo di inizio legislatura, ma innanzitutto deve completare la eccezionale opera di riforma, innovazione, modernizzazione di questi ultimi anni”, “Sarebbe assurdo pensare di completare le riforme avviate senza continuità”.
Il movimento 5 stelle, rimasto in aula, ha ribadito la sua posizione forte di “20 milioni di no al governo Gentiloni”.
La maggioranza richiesta, su 269 presenti e 268 votanti, era di 135 voti in un Senato che come alla Camera era stato svuotato delle opposizioni, ma anche con gli scranni dei ministri quasi vuoti.
I 35 senatori M5s in mattinata avevano abbandonato l’aula durante le dichiarazioni di voto lasciando polemicamente sui loro banchi deserti una copia della Costituzione, ma se i 18 senatori di ALA di Verdini, esclusi dagli incarichi ministeriali, hanno abbandonato a se stesso il nuovo premier, il nuovo governo si è arricchito inaspettatamente di due sì non previsti dei senatori ex SEL Dario Stefàno e Luciano Uras.
Favorevole al nuovo governo anche l’ex premier e senatore a vita Mario Monti.
I lavori della seduta sono stati immediatamente sospesi dopo il voto, Il Senato tornerà a riunirsi martedì 20 dicembre.
GENTILONI: PRIMO SI, OGGI LA CONTA AL SENATO
Dopo aver superato con 473 votanti, 368 sì e 105 contrari il primo voto di fiducia per il suo governo, risultato, per la verità non proprio entusiasmante anche per l’assenza delle opposizioni che hanno abbandonato l’aula prima del voto per andare a fomentare la folla davanti a Montecitorio, oggi si replica al Senato.
I voti alla camera sono stati dieci voti in meno rispetto a quelli avuti da Matteo Renzi nel suo primo voto di fiducia della Camera, ma all’epoca esisteva ancora Scelta Civica, che, dopo aver subito varie trasformazioni, è oggi in parte confluita in ALA che insieme a Lega e M5S non ha partecipato a questa votazione.
Anche Verdini e Scelta Civica hanno votato no, così come Forza Italia ed oggi al Senato potrebbero esserci delle sorprese, dato che la prima conta dei voti di fiducia favorevoli è davvero al limite.
Sisma, banche, Sud e lavoro sono le priorità dichiarate dal premier che intende andare “avanti finché avrò la fiducia”, ed ai 5 Stelle, ma in modo molto soft, rivolge un “il Parlamento non è un social”, al centro del suo discorso di ieri anche la necessità di «rasserenare il clima politico», che strappa l’unico applauso nei soli 17 minuti del suo intervento assestando anche un buffetto alle opposizioni che lasciano l’aula dicendo loro che «I paladini della Carta nel momento più importante non ci sono».
Denis Verdini che si aspettava un riconoscimento nel nuovo esecutivo per il sostegno al Governo Renzi e che può contare su 18 senatori a Palazzo Madama, ha fatto sapere che oggi potrebbero anche votare contro.
Il voto è previsto per le 15, ma già dalle 9.30 inizia la discussione sulle comunicazioni del premier Gentiloni che interverrà in replica alle 13.