DI VIRGINIA MURRU
Confindustria è in allarme ed è comprensibile. L’emergenza sanitaria è diventata ben presto anche economica, se si tiene conto poi che il Paese cercava una svolta all’inizio del nuovo anno, reduce da oltre un anno di contrazione nella crescita, le preoccupazioni del mondo produttivo hanno una logica.
Ma qui è in gioco la tutela di un valore ben più grande del profitto: la vita umana, ed è questo il senso della lotta in questa emergenza.
Intanto ieri sera è approdato il nuovo decreto governativo (Dpcm), con il quale il premier Giuseppe Conte conferma l’ulteriore fase di ‘austerity’ annunciata nei giorni scorsi, ossia la chiusura di tutte quelle attività produttive e servizi non essenziali fino al 3 aprile.
Questo decreto però è come un sasso scagliato su una distesa di acque già agitate dalla congiuntura in atto, mette contro le parti sociali perché per ovvie ragioni hanno priorità diverse. Sulla chiusura delle attività produttive non essenziali è in atto un dibattito serrato tra sindacati e Associazione degli industriali, mentre al Governo resta l’onere della mediazione, non semplice in un momento in cui tutto il sistema sembra sospeso ad un filo, tenace ma vulnerabile. Il fatto è che questa condizione d’instabilità ed emergenza sanitaria ha creato troppe contingenze.
L’economia è il bersaglio più diretto, non vi sono settori o aree che possano essere circondati dal ‘filo spinato’, ogni processo produttivo è legato all’altro, e non si potrebbe isolarne una parte senza creare disagi o blocchi in filiere trasversali. Lo ha spiegato il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia in un’intervista concessa al Corriere:
“Attenzione alle chiusure perché le filiere sono trasversali. A titolo di esempio prendiamo le aziende dell’automotive che stanno producendo valvole per i respiratori: nemmeno queste sono comprese nei Codici Ateco, quelle che possono continuare la produzione. Bisogna quindi prestare attenzione alla rigidità, e usare il buon senso.”
Sulla prospettiva di un’agitazione sindacale, come risposta alla decisione di tenere operative aziende la cui produzione non è in questo momento propriamente indispensabile, Boccia risponde perplesso ‘che non ne comprende le ragioni’. Secondo il presidente di Confindustria sarebbe un pessimo messaggio al Paese, che ha necessità di stimoli e compattezza, impegno e sforzi che convergano verso una sinergia d’intenti volta a riportare l’Italia quanto prima su una buona base di ripartenza.
E non manca di rimarcare che si stanno lasciando sul campo circa 100 miliardi di perdite al mese, conseguenti al blocco delle attività non essenziali, in seguito alle direttive contenute nel nuovo decreto. “Dall’emergenza economica entriamo nell’economia di guerra, chiuderà il 70% del tessuto produttivo italiano” – puntualizza Boccia.
Osservazione sulla quale riflettere, ma il premier Conte replica che in ogni caso prima di ogni altra considerazione c’è quella della tutela della vita umana.
Il leader degli industriali ha inviato una lettera a Conte per sottolineare la posizione di Confindustria sulle nuove direttive dell’esecutivo. Tra le varie considerazioni egli invita il Governo a tutelare le imprese sui mercati finanziari. Sottolinea al riguardo: “E’ importante valutare i provvedimenti necessari sull’operatività della Borsa e del Mercato finanziario, al fine di evitare impatti negativi sulle società quotate.”
Ma le Confederazioni sindacali, di fronte ai rischi legati all’emergenza sanitaria, non sono disposte a sorvolare. Nei loro comunicati congiunti si legge:
“A differenza di quanto indicato ieri dal Governo alle parti sociali ed al Paese, in queste ore sembrerebbe avanzare l’ipotesi che, nel decreto in discussione, l’Esecutivo intenda aggiungere all’elenco dei settori e delle attività da considerare essenziali nelle prossime due settimane per contenere e combattere il virus Covid-19, attività produttive di ogni genere”..
Se tali notizie fossero confermate, a difesa della salute dei lavoratori e di tutti i cittadini, Cgil, Cisl e Uil, sono pronte a proclamare in tutte le categorie d’impresa che non svolgono attività essenziali lo stato di mobilitazione e la conseguente richiesta del ricorso alla cassa integrazione, fino ad arrivare allo sciopero generale”.
Confindustria, affidando le sue istanze alla lettera trasmessa da Vincenzo Boccia a Palazzo Chigi, insiste sul fatto che già gli industriali stanno affrontando con senso di responsabilità la decisione del Governo di sospendere le attività produttive non essenziali, offrendo tutto il supporto possibile in termini di collaborazione. E tuttavia la stretta decisa nelle ultime ore deve essere ‘contemperata’ con esigenze prioritarie del mondo produttivo.
Boccia ribadisce la volontà dell’industria italiana di continuare a collaborare affinché siano assicurate le forniture quotidiane di alimentari, prodotti farmaceutici e servizi essenziali, tramite le più efficaci soluzioni operative.
Nella missiva trasmessa al premier Conte, si sottolinea tuttavia che è altresì necessario ‘proseguire le attività non espressamente in lista, ma funzionali a quelle essenziali’. E’ nondimeno necessaria, puntualizza ancora Boccia, che vi siano disposizioni atte a permettere la continuazione delle attività che non possono essere interrotte per ragioni tecniche, che sono funzionali a quelle essenziali, e tale continuità possa essere garantita con procedure amministrative semplificate. Tra le varie attività vi sono anche quelle relative alla manutenzione, ossia quelle volte alla tenuta in efficienza di macchinari e impianti produttivi.
Uno degli aspetti che rendono questo periodo di emergenza precario per le aziende, è la carenza di liquidità, e Boccia non ha mancato di farlo osservare a Conte, precisando che l’operatività di molte imprese facenti parte di filiere internazionali è legata alla disponibilità di liquidità,
Gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da intenso lavoro e confronto al Ministero dello Sviluppo economico, dove si sono definite le linee prioritarie sulle attività essenziali che continueranno ad essere operative, anche quando il decreto Conte (Dpcm) entrerà in vigore. Di fatto dovrebbe avvenire giovedì 26 marzo, ed è stato firmato ieri in prima serata, intorno alle 19.
Il decreto ha messo a punto, in 80 voci, la lista delle attività che resteranno aperte, perché considerate essenziali alla vita del Paese in questo drammatico momento. In funzione resterà tutta la filiera alimentare, bevande e alimenti, quelle legate alla produzione di dispositivi medico sanitari, nonché dei prodotti farmaceutici. Per quel che concerne i servizi si preservano i call center, ma è stato precisato che la lista è suscettibile di aggiornamenti tramite decreto del Mise, dopo la consultazione col Mef.
Le attività funzionali che garantiscono la continuità delle filiere autorizzate resteranno aperte, ma dietro espressa comunicazione al Prefetto della provincia competente. E’ discrezione di quest’ultimo sospendere le attività che non ritiene abbiano le prerogative per l’operatività.
Il decreto consente l’attività degli impianti a ciclo continuo relative alla Difesa e aerospazio, sempre previa comunicazione al Prefetto, ove sia dimostrabile che dall’interruzione derivi serio danno all’impianto o pericolo d’incendio. Il Prefetto ha la facoltà di sospendere le attività che non presentino le condizioni di operatività necessarie per le esigenze di questo periodo di emergenza.
La sospensione dell’attività operativa è stata fissata per il 25 marzo, anche se di fatto inizierà il 26, c’è dunque il tempo utile alle aziende per compiere le operazioni necessarie alla sospensione degli impianti, e la spedizione di eventuali merci in giacenza. L’attività può continuare qualora vi sia un’organizzazione di lavoro a distanza, o lavoro agile.
Le regole del Dpcm restano valide fino al 3 aprile, uniformandole pertanto alle ordinanze e Dpcm già emanati per questo lasso di tempo.
Il decreto Conte sancisce inoltre il divieto di trasferimento dal Comune in cui ci si trova, la disposizione è in vigore già da domenica 22 marzo, in forza di un’ordinanza congiunta del Ministero della Salute e Interno, e si riferisce sia a mezzi di trasporto privato che pubblico. Insomma l’intercalare fissa di questa emergenza è quella di stare a casa, e muoversi solo per ragioni di urgenza o se strettamente indispensabile.
Dopo tante polemiche il decreto ha espressamente vietato gli spostamenti tra Nord e Sud del Paese, in considerazione del fatto che al momento il Nord presenta una situazione di contagi drammatica, e gli spostamenti favorirebbero l’espansione dell’epidemia anche in regioni nelle quali finora si è riuscita a contenere la diffusione del virus.