ALITALIA. I CONTATTI CON IL FONDO CERBERUS SI FANNO PIU’ STRETTI
DI VIRGINIA MURRU
L’interesse dei tre Commissari straordinari di Alitalia nei confronti del fondo di private equity Cerberus, va al di là delle offerte vincolanti presentate entro il 16 ottobre scorso. Del resto non hanno mai fatto mistero dell’inclinazione a favorire le proposte che implicassero la vendita integrale dell’ex compagnia di bandiera italiana, e non quella separata degli asset aviation e handling. Com’è noto, gli acquirenti extra europei, non potranno superare la quota del 49%, secondo una legge dell’Ue.
Luigi Gubitosi, nel ruolo di coordinatore dei commissari, è in partenza alla volta di New York con l’obiettivo d’incontrare il management del fondo Cerberus; prima però sarà presente ad Atlanta per il meeting annuale con Sky Team, dell’alleanza aerea. Rinegoziare la joint venture transatlantica, della quale fanno parte Delta e Air France-Klm, è importante, in quanto l’accordo stabilisce dei limiti per le rotte che dall’Europa raggiungono il Nord Atlantico.
Alitalia mira ad incrementare i voli verso gli Stati Uniti per la prossima stagione estiva, ma prima occorre trovare un accordo con i partner.
L’incontro a New York tra il Fondo Usa Cerberus Capital Management e Luigi Gubitosi, servirà ad approfondire i termini di un’eventuale trattativa. La volontà del fondo di rilevare l’intera compagnia sta facendo passare in secondo piano l’offerta, pure allettante, di Lufthansa, interessata all’aviation, che intenderebbe imporre comunque delle precise condizioni, in primis gli esuberi, e la ‘subalternità’ degli aeroporti di Milano. Interessata allo stesso asset ‘aviation’, c’è anche Easyjet. Di certo c’è che Cerberus conferma l’interesse verso Alitalia, e mira alla cloche di comando.
Come si sa, Cerberus figura tra i più rilevanti investitori speculativi di Wall Street. Attualmente, il Fondo americano, gestisce un patrimonio intorno ai 30 mld di dollari, dietro ai quali ci sono 150 manager espertissimi (nonché scaltri). Sono specializzati in cure drastiche di imprese che rischiano il default, si occupano del settore immobiliare, e di Npl, ossia di sofferenze bancarie. Si sono occupati anche della ristrutturazione di Air Canada. Cerberus, come il cane della mitologia, ha un fiuto infallibile, e Alitalia si presenta un buon boccone in questo momento.
In Italia è interessato ai prestiti in sofferenza, come si è accennato, attività in cui certamente è un’eccellenza. Ambisce, sempre in Italia, a rilevare i 10,3 mld di mutui e rate non riscosse delle Rev, le 4 banche italiane in default (Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara), finite in amministrazione straordinaria. Ma avendo vista acuta ha già puntato la mira verso le sofferenze di Intesa Sanpaolo, Carige e Bpm.
Dopo la manifestazione d’interesse presentata nei confronti della compagnia italiana, Cerberus è rimasta a osservare ‘da lontano’, in una sorta di stand by, dato che, secondo le dichiarazioni dei vertici, ‘le condizioni erano troppo restrittive’.
L’interesse dei Commissari verso il fondo americano, potrebbe celare l’intento strategico di rilanciare il tavolo negoziale anche nei confronti delle compagnie che hanno presentato un’offerta vincolante, come le due maggiori interessate al lotto aviation, ossia Lufthansa e Easy-Jet.
Tirando di più la corda si potrebbero strappare condizioni più vantaggiose qualora il confronto riprendesse con entrambe. Intanto non c’è tanta fretta, fino al 30 aprile tante cose potrebbero cambiare in questi scenari che si stanno delineando sul versante della cessione di Alitalia, i negoziati sono aperti comunque, il governo ha autorizzato ancora diversi mesi per le trattative, affinché non si decida senza valutare al meglio le condizioni di vendita, questa volta.
Gli interventi volti a ridurre al minimo i costi hanno espresso buoni risultati, e infatti in cassa ci sono ancora 850 milioni, ben poco si è attinto dal prestito di 600 milioni + 300 (prestito ponte), concesso dal governo, da restituire entro settembre del prossimo anno.
Intanto, il Chief Communications Officer di Cerberus, Jason Ghassemi, ha confidato al Sole 24 Ore:
“Noi puntiamo a svolgere un ruolo costruttivo, collaborando col governo italiano e i sindacati, affinché si creino le premesse per un’intesa a lungo termine, affinché Alitalia resti integra, più competitiva e indipendente. Noi siamo convinti che debba restare la compagnia aerea nazionale italiana.
L’obiettivo di Cerberus è il controllo della compagnia italiana, non mira a partecipazioni di minoranza.”
UNA SCELTA DI PRUDENZA LA NOMINA DI JEROME POWELL AL TIMONE DELLA FED
NEOM, PROGETTO FARAONICO, CITTA’ DELLA SFIDA, IL FUTURO DIETRO LA PORTA
DI VIRGINIA MURRU
L’Arabia Saudita intende stupire il mondo accingendosi a costruire ‘la città del futuro’, impiegando avanzatissimi livelli di tecnologia, e ovviamente investendo miliardi e miliardi in questo faraonico progetto.
Ma l’aspetto finanziario per gli arabi, si sa, non costituisce un problema, le risorse sono abbondanti, del resto è il paese leader dell’Opec, e produce un terzo dell’oro nero del pianeta, esattamente 7,5 milioni di barili al giorno, dunque primo paese esportatore al mondo.
Per questo non baderanno a spese, pur di realizzare questa autentica meraviglia, che sarà alimentata con energie rinnovabili, sfruttando fonti naturali ed inesauribili: quella solare ed eolica, senza trascurare nulla, neppure la filiera alimentare, per la quale è previsto il meglio nel campo della ricerca. Ma anche uno stile di vita basato sul lusso.
Si direbbe che la ricchezza aguzzi l’ingegno, già si sapeva che muove la creatività, in questo caso è proprio così: solo uno Stato che dispone di mezzi garantiti da fonte sicura, con alti margini di profitto, come il petrolio, può fare simili azzardi. Diventa pertanto più semplice investire in prestigio internazionale e affermare il proprio spazio di potere economico e finanziario.
Gli arabi hanno dimostrato di saper sognare, e lo fanno in grande stile, anche attraverso l’ambizione e l’intraprendenza del principe saudita Mohammed Bin Salman, figlio eletto del re Salman, già designato erede al trono, e attualmente titolare del Ministero della Difesa, considerato per la verità un po’ spregiudicato, soprattutto all’estero.
L’annuncio, da parte del principe Mohammed, dell’ immenso progetto ‘Neom’, ha avuto luogo una settimana fa, il 24 ottobre, nel corso del Forum ‘Future investment initiative’, al quale hanno partecipato politici e uomini d’affari provenienti da 88 paesi del mondo. Una grande risonanza, ma tant’è: doveva fare rumore. Presente anche il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan.
Gli investimenti previsti per la costruzione di questo modernissimo polo industriale, saranno di circa 500 mld di euro, individuato anche il sito, tra il deserto e il Mar Rosso, in una località vicina al Golfo di Aqaba. Tanto per dare l’idea della vastità del territorio che sarà impiegato per questa gigantesca start-up, si può immaginare la più estesa regione italiana, dove ci sarà spazio per l’utilizzo delle più moderne tecniche di costruzione.
I migliori architetti, ingegneri e tecnici, avranno il compito di seguire i più innovativi e avanzati processi in ogni ambito, che prevedono peraltro l’impiego di bio-tecnologie e ogni sorta di servizio automatizzato. Standard di vita irrealizzabili nelle metropoli più moderne, anche a Ryhad, dove i magnati arabi hanno introdotto automazione e robotica ai massimi livelli. Il progetto Neom, è stato ovviamente lanciato dai media arabi ed è rimbalzato ovunque nel mondo, tramite meeting televisivi che hanno riunito i massimi esperti mondiali in campo scientifico-tecnologico-digitale. Sembra roba da fantascienza, ma è un disegno che, nel volgere di pochi anni, si concretizzerà in una città animata, viva, immensa.
Gli arabi, del resto, non amano perdersi in chiacchiere o in retorica, realizzano gli obiettivi non trascurando il fattore tempo. L’area destinata a Neom è sterminata, ossia circa 26mila km quadrati, con sistemi di collegamenti via terra ‘high speed rail’, e non da meno saranno quelli aerei, tutto insomma sarà ai limiti dell’avanguardia.
Il principe saudita mira ad attirare investitori internazionali con ingenti capitali al seguito, perché sta spalancando le porte al futuro, sta precorrendo i tempi: Neom diventerà un cantiere di proporzioni mai viste, un’arena nella quale si misurerà il meglio dell’innovazione. Ma soprattutto la libertà circolerà senza veti sulle sue strade, avrà un volto aperto alla tolleranza religiosa: si realizzeranno strutture per ogni credo.
Un’autentica sfida, un Islam in versione avveniristica che nessuno avrebbe mai creduto possibile. Il miracolo del dio denaro? Forse, anzi quasi certamente sì.
Ma Mohammed Bin Salman ha solo 31 anni, già di per sé rappresenta la staffetta generazionale che non potrà ignorare le istanze di un mondo globalizzato, non solo nel versante commerciale, ma anche in quello culturale.
Neom sarà una città all’avanguardia in ogni aspetto della vita sociale, il principe Mohammed sottolinea che il progetto è davvero proiettato nel futuro, dove il progresso che rifletterà non sarà solamente tecnologico, ma anche sociale, perché è rivolto ad una società ‘emancipata’, in grado di gestire se stessa, e dunque pronta a confrontarsi con le più avanzate dell’Occidente.
Il principe, infatti, ha già rivolto la sua attenzione alla società dell’Arabia Saudita, alle donne in particolare, dimostrando che è possibile andare oltre il radicalismo dell’Islam, e cominciare ad allontanarsi dal rigore che impone in termini di diritti umani. Un segnale eloquente, un chiaro tentativo di modernizzare proprio sul piano sociale la nazione araba. E dopo la concessione della libertà di guida alle donne, ora arriva il permesso di frequentare i luoghi dello sport, come gli stadi, la libertà di organizzare concerti.. Una rivoluzione silenziosa?
Cose dell’altro mondo per gli arabi.. Domanda: ‘come mai gli ‘Imam’ (Sunniti) non si rivoltano alle ‘follie’ del principe saudita?’ – Risposta: perché la società è pronta per il cambiamento, e non si possono mettere in eterno le catene al denaro.. Solo pochi anni fa, riforme di questo tipo, sarebbero state comunque inconcepibili.
E’ un importantissimo, epocale, processo di cambiamento in atto che il principe intende portare avanti, una rivoluzione quasi silenziosa, che paradossalmente non viene dal popolo, ma per iniziativa di chi lo governa. Una sorta di governo ‘illuminato’, che trasformerà radicalmente l’assetto interno dell’Arabia Saudita, tra i più conservatori Paesi islamici.
Una seconda ‘primavera’ araba, che cambierà volto e immagine della nazione, soprattutto sul piano internazionale. Il giovane principe ha già intuito che, senza rivolgimenti interni, senza il coraggio di voltare pagina, non si può essere veramente credibili. Per questo vuole emancipare la società ed eliminare in modo graduale, i veti che impediscono alle donne l’integrazione: solo con un grado di evoluzione sociale veramente significativa ci si può confrontare.
Neom, la città del futuro, secondo gli intendimenti del principe, avrà una società ‘modello’, dove al progresso più avanzato corrisponderà una società in grado di gestire tutto questo, e l’impiego delle donne in ogni settore, è fondamentale perché si possa definire città moderna. Sarà una zona franca, con l’adozione di particolari franchigie fiscali, crocevia di tre Paesi, tramite un grande ponte che collegherà Neom all’Egitto, e quindi alla Giordania. E non solo, perché diventerà un hub all’avanguardia sul versante economico e finanziario per tre continenti, Africa, Asia, Europa.
Il principe Mohammed Bin Salman potrebbe diventare l’Ataturk dell’Arabia, certamente si preserveranno i principi religiosi più cari all’Islam, ma il cambiamento in atto non si potrà più fermare.
Il principe ereditario è anche al timone di Vision 2030, altro progetto ambizioso a lungo termine, dietro il quale c’è una serie di riforme strutturali, tra gli obiettivi anche lo svincolo per affrancarsi dalla dipendenza dal petrolio.
Si vuole non solo riformare, ma anche rendere più dinamica l’amministrazione statale e l’economia del Paese, passando attraverso la privatizzazione di tanti settori dell’economia, e non solo. Si punta all’inclusione sociale delle donne, ‘allargando’ il mercato del lavoro; l’attenzione ai giovani sarà massima. S’intende incoraggiare gli investimenti e l’iniziativa privata, puntare ad aprire nuovi fronti nell’ambito delle scienze tecnologiche e digitali, della produzione industriale, diversificandola, innovandola anche sul piano digitale: una sorta di Industria A 4 pronta a qualunque sfida.
Il principe ha anche un altro obiettivo colossale, una vera ‘challenge’: ossia quotare in Borsa una parte di Saudi Aramco, ora a capitale pubblico, una società simile alla nostra ‘Eni’ di alcuni decenni fa, che riunisce nella sua gestione i giacimenti più produttivi al mondo. Mohammed Bin Salman conta di realizzare questo obiettivo nel 2018, creando le premesse per l’Ipo più importante mai transitato nei mercati finanziari.
Il principe pensa di quotare il 5% di Aramco, e di realizzare così 100 mld di dollari da investire tramite un fondo sovrano nel faraonico progetto ‘Vision 2030’.
Ci sarà posto solo per gli investitori e società che hanno il meglio da proporre in termini d’innovazione, in tutti i settori. Nel versante italiano, ci sono alcune grandi imprese favorite, come il gruppo Salini Impregilo, che gode già della fiducia di Ryadh da decenni, per avere realizzato importanti impianti idraulici in alcuni centri, e la Linea 3 della Metro.
Il gruppo Salini opererà nei cantieri di Neom in collaborazione con Ansaldo, ma ci sarà anche il prestigioso gruppo Italferr-Ferrovie dello Stato Italiane, società d’ingegneria, che si occuperà della supervisione tecnica della metro. Molti aspetti tuttavia sono ancora da definire, le opportunità non mancheranno, è necessario essere competitivi e pronti a coglierle.
IGNAZIO VISCO. LA RICONFERMA DEL MANDATO E L’AUDIZIONE ALLA COMMISSIONE BANCHE
DI VIRGINIA MURRU
E’ arrivata nei giorni scorsi la fumata bianca del Consiglio dei Ministri per la riconferma dell’incarico di Ignazio Visco a Governatore di Bankitalia, il cui primo mandato è in scadenza il 31 ottobre.
Nonostante l’’ostruzionismo’ esercitato dall’ex premier Matteo Renzi, e i quattro ministri assenti alla riunione di Governo, il Consiglio ha approvato la delibera all’unanimità, riproponendo, tra uno sciame di polemiche, il Governatore uscente.
Si è trattato di una ‘seduta lampo’, durata una ventina di minuti.
Ma i rumors, in questo gioco di veti incrociati, non sono mancati, la riconferma di Visco si è portata dietro un’autentica bufera, la scadenza del mandato peraltro coincide con le imminenti prossime elezioni politiche, non c’era molto tempo per il Governo, si è trattato in primis di considerazioni che mettono al centro la ‘continuità per garantire la stabilità’, in un momento in cui il premier Paolo Gentiloni, è impegnato su diversi fronti, non ultimo i rapporti con le Istituzioni europee, che hanno già chiesto spiegazioni sulla Legge di bilancio 2018.
E poi c’è il giro di boa che attende l’esecutivo con la scadenza della legislatura, ormai alle porte, il clima di campagna elettorale è già iniziato, fervono ‘i preparativi’ per il cambio di guardia a Palazzo Chigi, e ovviamente del Parlamento.
Non c’erano poi molti candidati che presentassero credenziali migliori di Ignazio Visco per ricoprire un ruolo certamente prestigioso, ma piuttosto delicato, ed esposto a tutti i venti della polemica in ambito politico.
Renzi proprio aveva ‘in uggia’ il Governatore, e non ne ha fatto mistero, ha espresso in modo chiaro la sua posizione e le riserve sulla riconferma alla guida di Palazzo Koch.
Alla riunione del Cdm, che doveva esprimersi sulla ricandidatura di Visco, mancava, e non a caso, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, oltre al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, alle Politiche Agricole Maurizio Martina, allo Sport Luca Lotti. Un drappello che, con motivazioni varie, ha giustificato la sua assenza nella particolare circostanza.
Dopo la delibera del Governo, sul candidato idoneo a diventare il prossimo Governatore della Banca d’italia, i dubbi sulla riconferma di Visco sono stati praticamente spazzati via. C’era anche il parere favorevole del Consiglio Superiore della Banca d’Italia, a questo punto Renzi stesso ha capito di non avere alcuna chance sul veto alla nomina, sarebbe stato del resto come giocare con i mulini a vento.
Gentiloni ha esitato a lungo prima di risolversi ad esprimere parere favorevole, ha certamente ascoltato le ragioni di Renzi e dei ministri che hanno optato per una defezione celata da impegni vari, ma poi ha scelto la linea del buon senso. Sull’assenza dei 4 ministri è arrivata puntuale la disapprovazione di Franceschini, Roberta Pinotti, Marco Minniti, Andrea Orlando.
Disappunto seguito al vespaio di reazioni suscitate dalla mozione parlamentare, dove Matteo Renzi non si è esposto, ma la fonte era evidente, visto che esprimeva riserve sull’operato di Visco, sul modo in cui ha gestito le emergenze del sistema bancario, che Renzi, in più di un’occasione, ha definito “gestione disastrosa”.
Chi forse non ha dubitato sulla riconferma del Governatore di Bankitalia, è Mario Draghi, Presidente in carica della Bce, e sponsor convinto di Visco. Sembrava chiaro già il 31 maggio scorso, quando, nel corso della lettura delle ‘Considerazioni finali’ (da parte di Visco), Draghi era seduto in prima fila a Palazzo Coch, tra Mario Monti e Rosy Bindi; non lo si era più visto circolare in Via Nazionale, da quando aveva lasciato la Banca d’italia per la presidenza dell’Eurotower.
In quelle considerazioni finali, del resto c’erano temi scottanti, come i dossier sulle banche venete, il dialogo difficile con le istituzioni europee, Monte dei Paschi di Siena da salvare con intervento pubblico, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul credito, il settore bancario in crisi, nonostante Ignazio Visco si ostinasse a definirlo ‘solido’.
I giudizi poco lusinghieri su Visco sono stati tanti, non è stata denigratoria solo la critica mossagli dall’ex premier Renzi, anche Vittorio Feltri è stato drastico e irriverente: ‘Visco piace ai politici perché è un inetto..’
E’ indubbio che una nebbia fitta abbia circondato il comparto bancario italiano, uno dei più colpiti dalla crisi in ambito europeo. Bankitalia non è stata immune da critiche negli ultimi anni, i politici hanno espresso sospetti soprattutto sulla vigilanza che la Banca Centrale avrebbe dovuto esercitare nei confronti degli istituti che sono finiti in default.
Non sono esattamente cieli tersi quelli che attendono Ignazio Visco; tra alcune settimane dovrà affrontare la Commissione d’inchiesta sulle banche, gli esponenti politici che ne fanno parte gli chiederanno conto del suo operato negli ultimi anni, in particolare del ruolo che ha avuto nel crack delle banche venete, di Monte dei Paschi..
Di certo, per ora, c’è che Ignazio Visco, economista, ricoprirà il ruolo di Governatore di Bankitalia per altri 6 anni, era in carica dal 1° novembre del 2011.
Con il decreto di nomina firmato dal Presidente Sergio Mattarella, il rinnovo dell’incarico a Visco è ormai ufficiale. Lo aspettano impegni ‘roventi’, Bankitalia dovrà mostrarsi più convincente davanti al mondo politico, risolvere l’annoso problema dei Npl, emergenza tutt’altro che alle spalle, e il Fondo speculativo americano Cerberus, lo sa bene.
Bankitalia ha sempre rassicurato al riguardo, ma ora ci saranno più obiettivi puntati su Palazzo Koch, e se tutti i mali non vengono per nuocere, scuoterne le fondamenta, con qualche benevolo siluro, non sarà stato propriamente un male, se servirà a portare maggiore efficienza e ad esercitare una più accorta vigilanza sugli istituti di credito. Ignazio Visco, naturalmente, difenderà nelle sedi opportune i suoi 6 anni di mandato, portando davanti alla Commissione banche, quando sarà chiesta la sua audizione, tutta la documentazione necessaria.
Non mancherà di sottolineare i meriti, la riforma delle Popolari, per esempio, scritta proprio tra le mura di Palazzo Koch, oltre al nuovo assetto che assumeranno le Bcc (Banche di Credito Cooperativo), tutte iniziative, comunque, da condividere con l’ex premier Matteo Renzi, che peraltro ne rivendica la ‘paternità’.
Se la strategia di Renzi, in un clima pre-elettorale, era rivolta all’incasso di consensi, il tiro al bersaglio su Bankitalia potrebbe rivelarsi un mezzo boomerang, Ignazio Visco non è personaggio facile da incastrare, troverà il modo di disimpegnarsi dai sospetti e le accuse davanti alla Commissione.
Intanto ci sono buone nuove per i dipendenti della Banca d’Italia, che sono circa 7 mila. Pochi giorni fa il dipartimento risorse umane- divisione e avanzamenti, ha inviato una circolare ad una parte del personale (che svolge ruoli di responsabilità), dove si comunicano i ‘passaggi di livello economico 2017’.
L’avanzamento di livello (nonché trattamento economico), riguarda circa 1.700 dipendenti.
CONFERENZA STAMPA DI MARIO DRAGHI A FRANCOFORTE: DICHIARAZIONI IN LINEA CON LE ASPETTATIVE
ALITALIA. IL FONDO USA CERBERUS FA UN’OFFERTA FUORI TEMPO, IL NO DEI COMMISSARI
DI VIRGINIA MURRU
La manifestazione d’interesse espressa alcuni mesi fa dal Fondo Cerberus Capital Management verso il vettore italiano non è sufficiente se non si è poi concretizzato l’intento attraverso un’offerta vincolante nei termini stabiliti (16 ottobre).
Ne parla anche il Financial Times con un articolo circostanziato, il Fondo Usa (operante fondi di investimento, ossia private equity), rileverebbe tutta la compagnia italiana, non in parti o lotti, come invece hanno proposto le due blasonate compagnie europee, Lufthansa e Easy-Jet.
Peccato però che le pretese di Cerberus, di aggiudicarsi l’acquisto in toto del gruppo italiano, siano quelle di scavalcare le regole, e anche i vettori che hanno presentato un’offerta secondo i termini e i criteri stabiliti dal bando di gara.
Si legge sul quotidiano di Finanza britannico:
“Cerberus opted not to submit its own binding offer because it considered the terms of the public tender too restrictive”. (Cerberus ha deciso di non trasmettere la propria offerta vincolante perché ha ritenuto che i termini relativi all’asta fossero troppo restrittivi).
E’ vero che il Fondo Usa avrebbe avuto dei contatti con i commissari poco dopo la chiusura del bando ufficiale, e che li abbia informati circa l’intenzione di acquistare in blocco sia le attività di ‘aviation’ (di volo), che quelle di ‘handling’ (di terra), a condizione che la compagnia italiana fosse adeguatamente ristrutturata.
Ma ormai era fuori tempo, anche considerando il fatto che, il termine di scadenza per la presentazione delle offerte vincolanti, era stato prorogato di due settimane, ossia dal 2 di ottobre al 16. Niente da fare, il Fondo speculativo statunitense non può cambiare le carte in tavola, questa sembra sia stata la risposta per ovvie ragioni da parte dei commissari.
E’ verosimile che Cerberus abbia giocato d’azzardo considerando l’offerta di acquisto ‘relativa’ delle altre compagnie in gara, le quali, com’è noto, intendono rilevare solo gli asset più allettanti della compagnia tricolore.
Quand’anche fosse stato possibile accettare la proposta del Fondo speculativo americano, resta il fatto che, secondo la normativa europea, avrebbe potuto acquisire al massimo il 49%, non il controllo del vettore, trattandosi di un gruppo d’affari extra-europeo, norma ben nota alla compagnia di Abu Dhabi, Etihad, che aveva acquistato proprio una quota pari al 49% di Alitalia nel 2014.
Secondo l’articolo pubblicato dal Financial Times, le intenzioni del gruppo Cerberus sarebbero quelle di investire dai 100 ai 400 mln di euro per acquisire il controllo del business della compagni italiana, e sarebbe interessata anche a coinvolgere il Governo tramite una partecipazione azionaria, e perfino i sindacati (così sarebbero fuori dalle scatole.. Etihad si è spesso lamentata degli eccessivi scioperi), con i quali si potrebbero condividere gli utili.
I 150 manager di Cerberus si presentano ad Alitalia come dei salvatori, e fanno leva sull’orgoglio italiano, che vorrebbe evitare di ‘svendere’ la compagnia a ‘pezzi’, e infatti i tre Commissari straordinari hanno sempre sottolineato che avrebbero privilegiato le offerte che avessero mirato all’acquisto per intero di Alitalia.
Ma sono dei salvatori o dei corvi?
Di certo Cerberus figura tra i più rilevanti investitori speculativi di Wall Street. Attualmente, il Fondo americano, gestisce un patrimonio intorno ai 30 mld di dollari, dietro ai quali ci sono 150 manager espertissimi (nonché scaltri). Sono specializzati in cure drastiche di imprese che rischiano il default, si occupano del settore immobiliare, e di Npl, ossia di sofferenze bancarie. Si sono occupati anche della ristrutturazione di Air Canada.
In Italia è interessato ai prestiti in sofferenza, come si è accennato, attività in cui certamente è un’eccellenza. Ambisce, sempre in Italia, a rilevare i 10,3 mld di mutui e rate non riscosse delle Rev, le 4 banche italiane in default (Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara), finite in amministrazione straordinaria. Ma avendo vista acuta ha già puntato la mira verso le sofferenze di Intesa Sanpaolo, Carige e Bpm.
DISORIENTAMENTO SU APE VOLONTARIA, RIESAME DELLE DOMANDE PER APE SOCIAL
DI VIRGINIA MURRU
Il 16 ottobre, l’Inps ha comunicato che le operazioni di verifica sull’idoneità delle domande di ‘riconoscimento delle condizioni di accesso ai benefici dell’Ape social’, o pensione anticipata per lavoratori precoci (la cui prima esperienza di lavoro è avvenuta prima dei 19 anni), si sono concluse regolarmente il 15 ottobre.
L’Ape Social riguarda categorie di lavoratori che hanno diritto a tutele specifiche prima del raggiungimento dei requisiti concernenti il pensionamento.
Tali diritti sono stati introdotti con la legge 11 dicembre 2016, n. 232, Legge di bilancio 2017.
L’Ente di previdenza precisa comunque che, secondo i “nuovi indirizzi interpretativi” espressi dal Ministero del Lavoro su alcune categorie di lavoratori, si ‘procederà al riesame delle istruttorie, e, nei casi in cui l’esito sarà ritenuto positivo, il risultato sarà trasmesso d’ufficio ai beneficiari interessati al provvedimento, la cui domanda, dopo il riesame, è stata accolta.”
Priorità e attenzione verso i lavoratori che sono più vicini alla pensione di vecchiaia.
Si legge nel comunicato stampa diffuso dall’Inps:
“L’Istituto ha provveduto all’invio agli interessati delle comunicazioni di avvenuta certificazione del diritto alle prestazioni in parola sulla base della maggiore prossimità al requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
Si comunica, inoltre, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha inviato nuovi indirizzi interpretativi in merito alle istruttorie inerenti all’accesso ai benefici da parte dei richiedenti che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione, e da parte dei lavoratori dipendenti addetti ai lavori particolarmente difficoltosi e rischiosi.”
L’Ape social è un anticipo pensionistico che viene riconosciuto prima che sia maturata l’età pensionistica (di vecchiaia), ai soggetti che hanno presentato una regolare richiesta all’Inps.
Hanno presentato richiesta circa 66 mila persone, ma due su tre sono state respinte per cause diverse.
Eccesso di reiezioni per scarsità di risorse o per incompatibilità con i requisiti richiesti?
L’esame delle domande è stato rigorosissimo, tanto che il Direttore Generale dell’Istituto di Previdenza, Gabriella Di Michele, e il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, hanno pensato di riesaminare le domande per l’accesso all’Ape Social, le quali, con varie motivazioni, sono state respinte.
Una parte non è stata accettata a causa del particolare tipo di contratto che il richiedente aveva nel momento in cui è cessato il rapporto di lavoro. In questo ambito si sono riscontrate la maggior parte dei ‘vizi’ che hanno indotto i funzionari addetti all’esame delle domande, a respingerle.
Tante sono le istanze Ape Social ritenute non idonee, in quanto, pur essendo i soggetti richiedenti in regola con il requisito anagrafico e contributivo, l’ultima attività lavorativa riguarda un contratto a termine, a tempo determinato, oppure retribuito tramite voucher.
Le condizioni ritenute non compatibili con i requisiti, paradossalmente, hanno indotto l’Inps e il Ministero del Lavoro a richiedere più elasticità nei criteri di valutazione, il rigore è risultato veramente eccessivo. Già si sapeva che la Legge di bilancio è passata su sentieri stretti in termini di risorse, ma quando le richieste risultate in regola, e quindi accettate, sono anche inferiori alle somme stanziate, allora è necessario riprendere in mano le domande e analizzarle secondo criteri più flessibili.
E questo si sta tentando di fare, intervenendo sulla Legge di Bilancio. I sindacati sono già sul piede di guerra. Ma basterebbe dare uno sguardo ai risultati relativi all’esame delle pratiche, per capire che la procedura ha necessità d’essere formulata in maniera tale che risulti più ‘inclusiva’.
Sono state in definitiva respinte il 64,89% delle domande su Ape Social, ovvero 7 su dieci, perché non idonee. Secondo i dati pubblicati dall’Inps risulta che sono state presentate in tutto 39.700 domande, ne sono state accolte 13.600, e bocciate 25.890.
L’Inps stesso trova severa la procedura d’esame delle domande, e chiede pertanto che la valutazione per il riconoscimento del diritto all’Ape social, riguardi tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro, che si tratti di licenziamento o di rapporti a tempo determinato.
Intanto, nei giorni scorsi (il 19 ottobre), il Ministero del lavoro ha comunicato che la platea dei beneficiari di Ape Social o precoci, sarà allargata, con interventi sulla Legge di Bilancio, quest’ultima del resto è stata varata ‘salvo intese’. Il ministero ha altresì informato l’Inps della decisione di rivedere la normativa e di renderla più duttile, affinché sia possibile una più ampia inclusione di domande.
Nel testo del comunicato si legge:
“I dati resi noti oggi dall’INPS riguardo i risultati dell’esame delle domande di accesso all’Ape sociale e al pensionamento anticipato per i lavoratori precoci (ossia i soggetti che hanno iniziato a lavorare prima del compimento del diciannovesimo anno di età), sono riferiti all’esame effettuato dall’Istituto prima delle nuove indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro, in risposta alla richiesta di chiarimenti avanzata dall’Inps.
In quella risposta, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha confermato la volontà del Governo di favorire una piena utilizzazione delle due misure, fornendo indicazioni che permetteranno all’Istituto di applicarle in maniera pienamente coerente con le volontà espresse dal legislatore, anche rivedendo in autotutela le decisioni già assunte.”
Terminata la seconda valutazione, sarà il Ministero stesso ad effettuare un controllo obiettivo sui risultati, al fine di accertare che siano stati rispettati i nuovi requisiti di coerenza. Nella legge di bilancio, che ora prevede una più ampia platea di beneficiari, figurano lavoratrici con figli a carico e lavoratori disoccupati a causa della cessazione del rapporto di lavoro, dovuto a contratti a tempo determinato.
Secondo il Patronato Inca Cgil, si è partiti con una linea rigida di off limits da parte dell’Ente previdenziale, in netta divergenza con le intenzioni del legislatore, quando non in contrasto con la legge stessa. Ancora prima che gli esiti sull’esame Ape Social fossero diffusi, il Patronato ha messo in rilievo i motivi per cui, tante, troppe domande, sono state respinte.
Il requisito riguardante lo stato di disoccupazione, come già si è detto, è uno dei più penalizzanti, perché secondo questa logica, basta un solo giorno di lavoro retribuito con voucher, seguito ad un periodo di disoccupazione, per perdere il diritto all’Ape Social.
Perdono il diritto anche i lavoratori che sono stati licenziati senza ammortizzatori sociali privi dei requisiti, oppure perché non hanno inoltrato richiesta entro il termine stabilito. Infine i lavoratori che hanno svolto attività all’estero, con relativi contributi (l’Inps ritiene invece di avere esteso il diritto all’Ape a questa categoria di lavoratori).
Per il Patronato si tratta di una discriminazione che non può essere accettata. L’Inps si è ritrovata a mantenere un atteggiamento controverso: ha respinto le accuse dei sindacati, e allo stesso tempo ha ammesso, in sintonia col Ministero del Lavoro, che la selezione delle domande è stata troppo severa. Lo sdegno, peraltro legittimo di lavoratori e sindacati, un risultato lo ha raggiunto: un intervento al riguardo nella Legge di bilancio c’è stato, la platea degli aventi diritto è stata ampliata.
Non c’è molta chiarezza nemmeno nel versante degli anticipi pensionistici, su Ape volontaria si è dovuto attendere a lungo prima che il decreto attuativo fosse firmato. In ogni caso i lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti, non possono accedere all’anticipo pensionistico, dopo mesi di attesa per la firma del decreto, perché non ci sono ancora le convenzioni con l’Abi, nel settore bancario, e Ania, su quello assicurativo, con entrambe le Associazioni il governo non ha ancora fissato un accordo per le relative convenzioni.
Non sono stati determinati dunque i costi per avere accesso ai prestiti tramite banca, né quelli assicurativi tramite polizza, che prevedono la copertura dei rimborsi nel caso in cui il pensionato muoia prima di avere estinto il prestito.
La conseguenza più diretta di questo clima sospeso, è il disorientamento, non si conoscono le condizioni, i tassi, sul prestito, che avrebbe una durata ventennale con l’istituto di credito che finanzia l’anticipo pensionistico. Come del resto quelle riguardanti la polizza assicurativa, che coprirebbe i rimborsi nei casi estremi di scomparsa del pensionato.
Neppure l’Inps ha fornito istruzioni adeguate per la presentazione della regolare richiesta. C’è però la scadenza del 17 novembre, in quanto il decreto ha previsto che le convenzioni tra Abi, Ania e Ministero del Lavoro, siano fissate entro 30 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta.
Per ora il Governo ne ha preso atto nella Legge di bilancio 2018, prorogando di un anno i termini entro i quali sarà possibile inoltrare richiesta. Dunque non sarà più il 31 dicembre 2018, ma slitterà di un anno.
SONDAGGIO SU UN CAMPIONE DI ANALISTI: LA BCE DIMEZZEREBBE GLI ACQUISTI DI ASSET
DI VIRGINIA MURRU
Secondo il sondaggio condotto da Bloomberg, le misure di tapering sarebbero orientate verso una riduzione dell’importo di acquisto di titoli da parte dell’Eurotower, che verranno presumibilmente ridotti fino a metà degli attuali 60 miliardi al mese.
Le misure di tapering che la Bce dovrebbe annunciare giovedì prossimo, in occasione della riunione del Consiglio direttivo, sono particolarmente attese, nel mondo della finanza c’è anzi un gran fermento per queste importanti decisioni.
Il Qe rispetterà le esigenze del sistema economico, e non renderà traumatica l’interruzione degli acquisti, anche perché, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha continuato a ripetere, nel corso delle conferenze stampa mensili, che nonostante la ripresa si stia consolidando, è necessario sostenerne la crescita anche attraverso la politica monetaria espansiva.
Draghi ha sempre ritenuto fondamentale il supporto che lo stimolo monetario ha garantito, e nonostante le pressioni e l’avversione dei più importanti esponenti della finanza tedesca, non si è mai lasciato travolgere da teorie contrarie: le risposte del sistema sono state positive, e pertanto non si può considerare una ‘terapia d’urto’ priva di ponderazione o eccessiva.
Intanto fervono ‘i preparativi’, non mancano supposizioni e ipotesi sull’effettiva entità della prossima manovra della Bce, secondo il sondaggio portato avanti da Bloomberg, le misure di tapering sarebbero ormai dietro la porta, è solo questione di giorni. I tempi sembrano maturi per scalare la ‘terapia’, e rendere il sistema meno dipendente dallo stimolo monetario. In breve, l’intento è quello di portare l’economia dell’area euro ad essere nuovamente autonoma, gradualmente, fino a quando potrà muoversi con le proprie gambe.
Gli acquisti, secondo il parere degli analisti, non dovrebbero comunque essere interrotti fino a settembre del 2018, Draghi ha più volte fatto cenno a questa possibile ‘scadenza’, ma non ha mai neppure escluso il fatto che potrebbe protrarsi anche oltre, qualora il caso ricorresse e se ne riscontrasse la necessità. Insomma, il tempo sarà maestro, le previsioni, in un clima globale di cambiamenti continui, non esprimono certezze.
E’ tuttavia convinzione comune, tra gli analisti interpellati, che il primo rialzo dei tassi avrà luogo nel 2019, non prima. Questi sono i rumors più attendibili, ma ovviamente si dovrà attendere il meeting di metà settimana per conoscere le risoluzioni del direttorio (25/26 ottobre).
In ogni caso i dubbi sulla riduzione degli acquisti di titoli, sono davvero minimi, resta semmai da capire in che modo queste misure saranno portate avanti nei confronti dei paesi dell’Eurozona.
Negli ultimi 5 mesi, la Bce pare abbia acquistato meno bund tedeschi (tra lo 0,5 e l’1% rispetto alla quota), mentre verso altri paesi, come Francia e Italia, ci sarebbero state ‘deroghe’ circa la quantità dei titoli acquistati, che sarebbero maggiori rispetto al piano stabilito dall’Eurotower.
Un’elasticità negli acquisti non propriamente nota a livello ufficiale, ma frutto di un adeguamento alla realtà dei mercati, ossia alla disponibilità di bond. Decisioni non molto gradite ai tedeschi, il confronto su questi temi nell’ambito del board Bce, non è stato certamente facile.
INPS. OSSERVATORIO SUL PRECARIATO AGOSTO 2017
DI VIRGINIA MURRU
Sono stati pubblicati dall’Inps i dati riguardanti l’Osservatorio sul precariato agosto 2017, certamente in rilievo la notevole crescita dei contratti a chiamata, un autentico boom da gennaio ad agosto: + 129,5%, rapportato al 2016 (sempre i primi 8 mesi dell’anno).
Il mercato del lavoro è in netto miglioramento, lo dicono in modo evidente i numeri.
Dai rilevamenti risulta che il turn-over cresce, in lieve calo i posti di lavoro stabili. Dall’analisi dei dati emerge infatti che solo 24 contratti aperti su 100 sono da considerarsi stabili. La causa va ricercata nella riduzione degli sgravi per l’inserimento fiss, quando questi erano più consistenti il rapporto era 38 su 100.
Gli sgravi tuttavia rientreranno con la nuova legge di bilancio 2018, misura adottata proprio per favorire l’occupazione nel triennio 2018/20, i lavoratori assunti, secondo le stime, aumenteranno di 1 milione.
Il report periodico dell’Istituto previdenziale sul precariato, mette in evidenza il saldo attivo tra nuove assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro nel settore privato, in relazione al periodo gennaio-agosto del corrente anno: + 944mila. Il dato, che rispecchia l’andamento positivo dei dati macro dell’economia italiana, supera i rilevamenti del 2016: +704mila – e del 2015: +805mila.
Per quel che riguarda il lavoro subordinato, l’Inps precisa che il campo di osservazione considera i lavoratori dipendenti del settore privato, pertanto sono esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli.
Sulla Pubblica Amministrazione, il riferimento è esclusivamente ai lavoratori degli Enti pubblici economici. Le rilevazioni hanno per oggetto i flussi, ossia i movimenti effettivi dei rapporti di lavoro, che comprendono le assunzioni, le cessazioni e trasformazioni intervenute nel corso del periodo di riferimento.
L’Ente di previdenza fa anche osservare che la contabilità dei flussi non può coincidere con quella dei lavoratori in quanto lo stesso lavoratore può risultare, nel medesimo periodo, interessato da una pluralità di movimenti.
Se si considerano i contratti ‘a chiamata’ o ‘intermittenti’, l’aumento che va dai 121mila del 2016, ai 278mila del corrente anno, è dovuto alla necessità delle imprese di fare ricorso a mezzi di contratto flessibili, che sostituiscano i voucher, com’è noto eliminati a marzo in seguito al referendum fortemente voluto dalla CGIL, e a partire da luglio, per le imprese con meno di 6 dipendenti, sostituiti da contratti di prestazione occasionale.
Si possono tenere in considerazione i dati relativi al saldo per la misurazione della variazione tendenziale concernente le posizioni di lavoro. Negli ultimi 12 mesi, secondo l’Osservatorio sul precariato, il saldo su base annua, che indica la differenza tra nuove assunzioni e cessazioni, ad agosto 2017, è positivo, ossia pari a +565mila, lievemente contenuto se rapportato ai dati rilevati a luglio: +586mila.
Questi risultati, secondo l’Osservatorio Inps, “cumulano la crescita tendenziale dei contratti a tempo indeterminato (+17mila), dei contratti di apprendistato (+53mila) e, soprattutto, dei contratti a tempo determinato (+494mila, inclusi i contratti stagionali).
Tali tendenze, in linea con le dinamiche osservate nei mesi precedenti, attestano il proseguimento della fase di ripresa occupazionale.”
Le assunzioni che si riferiscono solo al settore privato, nel periodo di riferimento gennaio-agosto 2017, sono state 4.598.000, le quali esprimono un aumento del 19,2%, rispetto allo stesso periodo del 2016.
Le più consistenti vengono dal lavoro a tempo determinato, pari a +26,3% e dall’apprendistato, +25,9%, mentre risultano in calo quelle a tempo indeterminato: -3,5%, rispetto allo scorso anno, la causa è da attribuire alle assunzioni part time.
In aumento anche le cessazioni: +15,9%, sempre rapportato allo stesso periodo del 2016, ma il dato cresce in maniera inferiore rispetto alle assunzioni.
L’Osservatorio sottolinea infine l’incentivazione di 36.236 rapporti di lavoro, quale effetto del programma ‘Garanzia giovani’, e 75.957 attraverso le misure adottate per favorire l’”Occupazione al Sud”.
ALITALIA. 7 PLICHI CON RELATIVE PROPOSTE D’ACQUISTO ALL’ESAME DEI COMMISSARI STRAORDINARI
DI VIRGINIA MURRU
Il clima di fiducia è diverso rispetto al mese di giugno scorso, quando era stata aperta la data room per i soggetti che avevano presentato manifestazione d’interesse verso l’ex compagnia di bandiera italiana.
Alitalia è diventata un obiettivo un pò più allettante per le grandi compagnie aeree, Lufthansa compresa, che ha disdegnato a lungo la prospettiva di un eventuale acquisto, anche di alcuni asset.
Ora arrivano nelle mani dei Commissari straordinari 7 offerte, i plichi, che contengono proposte vincolanti per la compagnia italiana, sono stati portati allo studio notarile Atlante Cerasi di Roma, dopo la scadenza dei termini previsti.
Al vaglio, tra le altre, le proposte della britannica EasyJet e Lufthansa, non interessate alla rilevazione ‘in blocco’ di Alitalia, ma ad alcune ‘attività’. In quei 7 plichi ci potrebbe essere il futuro dei 12 mila dipendenti del vettore tricolore, ma proprio su questo versante saranno inevitabili tagli anche dolorosi in vista di un solido risanamento.
Com’è noto, Ryanair si è ritirata dalla gara circa un mese fa, quando è esplosa la crisi che ha indotto il vettore irlandese a sospendere migliaia di voli fino a marzo prossimo, e forse oltre. Il management ha infatti dichiarato alcune settimane fa, che “saranno eliminati dall’agenda tutti gli impegni che non riguardino l’emergenza in corso, e dunque anche l’interesse verso Alitalia; né saranno presentate ulteriori offerte sull’aviolinea.”
In altri versanti, secondo le dichiarazioni dei vertici di EasyJet, non vi sarebbero certezze circa un accordo o una reale transazione, la sua offerta, pertanto, è sospesa su alcune condizioni che influenzeranno le negoziazioni. Anche EasyJet è interessata all’acquisto di un lotto, o parti di attività, non a quello totale della compagnia
Offerta certamente interessante quella proposta dal colosso Lufhtansa, il cui importo si aggira sui 500 mln di euro, e riguarda l’aviation (il lotto che suscita più interesse), ossia il personale, con piloti e flight attendants, la flotta e gli slot.
La proposta Lufthansa prevede misure già temute circa personale di volo, che secondo i tedeschi dovrebbe essere dimezzato, in particolare quello di terra (l’handling), che presenta esuberi inconciliabili con il possibile futuro assetto della compagnia. Un’altra condizione riguarda la limitazione delle attività di corto e medio raggio. Il vettore tedesco chiede inoltre una più precisa definizione del ruolo dell’ex azionista di minoranza, Etihad. Dopo il ritiro di Ryanair, infatti, si prevede che l’asse Etihad-Lufthansa acquisti maggiore forza nelle trattative.
Le due compagnie hanno in mano progetti in comune (oltre ad Airberlin); arabi e tedeschi hanno lanciato quest’anno una partnership nell’ambito del catering, del valore di 100 mln di dollari, ma ambiscono anche a collaborazioni che interessano la riparazione, manutenzione e revisione degli aeromobili. Alitalia, dunque, non è il solo campo in cui si confrontano.
Condizioni da ‘pesce grande’ che intende dare qualche morso a quello più piccolo, ma sceglie le parti migliori, questo è del resto il pragmatismo e il rigore tedesco, sul quale, tuttavia, il governo sta riflettendo, o meglio, cercando di mettere le mani avanti: la mannaia sul taglio del personale è di un rigore inaccettabile. Per questo si sta tentando di rinviare gli accordi, presumibilmente ad aprile, dopo le elezioni politiche nel Paese.
Lufthansa non ha fretta, ma rende noto il fatto che la compagnia italiana, strutturata così com’è, non può essere accettata, e tanto meno un ‘handling’ (personale di terra) di 6 mila dipendenti, assolutamente da ridimensionare, secondo il diktat del vettore tedesco. Allo stesso tempo non s’intende rinunciare al bersaglio strategico che l’Italia rappresenta: “l’Italia è il secondo mercato più importante per noi, dopo gli Usa” – ha dichiarato di recente il Ceo del gruppo, Carsten Spohr, al Corriere della Sera.
Il gruppo Lufthansa, sempre in competizione con la compagnia low cost Ryanair – che detiene il 13% del mercato europeo, contro il loro, che è del 9% – sta facendo di tutto per surclassare il vettore irlandese, per esempio investendo qualche miliardo su Eurowings, divisione con costi ridotti.
Di recente ha rilevato Air Berlin, con la sua flotta e 3 mila dipendenti. Ma non è mai abbastanza per questo colosso dell’aviazione, e l’interesse nei confronti di Alitalia è certo, la loro presenza in Italia s’intende incrementarla, ma gli accordi sono vincolati a condizioni ben precise.
Intanto i plichi contenenti le proposte di acquisto vincolanti, sono state portate dal notaio Nicola Atlante, presso lo studio legale Gianni Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, qui saranno prese in esame le offerte di acquisto. Già si sa che le proposte riguardano l’acquisto di ‘pezzi’ di attività di Alitalia, e questo è l’aspetto meno allettante. Di certo non esultano i dipendenti, e neanche i sindacati che li tutelano.
E tuttavia la prospettiva da scongiurare resta quella dei tagli all’occupazione: il personale rischia d’essere dimezzato.
Intanto, dei 600 milioni del cosiddetto ‘prestito ponte’ concesso dal governo, ne sono stati utilizzati una novantina. Gli ulteriori 300 mln, messi a disposizione sempre dal Governo Gentiloni, andranno in un Fondo garanzia, come ammortizzatore in caso di fallimento.
Insomma saranno mesi durissimi, quelli che aspettano Alitalia, l’incertezza fibrillerà fino ad aprile, quando il suo destino si delineerà con orizzonti più certi.
Per i tre Commissari straordinari, Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, si va al prossimo anno, con l’obiettivo di migliorare, nell’interesse della compagnia, l’offerta definitiva; in particolare si punta alla vendita con lotto unico, piuttosto che separare i due lotti ‘aviation’ e ‘handling’.
Verso giugno prossimo, si arriverà al ‘closing’, e si attenderà quindi il parere dell’Antitrust, prima di conoscere il reale destino dell’ex compagnia di bandiera italiana.
CDM. APPROVATO IL DECRETO FISCALE, DOMANI PRESENTAZIONE DELLA LEGGE DI BILANCIO
DI VIRGINIA MURRU
E’ stato approvato il decreto fiscale, in vista della legge di bilancio che lunedì sarà presentata dal Cdm, nell’ambito della manovra 2018 (sarà solo la prima tranche). La legge di Bilancio sarà poi trasmessa a Bruxelles, ma l’attende anche l’esame di Camera e Senato.
L’approvazione, secondo la dichiarazione della ministra Anna Finocchiaro, è ‘salvo intese’, potrebbe pertanto essere rivista prima di passare alle Camere.
Si riconfermano (come anticipato da Padoan nelle scorse settimane), le sanatorie sulle cartelle fiscali, la cosiddetta ‘rottamazione bis’, nonché la proroga con rifinanziamento del prestito ponte destinato ad Alitalia: si aggiungeranno (ai 600 mln già stanziati) 300 milioni.
Per quel che concerne la rottamazione bis, si tratta dei ruoli fiscali e contributivi di pertinenza del corrente anno, da gennaio a settembre. Sono state previste massimo 5 rate, l’importo delle rate deve essere ripartito in modo uguale, i mesi di competenza saranno: luglio, settembre, ottobre, novembre e febbraio 2019. Sarà stabilito un accordo in merito con l’agente della riscossione entro marzo 2018, mentre il termine ultimo per le adesioni dei contribuenti è fissato per il 15 maggio prossimo. Per coloro che avessero omesso di versare le rate di luglio e settembre, i termini sono stati prorogati fino alla fine di novembre.
Secondo il ministro Padoan, la sanatoria sulle liti pendenti dovrebbe portare nelle casse dell’Erario 250 milioni. Il ministro dell’Economia ritiene ‘compatta e solida’ la legge di bilancio, e si dichiara fiducioso sull’esito della discussione alla quale sarà sottoposta a breve in Parlamento.
La riapertura della sanatoria arriva anche sul versante delle rateazioni, che anch’esse saranno soggette a rottamazione. I contribuenti che hanno saltato il pagamento delle rate relative alle vecchie cartelle, potranno beneficiare di questa proroga, con la precedente disciplina non era consentito, si perdeva il diritto.
Del dl fa parte anche una nuova norma ‘anti-corvo’, per alzare una barricata contro le scalate ostili; le norme sul golden power, infatti, prevedono poteri speciali quando si presenta l’insidia di investimenti ‘predatori’ provenienti dall’estero. Si tratta di una norma cara al ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e agisce contro i ‘predatori’ di quote azionarie che vengono da Paesi terzi.
La norma stabilisce infatti che, al superamento della soglia, chi investe ha l’onere di trasmettere una ‘lettera d’intenti’, nella quale, in modo trasparente, si mettono in chiaro gli intenti, appunto, al fine di prevenire manovre poco limpide. Dopo il contenzioso tra Mediaset e Vivendi, il Governo ha ritenuto opportuno disciplinare queste evenienze, evitando spiacevoli sorprese alle aziende ‘vittime’ di queste mire da parte di imprenditori stranieri.
Troverà applicazione nel contenzioso Vivendi-Tim, ma non sarà l’unico caso, la norma disciplina e contempla situazioni simili. In via di definizione ora gli interventi del Cdm su questo caso specifico, verrà messa in atto una delibera al riguardo dalla Presidenza del Consiglio proprio lunedì 16 ottobre, quando sarà presentato anche il disegno di legge di bilancio.
Nella delibera della Presidenza del Consiglio ci saranno condizioni di trasparenza ben precise concernenti la gestione di Telecom Italia Sparkle, che è controllata da TIM, e si occupa dei cavi sottomarini internazionali. La delibera è stata avviata in concerto con il Ministero della Difesa e degli Interni, e la collaborazione del Ministero per lo Sviluppo Economico.
Il decreto fiscale prevede, come il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva già annunciato, la sterilizzazione Iva per il prossimo anno, in programma 1 miliardo. La legge di bilancio stabilirà le misure per questo processo di contenimento delle aliquote, che sarebbero scattate nel 2018, per un importo di 15,7 miliardi.
500 mln sono stati invece assegnati, tramite il Fondo di garanzia, alle piccole e medie imprese, di questi 300 sono destinati al 2017, i restanti 200 al prossimo anno. Il decreto tiene anche conto delle catastrofi naturali, e pertanto sono state sospese le tasse nell’area intorno a Livorno, di recente colpita dall’alluvione.
Una novità del decreto fiscale riguarda l’intermediazione della SIAE, ossia quelle norme che disciplinano il diritto d’autore. Gli organismi di gestione collettiva (associazioni no profit) potranno rappresentare i propri tesserati e difenderne i diritti, senza chiedere l’intervento della Siae, prima d’ora obbligatorio.
Un’altra disposizione del decreto si occupa del credito d’imposta per l’avvio di una campagna pubblicitaria (tramite giornali o radio e TV). Il beneficio relativo al credito d’imposta è rivolto ai lavoratori autonomi e imprese, per investimenti di competenza del secondo semestre 2017. Il credito d’imposta, che è del 75%, viene applicato sulle quote incrementali degli investimenti, rapportate all’anno precedente. Arriva fino al 90% per start-up e piccole imprese.
Sarà esteso a tutte le società controllate dalla Pubblica Amministrazione lo ‘Split payment’; si tratta, in spiccioli, del nuovo meccanismo di liquidazione IVA, che era stato previsto dalla Legge di Stabilità di due anni fa (la Legge 190/2014), poi revisionata con DL 50/2017.
La nuova normativa riguarda gli enti pubblici nazionali, regionali e locali, fondazioni (partecipate della PA) e società controllate in modo diretto o indiretto da qualunque amministrazione pubblica.
Tra le disposizioni del decreto c’è anche il rinnovo del finanziamento delle missioni internazionali, oltre ad assunzioni straordinarie per le forze dell’ordine (polizia). In questo ambito stabilisce che, la carica dei generali, avrà una durata massimo di 3 anni e non sarà suscettibile di proroghe.
Sono previste in questo ambito 5.590 assunzioni entro la fine del 2017, più alcune migliaia da reclutare tramite concorsi che si svolgeranno entro il 2019. E’ in sintesi la risposta del governo alle proteste dei sindacati di polizia, Vigili del fuoco e agenti penitenziari, che tramite la Consulta di sicurezza, hanno chiesto interventi più incisivi. Oltre 5 mila nuovi assunti andranno a potenziare le forze dell’ordine.
Un milione di euro per il triennio 2018/20 sarà stanziato per il personale delle Prefetture in missione all’estero per l’adempimento dei relativi accordi internazionali, riguardante la lotta contro il terrorismo, ed emergenze in materia d’immigrazione.
IL NOBEL PER L’ECONOMIA 2017, RICHARD H. THALER, E LA ‘TEORIA DEL PUNGOLO’
DI VIRGINIA MURRU
Quest’anno il Nobel per l’Economia è stato assegnato ad un ‘professor’ di scienze comportamentali all’University of Chicago Booth School of Business, per gli studi sui comportamenti economici (e la finanza comportamentale), ma è anche ricercatore associato del National Bureau of Economic Research.
Thaler è il noto autore e assertore della “Teoria del pungolo”. Questi studi costituiscono ormai una branca dell’Economia Politica, che fonda le sue basi su concezioni di carattere psicologico, in quanto spiega l’irrazionalità delle scelte nei comportamenti umani, guidati da flussi d’ impulsi emotivi che non di rado influenzano l’andamento dei mercati.
E’ infatti l’aspetto puramente umano, secondo gli studi portati avanti da Thaler in questo versante per decenni, ad avere il potere di orientare l’esito delle contrattazioni (per esempio), e non è certo un’eccezione che il panico agisca come una raffica causando autentici crolli in Borsa. Abbiamo visto cosa è accaduto nel gennaio 2016 nei mercati di Shenzhen e Shanghai, e l’effetto domino che ha causato nei mercati dell’Occidente, e a livello globale.
Reazioni simili possono interagire su altri mercati, espandere quest’onda d’urto come fosse un cerchio concentrico che si propaga in modo irrazionale, a volte difficile da controllare. Eppure dietro il panico o l’euforia dei mercati, vi sono queste onde emotive scatenate da dichiarazioni di alti esponenti della finanza, da rappresentanti politici, o da situazioni d’instabilità geopolitica.
Tutto ciò che filtra in questo grande impluvio finanziario, può scatenare tempeste o esaltare gli investitori, dipende ovviamente da quelli che sono gli input che provengono da orizzonti sensibili.
I mercati sono uno degli aspetti analizzati e studiati da Thaler, è in generale il comportamento del singolo e della collettività ad essere oggetto delle sue ricerche.
Gli studi sulle teorie di Thaler hanno riscontrato un notevole successo e sono stati applicati di recente non solo negli States (Nudge è stato un libro simbolo durante la campagna elettorale di Obama), ma anche in Europa. Thaler ha prestato la sua opera in qualità di consulente ‘tecnico’ nel governo Cameron e ha quindi creato il “Behavioural Insights Team”, uno staff che ha contribuito a mettere in pratica la teoria del paternalismo libertario.
I suoi principi di scienza comportamentale, orientati sull’economia e la finanza, sono stati divulgati attraverso una pubblicazione del 2008, scritta a quattro mani con il giurista Cass Sunstein, e intitolata ‘Nudge (pungolo), la spinta gentile’.
L’opera spiega quanto sia importante orientare le scelte del singolo o di un gruppo di persone, affinché i risultati siano ponderati e soddisfacenti, indirettamente anche per la società e il governo che la rappresenta (paternalismo libertario).
Scelte che contribuiscono a migliorare il proprio stile di vita, risultando più consapevoli, perché dietro vi operano esseri umani, vero punto di partenza per ogni valutazione di carattere politico ed economico. Thaler ha in definitiva messo al centro dei suoi studi l’uomo, avvalendosi di ricerche in ambito psicologico e sociologico.
Già le grandi aziende hanno adottato strategie di economia comportamentale per influenzare i consumatori e persuaderli a scegliere un certo prodotto. Una semplice pubblicità, del resto, con tutte le ricerche di marketing che si porta dietro, assolve un ruolo di questo tipo, perché è in fin dei conti una sollecitazione, non puro orientamento.
Secondo il professore dell’University of Chicago, ‘gli esseri umani compiono scelte poco mirate, perché influenzati da una serie di comportamenti inadeguati, viziati da pregiudizi cognitivi, in tante direzioni: dalla scelta dell’istruzione, a quella della salute, alle valutazioni di un investimento, un mutuo, fino a errori che implicano conseguenze anche più serie.
Thaler non è il pioniere degli studi sulla finanza comportamentale, già Adam Smith, con l’opera ‘Teoria dei sentimenti morali’, illuminò il processo dei comportamenti psicologici individuali che guidano le scelte, specialmente in ambito economico e finanziario. Ed altri seguirono la traccia di questi studi, fino a che, Kahneman e Tversky, diedero una svolta con l’opera “Decision Making Under Risk”.
I due autori si avvalsero di tecniche particolari, attinenti alla psicologia cognitiva, per spiegare i nodi che determinano l’impulso decisionale. Seguendo questa logica, le teorie economiche partono dal presupposto che gli individui svolgono un ruolo razionale ben preciso nel mercato.
Eppure vi sono oscillazioni di reazioni all’interno dei mercati, tali da implicare e chiamare in causa la finanza comportamentale. Il panico di perdere i soldi investiti, per esempio, che magari rappresentano i risparmi di una vita, sembra sia tre volte più incisiva dell’esaltazione di una speculazione andata a buon fine.
I mercati funzionano non di rado tramite flussi di emozioni che viaggiano in modo ‘sotterraneo’ (in apparenza), per questo nessuno si stupisce quando c’è la corsa all’acquisto di un titolo, perché si segue il branco, e non ci si volta indietro, spesso, anzi, non si prendono nemmeno le dovute precauzioni, seguendo un’adeguata informazione. E’ così che esplodono le cosiddette ‘bolle speculative’.
Dietro la scienza relativa alla finanza comportamentale vi sono studi svolti ‘sul campo’, tramite test o sondaggi, con il supporto della stessa medicina, per arrivare a comprendere il complesso universo degli impulsi che portano l’individuo a compiere scelte davanti a situazioni incerte, comunque poco chiare.
Si è riusciti ad individuare, tramite ricerche mirate, le aree del cervello implicate nel processo ‘decisionale’, e dunque si è trovato un riscontro concreto, con questi studi ancora empirici, purtroppo, perché non danno certezze assolute nei risultati.
L’individuo, in quanto singolo, può compiere scelte in modo autonomo, ma spesso è il risultato di naturali influenze di carattere sociale a spingerlo verso una direzione piuttosto che in un’altra. In definitiva si direbbe che è l’inconscio collettivo di Jung a svolgere il suo ruolo anche negli ostici scenari dell’economia e della finanza, dove il terreno è tempestato di ‘mine’.
Gli studi di Thaler iniziarono negli anni ’70, mettendo in discussione le teorie economiche classiche, le quali partivano dal presupposto che l’equilibrio perfetto si potesse raggiungere attraverso il punto d’incontro (perfetto) tra domanda e offerta. Mentre gli attori economici si pongono l’obiettivo di massimizzare i vantaggi e il profitto dalle operazioni e scelte compiute, naturalmente portando al minimo i costi.
Thaler ha dimostrato che si tratta di assetti convenzionali: la realtà compie altri percorsi. Gli esseri umani possono essere divisi in due grandi categorie, secondo l’economista:
gli Econs – che sono assolutamente razionali, e in grado di effettuare scelte ponderate,
e gli Humans – cioè il resto dell’umanità. Un’umanità che ha tutte le informazioni e la giusta ‘segnaletica’ per compiere scelte idonee alle proprie esigenze, dal semplice prodotto di un supermercato, al medico più competente, alla banca più efficiente, al mutuo più conveniente.
Eppure, nonostante la razionalità della ragione (it’s hard to make good decisions), ci lasciamo prendere la mano da influenze che non risultano governabili dall’arbitrio. Thaler ovviamente, concentra le sue ricerche sulla seconda categoria, ossia un prototipo d’individuo che rappresenti la società.
Il professore, insignito del più alto riconoscimento in ambito internazionale, non ritiene positivi i comportamenti puramente razionali derivanti dai modelli economici imperanti, e per sottolinearne l’importanza, ha dichiarato che la somma in denaro del Premio Nobel (9 milioni di corone svedesi, circa), “la spenderà nel modo più irrazionale possibile..”
FMI: ACCELERAZIONE DELLA RIPRESA A LIVELLO GLOBALE, ITALIA IN CRESCITA
DI VIRGINIA MURRU
Il FMI, nel ‘Global Financial Stability Report 2017, è positivo sui risultati della ripresa a livello globale, ma invita alla cautela e alla vigilanza, a non ‘compiacersi’ degli obiettivi raggiunti, sottovalutando le vulnerabilità che ancora sussistono nel sistema.
Secondo le valutazioni dell’Istituto di Washington, è stato, ed è fondamentale, il sostegno della politica monetaria espansiva (Qe), e pertanto si ritiene importante proseguire ancora in questa direzione, fino a quando l’eurosistema non sarà in grado di svincolarsene senza creare conseguenze sul piano finanziario. Si legge infatti, nel report di ottobre 2017:
“The Global Financial Stability Report (GFSR) finds that the global financial system continues to strengthen in response to extraordinary policy support..” (Il ‘Report sulla stabilità finanziaria globale, constata che il sistema finanziario globale continua a rafforzarsi, in risposta alla politica di supporto straordinaria).
I punti fragili del sistema economico mondiale sono stati riassunti in 5 punti, tra i quali il protezionismo, la volatilità bassa dei mercati, e il debole tasso d’inflazione, che in diversi paesi (Europa in primis), è distante dal target, ossia del 2%, obiettivo delle banche centrali.
E poi l’ottimismo delle stime: l’economia europea è avviata verso una crescita del 2,1%, invece il target relativo all’inflazione del 2% slitta al 2022, con traguardi intermedi tra l’1,4% (nel 2018) e l’1,5% nel 2017. A fare fibrillare i ‘forecast’ sono anche i ‘Non performing loans’, ossia i crediti deteriorati, quelle sofferenze bancarie che tanti disastri hanno creato nel sistema finanziario dell’Ue.
E poiché proprio l’assetto finanziario è vulnerabile alle incertezze geopolitiche che filtra il sistema, l’attenzione è puntata sull’instabilità politica che sta causando la richiesta di secessione della Catalogna, la quale potrebbe fungere da detonatore per altre aree dell’Europa sensibili su questo versante.
L’analisi del Fmi tiene conto anche di queste variabili, i risultati si considerano soddisfacenti, ma persistono ‘correnti’ contrarie, che, se non tenute sotto controllo, potrebbero sovvertire un quadro proiettato verso la crescita. Christine Lagarde, Direttore Generale del Fmi, insiste sull’importanza della cooperazione a livello globale, a non erigere steccati sul piano internazionale: è necessario andare avanti e non percorrere sentieri autonomi che chiamano in causa il protezionismo, pressoché inconcepibile in piena era di globalizzazione.
Non si fanno allusioni, nel report, ma certamente la politica degli Usa non è vista nell’ottica della stabilità e della cooperazione.
Secondo l’istituto americano, l’Italia ha compiuto notevoli passi avanti, e infatti le stime di crescita sono state riviste al rialzo per il corrente anno, mentre nel 2018 ci sarà una contrazione pari allo 0,4%, sarà dunque dell’ordine dell’1,1%.
Una divergenza non di poco conto con le stime del Def, che invece ha previsto lo stesso livello di crescita anche per il prossimo anno. Il tasso di disoccupazione sta rientrando, secondo il Fmi, verso argini meno drammatici, ma resta ancora un dato sensibile dell’economia italiana. Come del resto non si può ancora dire solido il comparto bancario, se si porta dietro una zavorra di Npl che equivale al 30% del totale riscontrato negli altri paesi europei.
E tuttavia, a livello generale, in Eurozona, i crediti deteriorati restano un problema irrisolto, nel primo trimestre dell’anno in corso risultano pari al 5,7%, in diversi paesi hanno raggiunto picchi che superano il 10%.
A rendere meno vigorosa la crescita in Italia, contribuisce anche il debito (soprattutto), perenne emergenza dei conti pubblici del Paese, il Fmi prevede che nel 2017 si attesterà al 133% (era 132,6% lo scorso anno), il Fondo prevede un miglioramento nel 2018: il debito pubblico sarà ridotto a 131,4%. Anche qui discordanza con la Nota di aggiornamento del Def, che è più ottimista circa la possibilità di ridurne la portata.
Un’Italia promossa in fin dei conti con riserva, sono questi i nodi che impediscono di esprimere auspici migliori per il futuro, le stime non possono essere del tutto positive finché non si interverrà per sanare i punti deboli del nostro sistema economico.
BCE. POSITIVI GLI ESITI SUGLI STRESS TEST CONDOTTI DALL’EBA NELLE BANCHE EUROPEE
DI VIRGINIA MURRU
L’Autorità Bancaria Europea (EBA), ha eseguito gli stress test sui bilanci delle banche europee di fine esercizio 2016; l’Eurotower si è dichiarata soddisfatta dell’esito positivo di questi risultati, le banche hanno risposto bene a queste ‘sollecitazioni’.
Gli stress test rappresentano un fondamentale mezzo di controllo sulle capacità di tenuta dei maggiori istituti di credito europei; si considerano situazioni finanziarie avverse, ma effettivamente, non hanno un alto grado di probabilità di verificarsi.
Le Autorità di vigilanza europee adottano questi metodi di analisi da anni, ormai. Lo stress test sui bilanci delle banche europee (relativi alla fine del 2016), hanno avuto il fine di accertare la tenuta delle banche in esame, dato che in prospettiva c’è, per i successivi 3 anni, un possibile aumento dei tassi d’interesse: ci si aspetta infatti dalla Bce un cambiamento della politica monetaria (misure di tapering).
Se questo aumento dei tassi auspicato si verificasse – secondo le risultanze della Vigilanza – ciò avrebbe come conseguenza l’incremento del margine d’interesse, al quale seguirebbe un’altra reazione, che porterebbe in decremento il valore del capitale, ossia dell’equity.
Aumentando di 200 punti base i tassi, il margine d’interesse andrebbe ad aumentare del 4,1% nel corrente anno, del 10,5% entro il biennio 2018/19, anche se, come si è accennato, andrebbe in decremento il valore dell’equity, che sarebbe del 2,7% considerato a livello aggregato.
Con queste premesse, sostiene la Banca Centrale Europea, ci si aspetta che, in considerazione dei maggiori rischi, ogni singola banca chieda un capitale maggiore; si tratterebbe di una reazione comunque circoscritta, non sul piano globale.
Il metodo con cui si applicano gli esercizi di stress test, possono essere diversi e cambiare a seconda del paese ‘in esame’ con l’andare del tempo.
La procedura attuale riguardante i test è piuttosto rigorosa, sia perché è proiettata in un triennio, e dunque uno spazio temporale più ampio (per esempio rispetto a quelli seguiti dalle Autorità statunitensi), e sia per le caratteristiche concernenti i metodi applicati.
Gli stress test possono anche definire esigenze immediate d’incremento patrimoniale, ma sono risultati che vengono impiegati dalla Vigilanza per fini di ordinari processi di controllo e supervisione.
L’EBA – Autorità Bancaria Europea – si prefigge, con l’utilizzo di questi metodi, di verificare la stabilità del sistema finanziario europeo, e di regolare il funzionamento e l’efficienza dei mercati finanziari, individuandone quindi le possibili vulnerabilità, i rischi e le tendenze.
Le funzioni dell’Eba, in ambito europeo, vengono svolte in collaborazione con il CERS, ossia Comitato Europeo per il Rischio Sistemico, i test ai quali le banche sono sottoposte, hanno il fine d’individuare le reali capacità degli istituti di credito di affrontare emergenze, comunque situazioni negative dei mercati.
Elaborando questi dati, l’Eba può prevenire condizioni di rischio e in ogni caso contribuire alla valutazione del rischio sistemico (finanziario) in ambito europeo.
Gli stress test seguono una procedura ‘bottom-up’, alla base vi sono metodiche e scenari analizzati tramite una stretta collaborazione con il CERS, oltre che con la Bce e la Commissione europea.
MOODY’S: L’ITALIA NON MERITA UNA PAGELLA PIU’ BRILLANTE..
DI VIRGINIA MURRU
L’Agenzia Moody’s non si lascia condizionare dall’entusiasmo del momento, l’outlook sull’Italia è negativo e il rating non va oltre Baa2. Estrema prudenza nelle valutazioni, permangono considerazioni d’incertezza verso il futuro e le prossime elezioni politiche.
Secondo l’agenzia di rating, che non è mai stata di ‘manica larga’ nei confronti del bel paese, il futuro Governo, verosimilmente, potrebbe essere ‘un precario’ non in grado di assicurare la stabilità politica della quale il Paese ha estremo bisogno, per ingranare una marcia di crescita più decisa.
Ci dovrebbero essere garanzie precise per quel che concerne le scelte di politica economica coraggiosa espresse dall’attuale Governo, con un’incentivazione delle riforme strutturali, e il rafforzamento del settore bancario.
In sintonia con altri dati macro fondamentali per consolidare la crescita.
Moody’s riconosce tutti gli sforzi compiuti dal Governo negli ultimi quattro anni, ritiene buona anche la crescita dell’1,5% del Pil per l’anno in corso e il 2018, rivelatosi ‘oltre le aspettative’, sottolinea. Ma non basta: per una pagella più brillante, è necessario dimostrare impegno e risultati più convincenti, secondo l’Agenzia di rating.
Insomma, nessun voto d’incoraggiamento, il Paese dovrà dimostrare di meritarselo con coerenza e impegno nei prossimi anni, una volta avviata la nuova legislatura. Moody’s insiste sulla necessità di risanare i conti pubblici, il debito è molto alto, e proprio qui il prossimo Governo dimostrerà di sapere stare al timone.
Abbattere questo mostro che schiaccia l’economia deve diventare un imperativo, considerato che sottrae risorse fondamentali, anche a causa della ruota infernale di interessi che produce. Bisogna fermarlo e ridurlo in maniera più efficace, sia pure graduale, solo così i margini di manovra diventeranno più elastici, tali da rendere più agevole la spesa e l’incentivazione degli investimenti.
IL LOW COST NON E’ PIU’ LA STRATEGIA VINCENTE DELLE COMPAGNIE AEREE
DI VIRGINIA MURRU
La strategia del low cost, applicata da tanti vettori in Europa (e non solo), nonostante si sia rivelata vincente per anni e anni, ora è inesorabilmente in crisi. Qualcosa si è spezzato nella giungla di questo mercato, dove le dinamiche della concorrenza decidono la supremazia delle compagnie che dimostrano di reggere gli urti della competitività, perché in fin dei conti sono più resilienti, più corazzate finanziariamente.
Per troppo tempo abbiamo messo alla gogna Alitalia, l’ex compagnia di bandiera, addebitandole ogni responsabilità, mentre si assisteva ad un susseguirsi di crisi e dissesti, che nel volgere di alcuni decenni, da vettore di prestigio internazionale, si è esposta al declino, cancellando anno dopo anno le credenziali di efficienza e invulnerabilità sulla ‘quota’ di mercato che si è conquistata.
Dalle stelle alle stalle, da un padrone all’altro. Eppure le altre compagnie di bandiera europee non hanno avuto ali propriamente d’acciaio, e le notizie di cedimenti non sono state poi una rarità nella compagine dei vettori europei più solidi negli anni della crisi.
Ora c’è da dire che stanno recuperando, dopo serie riflessioni sull’esigenza di tagliare i costi e di migliorare la gestione. Per non collassare hanno messo in atto strategie volte a ridurre gli sprechi, anche tramite il contenimento degli stipendi al personale.
Una delle ragioni che hanno portato più volte Alitalia sull’orlo del fallimento, è stato proprio il trattamento economico di cui beneficiano i dipendenti, in particolare piloti e comandanti.
Le compagnie di bandiera, e quelle al di fuori del perimetro del low cost, hanno assimilato diverse lezioni.
Per questo nuovo assetto finanziario più solido, per una governance più garantita ed efficiente, la Borsa le ha premiate, se si considera come riferimento l’inizio dell’anno, i titoli di alcune compagnie hanno fatto balzi davvero considerevoli, si allude ad Air France Klm, il cui titolo è salito del 163%, British Airways, del 38%, Lufthansa, del 98%..
In questo clima di ripresa e consolidamento delle grandi compagnie tradizionali, come mai le big del low cost, che sembravano inossidabili e inaffondabili, si trovano davanti all’abisso della crisi? Una crisi che magari non sarà irreversibile, ma che, inevitabilmente, si presenta come una spia rossa lampeggiante, ed impone una revisione del concetto ‘low cost’.
C’è da fare il punto su un allarme che nemmeno Ryanair può più celare dietro ‘il riposo dovuto ai piloti’ e ‘lo studio per il rispetto della puntualità sugli orari’, quando la verità è più amara, e riguarda invece la fuga dei piloti verso ripari più gratificanti, non solo sul versante del trattamento economico. Tutto da rivedere? Possibile, se da questi acquitrini Mister Michael O’Leary si vuole allontanare, insieme a tutta la numerosa tribù.
Il quotidiano irlandese ‘The Irish Independent’, parla di ‘migrazione’ verso la compagnia low cost ‘Norwegian’, che sembra godere ottima salute, e ha spalancato le sue porte a 140 piloti di Ryanair, offrendo loro contratti molto più allettanti.
E la lista non sarebbe così ‘esigua; infatti, secondo le risultanze dell’associazione dei piloti irlandesi, Ialpa, sarebbero invece 718 i comandanti che hanno trovato riparo altrove, in compagnie ancora più compiacenti, come quelle cinesi e arabe. Se questi dati fossero confermati, sarebbe davvero tutto da rifare, e non resterebbe che un senso di stupore e scalpore, perché davvero, con i risultati conseguiti dal vettore irlandese nel 2016, sembrava che quel cielo fosse libero e immune dal termine ‘crisi’. Il low cost sembrava anzi il parafulmine della crisi.
E infatti lo scorso anno si è chiuso con cifre da record: prima di tutto il vettore irlandese si conferma in Italia la prima compagnia aerea, sia in ambito nazionale che internazionale. Ryanair, e già si sapeva, è il principale operatore degli scali aeroportuali italiani.
E veniamo ai numeri (nel 2016): 32.615.340 passeggeri, che segnano una crescita in positivo del 9,8%, rispetto al 2015. Non cifre che preludono una crisi quasi imminente. Eppure, siamo sulla soglia. Mentre ad Orio al Serio Ryanair fa la parte del leone, e detiene l’80% del traffico passeggeri. Vi lavorano 7.500 dipendenti, senza considerare l’indotto, che sfiora i 25 mila.
Ora la ‘big company’ farà la sua pausa di riflessione, come tutte le crisi che si rispettino, al malessere serio, seguirà un protocollo di cura che sia confacente al caso, ma non è pensabile, né tanto meno auspicabile, che un gigante di questa portata possa collassare. Perderà qualche unghia, userà un’impietosa mannaia, e ad essere sacrificati saranno magari migliaia di dipendenti. Ma è ragionevole pensare che potrà tornare a spiccare il volo con la consueta sicurezza.
Nessuno, in ogni caso, avrebbe mai potuto ipotizzare una crisi del settore low cost, che delle strategie di ottimizzazione dei costi ne ha sempre fatto una carta vincente. Non ‘All of a sudden’, dicono nel Regno Unito per ‘Monarch Airlines’, vettore (low cost) che gestiva una buona fetta del mercato in Europa, e che facendo un bel po’ di rumore è uscito di scena, perché finito nel vortice della bancarotta. E’ un turbinare continuo negli ultimi mesi, soprattutto intorno alle compagnie del low cost; ignorare questo planare raso terra di eccellenze, il cui ‘brand’ ha sempre rappresentato una garanzia per i passeggeri, non è più possibile.
Difficile capire le origini di questi cedimenti, alcune cause sembrano evidenti, ma tante si celano nella fitta rete di dinamiche che regolano il mercato, una giungla, quasi.
Secondo il prof. Cesare Pozzi, docente di Economia industriale alla Luiss, “abbassare i prezzi in modo così selvaggio, per difendersi dalla concorrenza, a scapito del personale di volo e della qualità dei servizi, non può produrre buoni risultati nel lungo periodo.
I costi con i quali ci si misura, portano inevitabilmente alle difficoltà.” Le ragioni, secondo il prof. Pozzi, sarebbero da ricercare anche sulla liberalizzazione del trasporto aereo, che ha portato a sviluppare un nuovo assetto normativo, il quale favorisce la concorrenza, ma produce dipendenza nel mercato. Gli investimenti pubblici negli aeroporti, per rendere più agevoli gli scali, hanno favorito fino ad ora i vettori del low cost, perché hanno anche finanziato la disponibilità di nuove rotte.
Intanto Ryanair ora deve pensare a svincolarsi dagli artigli della Codacons e della Procura di Bergamo, visto che la Magistratura non intende fare finta di nulla, dopo gli annunci shock della compagnia sulla sospensione di centinaia di migliaia di voli.
Ryanair, non è una novità, con la politica di prezzi ‘low cost’, ha costruito la sua fortuna, ora però dovrà fare i conti con un procedimento istruttorio aperto dall’antitrust, a causa di presunte iniziative commerciali sleali, violando, secondo l’Authority, il Codice del Consumo. Il vettore irlandese dovrà vedersela anche con l’inchiesta dei magistrati della procura di Bergamo, in seguito all’esposto di Codacons, dopo la decisione di cancellare migliaia di voli.
Quest’ultima ha deciso di tutelare i passeggeri, ‘scaricati’ senza troppi riguardi, i quali potranno costituirsi come parte offesa nel procedimento in corso, e saranno assistiti tramite una richiesta di rimborso e/o risarcimento che ognuno di loro potrà indirizzare a Ryanair. Gli interessati possono scaricare ‘una nomina di persona offesa’ individuale, con questa procedura saranno sicuramente riconosciuti i diritti di ogni passeggero danneggiato.
E in graticola, come si è accennato, c’è anche Monarch, oltre ad un’ecatombe di fallimenti di piccole compagnie, che sono scese nell’arena, ma non hanno retto il confronto: i passeri, del resto, davanti alle aquile, prima o poi finiscono per diventare prede, e infatti molte di loro sono state reclutate da vettori più forti, sia in termini di flotta che di profitti.
Monarch Airlines, compagnia del Regno Unito, pochi giorni fa ha dichiarato fallimento, e non è stato facile per l’aviazione civile britannica accettarne il crack, anche perché ha piantato in asso 110 mila passeggeri, mentre altri 300 mila si ritroveranno con i voli annullati, e un ticket da rimborsare.
Il Governo britannico ha provveduto al noleggio di alcune decine di aerei, per riportare in Gran Bretagna i passeggeri bloccati all’estero a causa della cancellazione dei voli. Mentre Ryanair scopre nel giro di pochi mesi che piove in casa, per Monarch Airlines non è una novità, lo spettro della crisi incombeva da anni. Come Alitalia ha subito tante trasfusioni di liquidità, si pensa che le tratte verso la Turchia e l’Egitto, nelle quali aveva quasi il monopolio, abbiano subito un ingente calo di passeggeri, e questa sia stata la breccia attraverso la quale è passata la crisi.
La Monarch Airlines, con base all’aeroporto londinese di Luton, è stata pertanto costretta alla sospensione di tutti i voli. Questa volta il malessere è serio.
Ora è in amministrazione controllata, le sue sorti non sono state ancora definite, occorrerà del tempo, ovviamente, anche perché 3 mila lavoratori non si rassegneranno ad essere scaricati come valige in un angolo. I dirigenti della compagnia non risparmiano le frecce al veleno al Governo May, per il modo in cui è stata gestita la crisi fino ad ora, e c’è poi l’incognita Brexit, che non si sta rivelando essere, come si illudevano i sostenitori del ‘leave’, quel favo di miele che avrebbe finalmente reso felici i sudditi di S.M.
Eppure la crisi che attraversa l’aviazione civile non riguarda solo l’Europa, negli Usa, le difficoltà ci sono eccome. Anche negli States c’è carenza di piloti (in Europa, secondo gli esperti, ne mancherebbero circa 50 mila). La compagnia ‘Horizon Air’ è stata indotta a cancellare oltre 700 collegamenti ad agosto scorso, ed entro un ventennio si stima che sono necessari più di 600 mila boeing. Ma la grande lacuna restano i piloti, la loro formazione, l’integrazione nell’organico.
In piena era di globalizzazione, l’Europa non poteva essere l’unico continente ad essere coinvolto in questo fenomeno, che sta peraltro creando notevoli disagi ai passeggeri.
VIA LIBERA DEL PARLAMENTO SU NOTA DI AGGIORNAMENTO E SCOSTAMENTO BILANCIO
DI VIRGINIA MURRU
Il Senato approva in data 4 ottobre, con risoluzione di maggioranza, la Nota di Aggiornamento al Def e scostamento dal pareggio di bilancio. A sostegno della Nota di programmazione economica presentata dal Governo, è emersa una forte maggioranza (è stata assoluta, e avrebbe comunque superato l’esame anche con una maggioranza semplice), visto che hanno votato a favore 164 senatori. I contrari sono stati 108, più un astenuto.
Mentre, poco più tardi, l’Aula ha dato il via libera al Governo sullo scostamento dal pareggio di bilancio; la maggioranza è stata più ampia perché sostenuta anche dal gruppo Mdp, passa dunque con 181 favorevoli e 107 contrari. Con l’approvazione si rende possibile l’aggiustamento strutturale pari allo 0,3% per il prossimo anno, intervento che rientra nella Nota di aggiornamento al Def. Per questa approvazione era necessaria, secondo l’art. 81 della Costituzione, la maggioranza assoluta.
Anche il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, esprime la sua soddisfazione in un tweet: “il voto del Senato è all’insegna della responsabilità e stabilità”. E dichiara ‘che non sarà una manovra depressiva per il sistema’.
Il Movimento democratici progressisti si sono astenuti lasciando l’Aula, i suoi esponenti non convergono sostanzialmente sulla linea programmatica del quadro economico-finanziario relativo alla prossima legge di Bilancio. Non erano stati peraltro accolti i sette emendamenti presentati precedentemente. Votato a favore, ‘per senso di responsabilità verso il Paese’, 12 esponenti del gruppo di Verdini.
Hanno però espresso il voto a favore, nella seconda votazione riguardante l’autorizzazione allo scostamento dal pareggio di bilancio, i 16 senatori del Mdp hanno infatti votato coesi per il sì.
C’è stato poi anche l’’ok’ a Montecitorio, con 358 sì e 133 no sull’autorizzazione allo scostamento di bilancio, per il quale si è espresso a favore anche Mdp. In seconda votazione ampio assenso alla risoluzione di maggioranza relativa alla Nota di aggiornamento del Def (i favorevoli sono stati 318 e i contrari 135), ma, come avevano annunciato, gli esponenti Mdp, si sono astenuti.
Mdp non concorda su diversi punti, come la mancanza di interventi sulle privatizzazioni, le quali, secondo il Movimento, avrebbero permesso un più agevole contenimento del debito. Non vi è convergenza sulle iniziative di carattere strutturale, che ritengono fragili, mancherebbe una visione chiara sulla Sanità, alla quale sarebbero state destinate risorse insufficienti, considerando poi che in ambito europeo siamo di alcuni punti percentuali al di sotto della media. Pierluigi Bersani non vuole sentire parlare di superticket.
Il Governo, al riguardo, ha manifestato comunque apertura sull’ipotesi di una revisione, ma in prospettiva ci sono ancora tante battaglie, anche se, in generale, i parlamentari della Sinistra hanno dimostrato senso di responsabilità, e questi atteggiamenti possono sostenere il Paese più dell’ostruzionismo e della sterile opposizione.
Le iniziative del quadro programmatico sono proiettate su un clima di crescita, innovazione e progresso, considerato il favorevole assetto congiunturale degli ultimi anni, e del 2017 in particolare. Le performance dell’economia, secondo le risultanze dei dati diffusi dall’Istat (ma anche dalle varie Agenzie di rating), sono andati al di là di ogni ragionevole aspettativa. Sono queste le fondamenta di un processo proiettato nel futuro, dove tuttavia il presente, attraverso scelte mirate, è importantissimo, per aprire orizzonti nuovi di crescita e permettere al Paese di allontanarsi definitivamente dalla palude della crisi.
Tante le misure del Governo contenute nel quadro di programmazione economica, alla luce dell’ottimismo imperante e delle nuove prospettive in cui è proiettata l’economia del Paese. E’ prevista una ‘crescita inclusiva’ per le classi meno abbienti, promette il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il ministro assicura che il paese ha imboccato la via della svolta, e non c’è da preoccuparsi circa la ‘dipendenza’ dal Qe, il cui effetto non può essere ritenuto una ‘droga’ dalla quale è difficile affrancarsi.
“Lasciamo il Paese – afferma Padoan – con un lungo percorso di riforme e interventi che ci hanno permesso di abbandonare le sabbie mobili della recessione, lasciamo un’eredità forte al prossimo Governo, al quale spetterà il compito del transito, del passaggio all’autonomia per ciò che concerne la politica monetaria espansiva portata avanti dalla Bce, che indubbiamente ha dato una mano al Paese.
La crescita va avanti, il settore bancario procede con maggiore sicurezza, anche se – precisa – il sentiero è stretto e le risorse ancora limitate. Ma si può migliorare, non pecchiamo di ottimismo.”
Secondo il ministro, la fine del Qe, attesa a breve, non deve preoccupare, a patto che in futuro si continui a perseverare nel campo delle riforme strutturali, e le iniziative volte alla riduzione del debito. Questo impegno è fondamentale per proseguire su un percorso di crescita.
Nel 2016 risulta cresciuto anche il reddito disponibile delle famiglie italiane.
Ed eccole le ‘cifre’ più importanti del Def:
Sostegno alle famiglie e potenziamento degli assegni per i figli; proroga sulla riduzione, fino al 10%, della cedolare secca sugli affitti, con l’impegno di allungare l’intervento anche sui proventi che derivano dagli affitti non destinati ad uso abitativo. Nelle politiche di sostegno alle famiglie vi è l’intento di favorire la crescita demografica, l’Italia è uno dei paesi interessati al fenomeno del calo delle nascite.
Per ciò che attiene agli interventi previsti per il settore sanitario, così tanto contestati dalle opposizioni, c’è la disponibilità a riesaminare i criteri concernenti le norme sul superticket, con misure di revisione graduali, e col presupposto di agevolare gli assistiti sui costi, già di per sé un versante piuttosto travagliato e discusso. Ed è proprio una condizione che la maggioranza ha praticamente imposto al Governo per il Def, sulla risoluzione relativa alla Nota di aggiornamento.
L’opposizione insiste anche sulla necessità di investimenti in ambito sanitario, da attuare nel volgere di un triennio, dato che le risorse destinate non sono ritenute sufficienti per il settore.
Il Governo ha mostrato disponibilità per una revisione in meglio degli interventi sul sistema Sanità, anche nell’ottica di misure che rendano più dinamica ed efficiente l’assistenza sanitaria.
Intanto la legge di bilancio dovrà essere approvata entro il 20 ottobre, e la bozza trasmessa alla Commissione dell’Unione europea entro il 15 ottobre.
Nella manovre ci sarà spazio per circa 2,5 mld di spesa e 6 mld di entrate. Si deve tenere conto anche della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, la quale, secondo gli intendimenti del ministro Padoan – precisati nella Nota di aggiornamento al Def – sarà compensata con misure intorno allo 0,5% del Pil, ed interesserà sia la spesa pubblica che le entrate. La manovra, complessivamente, sarà pertanto di 8,5 mld, dei quali 6 riguardano le entrate e 2,5 tagli alla spesa.
Il ministro dell’Economia spiega che nella manovra non è previsto l’aumento dell’Iva, anch’esso tanto dibattuto, “ci sarà attenzione verso il sostegno ai soggetti più fragili e dunque verso la povertà, in un’ottica di rispetto verso gli impegni presi con l’Ue.”
Secondo l’Istat, il debito pubblico, comunque drammatico, sarà, per l’anno in corso, pari a 131,6%, rapportato al Pil, mentre nel 2018 si riscontrerà una contrazione, e, sempre in rapporto al Pil, sarà di 129,9%, ma qui anche i decimali rappresentano importi considerevoli. Secondo le affermazioni di Padoan, nel volgere di un quinquennio o poco più, l’imposizione fiscale sarà ridotta di circa 20 mld; i tagli a beneficio del contribuente riguardano l’Ires, il bonus Irpef, eliminazione della Tasi per la prima casa.
Il ministro Padoan, come si è visto, assicura anche l’eliminazione delle clausole Iva, totalmente, insieme alle accise. Per i compensi si potrà attingere dai margini di deficit pari a 6 decimi di punto, il che, tradotto in cifre, equivale a 10 mld. Resterebbero altri 5 mld di clausole senza relativa copertura, ma si pensa di riuscire a trovare gli spazi necessari nella legge di bilancio, così come per altri ambiti.
E’ chiaro che queste manovre richiedono sacrifici, secondo il ministro, e non manca mai ultimamente, di sottolineare che si procede ancora su un ‘sentiero stretto’. Per questa ragione, per via delle risorse limitate, il pareggio di bilancio sarà conseguito nel 2020, e non nel 2019, come si pensava fino al secondo trimestre del 2017.
BANKITALIA: LA RIDUZIONE DEL RAPPORTO TRA DEBITO E PIL E’ UN IMPERATIVO
LA CENSURA NON PUO’ ESSERE LA MATITA ROSSA DELLA CORRETTA INFORMAZIONE
DI VIRGINIA MURRU
Il blog “Remocontro” – testata giornalistica molto seguita – ieri è stato oscurato dalla censura. I dirigenti di Facebook, con i loro droni, evidentemente passano al vaglio l’informazione che raggiunge le maglie strette del network, e avendo riscontrato dettagli non conformi ai loro ‘criteri’ di valutazione della correttezza, sono intervenuti.
Con un provvedimento ‘esemplare’: una settimana di oscurità, il blog non potrà diffondere gli articoli via Facebook fino a punizione conclusa.
Queste non sono lezioni da impartire ad una società civile, non vengono dalla fonte della libertà d’espressione alla quale siamo stati formati.
Si pensava che ‘censura’, all’alba del terzo millennio, fosse solo un ‘reperto archeologico’ (d’epoche non poi tanto remote), tuttavia ci sentivamo autorizzati a cancellarla dalla memoria, perché esorcizzata dal tempo, retaggio di un passato nemmeno tanto lontano, ma non più degno d’essere ‘traslata’ nel nuovo millennio.
E invece certe calamità vanno oltre le pietre miliari della storia, attraversano con inquietante immunità il nostro tempo, percorrono a velocità supersonica le autostrade telematiche della comunicazione, e colpiscono bersagli che hanno solo il torto di portare avanti i valori impliciti nella libertà di pensiero.
E siamo costretti, ancora, nella galassia dell’informazione, a fare appello all’art. 21 della Costituzione, che sembra un ‘dettaglio’ scontato, e invece è sempre una buona sentinella per i fondamentali diritti umani sui quali si fondano i presupposti di una società civile.
Remocontro è una fonte d’informazione gestita peraltro da giornalisti che hanno alle spalle lunghi anni d’esperienza professionale, certamente una garanzia di correttezza e qualità, per quel che concerne gli articoli diffusi in rete. Leggendo l’articolo di Ennio Remondino, non si riesce a capire quale sia la ragione del provvedimento dei dirigenti di Facebook, lo sconcerto è grande, perché a questo punto, si rischia di precipitare nel girone infernale degli interrogativi senza risposta.
In apparenza, infatti, una motivazione sensata non esiste, non si riscontrano offese, riferimenti allusivi e tendenziosi, rimandi alle concezioni discutibili dell’Islam sui diritti umani riguardanti le donne. Poi, ‘la virtù del dubbio’, porta a ragionare sulle cause che hanno determinato e acceso la miccia della censura, e si conclude che solo l’azzardo, l’idea di mettere in risalto una semplice notizia che ha viaggiato velocemente nel web, è stato ritenuto, forse, un atto d’irriverenza.
L’ironia, ingrediente naturale della libertà d’espressione, ha reso l’articolo non ‘commestibile’ per certi palati sensibili, ma tant’è: nella mannaia della censura esiste talvolta un peccato originale che si chiama ‘rispetto della verità’.
La censura è un valore che viaggia al contrario, quasi teoria degli opposti, in un clima di tolleranza e rispetto della libertà di pensiero e opinione; non ‘rema contro’ per regolare gli eccessi, pure possibili in un regime di piena democrazia, ma perché tiene conto di una gerarchia di valori che ha simmetrie diverse in altri versanti.
In definitiva perché si difendono altre ragioni, che trascendono; intanto perché non sono limpide.
Nell’articolo si esprimono opinioni favorevoli, e non potrebbe essere altrimenti, verso la scelta operata dal principe saudita Salman, di concedere la libertà di guidare l’auto alle donne. Si sottolinea l’entusiasmo delle donne a Riad, che sono scese in piazza, insieme a tanti uomini (buon segno, decisamente), per festeggiare, a suon di clacson, questa svolta epocale per l’ortodossia del Wahabbismo Sunnita.
L’articolo mette in rilievo il clima da Medioevo in cui i diritti delle donne devono misurarsi, e questa felice intuizione del giovane principe, che ancora deve salire al potere, segno di lungimiranza, lacerazione di quella cortina d’acciaio in cui languiscono i diritti umani: una speranza della quale si doveva parlare. Si tratta di un avvenimento di grande importanza, un evento da celebrare, anche in Occidente.
Allora, non è piaciuto il rimando al Medioevo? Si doveva parlare d’Illuminismo, in riferimento al regime di Riad? In un clima di democrazia si chiamano le cose per nome, a volte perfino col cognome.
Non si ravvisano offese di alcun genere nell’articolo, ben altro corre in forma di raffica nel linguaggio del web, e basterebbe soffermarsi sui commenti nei confronti del radicalismo islamico, per comprendere che la gente non mette in bilancia le parole quando deve esprimere un’opinione.
C’era la verità sostanziale dei fatti, che poi è tutto per la deontologia professionale di un giornalista.
L’Arabia Saudita, grande alleata di Washington, è uno scacchiere sensibile nel Mediterraneo, forse, qualora si fosse puntato l’osservatorio sull’Iran, paese islamico a maggioranza sciita, l’eco avrebbe potuto essere diverso. A questo punto è lecito ragionare, dato che non si ha nemmeno il diritto di conosce il motivo della censura.
L’articolo pubblicato nel blog di ‘Remocontro’, firmato da Remondino, è davvero asettico, non reca nemmeno traccia di offesa diretta o indiretta, a questo punto tutti siamo suscettibili di censura e degni d’essere ‘perseguiti’ via web.
Non riconosciamo queste vie contorte della libertà d’espressione. Scorre sangue e lacrime dietro questi valori. Noi, in Italia, pensavamo d’avere lasciato la censura dietro il filo spinato di un regime autoritario che ha chiuso i suoi battenti nel ’45. Credevamo, anzi ne eravamo convinti, nonostante le difficoltà in cui si muove la stampa in Italia, e gli oltre cento giornalisti costretti a svolgere il proprio lavoro sotto scorta (perché minacciati dalla criminalità organizzata).
E nonostante fossimo consapevoli che siamo il fanalino di coda in Europa per quel che concerne la libertà di stampa. Malgrado questo, ci si illudeva d’essere al di là della sponda, oltre quel muro, nel quale troppi eroi sono stati immolati.
QUELLA SOTTILE ACREDINE TRA MARIO DRAGHI E JENS WEIDMANN
DI VIRGINIA MURRU
Le dichiarazioni di Mario Draghi, nel corso dell’audizione alla Commissione Affari Economici del Parlamento europeo, seguono quelle del Governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, il quale, per l’ennesima volta, ha espresso il suo dissenso circa la politica monetaria espansiva seguita dalla Bce.
Weidmann non ha mai realmente concordato con queste misure, non propriamente ortodosse per la Bce, in quanto ritiene eccessivi e massici gli interventi di acquisto di bond, idonei solo nel caso in cui il sistema affronti situazioni congiunturali di depressione economica, con impatti deflattivi tali da rendere necessari meccanismi di stimolo monetario.
L’assetto economico in Eurozona è peraltro cambiato, e in modo positivo negli ultimi due anni, paesi che arrancavano a causa dei problemi legati ai conti pubblici, hanno fatto progressi notevoli (tranne poche eccezioni), conformandosi ai parametri di Maastricht. Pertanto la logica ‘draghiana’ del <whatever it takes>, secondo il falco tedesco della Bundesbank, non avrebbe più senso.
Non converge in particolare sugli obiettivi del Qe, attualmente terapia intensiva per riportare in ordine lo stato dell’inflazione. Weidmann ha peraltro il sostegno di tutto l’establishment politico e finanziario tedesco, in primo piano proprio gli esponenti di AfD (partito di euroscettici e xenofobi che ora, con oltre 90 seggi, siederanno nel Bundestag), i quali non hanno esitato a presentare ricorso alla Corte tedesca, pur di mettere in discussione l’operato della Bce e del Presidente Draghi, contro la politica di acquisto degli asset.
Dietro c’è anche un altro falco della finanza tedesca, il ministro Wolfgang Schaeuble (praticamente, insieme a Weidmann, ‘nemici’ storici di Draghi, anche se di recente ha dimostrato più solidarietà all’Eurotower) che ha sempre criticato la linea di politica economica seguita dalla Bce. Politica economica, appunto.
Weidmann sostiene che la Banca centrale europea dovrebbe occuparsi di politica monetaria, non di politica economica, la quale dovrebbe essere pertinenza esclusiva degli Stati. Per colpire Draghi, dunque, i falchi tedeschi si sono appellati agli espedienti di carattere giuridico, ma la Corte europea ha poi dato ragione all’Eurotower.
Il Presidente della Bundesbank, inoltre, non tiene conto dei dati pubblicati pochi mesi fa dalla Bce, numeri che mettono in rilievo i vantaggi acquisiti, e non i danni subiti dalla Germania tramite le misure di politica monetaria.
E paradossalmente è stata proprio la Banca centrale tedesca a concludere che, gli interventi di acquisto di bond, hanno permesso alle casse di Berlino un risparmio di ben 240 mld, in termini di tassi d’interesse.
E potrebbe finire qui ogni abile dissertazione dell’establishment tedesco, si può solo aggiungere che i paesi interessati dalle operazioni di acquisto più ingenti, sono proprio le maggiori economie dell’Eurozona, ossia la Germania, con acquisti mensili pari a 12 mld, la Francia, con 10 mld, e l’Italia con poco meno. Sono in fin dei conti questi paesi i più importanti azionisti della Bce.
La conclusione, che piaccia o no a Berlino e a Herr Weidmann, è che il programma di acquisti è stato motivato da ragioni di crisi ed emergenza in area euro, si possono considerare proporzionali, come si è visto, dato che i tre paesi citati, contribuiscono al capitale della Bce in misura certamente maggiore rispetto agli altri.
Il problema di fondo è forse la sottile acredine che serpeggia tra due paesi in particolare, Germania e Italia, non a caso Mario Draghi è ‘l’italiano’ non gradito, che si vorrebbe quanto prima sostituito proprio con Weidmann alla guida dell’Eurotower.
Un continuo imperversare di polemiche contro la politica monetaria seguita dall’’italiano’, che è diventato, specie negli ultimi due anni, quasi un tiro al bersaglio per gli esponenti della finanza tedesca. Una lunga partita, che indispettisce peraltro i ‘nemici’ dichiarati delle misure monetarie espansive, perché Draghi è imperturbabile, fila dritto per la sua strada, e non si fa condizionare dai tuoni e fulmini che arrivano in Eurotower, la cui sede è giusto a Francoforte..
In un’intervista televisiva, che risale a due giorni fa, Weidmann, nonostante tutto, riprende la solita solfa sull’inopportunità dell’impiego del Qe, poiché, secondo le sue argomentazioni, l’area euro è fuori emergenza, dopo 17 trimestri consecutivi di crescita. E a proposito delle sue immutate teorie dichiara:
“L’acquisto di titoli dovrebbe essere un mezzo da sfruttare solo nei casi di vera emergenza, quando ci si trova a gestire situazioni di deflazione, compresi salari e prezzi che vanno in calo. Ma non si può concepire con l’attuale congiuntura, il Qe non si può usare per controllare il tasso d’inflazione. “
E poi rincara la dose con una requisitoria a lui molto cara:
“La Bce non può accollarsi anche i margini di rischio riguardanti i singoli Stati, dovrebbe semplicemente vigilare sulla stabilità dei prezzi. Solo le autorità della finanza pubblica degli Stati membri, dovrebbero occuparsi del rifinanziamento del loro debito e delle misure di aggiustamento dei conti pubblici.”
“Gli Stati, però – aggiunge – non hanno saputo cogliere queste opportunità, non hanno sfruttato al massimo la politica dei tassi bassi per un’efficace riduzione del grado d’indebitamento. Purtroppo i riscontri non sono quelli attesi, si è fatto poco in questo versante della politica economica dei singoli Stati.
SALVATORE ROSSI, DIRETTORE BANKITALIA: ” IL SISTEMA CREDITIZIO E’ UNA FORESTA PIETRIFICATA”
DI VIRGINIA MURRU
Si è appena concluso a Courmayeur il convegno che ha avuto per oggetto l’ordinamento bancario e le sue trasformazioni, al quale hanno partecipato esperti e operatori dell’alta finanza, analisti e studiosi, rappresentanti del settore bancario e delle autorità di vigilanza.
Importante e atteso l’intervento di Salvatore Rossi, direttore di Bankitalia. Il fine era quello del confronto su tematiche che hanno affrontato lo stato dei mutamenti, in ambito giuridico, aziendale ed economico, che la ‘troika’ europea, tramite l’ordinamento bancario e le sue riforme, ha espresso nel sistema del credito, nel campo dell’attività propria delle imprese, e tramite il ventaglio di interventi a tutela dei risparmiatori.
Dunque luci e ombre di queste trasformazioni, risultato di un conflitto contro l’ultima crisi che ha attanagliato l’Europa.
E di crisi, inevitabilmente, si è parlato nel corso del convegno, il direttore generale di Banca d’Italia, a questo riguardo ha fatto osservare:
“L’economia italiana non andava a gonfie vele neppure prima che fosse interessata dalla crisi finanziaria globale del 2008, sul piano strutturale il sistema produttivo era fragile, non in grado d’incrementare lo sviluppo, generare innovazione ed efficienza. A tutto questo si aggiungeva la vulnerabilità di un sistema sbilanciato verso le banche”.
Ha poi definito ‘foresta pietrificata’ il sistema creditizio italiano, già affetto da problemi gestionali e di governance. Le inefficienze si alimentavano tra loro, producendo incertezza e instabilità, secondo il direttore generale di Bankitalia. Le soluzioni apparivano lontane, di non facile approdo. E poi il resto fa parte delle vicissitudini economiche travagliate degli anni della crisi, fino al 2014, anno in cui l’Italia ha ricominciato a sperare, a lasciare lentamente quel pantano che aveva condotto alla soglia della recessione economica.
Gli esperti nel convegno di Courmayeur hanno messo in rilievo le trasformazioni dell’ordinamento bancario negli ultimi cinque anni, le implicazioni riconducibili all’integrazione europea, che hanno segnato profondamente i ‘distretti’ più peculiari del settore, dunque la vigilanza, la crisi bancaria e la corporate governance.
In Italia il guado è stato attraversato, con tutte le difficoltà e le lotte degli ultimi anni, dove il cittadino è stato tutt’altro che immune, eppure, nonostante i progressi e la maggiore solidità del settore bancario, persistono le incertezze, ci sono ancora margini di esposizione al rischio, e per questa ragione, la vigilanza non deve venire meno.
Così si è espresso al riguardo il direttore generale di Bankitalia:
“Quando si prende un malessere virulento, avendo l’organismo più fragile, si corrono seri rischi: l’Italia li ha corsi. Solo ora ne sta venendo fuori, con tendenze incoraggianti, anche se ancora non decisive”.
BCE. NELL’ULTIMO BOLLETTINO LE CONCLUSIONI DEGLI ESPERTI SULL’ECONOMIA DELL’EUROZONA
DI VIRGINIA MURRU
L’ultimo bollettino della Bce (n. 6 – 2017), conferma le conclusioni alle quali è pervenuto il Consiglio Direttivo in data 7 settembre scorso, ossia che è in atto un’espansione economica nei paesi dell’Ue in generale, e in Eurozona in particolare, ma alla crescita del primo semestre dell’anno in corso, non corrisponde ancora una vigorosa dinamica nell’aumento dei prezzi.
Da qui le ragioni della cautela, e la scelta di rimandare le misure di riduzione dello stimolo monetario, attese e quasi date per certe, nei prossimi mesi. La Bce ritiene ancora necessari interventi di acquisto di titoli, e pertanto, considerato anche il tasso d’inflazione, che stenta a raggiungere il target del 2% (le stime per i prossimi anni non sono poi al rialzo), per ora sono stati rinviate le misure di tapering.
Si legge al riguardo nel bollettino diffuso dall’Eurotower:
“Le misure dell’inflazione di fondo hanno registrato un lieve aumento negli ultimi mesi, ma nel complesso rimangono su livelli contenuti.
Di conseguenza, è ancora necessario un grado molto elevato di accomodamento monetario per consentire l’accumularsi graduale di spinte inflazionistiche e sostenere la dinamica dell’inflazione complessiva nel medio periodo. Il Consiglio direttivo ha pertanto mantenuto invariato l’orientamento di politica monetaria e deciderà in autunno riguardo alla calibrazione degli strumenti di politica monetaria nel periodo successivo alla fine dell’anno.”
Le ragioni sono da ricercarsi nel sostegno che gli interventi di politica monetaria esercitano nella domanda interna. Secondo i dati formulati dagli analisti della Banca centrale, l’aumento del Pil in termini reali, in ambito Eurozona, è stato dello 0,6% (rispetto al trimestre precedente che era dello 0,5%).
E’ in definitiva la domanda interna che ‘traina’ il Pil, la quale, a sua volta, come già si è accennato, è sostenuta dagli interventi di Qe. Una serie di variabili dipendenti che, a conti fatti, esprimono lo stato di crescita attuale nell’area euro. Ci sono ovviamente altri fattori in gioco, come la spinta esercitata dai consumi privati sul tasso di occupazione, influenzato anche dalle riforme del mercato del lavoro e dal maggiore benessere delle famiglie.
La Bce fa anche rilevare la ripresa degli investimenti, incoraggiati da favorevoli tassi di finanziamento, e da un incremento del reddito d’impresa. Nel breve periodo, secondo le analisi della Banca centrale europea, la tendenza alla crescita e le buone condizioni congiunturali, si consolideranno, esportazioni comprese, dato che a livello globale si registra una ripresa generalizzata dell’economia, che favorirà l’export in Eurozona.
Secondo gli esperti dell’Eurotower, le stime macroeconomiche dell’area euro, formulate nel mese in corso, prevedono un incremento del Pil in termini reali pari al 2,2% (per il 2017), e dell’1,8% per il 2018, mentre andranno all’1,7% nel 2019. Gli analisti dell’Eurosistema hanno pertanto rivisto al rialzo le stime per il 2017, mentre per i prossimi anni le previsioni restano pressoché invariate. I rischi al ribasso sulla crescita sono da attribuire a fattori ‘esogeni’ di carattere internazionale, e alle dinamiche dei mercati valutari.
L’inflazione nel mese di agosto, secondo la stima preliminare dell’Eurostat, e in base alle misure sullo IAPC (ovvero Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo), si è attestata all’1,5%, in aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente. Sono le risultanze degli aumenti dei beni energetici, e dei prodotti alimentari ‘trasformati’. L’andamento dei prezzi correnti del petrolio, ed energetici in generale, si rifletterà sull’inflazione, inevitabilmente.
Nell’ultimo trimestre le misure dell’inflazione di fondo hanno messo in rilievo un esiguo aumento, ma dovrebbero riflettere un trend al rialzo più convincente. Secondo le stime preliminari di Eurostat, l’inflazione, al netto di alimentari ed energetici, si attestava all’1,2% ad agosto, senza rilievi rispetto al mese precedente, ma con un incremento pari allo 0,4% rispetto alla media dell’ultimo trimestre 2016.
Nel medio termine, secondo il bollettino della Bce, l’inflazione di fondo nell’area euro aumenterà in modo costante, perché incentivata dalle misure di stimolo monetario, e dalle dinamiche prodotte dall’espansione economica in atto, la quale, a sua volta, implica un aumento dei salari.
Il bollettino mette anche in evidenza che, lo stato di disavanzo di bilancio nell’area, andrà a ridursi nell’’orizzonte temporale’ che riguarda il triennio 2017/19. Le ragioni di questo importante miglioramento sono legate alle favorevoli condizioni cicliche, e al contenimento della spesa per interessi.
Secondo le stime formulate dagli esperti della Banca centrale, a settembre “il rapporto fra disavanzo pubblico e PIL nell’area dovrebbe scendere dall’1,5 per cento del 2016 allo 0,9 per cento nel 2019. I disavanzi strutturali non sono tuttavia in calo, nonostante dinamiche di crescita positive.”
Considerando i risultati delle analisi, il Consiglio direttivo della Bce è pervenuto alla conclusione che è necessario perseverare nelle misure di accomodamento monetario, quale garanzia durevole dei tassi d’inflazione, che siano almeno prossimi al 2%. Resteranno quindi invariati i tassi d’interesse, e si prevede che restino tali anche oltre ‘gli acquisti netti di attività’.
In Italia risulta in calo il tasso di disoccupazione, ma al momento non può essere considerato ‘significativo’, anche perché non rientra in una linea di coerenza con i tre parametri di riferimento della Bce, ossia:
‘calo del tasso di disoccupazione in 3 anni’ – ‘la percentuale della diminuzione della disoccupazione nel periodo considerato’ – ‘la persistenza, dopo 5 anni, del tasso di disoccupazione, che deve risultare più basso di quello iniziale’.
Criteri non soddisfacenti per i dati riguardanti l’Italia, e invece favorevoli per paesi come Irlanda, Slovacchia, Spagna e Portogallo.
Il bollettino sottolinea l’importanza dell’immigrazione e le sue implicanze sulla forza lavoro. Si tratta, secondo la Banca centrale, di un ‘effetto considerevole’, uno stimolo positivo riscontrato in particolar modo in due paesi dell’area: Italia e Germania.
L’immigrazione, secondo le conclusioni della Bce, nel corso della ripresa, ha dato un ampio contributo positivo alla popolazione in età lavorativa’. Importante l’afflusso di forza lavoro dai nuovi stati membri dell’Ue, provenienti dall’Europa orientale. Il riflesso positivo è stato piuttosto evidente in Germania e Italia, ma anche in altre economie minori dell’area.
Il bollettino sottolinea quindi il contributo positivo di immigrati e donne, ‘protagonisti’ della crescita economica in Eurozona. Il fenomeno dell’immigrazione, secondo gli analisti Bce, sorregge la spinta del mercato lavoro; è necessario anche mettere in rilievo il fattore involutivo legato all’invecchiamento della popolazione europea, realtà che rischia di diventare critica soprattutto in Germania, nel volgere di pochi decenni.
Si controllano gli squilibri derivanti dall’invecchiamento della popolazione europea, anche con l’accoglienza di nuove energie nel campo del lavoro, ed è in virtù di queste dinamiche che cresce il tasso di popolazione occupabile.
L’universo femminile ha, a sua volta, svolto un ottimo ruolo nella ripresa. C’è un maggiore impiego di donne nel mercato del lavoro, la causa è singolare, ma non poi tanto, e in ogni caso si tratta di dati statistici:
la specializzazione delle donne e la maggiore facilità d’impiego, dipende anche dal fatto che l’istruzione risulta più alta in termini percentuali, rispetto a quella rappresentata dall’altro genere.
WEB TAX . FINE DEI PRIVILEGI FISCALI PER LE MULTINAZIONALI DELL’E-COMMERCE
DI VIRGINIA MURRU
‘L’unione fa la forza’, sulla scia del vecchio adagio comincia la sfida ai comportamenti elusivi delle web company, ovvero i colossi dell’economia digitale che fanno affari d’oro con le transazioni on line, ‘dribblando’ il fisco dei paesi europei in cui operano, e trasferendo gli utili nei cosiddetti paradisi fiscali.
Ormai queste multinazionali sono conosciute da tutti, perché si avvalgono della rete per i loro traffici commerciali. Si allude a Google, Facebook, Amazon, Airbnb, Apple, Booking, Ebay, tanto per citare le più note, ma l’elenco va oltre. Ora sono nel mirino dell’Unione Europea e dell’Ocse, e c’è da scommettere (che sia la volta buona..) che si riuscirà finalmente ad inchiodarle alle loro responsabilità nei confronti del fisco.
Intanto i paesi più forti dell’Eurozona, hanno preso accordi recentemente per indurre l’Ue ad approvare un disegno di legge sulla web tax, che non lasci scampo o vie di fuga alle multinazionali americane fedifraghe (la maggior parte sono proprio targate Usa), così che i loro profitti non transitino altrove, dopo avere realizzato ingenti fatturati nei paesi dell’Unione europea (ma non solo, ovviamente).
Con il preciso intento di bloccare l’evasione fiscale di questi colossi, Italia, Francia, Germania e Spagna hanno programmato un incontro nella capitale dell’Estonia, a Tallinn, il 15 e 16 settembre prossimi, per discutere delle strategie che saranno messe in atto per porre fine all’’impunità fiscale’ di cui le multinazionali hanno finora goduto.
Il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, insieme ai colleghi Le Maire (francese), Wolfgang Schaeuble (tedesco), Luis de Guindos (spagnolo), hanno sottoscritto un accordo congiunto, un paper comune, al fine d’intraprendere i provvedimenti necessari per obbligare le grandi web company a corrispondere il dovuto al fisco nei paesi europei in cui fatturano miliardi.
Seguendo anche l’esempio della Francia, che ha presentato un conto salato a Google alcuni mesi fa, e ora a Microsoft, per gli incassi sulla pubblicità on line. Conti che vanno dai 600 mln al miliardo.
Il Mef, che proprio in questo periodo cerca di reperire ovunque risorse per fare fronte all’aggiustamento strutturale dei conti – in vista degli impegni assunti con l’Ue, dalla quale ha ottenuto il dimezzamento della correzione richiesta, ossia lo 0,3 punti (l’Ue chiedeva lo 0,6) di saldo strutturale del Pil nel 2018 (con la prossima legge di bilancio, in autunno) – potrebbe trarne vantaggio.
Padoan, sta pensando già di tassare gli utili sulla pubblicità delle multinazionali, attraverso un intervento fiscale che ha qualche attinenza con la ‘cedolare secca’.
In definitiva, le quattro principali economie dell’Eurozona, chiedono di equiparare sul piano fiscale il fatturato di competenza di ciascuno di questi stati, evitando le fughe rocambolesche dei profitti con espedienti illegali, tramite le società del gruppo. E basterebbe calcolare anche un’aliquota minima sul fatturato per rendere più equo il ritorno verso l’erario, certamente oltre gli importi quasi simbolici versati finora.
In gioco c’è la regolare residenza fiscale, visto che finora le multinazionali hanno contato proprio su questo stratagemma. Per questo i quattro ministri insistono sul fatto che si è transatto fin troppo sui loro adempimenti fiscali, veramente irrisori. Padoan sostiene che “non è più possibile la tolleranza, dato che le web company compromettono con i loro comportamenti iniqui i principi di sostenibilità ed equità fiscale dell’Ue”.
I ministri hanno provveduto a trasmettere una copia del documento al Commissario per la Fiscalità dell’Unione, ossia Moscovici, il più agguerrito nella lotta contro l’evasione.
Non siamo indietro solo in Italia in materia di lotta contro l’evasione, è un problema che attanaglia un po’ tutti i paesi europei, e non solo. Gli Usa, infatti, con la nuova amministrazione, vocata al protezionismo esasperato, non collaborerà con l’Ue per le misure fiscali in dirittura d’arrivo contro le “over the top” americane.
Hanno cominciato gli inglesi nel 2015 ‘aggredendo’ Google (la Google tax), alla quale hanno imposto il 25% sul fatturato superiore ai 10 mln. Ma anche l’Italia ha reagito, sui fatturati originati dalla pubblicità on line che superano i 50 mln.
Attraverso gli accordi comuni, i 4 principali paesi dell’Ue, intendono esercitare una maggiore pressione fiscale, e rendere più efficaci i provvedimenti legislativi che saranno adottati a breve. In fondo si tratterebbe di responsabilizzare questi colossi, e indurli ad una compliance spontanea, senza necessità di interventi coattivi, che andrebbero poi a scapito delle società stesse, le quali incorrerebbero in sanzioni non più soft, come finora è accaduto, ma piuttosto pesanti.
Tuttavia il 7 giugno scorso è stata firmata la convenzione multilaterale tra più di 60 paesi Ocse sulla web tax. La convenzione ha il fine di contenere l’evasione fiscale delle big web company, con iniziative giuridiche di carattere internazionale e accordi multilaterali, volti a rendere più efficace anche la normativa esistente.
Gli accordi presi a giugno (e firmati a Parigi), definiti con la sigla Beps, ossia ‘Base erotion and profit shifting’, stabiliscono che gli stati firmatari potranno avvalersi della loro autorità per indurre le multinazionali a versare le tasse nel paese in cui si generano i profitti derivanti dalle transazioni on line e relativa fatturazione.
Con la convenzione esiste già un argine per contenere gli slalom fiscali di questi colossi che finora hanno consentito di mettere al riparo miliardi su miliardi in paesi con una normativa compiacente. Come già si sapeva, gli Usa non hanno firmato.
Quello che conta per la convenzione è il trasferimento sul piano multilaterale, di un insieme di accordi che si propongono di combattere lo ‘shopping fiscale’ dei grandi gruppi nel web, e dunque la tendenza di tradurre altrove la base imponibile, nonché gli utili societari, dai paesi in cui si originano a quelli che hanno una normativa fiscale bassissima, quando non nulla.
Il fatto è che questo genere di elusione causa danni enormi agli stati di ‘competenza’ e alle loro finanze pubbliche. Secondo le stime dell’Ocse, i danni globali si aggirerebbero intorno ai 200 mld di dollari.
In Italia, paladino della webtax è stato, nel 2013, un esponente politico del PD, Francesco Boccia, che ha voluto la sua introduzione per obbligare le big web company a versare le imposte indirette sui loro profitti derivanti dai traffici commerciali nel nostro paese, e che non fanno regolare uso di partita Iva.
Cos’è dunque la web tax di cui si parla spesso negli ultimi mesi?
Semplicemente è un’iniziativa di carattere giuridico-fiscale che mira a regolamentare la tassazione sulle multinazionali che operano nel web, al fine di garantire ‘equità fiscale e concorrenza leale’.
E infatti la proposta di legge mira alla ‘ratio nel contrastare l’evasione delle transazioni on line, non registrate secondo le regole del paese di competenza dell’e-commerce, diretto o indiretto, e che pertanto sfugge al regolare regime di tassazione’.
E non è che queste ‘big’ non possano permetterselo. Si stima che grandi colossi come Facebook, Nintendo, Yahoo, eBay, Amazon, Expedia e tanti altri, nel complesso, capitalizzino circa 3mila miliardi di euro. Tanto per avere un’idea, si tratta di un importo sei volte superiore alla capitalizzazione della Borsa di Milano, del cui listino fanno parte circa 400 società..