GENTILONI É UN RENZI-BIS?

DI PIERLUIGI PENNATI
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Alla fine abbiamo un candidato e, come prevedibile, non senza polemiche e proteste.
Paolo Gentiloni ha accettato con riserva l’incarico di formare un nuovo governo definendolo «un grande onore» ed aggiungendo «Cercherò di svolgere questo compito con dignità».
Già nel primo breve discorso non lesina elogi al premier dimissionario Matteo Renzi, sottolineandone la grande coerenza con l’impregno preso in campagna referendaria che gli impedisce di accettare il reincarico. La realtà, però, è che Renzi aveva detto sia di non volere restare al governo, sia che non avrebbe fatto differenza e la vera coerenza la si potrà misurare solo quando sapremo se manterrà davvero fede alla sua parola di lasciare non solo il governo ma anche la politica. Gli allibratori sono già al lavoro.
Secondo Gentiloni, l’obiettivo del suo governo è chiaro: «Accompagnare e, se possibile, facilitare il percorso delle forze parlamentari per arrivare a nuove regole elettorali». Una nuova legge elettorale, quindi, e poi al voto.
Un governo di scopo per far fronte alle urgenze: «per affrontare priorità internazionali, economiche, sociali, a cominciare dalla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Conto di riferire al presidente della Repubblica il più presto possibile».
Definisce anche il quadro di azione come conseguenza del netto rifiuto delle opposizioni a collaborare: «Non per scelta ma per senso di responsabilità ci muoveremo nel quadro del governo e della maggioranza uscente».
Le opposizioni non hanno tardato a farsi sentire con i 5 stelle in testa definendo immediatamente su Facebook Paolo Gentiloni come l’avatar di Renzi «l’ennesimo politicante di professione interessato a far perdere ai cittadini la loro sovranità», «Il popolo italiano non può essere ancora calpestato».
Per il movimento, dunque, Paolo Gentiloni non è altro che Renzi stesso sotto mentite spoglie e che al governo Renzi non potrà altro che dare continuità, a cominciare dalla riconferma dei ministri e della maggioranza di supporto.
Renato Schifani, Forza Italia, chiede che «assuma come priorità la necessità di trovare il più largo consenso possibile sull’unico tema all’ordine del giorno: la riforma della legge elettorale», mentre per Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, si ripropone la logica del Gattopardo «Tutto cambia perché nulla cambi. Siamo passati dal governo del burattino delle lobby al governo del burattino del burattino delle lobby» e annuncia senza esitazioni una manifestazione in piazza per il 22 gennaio.
Ma per Mattarella era necessario formare un governo con pieni poteri per poter approvare una legge elettorale omogenea per Camera e Senato avendo già incassato il sostegno annunciato dal capogruppo del Pd Luigi Zanda poco prima del suo discorso, il quale ha assicurato «pieno sostegno alla soluzione che Mattarella riterrà più opportuna», ma con un obiettivo: «andare al voto in tempi il più rapidi possibile».
Con Gentiloni, romano classe 1954, in effetti non si concede molto alle opposizioni, dato che, giornalista professionista, è stato tra i fondatori della Margherita, deputato dal 2001 e già ministro delle Comunicazioni nel secondo governo Prodi oltre che componente della direzione nazionale del PD e ministro degli esteri con Matteo Renzi.
Sapremo solo domani come andrà a finire, ma, da indiscrezioni, sembrerebbe che sacrificate le ministre Poletti, Giannini, Boschi e Madia, che sembra non abbiano convinto molto il nuovo premier incaricato, per accontentare l’opposizione interna al PD, il governo in arrivo potrebbe somigliare di più ad un reimpasto che ad una vera novità.

IL ROTTAMATORE DA ROTTAMARE

DI PIERLUIGI PENNATI
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Voleva essere la soluzione ed è diventato il problema, voleva rottamare ed è diventato da rottamare.
Dopo tre anni di governo imposto a suon di maggioranza relativa, al di là di opinabili bilanci di gestione, gli alti e bassi del capo del governo ci hanno lasciato in una situazione di grande incertezza: farà il nuovo governo, non lo farà, chi lo sa?
Il capo dello stato è conosciuto come persona austera e, fortunatamente, prenderà una decisione che sarà condivisibile dai più, anche se, ovviamente, lascerà l’amaro in bocca a molti.
Elezioni subito: si, ma con quale legge. Renzi bis: vogliamo scherzare? Governo tecnico: manco a parlarne.
Sembra davvero tutto molto complicato, il fatto certo è che quasi tutte le soluzioni e gli atti dell’appena concluso governo Renzi sembrano da rifare, ci lascia una situazione incredibile e complicata, quindi l’ipotesi di un Renzi bis, sebbene tra le più gettonate, fa davvero pensare a come, chi non ha saputo davvero far ripartire l’Italia in tre anni, possa galleggiare ancora per qualche mese, o forse due anni, in attesa di elezioni anticipate o a scadenza.
Soprattutto, basterà un governo limitato in tutto, chiunque sarà il primo ministro, a darci una nuova e più adatta legge elettorale? Difficile davvero, pensarlo, la fretta è una cattiva consigliera e non dovremmo lasciarci prendere da essa, quindi, Renzi bis o meno, il prossimo governo avrà l’arduo compito di cominciare dal rottamare il precedente e che sia Renzi stesso a poterlo fare pare davvero difficile, ma anche che lo faccia un altro governo “provvisorio”, lasciando l’unica alternativa al galleggiare alla deriva fino a nuove elezioni.
Personalmente penso che queste dovrebbero essere al più presto possibile e senza nuove leggi affrettate, a meno di tornare indietro anche con la legge elettorale ripristinando il proporzionale puro e ricominciando tutto daccapo, come si fa quando i pasticci si accumulano e non vi è più soluzione ragionevole ad essi.
In ogni caso, solo un nuovo parlamento legittimato da un voto popolare potrà tentare di ricucire gli strappi fin qui accettati da un parlamento pieno di contraddizioni come quello attuale.

E ADESSO ARRANGIATEVI!

DI PIERLUIGI PENNATI
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Eh no, Matteo, non si fa così! Non puoi andartene in questo modo e lasciare il giocattolo che ti si è rotto nelle mani degli altri per essere riparato, è una brutta azione!
Sono d’accordo, avevi detto che se perdevi il referendum non solo ti saresti dimesso, ma avresti proprio abbandonato la politica, ma questo era prima di dire che, invece, il referendum non era contro di te e che saresti restato.
Adesso, al contrario del contrario del contrario, non solo non resti più, ma sembra che nemmeno di lasciare la politica ti va più bene e te ne vai sbattendo la porta e lasciando i cocci infranti nelle fragili mani delle opposizioni che tu stesso hai voluto ridurre al lumicino in questi anni.
Oggi, con tutte le istituzioni ed i media invasi da persone tue fedelissime lasci la patata bollente, anzi, rovente, nelle mani di quelli che te l’avevano detto. Se da una parte gioisco che, finalmente, possiamo guardare al futuro con l’idea di poter ancora partecipare democraticamente alla vita della repubblica, dall’altro, a partire dalla scelta di votare il 4 dicembre invece di accorpare le giornate elettorali in periodi meno sotto pressione, la tua dipartita in questo modo lascia tutti senza paracadute.
Lo so, ce la faremo, ce l’abbiamo sempre fatta, specie dopo che il Presidente della Repubblica aveva assunto un atteggiamento responsabile, come da suo ruolo istituzionale.
In poco più di mille giorni di governo ci hai dato leggi che sono apparse ai più inique, hai colonizzato la RAI e asservito i giornali, quasi tutti, hai fatto capire che anche la rete era dalla tua parte e che noi, poveri illusi, eravamo una minoranza e poi… ci dici che non credevi ti odiassimo tanto e te ne vai lasciandoci nei guai?
Caro Matteo, scusa se ti do del tu, ma sono stato scout anche io e ricordo bene che Baden Powell diceva che per lo Scout “il modo vero di essere felici è rendere felici gli altri. Prova a lasciare questo mondo un po’ meglio di come l’hai trovato e quando arriva il tuo momento per morire, tu puoi morire felice nel sentire che in ogni caso tu non hai perso il tuo tempo ma hai fatto del tuo meglio.”
Caro Matteo, prova ad essere un po’ Scout e non solo a dichiararlo, almeno prima di andartene dalla politica, ti saremo tutti grati e ti dimostreremo che non era vero che ti odiavamo, odiavamo solo il tuo modo di fare.

BUONGIORNO ACCOZZAGLIA!

DI PIERLUIGI PENNATI
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C’è stata una nuova alba, il sole è sorto ancora una volta, non ci sono state catastrofi economiche e l’Italia si è svegliata forte e democratica come sempre, anzi, di più e il sole del giorno dopo il referendum ha rischiarato il paese ancora una volta mettendo ancor più in luce le contraddizioni del premierato di Matteo Renzi che aveva lasciato capire di voler attuare una diffusa giustizia sociale, ma ha praticato divisione; dare più soldi agli italiani, ma ha salvato le banche a loro spese; che il referendum costituzionale non sarebbe stata una prova su se stesso, ma ha subito affermato di aver perso personalmente; che il suo governo non era in discussione dopo il voto, ma ha dichiarato di volersi dimettere senza nemmeno attendere l’esito finale.
Anche quando ha detto di aver perso, non è sembrato del tutto vero, Matteo Renzi ha vinto la sua battaglia perchè è riuscito a riportare al voto milioni di italiani ormai demotivati, ottenendo un’affluenza alle urne storica ed in controtendenza generale e non solo per la nostra penisola.
Alla fine Matteo Renzi ci ha dato una mano, è riuscito quasi da solo a risvegliare il nostro spirito di libertà, mai sopito veramente e che di fronte alla possibile compressione della propria libertà ci ha fatto accorrere ai seggi per esprimere democraticamente il nostro parere. Ha compiuto un’impresa ciclopica, specie quando è sembrato cadere in errore ed ha chiamato “accozzaglia” i suoi avversari, apparentemente senza tenere conto che i materiali più solidi sono proprio un’accozzaglia, come il calcestruzzo: sabbia, cemento e ferro che singolarmente possono produrre una massa adeguatamente coesa, ma insieme danno il meglio, producendo muri solidi e spesso impenetrabili.
È questa accozzaglia che ha saputo cementare che ha vinto, insieme a lui ha vinto la coscienza popolare che ha risvegliato.
Sembra assurdo, ma con una riforma che in molti abbiamo giudicato sbagliata ha risvegliato la voglia generale di cambiamento. L’affluenza al voto e l’eterogeneità degli elettori dicono che gli italiani quando possono agiscono e che in fondo hanno bisogno di stabilità, ma anche di cambiamento, solo che per cambiare non bisogna mettere loro paura, ma accompagnarli con un’azione di governo che porti progressivamente ed in modo comprensibile e condivisibile a quella giustizia sociale ed equa dignità che desiderano e che meritano.
Le dimissioni del governo governo Renzi non possono essere solo vittoria o sconfitta per qualcuno, perché non sia stato tutto vano le sue dimissioni dovranno aprire la strada a riforme responsabili, quelle del giorno successivo alle provocazioni ed alla fretta di governare a tutti i costi. Il dopo Renzi sarà compito dell’accozzaglia, quella voluta dai padri fondatori e che deve dare prova di sé dimostrando che all’Italia non servono governi forti, ma governi democratici, non pugni di ferro, ma comprensione ed umanità, quell’umanità che i governi tecnici e gli sbruffoni di provincia e di città non hanno ancora saputo restituirci.
Buongiorno accozzaglia, preparati, tocca a te, tocca a tutti noi.

FASCISTI CONTRO IL FASCISMO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ho scritto di questa riforma costituzionale analizzando il testo autografo di Benito Mussolini “La filosofia del fascismo”, trovando una certa corrispondenza tra l’azione di governo nel modificare il testo costituzionale e la compressione della democrazia nel pensiero del Duce e non sono nemmeno stato il più ardito, qualcuno ha persino usato il testo scritto di pugno da Adolf Hitler, “Mein Kampf”, scoprendo tristi paralleli.
La domanda che ancora non mi ero posto in modo compiuto era perché gli attivisti di Casa Pound Italia ha preso posizione contro una riforma con spirito potenzialmente nazista e/o fascista, invece di esserne soddisfatti.
Ho fatto un’indagine in rete, Casa Pound è nata nel 2003 e non ho trovato alcun riferimento alla posizione assunta all’analogo referendum del 2006, però è certo che il movimento sia stato sdoganato proprio dall’avvento di Berlusconi e di una destra moderata che ha dato la parola anche alla destra meno moderata, Casa Pound, appunto.
Quindi non ho dati, però resta il dubbio, perché?
Nel loro sito si legge: “votare sì significherebbe in primis condividere il programma di governo di Matteo Renzi e accordargli, attraverso la riforma del sistema parlamentare, un maggior potere al fine di realizzare il suo progetto. Questo 2016 ci ha regalato due episodi degni di nota, come la vittoria della Brexit in Gran Bretagna e il trionfo di Trump negli USA, espressioni di un sentimento di revanche da parte del popolo e, come degna conclusione, l’unica soluzione rimane quella di votare NO al referendum del 4 dicembre, anche se non sei o non la pensi come CasaPound”.
Ed ancora: “CasaPound è convintamente per il ‘no’ al referendum, ‘no’ a una riforma varata da un governo nato da manovre di palazzo e da un parlamento che sarebbe già dovuto andare a casa; ‘no’ a una riforma che modifica l’articolo 117 della Costituzione in modo da sancire la fine della sovranità nazionale e rendere definitivamente l’Italia schiava della Ue; ‘no’ a una riforma che invece di cancellare il Senato lo trasforma in un costoso passatempo per sindaci e consiglieri regionali. Chi ama l’Italia vota e per questo invitiamo gli italiani a fare esattamente come hanno detto Renzi e Boschi e a votare come CasaPound”.
Quindi coloro che sono bollati come fascisti hanno paura del possibile potere che vorrebbero e che, invece, prenderebbero altri, confermando il famoso aforisma andreottiano che “il potere logora chi non ce l’ha”.
In ogni caso fascisti contro o meno, nel segreto della cabina elettorale avremo in mano la matita che potrebbe cambiare il volto della nostra nazione, pensiamoci bene prima di usarla.

FIRME FALSE: E SE AVESSERO RAGIONE LORO?

DI PIERLUIGI PENNATI
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Firme false a Verona: 71 condannati tra PD, FI, Lega e NCD, nessuno si dimette.
L’indagine era nata d un esposto M5S che nel contempo devono affrontare lo stesso problema in varie città e ieri altri 300 casi a Reggio Emilia con un’indagine che abbraccia trasversalmente ben 19 liste passate al setaccio dai magistrati. A Palermo, in un assordante silenzio generale, decine di amministratori da destra a sinistra patteggiano per lo stesso reato, ma commesso nel 2014. Tre sindaci e decine di consiglieri comunali di cui nessuno chiede le dimissioni e con pene inferiori a quelle previste dalla legge Severino.
Migliaia di firme sospette o falsificate a sostegno di liste elettorali raccolte senza la ratifica di un pubblico ufficiale, ma non è la prima volta, nel 2010 le elezioni regionali della Lombardia furono invalidate per lo stesso motivo dal Consiglio di stato, Formigoni fu persino condannato a risarcire i Radicali per le sue smentite diffamatorie.
Sembra una malattia altamente contagiosa che si sta propagando infettando tutti i partiti senza considerarne colore, statuti e programmi, una specie di ebola amministrativa che non risparmia nessun candidato. Ci deve essere una ragione se tutto ciò continua a succedere, non basta un focolaio, si deve trattare di un virus che nasce spontaneo e si mette subito al lavoro con uno scopo preciso: permettere la candidatura ad una qualche elezione.
In un sistema democratico totalmente aperto vi dovrebbe essere la possibilità per chiunque di partecipare alla vita politica del proprio paese in modo relativamente facile ed introducendo potenzialmente confusione, immaginate su tutti potessimo candidarci senza formalità, liste di migliaia di nomi e milioni di candidati, il caos totale. Per ovviare a ciò in qualsiasi sistema elettorale si pongono sempre delle condizioni di base per le candidature, liste aperte o bloccate e sostenute da partiti o movimenti che certifichino questo sostegno attraverso una forma di certificazione quale, per esempio, la raccolta firme. Il proliferare di partitini e correnti e l’apparente ingovernabilità italiana hanno suggerito ai grandi partiti di alzare progressivamente i minimi per la partecipazione alle elezioni e per la possibilità di essere eletti, aumentando il numero delle firme e complicando le modalità di raccolta e presentazione delle stesse ed introducendo soglie di sbarramento al di sotto delle quali non si ottiene comunque un seggio.
Così, se oggi volessimo candidarci, per esempio, all’elezione a sindaco della città di Milano, dovremmo presentare una dichiarazione di presentazione della lista di consiglieri comunali con l’indicazione del Candidato Sindaco, i certificati elettorali attestanti che i presentatori della lista (ovvero i sottoscrittori) siano iscritti nelle liste elettorali del Comune, la dichiarazione di accettazione di candidatura sia per la carica a sindaco che a consigliere comunale, i certificati elettorali che attestino che i candidati siano iscritti nelle liste elettorali di un Comune della repubblica, il modello di contrassegno di lista.
I sottoscrittori dovrebbero essere almeno 1.000 e firmare alla tassativa presenza di un pubblico ufficiale a scelta tra notai, giudici di pace, cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle corti d’appello, dei tribunali e delle sezioni dei tribunali, i segretari delle procure della Repubblica, i presidenti delle province, i sindaci, gli assessori comunali, gli assessori provinciali, i presidenti dei consigli comunali, i presidenti dei consigli provinciali, i consiglieri provinciali che abbiano comunicato in data anteriore la propria disponibilità al presidente della provincia, i consiglieri comunali che abbiano comunicato in data anteriore la propria disponibilità al sindaco del comune, i presidenti e vice presidente dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali, i segretari provinciali, i funzionari incaricati dal sindaco, i funzionari incaricati dal presidente della provincia.
Altre a questo dovremmo designare, i vari rappresentanti di lista etc., con modalità del tutto simili. Una “mission impossible”, o quasi, anche per i professionisti della politica essendo necessaria un’organizzazione ben collaudata e ben insediata nelle istituzioni, oppure almeno molti soldi, giustificando così l’evidenza che sopravvivono bene a questo filtro soltanto i grandi partiti od i miliardari.
La vicenda sempre più allargata delle firme false evidenzia proprio questo problema, a furia di limitare la partecipazione democratica sottoponendola a gimcane burocratiche e complicate modalità non si può quasi più interagire con le amministrazioni, che diventano sempre più dei veri e propri feudi, così esclusivi da escludere persino se stessi al minimo cambiamento. Già, perché tutto ciò non è necessario se si è già eletti con un partito e non si cambia. Stabilità di potere al potere.
Quindi, se più o meno tutti i partiti stanno avendo lo stesso problema può dipendere solo da un fatto: le regole sono troppo complicate persino per chi le ha stabilite. Regole decise dai partiti per i partiti, studiate, negoziate ed approvate, senza partecipazione popolare. Tra due giorni, invece, voteremo per modificare la costituzione ed ancora una volta, ma a più alto livello, nel nome di un fantomatico risparmio e riduzione del numero dei parlamentari introdurremo complicazioni per la partecipazione alla vita pubblica.
La progressiva compressione delle partecipazione popolare e democratica dei partiti al governo ha già creato gravi problemi non solo ai cittadini, ma persino ai partiti stessi che, conseguentemente, sono più ingessati nell’amministrazione pubblica e cercano sempre più riforme per se stessi e non per tutti, esempio lampante che questa riforma costituzionale sia la fotocopia di quella presentata da Berlusconi nel 2006 ed allora osteggiata da chi oggi la ripresenta.
Aggiungere limiti alla partecipazione democratica, alzare le soglie di partecipazione e complicare ulteriormente le regole della costituzione ai fini della governabilità per cambiare a tutti i costi non mi pare una buona idea, per nulla.
Per evitare le firme false, ma ancor più per poter continuare ad esercitare la nostra sovranità popolare, non ci servono inchieste sull’autenticità delle candidature e grida alla disonestà di chi chiedeva la testa dei disonesti, servono, invece, buoni amministratori che sappiano governare bene e con il consenso popolare, lasciando i baroni della politica a casa se necessario.
Mi scandalizzo delle liste con firme false, che hanno pur sempre un minimo di firme autentiche, ma domenica 4 dicembre voterò NO al referendum, anche per questo, per evitare che la democrazia possa estinguersi in una lenta agonia fatta di piccole ma costanti limitazioni delle nostre libertà partecipative e fondamentali.

RENZI CHI?

DI PIERLUIGI PENNATI
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Ci sono moltissimi motivi per votare NO al referendum, un po’ meno per votare SI e sembrano tutti slogan: cambiamento, risparmio, governabilità, etc. Vi sono ragioni in tutte le direzioni, soprattutto ora che la campagna per il voto volge alla conclusione ed è cruciale che le persone votino coscientemente.
Quello che sento dire un po’ meno e con meno forza è ciò che davvero avverrà dopo lo scrutinio, poche ridondanti ipotesi e spesso affidate ad esperti di settore, economisti allarmati da possibili catastrofi finanziarie e/o fini costituzionalisti preoccupati dell’imminente ingovernabilità permanente del paese.
Ciò che sembra, però, certo e che dopo questo voto dovremo tornare di nuovo alle urne perché le cose possano funzionare, sia che vinca il NO, che farà perdere a Renzi qualsiasi credibilità popolare residua e scatenando le opposizioni interne ed esterne al suo partito, sia che vinca il SI che produrrà un Senato di eletti che resteranno ancora in carica fino a scioglimento delle Camere, ma delegittimati dal nuovo testo costituzionale, che impedirà il proseguimento sereno dell’iter legislativo.
Senza contare la già ingombrante e non dimenticata presenza di ben 148 parlamentari il cui insediamento non è stato mai validato perché eletti con un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale.
Ma una cosa che pochi si sono chiesti è cosa sarà di questo primo ministro arrivato al potere come una rock star che azzecca un brano di successo e vola in classifica. Fino a quando vi resterà?
Dopo, cosa ne sarà di lui?
Forse Renzi è l’unico ad essersi posto la domanda, forse ha un piano B che non conosciamo, forse è solo prestato alla politica, fatto sta che era partito da semplice amministratore di provincia lanciando l’idea che svecchiare la politica era la soluzione per permettere uno sviluppo del paese troppe volte imprigionato in se stesso: “il rottamatore”. Una sorta di terminator istituzionale deciso a mandare a casa tutti gli anziani della politica.
Invece i rottamati sono quasi tutti lì, qualcuno è uscito dal partito per sentirsi libero di criticarlo, altri, come D’Alema e Bersani, si sono seduti quieti al loro posto e stanno aspettando che il giovanotto si faccia male da solo per cogliere la giusta opportunità al volo e riprendersi il partito da questi usurpato.
Se Renzi sarà smentito con un NO al referendum il rottamato sarà lui, l’Hit Parade della politica cambierà la sua star di turno ed il Partito Democratico riprenderà il corso interrotto da Renzi due anni fa.
Un nulla di fatto clamoroso, un’altra ragione per respingere il quesito in attesa di uno meglio ragionato, formulato e meno affrettato.
Ma è parlando di storia e di politica con mio figlio di venti anni, che mi rendo conto che non ha idea di chi siano moltissimi uomini politici presenti e passati per me importanti e che in qualche caso hanno accompagnato la mia pubertà e giovinezza, quando nomino i loro nomi mi guarda come se venissi da Marte.
Un atteggiamento che dimostra non solo la costante attualità del del conflitto generazionale con interessi e punti di vista differenti determinato dall’età e dall’esperienza, ma anche il fatto che quello che oggi sembra importante e vitale domani sarà probabilmente dimenticato e più rapidamente è passato tanto meno facilmente sarà ricordato.
Con modi più da sbruffone fiorentino che da primo ministro, Matteo Renzi si era cimentato in un offensivo “Fassina chi?”, per sottolineare la scarsa importanza che dava a chi lo criticava, domani della meteora politica arrivata quasi dal nulla e destinata ad un temporaneo caos istituzionale dopo aver lasciato dietro di se non dei rottamati italiani, ma l’Italia in rottami, molto probabilmente i giovani si chiederanno: “Renzi chi?”
Votare NO non lascerà tutto immutato, votare NO ci permetterà di affrontare successivamente le questioni di una legge elettorale sbagliata e di modifiche costituzionali importanti con la necessaria serenità e responsabilità e non con la scelleratezza di un quasi giovane che per cambiare, in fretta ed a tutti i costi, distrugge irreparabilmente quello che di buono l’Italia orgogliosamente possiede da ben 68 anni: una costituzione antifascista e liberale.

UNA RIFORMA CONTRO IL SUD

DI PIERLUIGI PENNATI
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Il sud d’Italia sembra davvero senza speranza, nel peggior momento di crisi della sua storia repubblicana ha ancor più necessità di politiche e politici di qualità, che possano continuarne e con maggior efficacia il faticoso rilancio del territorio e delle infrastrutture, trasporti, efficienza e sostenibilità economica.
Invece, se da una parte il governo annuncia il termine dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, da sempre simbolo dell’inefficienza dell’apparato pubblico, dall’altra, seguendo la logica del “ci penso io” proprio di mentalità non esattamente democratiche, propone una riforma che, ad avviso dei quasi cento personaggi pubblici del Sud firmatari di un eloquente documento sulle ragioni del NO, ostacola ancora una volta le prospettive di sviluppo del territorio.
Il propagarsi dei comitati del NO che tentano di spiegare in parole semplici ai cittadini una riforma complessa ed insidiosa sono la prova della sua complessità e della confusione che introduce nel processo decisionale di tutti noi per scegliere in modo responsabile e cosciente, dato che dopo l’eventuale SI, si complicheranno ancora di più le cose per eventuali ulteriori modifiche ed aggiustamenti.
Il pericolo è, quindi, che si vada a votare seguendo gli slogan elettorali che non mancano mai.
A partire dal motto “forza Italia”, trasformato in nome di partito, sono state propagate sistematicamente immagini positive ed efficaci slogan per movimenti e partiti, cambiando l’aspetto esteriore della solita politica stantia che si è così lavata la faccia senza davvero cambiare nulla o quasi, nella più stretta logica del Gattopardo.
Anche per questa ragione, oggi come mai, si deve fare più attenzione ai contenuti, evitando il giudizio sulle sole apparenze, cui ci hanno abituati, e scavando più nel profondo delle proposte che ci vengono sottoposte.
L’incontrovertibile e prezioso documento dei 50 costituzionalisti per il NO evidenzia alcune modifiche apprezzabili introdotte dalla riforma, a partire dal superamento del bicameralismo perfetto, ma, al contempo, sottolinea che “questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici”.
La maggior concentrazione e personalizzazione del potere esecutivo, che, fra l’altro, disporrà di una corsia preferenziale nel nuovo processo legislativo affidato in gran parte ad una sola Camera saldamente controllata dal Premier, ed il forte accentramento nell’esecutivo nazionale dei poteri di governo del paese a danno delle Regioni, sono forse gli aspetti più pericolosi per lo sviluppo locale, tanto più per dei territori già storicamente provati oltre che non ancora adeguatamente valorizzati ed in piena crisi.
Due aspetti che già da sé valgono un rifiuto, dato che al loro posto sarebbe necessario che in un sistema democratico ben rappresentativo e ben funzionante vi siamo più forti meccanismi di “controllo ed equilibrio” e un ruolo legislativo più rilevante, osservato anche che la capacità di governo, oggi, non è minata da fattori istituzionali, ma da politiche deboli.
Inoltre, il testo sottoposto a referendum non modifica gli ingiustificati privilegi per le regioni a statuto speciale, mentre per le regioni più ricche e con bilanci più sani, introduce la possibilità di tornare ad acquisire rilevanti competenze.
Infine, se le regioni, specie al Sud ma non solo, non hanno sempre dato buona prova di sé, ma questo è un problema più politico che istituzionale, i Ministeri non sono stati da meno, poiché in una società articolata e multiforme, come la nostra, è difficile governare per decreti centrali rendendosi, invece, indispensabile una stretta collaborazione fra i differenti livelli di governo che possano, se necessario, coinvolgere i cittadini nelle scelte a loro rivolte.
È quindi proprio la logica di “maggior centralità” alla quale è ispirata la riforma a non garantire in alcun modo questo obiettivo, provvedendo, invece, solo a dare al Governo centrale la possibilità d’imporre ai territori le sue scelte, anche quelle potenzialmente e/o sicuramente dannose.
Tutto questo è stato già ampiamente dimostrato dalle scelte politiche compiute negli ultimi anni, promosse dagli esecutivi senza un sufficiente dibattito parlamentare e che stanno gradualmente rendendo diritti e servizi diseguali e sempre più dipendenti dalla ricchezza dei territori, aumentando la pressione fiscale in quelli più deboli e concentrando i pochi investimenti nelle aree più forti del paese, ridisegnando sanità, scuola, welfare in misura sbilanciata ed a danno del Sud, od almeno svantaggiandolo, ed anche la riforma, promossa dall’attuale esecutivo, di profonda trasformazione e concentrazione del sistema universitario, avrà effetti gravissimi sul futuro civile ed economico del Sud.
In Italia c’è sicuramente tanto da cambiare e da innovare, soprattutto al Sud, rapidamente e senza ripetere gli errori già fatti, ma nella società attuale le vere riforme, quelle utili e funzionali, possono nascere solo da un ampio confronto democratico e dall’attenta rappresentazione e composizione delle diverse esigenze territoriali, oltre che dall’interazione tra i saperi, le conoscenze e le culture politiche e sociali.
Il reggente buono ed illuminato che conosce i bisogni del suo paese è solo una pericolosa illusione, reminiscenza di regimi passati e non certo il possibile frutto di questa riforma costituzionale.

LEGGERE MUSSOLINI PRIMA DEL VOTO

DI PIERLUIGI PENNATI
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Quando i padri fondatori discutevano su come scrivere la nostra costituzione repubblicana i miei genitori nemmeno si conoscevano, anzi, uno di loro nemmeno era nato e l’altro era un semplice giovanissimo partigiano di periferia, ed il 25 giugno 2013 si spegneva Emilio Colombo, l’ultimo e più giovane dei padri costituenti.
In assenza di testimoni diretti mi chiedo spesso come possiamo noi oggi comprendere lo spirito ed i pericoli che i padri della patria vedevano nel fondare una nuova nazione e nel gettarne le basi che dovevano essere durature, se non eterne, e se io comincio ad avanzare in età, ed ho ricordi di seconda mano, come potrà mai un giovane di seconda o terza generazione mantenere i valori espressi o solo sottesi ad un simile importante quasi dogmatico documento?
La storia ci viene in aiuto, anche se è spesso noiosa e complicata da leggere ed interpretare, ma possiamo provarci tentando di analizzare la filosofia che il documento voleva rifuggire e combattere: il fascismo.
La costituzione repubblicana italiana è antifascista, tutti noi, o quasi, siamo antifascisti, ma spesso parliamo del fascismo senza conoscerlo, alimentando falsi miti e leggende di ogni tipo, nell’una e nell’altra direzione e nell’era di internet e dell’analfabetismo funzionale serve, forse, tornare indietro e rileggere il testo base sulla filosofia del fascismo, quello che probabilmente fu fonte ed ispirazione dei padri costituenti per non ripetere più gli errori del passato, monarchia e dittature di ogni genere, un testo scritto dallo stesso fondatore e teorico del Fascismo ad uso delle scuole superiori: “La dottrina del fascismo” di Benito Mussolini.
L’idea di leggere un libro scritto da Mussolini in persona può scandalizzare, ma non bisogna chiudere gli occhi davanti al nemico, bisogna guardarlo bene in faccia, per comprenderlo e combatterlo consapevolmente. La costituzione fu scritta da chi quel libro lo conosceva certamente bene, almeno per esperienza diretta, e quel libro può darci indicazioni sui valori civili ed antifascisti della nostra costituzione.
Nella prefazione l’editore ci avverte che la parte fondamentale “è costituita dallo scritto del Duce, nel quale – son, parole Sue – « è stabilito nettissimamente il mio pensiero dal punto di vista filosofico e dottrinale. »”, un libro, quindi, ed un contenuto che non può essere trascurato nel decidere, il 4 dicembre, se modificare o meno il sistema legislativo italiano, probabilmente per sempre.
In quel libro si trovano le idee fondamentali dalle quali nel 1947 si scappava, in esso è scritto che “Come ogni salda concezione politica, il Fascismo è prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina, e dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro”.
Ma le frasi forse centrali sono le modalità con cui si esplicita il fascismo, Mussolini sostiene che i “Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete”, riducendo la figura dell’elettore e della democrazia ad una semplice illusione di se stessa, infatti “La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno.”
Quindi, per Mussolini, la democrazia è pericolosa per la governabilità dello stato e continua con “Questo spiega perché il Fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma, convinto che la questione delle forme politiche di uno Stato non è, oggi, preminente e che studiando nel campionario delle monarchie passate e presenti, delle repubbliche passate e presenti, risulta che monarchia e repubblica non sono da giudicare sotto la specie dell’eternità, ma rappresentano forme nelle quali si estrinseca.”
Finta democrazia e stato padrone in una sorta di illusione collettiva dove “la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il Fascismo poté da chi scrive essere definito una « democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria »”.
I padri fondatori, che certamente conoscevano bene la materia filosofica, decisero, probabilmente, di opporvisi nell’unico modo considerato possibile ed ancor oggi valido: nell’allargamento della democrazia e non nella sua compressione.
In questa ottica, la rinuncia o la limitazione della democrazia in favore della governabilità realizza in pieno le idee fasciste che da quasi un secolo rifuggiamo, la domanda quindi non dovrebbe essere se vogliamo cambiare, ma se davvero vogliamo tornare indietro o se, volendo cambiare a tutti i costi, non sia meglio pensare ad uno stato dove la democrazia diretta sia più presente.
In Italia mancano procedure per il sostegno di leggi di iniziativa popolare, per l’approvazione collettiva delle nuove norme, tutto è già ampiamente accentrato nello stato, quasi secondo l’idea Mussoliniana antiindividualistica, dove “la concezione fascista è per lo Stato ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato” e “contro il liberalismo classico”, arrivando a dichiarare che “Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto. La libertà non è un diritto, è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un’eguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C’è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C’è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria.”
In altri sistemi di governo, quello svizzero, per esempio, le consultazioni popolari per confermare l’operato del legislatore sono alla base della democrazia e nell’era di internet la relativa spesa e procedure sono enormemente abbattuti e più semplici, tanto che persino nell’Appenzeller, dove le donne hanno acquisito il voto solo dal 1990 e fino al 1996 il popolo si esprimeva in piazza per alzata di mano, si vota per corrispondenza o tramite internet con costi risibili, e chi può dire che la svizzera sia un paese sottosviluppato od una dittatura?
Non ci sono scuse, quindi, esistono modi e modalità democratiche efficienti ed economici anche senza dover rinunciare al bicameralismo, la cui funzione è principalmente quella di assicurare il pluralismo e l’equilibrio fra i poteri, tanto da essere in vigore in moltissimi paesi democratici al mondo senza essere messa in discussione. Francia e Stati Uniti hanno due camere e persino l’Unione Europea ha due assemblee che legiferano insieme e che sono, in modo diretto od indiretto, elette dai cittadini in modo chiaro e responsabile.
Con tutta probabilità, il quesito che i padri fondatori volevano risolvere era se governare a tutti i costi od inchinarsi democraticamente davanti alla nazione in quanto individuo e non stato padrone.
La soluzione costituzionale trovata nel 1947 è forse perfettibile, ma i perfezionamenti dovrebbero dirigersi nel senso dell’allargamento della democrazia e non della sua limitazione, il primo è spirito antifascista, il secondo conferma della teoria che “Il Fascismo nega che il numero, per il semplice fatto di essere numero, possa dirigere le società umane; nega che questo numero possa governare attraverso una consultazione periodica; afferma la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini che non si possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco com’è il suffragio universale.”
Sessantanove anni fa si scappava dal concetto che “Chi può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato. Quella che si chiama crisi, non si può risolvere se non dallo Stato, entro lo Stato” e che “Lo Stato fascista organizza la Nazione, ma lascia poi agli individui margini sufficienti; esso ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali.”, oggi siamo chiamati a guardare avanti, facciamolo, ma con gli occhi bene aperti.

L’INGOMBRANTE ASSENZA DEL PARTITO DEMOCRATICO

Se c’è una cosa che salta subito all’occhio in questa campagna referendaria è la quasi esclusiva presenza del Governo sulla scena del fronte del SI, nella quale il PD è il solo grande partito e sembra che tutti, ma proprio tutti, gli altri partiti e movimenti politici e d’opinione italiani siano schierati contro.

In questa limitata visione, non è un caso che il premier abbia definito accozzaglia chi si oppone, dato che mancando totalmente altre voci che confermino come questa riforma costituzionale sia veramente nella direzione del risparmio e della governabilità, il governo è solo contro tutti.

Non conosco altri nostri precedenti se non quello del 2006, quando l’allora premier Berlusconi promosse quasi da solo una riforma costituzionale dai contenuti curiosamente simili a quanto voteremo il 4 dicembre.

Anche la riforma Berlusconi prevedeva la riduzione del numero di deputati, da 630 a 518 e dei senatori da 315 a 252, per un totale di 770 contro i 730 proposti oggi.

Lo stesso Berlusconi dichiarava nei suoi comizi “Con questa nostra riforma noi abbiamo dato il vita ad una sola camera, le leggi dello stato non dovranno più passare da due camere ma saranno approvate soltanto da una camera”.

La fine del bicameralismo perfetto era quindi un altro punto forte ed il Presidente della Repubblica sarebbe divenuto “garante dell’unità federale della Repubblica, con aumento dei poteri del Primo Ministro”, il cosiddetto “Premierato”, che unito ad una clausola contro i cambi parlamentari di maggioranza ed obbligo di nuove consultazioni popolari in caso di caduta del governo avrebbe dato al paese quella governabilità che gli mancava da sempre.

L’autonomia di Roma e la clausola di supremazia, nella quale lo Stato avrebbe potuto sostituirsi alle Regioni, e la clausola di Interesse nazionale completavano il panorama.

Davanti a queste proposte referendarie Veltroni ai tempi dichiarava: “Il tentativo di Berlusconi di mettere in discussione la costituzione di revocarne in dubbio le radici fondamentali, il tentativo di trasformare la nostra democrazia in un potere sostanzialmente conferito nelle mani di uno solo come Berlusconi ha detto di voler fare, questo è estraneo alla logica alle tradizioni al senso di una grande democrazia come quella italiana”.

Dario Franceschini non era da meno: “Il presidente del consiglio ha in mente un paese dove il potere viene sempre di più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona, questo è contro la costituzione a cui lui ha giurato fedeltà” ed ancora “abbiamo un presidente del consiglio che disprezza i principi della nostra democrazia ed offende la costituzione, Berlusconi ha in mente una forma moderna di autoritarismo”.

Anna Finocchiaro si lasciava andare durante la grande manifestazione contro il referendum alla dichiarazione pubblica: “Siamo qui per difendere la costituzione, per difendere quel patto che nasce dalla resistenza e che io credo ancora oggi uno degli esempi più straordinari e moderni di costituzione nel mondo intero”

Nel mondo dello spettacolo Benigni sosteneva che la nostra Costituzione fosse la più bella del mondo e nei suoi spettacoli dichiarava: “La democrazia ed il fatto che sia pubblica è il primo comandamento, nessuno si può appropriare del bene pubblico, un politico od un partito che si fa una legge solo per sé la usa solo per se o per un gruppo una parte”. Citando i costituenti: “loro hanno detto: noi non vogliamo che si ripeta, Hitler è stato eletto dal popolo.

Allora hanno avuto un’idea che ci salva, salva le nostre vite e quelle dei nostri figli per la pace e la libertà”, “questo testo è scritto da persone sobrie da andare a rileggere quando si ubriacano”, e citando Ulisse che davanti alle sirene si fa legare pur essendo il comandante “noi siamo legati alla costituzione arrivano le sirene, questi che fanno la politica della paura, che vanno a toccare le nostre parti più rozze, che ci vogliono far tornare nel buio della storia indietro da questi principi che leggeremo e ci fanno macché libertà, vieni da me, te la do io, macché democrazia, lo vedi la libertà è tremenda, fanno una confusione, un casino, dammi il potere a me, ci vuole un uomo forte che rimetta a posto le cose, slegatemi!!”, “ma nessuno lo può slegare, La democrazia non è la sovranità del popolo che va in piazza con al violenza, la vera democrazia sono questi principi che il popolo si è dato quando era sobrio splendido e bello, si è incoronato imperatore di se stesso e siccome anche noi siamo sovrani questi principi sono il sovrano del sovrano, il re dei re”.

Dichiarazioni chiare, coerenti e condivisibili, lezioni di vita e di democrazia di fronte al tentativo di minare le fondamenta della nostra costituzione redatta nel 1948 alla fine di un’esperienza traumatica di governo che aveva messo in ginocchio l’Italia e che aveva seminato paura e discriminazione per un ventennio: il fascismo.

Fu allora che, nello scrivere il nostro attuale sistema costituzionale, i padri fondatori, seguendo non solo la linea dei diritti e del miglior governo, ma, certamente e soprattutto, l’istinto naturale di rifuggire il fascismo appena destituito ed impedire che potesse ritornare, scrissero una costituzione repubblicana nella quale la democrazia rendeva forse difficile il governo ma garantiva libertà, pace e giustizia.

Oggi, nell’osservare il governo di turno riproporre un testo già rifiutato nei principi prima dai padri fondatori e dopo da un primo referendum costituzionale, quello che stupisce di più non è il tentativo di limitazione della democrazia, ma il fatto che chi lo promuove è al tempo stesso il capo del Governo ed il Segretario di un partito che possiede un “Manifesto dei Valori” che all’articolo 3 cita testualmente: «La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale.

La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise, coerenti con i principi e i valori della Carta del 1948, confermati a larga maggioranza dal referendum del 2006.»

Se una persona può cambiare idea, se un politico può rinnegare le promesse fatte in campagna elettorale tradendo i suoi elettori, un manifesto dei valori alla base dell’azione di un movimento politico non può essere strumentalizzato a piacimento, esso è, e deve rimanere, un punto fisso in tutta l’azione del partito pena l’esclusione di chi non lo condivide.

In questa campagna referendaria, quindi, quello che stupisce di più non è la presenza del Governo come unico attore ad esso favorevole, ma l’ingombrante assenza del Partito Democratico che fin dal principio di essa tace, senza prendere provvedimenti, di fronte alla palese violazione dei suoi principi costituenti, tanto più se ad infrangerli è addirittura il suo segretario, custode e garante.

L'INGOMBRANTE ASSENZA DEL PARTITO DEMOCRATICO

DI PIERLUIGI PENNATI
pierluigi-pennati
Se c’è una cosa che salta subito all’occhio in questa campagna referendaria è la quasi esclusiva presenza del Governo sulla scena del fronte del SI, nella quale il PD è il solo grande partito e sembra che tutti, ma proprio tutti, gli altri partiti e movimenti politici e d’opinione italiani siano schierati contro.
In questa limitata visione, non è un caso che il premier abbia definito accozzaglia chi si oppone, dato che mancando totalmente altre voci che confermino come questa riforma costituzionale sia veramente nella direzione del risparmio e della governabilità, il governo è solo contro tutti.
Non conosco altri nostri precedenti se non quello del 2006, quando l’allora premier Berlusconi promosse quasi da solo una riforma costituzionale dai contenuti curiosamente simili a quanto voteremo il 4 dicembre.
Anche la riforma Berlusconi prevedeva la riduzione del numero di deputati, da 630 a 518 e dei senatori da 315 a 252, per un totale di 770 contro i 730 proposti oggi.
Lo stesso Berlusconi dichiarava nei suoi comizi “Con questa nostra riforma noi abbiamo dato il vita ad una sola camera, le leggi dello stato non dovranno più passare da due camere ma saranno approvate soltanto da una camera”.
La fine del bicameralismo perfetto era quindi un altro punto forte ed il Presidente della Repubblica sarebbe divenuto “garante dell’unità federale della Repubblica, con aumento dei poteri del Primo Ministro”, il cosiddetto “Premierato”, che unito ad una clausola contro i cambi parlamentari di maggioranza ed obbligo di nuove consultazioni popolari in caso di caduta del governo avrebbe dato al paese quella governabilità che gli mancava da sempre.
L’autonomia di Roma e la clausola di supremazia, nella quale lo Stato avrebbe potuto sostituirsi alle Regioni, e la clausola di Interesse nazionale completavano il panorama.
Davanti a queste proposte referendarie Veltroni ai tempi dichiarava: “Il tentativo di Berlusconi di mettere in discussione la costituzione di revocarne in dubbio le radici fondamentali, il tentativo di trasformare la nostra democrazia in un potere sostanzialmente conferito nelle mani di uno solo come Berlusconi ha detto di voler fare, questo è estraneo alla logica alle tradizioni al senso di una grande democrazia come quella italiana”.
Dario Franceschini non era da meno: “Il presidente del consiglio ha in mente un paese dove il potere viene sempre di più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona, questo è contro la costituzione a cui lui ha giurato fedeltà” ed ancora “abbiamo un presidente del consiglio che disprezza i principi della nostra democrazia ed offende la costituzione, Berlusconi ha in mente una forma moderna di autoritarismo”.
Anna Finocchiaro si lasciava andare durante la grande manifestazione contro il referendum alla dichiarazione pubblica: “Siamo qui per difendere la costituzione, per difendere quel patto che nasce dalla resistenza e che io credo ancora oggi uno degli esempi più straordinari e moderni di costituzione nel mondo intero”
Nel mondo dello spettacolo Benigni sosteneva che la nostra Costituzione fosse la più bella del mondo e nei suoi spettacoli dichiarava: “La democrazia ed il fatto che sia pubblica è il primo comandamento, nessuno si può appropriare del bene pubblico, un politico od un partito che si fa una legge solo per sé la usa solo per se o per un gruppo una parte”. Citando i costituenti: “loro hanno detto: noi non vogliamo che si ripeta, Hitler è stato eletto dal popolo. Allora hanno avuto un’idea che ci salva, salva le nostre vite e quelle dei nostri figli per la pace e la libertà”, “questo testo è scritto da persone sobrie da andare a rileggere quando si ubriacano”, e citando Ulisse che davanti alle sirene si fa legare pur essendo il comandante “noi siamo legati alla costituzione arrivano le sirene, questi che fanno la politica della paura, che vanno a toccare le nostre parti più rozze, che ci vogliono far tornare nel buio della storia indietro da questi principi che leggeremo e ci fanno macché libertà, vieni da me, te la do io, macché democrazia, lo vedi la libertà è tremenda, fanno una confusione, un casino, dammi il potere a me, ci vuole un uomo forte che rimetta a posto le cose, slegatemi!!”, “ma nessuno lo può slegare, La democrazia non è la sovranità del popolo che va in piazza con al violenza, la vera democrazia sono questi principi che il popolo si è dato quando era sobrio splendido e bello, si è incoronato imperatore di se stesso e siccome anche noi siamo sovrani questi principi sono il sovrano del sovrano, il re dei re”.
Dichiarazioni chiare, coerenti e condivisibili, lezioni di vita e di democrazia di fronte al tentativo di minare le fondamenta della nostra costituzione redatta nel 1948 alla fine di un’esperienza traumatica di governo che aveva messo in ginocchio l’Italia e che aveva seminato paura e discriminazione per un ventennio: il fascismo.
Fu allora che, nello scrivere il nostro attuale sistema costituzionale, i padri fondatori, seguendo non solo la linea dei diritti e del miglior governo, ma, certamente e soprattutto, l’istinto naturale di rifuggire il fascismo appena destituito ed impedire che potesse ritornare, scrissero una costituzione repubblicana nella quale la democrazia rendeva forse difficile il governo ma garantiva libertà, pace e giustizia.
Oggi, nell’osservare il governo di turno riproporre un testo già rifiutato nei principi prima dai padri fondatori e dopo da un primo referendum costituzionale, quello che stupisce di più non è il tentativo di limitazione della democrazia, ma il fatto che chi lo promuove è al tempo stesso il capo del Governo ed il Segretario di un partito che possiede un “Manifesto dei Valori” che all’articolo 3 cita testualmente: «La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale. La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise, coerenti con i princìpi e i valori della Carta del 1948, confermati a larga maggioranza dal referendum del 2006.»
Se una persona può cambiare idea, se un politico può rinnegare le promesse fatte in campagna elettorale tradendo i suoi elettori, un manifesto dei valori alla base dell’azione di un movimento politico non può essere strumentalizzato a piacimento, esso è, e deve rimanere, un punto fisso in tutta l’azione del partito pena l’esclusione di chi non lo condivide.
In questa campagna referendaria, quindi, quello che stupisce di più non è la presenza del Governo come unico attore ad esso favorevole, ma l’ingombrante assenza del Partito Democratico che fin dal principio di essa tace, senza prendere provvedimenti, di fronte alla palese violazione dei suoi principi costituenti, tanto più se ad infrangerli è addirittura il suo segretario, custode e garante.