DI DOMENICO MAGLIO
Francamente non riesco ancora bene a capire le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere tutto questo.
Non ho al momento una spiegazione di tipo razionale. Io sono stato un Comunista.
Forse la fisiologica tentazione insita in ogni essere umano di voler addossare sempre le colpe a qualcun altro, tenendo per sé solo le gratificazioni e le glorificazioni in una ricerca di purezza interiore che in verità nessuno possiede.
Forse la volontà di far capire che le spirali dell’arbitrio, della coercizione e della violenza non sono mai cosa buona, neppure quella indicata da Togliatti come “violenza della liberazione”.
Quando l’uomo ricorre alla violenza su altri uomini per fermare un’altra violenza, ha già perso e non vale la scusa neppure se il suo utilizzo è utile, e non condannabile, ad evitare genocidi, anzi la sconfitta è doppia perché non si è stati in grado di prevenire una spirale tragica.
Ma in fondo questa voglia di scriverne qui su “Officine Putilov” probabilmente è soltanto il desiderio di voltare pagina, gettando definitivamente via quelle catene dell’esaltazione ideologica dalle quali mi sono liberato da tempo, ma che sono ancora li nella soffitta dei ricordi tra il logoro eskimo della scuola e foto del Che.
Indipendentemente da ciò che si potrà leggere resta da dire che lo sforzo personale è stato grande e l’approfondimento senza dubbio impegnativo, ma più che una ricerca è stato un revival di adolescenza, recuperare vecchi libri letti con gran mal di testa ma con entusiasmo quaranta e più anni prima, pagine e pagine piene di sottolineature, note a matita diventate oggi quasi invisibili, angolini piegati dei fogli a ricordare non so più che cosa, letture di gioventù con idee di gioventù.
C’è Plechanov il primo diffusore del Marxismo, Lenin l’organizzatore rivoluzionario, Proudhon ideologo dell’anarchia, Bernstein con il suo riformismo socialista, e poi Bakunin, i quaderni di Gramsci, Rosa Luxemburg l’inascoltata, Pietro Nenni, un libretto con la sintesi del pensiero di Hegel con una nota a matita rossa che ben ricordo “..cosa significa?…”, domanda ancora adesso senza risposta, Karl Marx, Kamenev con la sua intransigenza verso la democrazia, sette volumi sullo studio del socialismo di Cole, Adam Smith con “la Ricchezza delle nazioni” mai finita di leggere per sfinimento e ignoranza in materia, Bobbio il suo liberalismo e la polemica con Togliatti e Della Volpe, e poi Rousseau, Bukharin con la sua ricetta per il partito bolscevico che finì male, una raccolta rilegata di Rinascita del ’47, Russell, una copia originale della Pravda in intraducibile cirillico, e si potrebbe continuare.
Comunque qualcuno potrà obiettare che la mia biblioteca sia un pò troppo di parte, un po’ attempata, centenaria, vecchiotta, ed è vero, anche se libri di quell’attualità politica che viviamo oggi non mancano di certo tra le vecchie copertine impolverate, e poi oggi per fortuna abbiamo la multimedialità, internet, la rete, i social media, e per aspettare la risposta ad una dichiarazione bastano pochi minuti, invece in altri tempi per avere la replica al pensiero di Lenin bisognava aspettare che Bernstein scrivesse un trattato.
Ma rileggere nella maturità questi libri dà una sensazione diversa, ti precipita in quel tempo e ti chiedi cosa avresti fatto in quelle condizioni.
Non mi hanno mai attirato coloro che polemicamente danno giudizi postumi di condanna o assoluzione per fatti trascorsi, è molto facile quando sappiamo come è andata a finire, vedere gli errori, proporre le terapie, dire che bisognava fare questo anziché quell’altro, lo diciamo oggi ma se avessimo vissuto l’ieri? Se fossimo stati lì? Avremmo avuto paura a dissentire? Ci saremmo conformati? Ci saremmo ribellati?
Soltanto nel 1956, ben prima della mia nascita, il P.C.I. riconobbe il “diritto al dissenso” tra gli iscritti.
Sinceramente non so se molti di noi avrebbero agito diversamente da coloro che oggi sono in una certa misura alla gogna per comportamenti e prese di posizione del passato, questo bisogna dirlo per onore di verità.
Prendiamo questo esempio
Le dichiarazioni sui “fatti d’Ungheria” del nostro ex Presidente della Repubblica, primo comunista e forse ultimo a ricoprire questa carica, con il riconoscimento molto tempo dopo dell’errata visione che lui stesso ebbe allora su quanto successe è illuminante per una valutazione politica indipendentemente dal percorso successivo che fece, non è mai un errore riconoscere uno sbaglio, è un segno di maturità, un pò tardivo, in tempi più tranquilli, ma questo è.
Ma io al contrario suo credo che in Ungheria non furono “fatti” fu una vera rivoluzione popolare soffocata con la forza , ma perché allora oggi non la chiamano “rivoluzione ungherese” ma “fatti d’Ungheria”.? E questo è solo un esempio di come si fatichi ancora dopo oltre sessanta anni a sganciarci dal passato politico, e vale per tutti, i rigurgiti fascisti dei nostri giorni lo dimostrano.
In queste mie righe nessuno però speri di trovare giudizi, non sarei in ogni caso in grado di darne, ma soltanto delle considerazioni su un periodo storico che incise fortemente nel mondo.
Ma leggendo quei testi, da Bernstein a Gramsci, da Trotsky a Berlinguer, ognuno se vorrà potrà camminare con loro, in quel contesto storico, e trovare quelle intuizioni che distinguono da sempre gli uomini semplici dai grandi, indipendentemente dal loro pensiero, con la loro conflittualità ideologica, con le loro divergenze sul raggiungimento del fine, con le opposte spiegazioni ai mutamenti del loro tempo.
Ma è altrettanto innegabile che se non so come sono arrivato a oggi, come posso sapere come organizzare il domani?
Rrischio di perseverare negli errori, per questo è sempre importante conoscere il passato, parlarne anche se diventa scomodo.
Voglio dirlo anche ai molti compagni che si identificano su una moltitudine di sigle “di sinistra”….
Se non si prova a fare questo esercizio un po’ retrò, di ricerca e comprensione, la visione di ciò che ci aspetta sarà sempre monca di una cultura di base in grado di fornire un quadro il più possibile reale dell’evoluzione politica ed economica del mondo, e quindi sarà complicato darne una lettura o provare ad affrontare le nuove questioni che il domani ci riserva e che ci mette di fronte già oggi, sarà molto difficile ritrovare il nostro popolo nel risveglio.
Negli anni di Marx e di Lenin credo si chiamasse Weltanschauung, ma quel progetto non si realizzò, precipitando i suoi sacerdoti nelle deviazioni e nelle distorsioni, riducendo negli anni la rappresentatività sociale di quell’idea all’interno delle nicchie che si sono trascinate stancamente nell’ ininlfluenza italiana di oggi.
Come la chiamiamo noi nel nostro secolo sinceramente non me lo sono mai chiesto, non saprei dirlo, ci sono altri autorevoli studiosi che daranno la risposta, ma la possibilità di realizzarla dipenderà dalla capacità che avremo di governare la società comprendendone le esigenze e plasmandoci al mondo nuovo.
L’organizzare il “Socialismo del XXI° secolo” non mi convince se innestato su un vecchio franco, nobile ma usurato.
Se non saremo in grado di interpretare nel modo giusto la nostra Weltanschauung, ciò che resta della sinistra italiana verrà spazzato via definitivamente, e la cancellazione di diritti del lavoro, del welfare e di molto altro è già in corso.
In questo quadro in perenne evoluzione viviamo noi, facciamo la nostra politica, portiamo la croce delle nostre frustrazioni, proviamo soffrendo a governare il nostro presente cercando di dare ogni tanto uno sguardo tra le nebbie su quello che sarà il futuro, ognuno con le proprie idee e i propri progetti, ognuno con la propria visuale complessiva, ognuno convinto che la propria linea politica sia quella giusta.
Tutte le visioni sono legittime, degne di approfondimento e possono essere giuste, ma non tutte possono essere calate nel presente, non tutte sono oggi fattibili, di questo qualcuno a sinistra non se ne rende ancora conto.
Ciò che faticosamente vorrei far capire è che la storia novecentesca della sinistra fa parte di quelle che non possono essere né ripetute né tanto meno resuscitate, non perché sono state sconfitte ma perché il mondo è cambiato, noi siamo cambiati, anche grazie a quella storia.
Ciò che è costato maggiormente nello scrivere tutte queste considerazioni è stato il togliere il piede dal freno, un conflitto interno e personale tra il non voler accettare che sia stato così come la storia ci ha consegnato e la realtà degli anni duemila.
Una sofferenza intellettuale che al contrario di altri non mi vergogno di confessare, una tribolazione ancora maggiore il riuscire a scriverlo, perché a quella speranza, a quel “sol dell’avvenir” io ho guardato per molto tempo, io come molti altri, come milioni di uomini in tutto il mondo.
Vorrei approfittare per chiedere scusa agli esperti della storia comunista dell’ultimo secolo, spero non me ne vogliano per le eventuali imprecisioni, il giudizio di chi scrive va preso così com’è, le interpretazioni dei fatti possono essere assolutamente personali anche se avvalorate dai libri sopra citati che ognuno se vorrà potrà recuperare, non esiste una pretesa egemone di condivisione, probabilmente alcune delle frasi riportate non sono esatte nelle parole originali e onestamente non ho nessuna voglia di andare a ricercare l’esatta dicitura, ciò che conta è il significato rimasto nella mia memoria e in fin dei conti credo di non aver fatto troppa confusione.
Immagino che tutto questo scritto lascerà perplessità notevoli in chi avrà la sfortuna di imbattersi nella lettura, amici e compagni che resteranno dubbiosi e risentiti, ma a tutti loro proverei a fare una proposta : voltiamo pagina.
Già, voltiamo pagina, però bisogna essere convinti di farlo, ed è per questo che spesso utilizzo la stessa terminologia di cent’anni fa, parole come massa, proletariato, egemonia, classe, parole che indicavano “quella” struttura di società sovietica, che è diversa dalla nostra attuale, agli antipodi, ma dove hanno trovato spazio con fatica altre parole nate da quelle radici, che indicano concetti non negoziabili come libertà, democrazia, sostenibilità del sistema, laicità, ambiente, diritti delle persone, moralità, diritto al lavoro, integrazione, solidarietà sociale, difesa della Costituzione.
Questa è e deve essere la sinistra oggi, tutto il resto sono chiacchiere da feste paesane.
Certo, il riaffermare l’uguaglianza tra gli individui non può essere messa da parte così come non può essere disattesa la ricerca della pace tra i popoli, ma bisogna provare a far vincere tutto questo con la buona politica e con una cultura nuova, non con strumenti obsoleti e inadatti, bisogna che ognuno ceda qualcosa per ottenere tutto questo.
In conclusione direi che ognuno può trarne il giudizio che preferisce, ma personalmente mi sono stufato di rimanere imbrigliato nel passato, per quanto nobile, entusiastico e coinvolgente sia stato per me e forse così è rimasto nei miei ricordi, direi che è ora di smetterla con i pentimenti e con i revival, se guardiamo il mondo ci accorgiamo di quanto sia piccola la disputa nazionale sulla proprietà di un ideologia, sull’essere più a sinistra di un altro.
Sono i fatti che contano.
La mia generazione è stata quella che voleva cambiare il mondo, ma non ci siamo ancora rassegnati, non ci siamo ancora arresi.
Se qualcuno pensa che ci siamo supinamente conformati all’esistente, subendo in silenzio, si sbaglia.
l’idea resta ed è più forte che mai, nessuno riuscirà ad imprigionarla in un recinto chiuso e non aperto alla circolazione delle idee.
La sinistra non è una categoria dello spirito e la sua identità è la sua funzione storica, è nata per cambiare il mondo e non per restare ferma.
E’ questa la Weltanschauung del XXI° secolo.
Officine Putilov Domenico Maglio