Lo sciopero è la più antica forma di lotta dei poveri conosciuta al mondo: chi non ha nulla può solo smettere di lavorare.
Lo sciopero non è divertente, chi sciopera ci rimette dei soldi, quindi fa una rinuncia certa che, unita allo stato di necessità, inquadra precisamente il problema.
Negli ultimi anni, invece, i poteri forti, quelli dei cosiddetti “padroni”, gli industriali e le banche, ci hanno abituato a pensare che chi sciopera si diverte a torturare i cittadini, soprattutto nei trasporti, dove ricchi lavoratori scioperano per ottenere benefici ancora più grandi ed ingiusti.
Beh, non è così: chi sciopera fa un sacrificio per uno scopo sociale preciso.
Il primo sciopero della storia di cui si abbia notizia si verificò intorno al 1150 a.C., alcune fonti dicono 1165, altre 1152, comunque oltre tremila anni fa, quando, nell’antico Egitto durante il regno di Ramses III, gli operai del villaggio di Deir el-Medinet, addetti alla costruzione dei templi di Tebe, incrociarono le braccia, al grido di “Siamo già al 18 del mese e abbiamo fame!”, a causa del ritardo nel pagamento della paga, ai tempi effettuata in derrate alimentari, grano, pesci, legumi e per la mancata consegna di unguenti necessari a proteggersi dal sole e dal clima secco del deserto.
Lo sciopero durò alcuni giorni, terminando solo quando il dovuto fu interamente consegnato ed ottenendo la creazione di organi di controllo per assicurare la paga in futuro.
Un grande successo, dunque, a costo di sacrifici che hanno portato ad un beneficio collettivo.
Oggi le cose non sono cambiate e lo sciopero continua ad essere l’unica arma disponibile in possesso dei disperati, che hanno solo l’alternativa della rivoluzione armata, come avvenne in Russia nel 1917 a seguito dei primi scioperi a febbraio nelle Officine Putilov che portarono in qualche mese alla rivoluzione di ottobre, esattamente 100 anni fa.
Combattere o limitare lo sciopero, quindi, significa togliere l’unica arma nelle mani dei poveri, lo sanno bene i potenti ed governi, per questo fanno di tutto per evitarlo o renderlo inefficace.
Il primo sciopero generale in Italia è stato nel settembre 1904, ed anche in epoca fascista, dopo la salita al potere nell’ottobre del 1922 di Benito Mussolini, il più giovane caso di governo dopo Matteo Renzi nella storia dell’Italia unita, ci sono stati degli scioperi così importanti che il Duce sentì la necessità, il 3 aprile 1926, di promulgare una legge, la numero 563, per impedire una nuova insorgenza di fenomeni di ribellione sociale al suo regime.
Questa legge, contenente in modo più ampio la “Disciplina Giuridica Dei Rapporti Collettivi Del Lavoro”, proibì lo sciopero e la serrata commerciale e stabilì che soltanto i sindacati “legalmente riconosciuti”, vale a dire quelli fascisti che già detenevano praticamente il monopolio della rappresentanza sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 fra la Confindustria e le corporazioni fasciste, potevano stipulare contratti collettivi ed indire controversie collettive, non senza, però aver cercato prima un tentativo di conciliazione, riducendo i conflitti ad un fatto meramente amministrativo e giuridico.
Situazione non tanto distante da quanto si sta tentando di ristabilire progressivamente oggi a suon di leggi restrittive, tanto è vero che il giornalismo disinformato parla spesso di “sindacatini non rappresentativi” e la giurisprudenza, nonostante la Costituzione Italiana citi all’articolo 39 “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”, ha ormai consolidato la condizione che per poter operare il sindacato deve avere iscritti pari ad almeno il 5% dei lavoratori del comparto o dell’azienda cui si riferisce. La legge voluta da Mussolini prevedeva il 10%.
Inoltre, nonostante lo sciopero fosse vietato, Mussolini aveva previsto che anche eventuali azioni sindacali alternative dovessero prima aver visto un tentativo di “risoluzione amichevole della controversia, e che il tentativo non sia riuscito”, vale a dire esattamente la “procedura di raffreddamento dei conflitti” che oggi viene imposta obbligatoriamente ed in ben due distinte fasi che fanno perdere a chi protesta almeno un mese dall’apertura formale della vertenza, rendendo comunque inefficace almeno la sua tempestività.
Quindi: riconoscimento giuridico, conciliazione preventiva e limitazione, o persino divieto, di sciopero, sono da sempre il fondamento della repressione sui lavoratori, specie i meno abbienti che non altro altri strumenti.
Evidentemente deve essere questa la ragione per cui ci si accanisce ancora oggi contro chi sciopera, spiegando tramite i media disinformati, come avvenuto il 10 novembre per lo sciopero generale del sindacato USB, che chi sciopera è sempre “qualcuno dei trasporti” che infastidisce chi “lavora onestamente”, che chi proclama sono sindacati “non rappresentativi” dal nome impronunciabile e con “motivazioni non comprensibili”, futili o marginali creando disagio strumentalmente.
La verità, invece, era che lo sciopero era generale, gli scioperanti non erano disonesti, che la rappresentatività sindacale è un parametro oggettivo che proprio i sindacati considerati “rappresentativi” non vogliono svelare per non sfigurare, che i nomi dei sindacati non devono necessariamente seguire slogan o regole accattivanti di mercato e che le erano il dannoso Jobs Act, la manovra economica che chiede altri sacrifici, gli interventi di ulteriore riduzione sulle pensioni e la continua precarizzazione dei contratti di lavoro.
Propaganda e/o disinformazione che vanno a braccetto e/o si coalizzano in una sorta di moderno Istituto per l’Unione Cinematografica Educativa, detto anche LUCE in epoca fascista, che dice solo quello che piace al regime o al popolo.
Ma in anni in cui le code agli Apple Store per i nuovi modelli sono interminabili mentre ai seggi elettorali si registra il deserto degli elettori non ci si può aspettare di meno: la storia ci dice che proprio miseria, rabbia e frustrazione, unite all’assenteismo al voto, hanno favorito l’ascesa al potere di Adolf Hitler in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, non siamo in quelle condizioni, spero, ma certamente non possiamo trascurare lo stato sociale in favore di un’economia che ci sta schiacciando e se oggi togliamo ai poveri l’unico strumento di lotta che possiedono, stiamo facendo male non solo a noi stessi ma anche ai nostri figli, condannandoli ad una vita futura di schiavitù sociale, come quella prevista con un realismo sorprendente da Orwell nel 1948.
La stampa dovrebbe informare correttamente e se non lo fa possiamo difenderci solo cercando altre notizie e verificarne le fonti, costa fatica, ma è necessario: gli scioperi hanno portato progresso e benessere negli anni della crisi del dopoguerra, istituendo diritti dove non ve n’erano ed introducendo benefici sociali e welfare state, oggi il processo innescato è esattamente l’opposto, si comprime il diritto di sciopero per poter mantenere i tagli ai diritti ed allo stato sociale.
Non cadiamo in questa trappola, non lasciamoci influenzare da poteri economici che non considerano più la dignità e le persone, diamo forza al diritto di sciopero e diamo solidarietà a chi, in tempi di crisi e precarietà, rinuncia ad una parte del già sempre più magro salario e rischia il posto di lavoro per poter sopravvivere ancora e dare un futuro ai propri figli.
“Ribaltiamo il tavolo”, “riprendiamoci tutto”, erano i temi dei due ultimi congressi del criticato sindacato USB passati in totale silenzio stampa, ma sono, purtroppo, parole d’ordine sempre più attuali e necessarie.