IL SINDACATO NON È MORTO

“Sindacato” è prima di tutto un concetto ideale per il quale gruppi di lavoratori o datori di lavoro si costituiscono in associazione per la tutela di interessi professionali collettivi.

In Italia il padre nobile del sindacato è identificabile in Giuseppe Di Vittorio la cui attività sociale ha dato origine a quella che era la “sua” CGIL, ovvero un sindacato di base che al pari di quello che capita a noi oggi come USB faticava a farsi riconoscere dalle controparti aziendali perché ad esse scomodo.

Cosa significa essere e fare sindacato Giuseppe Di Vittorio lo ha lasciato in eredità nel suo ultimo discorso tenuto ai dirigenti e agli attivisti sindacali di Lecco il 3 novembre 1957, poche ore prima di morire.

Un discorso dalla attualità sconcertante, che evidenzia sia come i tempi non siano poi così tanto cambiati, quanto che il sindacato, quello vero, quello che difende i lavoratori, è solo ed esclusivamente quello di base, quello sofferto sul campo, quello vissuto con i lavoratori e per i lavori e non certo quel moderno surrogato che attraverso il principio di concertazione, ovvero stare ai tavoli ad ogni costo, ci è stato contrabbandato come tale.

Oggi che i grandi sindacati storici, quello fondato dallo stesso Di Vittorio in testa, sono diventati così simili alle loro controparti da esserne troppo spesso confusi, vale la pena di ricordare cosa fu detto esattamente 63 anni fa e che ancora per noi suona come un testamento da rispettare:

“Lo so, cari compagni, che la vita del militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto, provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una causa veramente alta. […]

Invito a discutere su questo: è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’ giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E’ giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato. […]

Avete visto che cosa è avvenuto: mano a mano che il capitalismo riusciva ad infliggere dei colpi al sindacato di classe e alla CGIL, e quindi a indebolire la classe operaia, non solo si è verificata una differenza di trattamento dei lavoratori, ma come conseguenza di questa differenza di trattamento, si è aperto un processo in Italia che tuttora continua. […] Si sono aperte le forbici, si è prodotto uno squilibrio sociale profondo nella società italiana. Supponete, per esempio, che il rapporto fra salari e profitti fosse 100 per i salari e 100 per i profitti nel 1948. Come è andato sviluppandosi il processo? I profitti da 100 sono andati a 110, i salari sono rimasti a 100. Poi i profitti sono andati a 150, i salari sono andati a 105; i profitti sono andati a 200, i salari sono andati a 107; i profitti sono andati a 300, i salari rimangono a 107-8-9. Quindi si sono aperte due curve: i profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso. […]

La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici. So che una campagna come quella per il tesseramento sindacale richiede dei sacrifici, so anche che dà, certe volte, delusioni amare. Ci sono ancora lavoratori che non hanno compreso, ma non bisogna scoraggiarsi. Pensate sempre che la nostra causa è la causa del progresso generale, della civiltà della giustizia fra gli uomini.

Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo.

Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire.

Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni.”

[Da Lottate insieme, restate uniti, dall’Ultimo discorso pronunciato al convegno dei dirigenti e degli attivisti della Camera del Lavoro di Lecco, 3 novembre 1957]

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