Globalizzazione e Neoliberismo La sinistra ascolti il rantolo delle periferie

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Viviamo nell’epoca della globalizzazione, spesso e in modo distorto considerata la libertà nel senso più altamente descrittivo del termine.

Gli economisti mondiali affermano però tesi contrapposte, per alcuni il fenomeno è solamente all’inizio della propria evoluzione, per altri invece è già in una fasce discendente a tal punto che si richiede l’intervento pubblico degli stati per sanare situazioni altrimenti catastrofiche, per altri ancora siamo all’inizio della post-globalizzazione.

Lascio ad altri discernere sul merito puramente tecnico della questione, e preferisco tentare un analisi generale che non sarà comunque, nonostante l’impegno, aliena da ampi spazi lacunosi.

Francamente il processo della globalizzazione che racchiude anche effetti positivi, non sembra però essere un processo che custodisce  contesti di omogeneità, infatti ha uno sviluppo che non è di tipo paritario, nell’economia mondiale potremmo individuare tre grandi poli industriali e sociali palesemente dominanti sull’intera economia planetaria, l’Europa con il processo di unificazione già avviato seppur con palese scarso entusiasmo e sempre pieno di intoppi, gli Stati Uniti e l’America del Nord nel suo complesso, i paesi compresi nell’aria Asiatica, Federazione Russa compresa.

Ed è all’interno solamente di una triade cosi composta che si moltiplicano sempre più gli scambi commerciali, economici e finanziari di peso cospicuo, e questo è un fatto.

L’economia globale, paradossalmente ai propri intenti, provoca di conseguenza una spaccatura netta del pianeta tra questi tre poli.

Ognuno di tali poli economico finanziari ha i propri sostenitori tra altri paesi, più o meno interessati, insomma una sorta Yalta economica se vogliamo.

Su questi tre terminali attuali, la lobby finanziaria globale agisce integrandoli sempre più e rendendoli più coesi dall’interesse economico,  lasciando il resto del pianeta composto da tutti i restanti paesi, particolarmente buona parte se non tutti i paesi del continente africano e gran parte dell’America Latina al loro destino, oppure assorbendone le risorse in una sorta di neo colonialismo, usando le armi delle multinazionali, fomentando sommosse e guerre, un atto di sfruttamento e schiavitù vera e propria delle popolazioni.

In queste parti del mondo escluse le popolazioni sono sempre più in stato di povertà complessiva, e questi paesi, che sono la maggioranza, si trovano quindi ad essere di fatto emarginati, esclusi dai grandi interscambi commerciali e dalla modernizzazione tecnologica, che porterebbe benefici alla crescita della loro emancipazione culturale e sociale, per non dire della sopravvivenza reale.

Ma questa loro emancipazione culturale  li renderebbe coscienti delle loro forze e quindi temibili per gli interessi dei tre grandi blocchi indicati precedentemente, cosa per loro non accettabile.

E’ quindi l’innescarsi di tali disparità, di tali disuguaglianze, che rende fertile nelle grandi potenze mondiali la possibilità, oggi oramai acquisita, di conquistare e difendere la loro posizione di privilegio, una posizione ottenuta non come il risultato di leggi di mercato e di competitività perfetta così ben sbandierata e pubblicizzata dal neo liberismo, bensì a causa del controllo pressoché totale ed esclusivo che queste potenze economiche hanno in aree fondamentali laddove alloggia il potere, quindi il controllo dei mercati finanziari mondiali, il monopolio delle nuove tecnologie, l’accesso esclusivo alle risorse naturali, il monopolio dei mezzi di comunicazione, il monopolio delle armi nucleari, di distruzione di massa, della mano d’opera da schiavizzare, delle risorse alimentari, dell’acqua, dell’energia, ecc.

In modo particolare si potrebbe portare ad esempio la politica degli Stati Uniti, che si trova ad avere il controllo pressoché totale dei mercati finanziari del mondo, e soprattutto anche a conseguenza del crollo dell’URSS, anche il monopolio militare del mondo intero, come dimostra l’unilateralismo decisionale di bombardare l’Iraq nel 1998 solo per citare n fatto acclarato e in tempi più recenti con la salita alla presidenza di Donald Trump, una vera bomba ad orologeria sul destino del mondo.

Ed è grazie a questa loro superiorità nel mondo finanziario, supportata dal controllo esercitato sul Fondo Monetario e sulla Banca Mondiale, che gli Stati Uniti hanno potuto imporre le nuove regole del neoliberismo alle quali tutti sembrano incapaci di una reazione concreta.

Neppure la Cina oramai stabilmente forza mondiale economica pare voglia impegnarsi in tal senso, visto il suo sviluppo capitalistico definito “di stato”, definizione sulla quale la discussione è ampiamente aperta.

La globalizzazione risulta quindi un processo sociale e culturale che presenta ancora derive profondamente asimmetriche, creatrici di enormi disparità all’interno dei ceti sociali anche di diversa estrazione da quella prettamente rappresentata dal mondo operaio e dei lavoratori in generale.

E questo movimento globale manifesta tutta la sua parzialità di azione, rispondendo unicamente al progetto capitalistico inteso come contenitore delle risorse finanziarie.

Ma il progetto capitalistico che trova oggi nuova rigenerazione anche però una sedicente progettualità che abbraccia certamente progetti economici e finanziari, ma si veste anche di falsità come la promozione di progetti sociali, politici, ideologici.

L’insieme infondato di tutti questi progetti lo troviamo racchiuso nel modello neoliberista definito dagli interessati l’unico possibile, ma che in realtà che si prospetta davanti a noi oggi con effetti nefasti i cui sviluppi nessuno è in grado di immaginare almeno per quanto riguarda un futuro immediato.

Il progetto neo liberista potremmo riassumerlo come un insieme di misure economiche e di programmazione politica che si propone come via di uscita relativista alle crisi economiche iniziate già negli anni scorsi e mai attenuate in modo stabile e duraturo, un progetto che trova massima espressione alla contrarietà di interventi statali nell’economia e favorevole invece all’assoluta mobilità incontrollata dei capitali finanziari.

Ma è chiaro anche ai neofiti dell’economia che tale strada porterà a sbattere.

Il progetto economico neoliberista indica misure economiche per favorire la libera circolazione dei capitali finanziari, come l’apertura incontrollata dei mercati, (la famosa deregulation), e quindi l’assenza di ogni regola, la privatizzazione delle imprese dello stato e delle istituzioni che prestano servizi sociali come ad esempio l’istruzione e la sanità, la riduzione del ruolo dello stato, la diminuzione ai minimi termini o addirittura la cancellazione delle spese del Welfare, la lotta prioritaria contro le rivendicazioni sindacali, il trasformare il lavoro in un’opzional da sfruttare solo in casi estremi, e così via.

Questo è il liberismo, bisognerebbe che nella sinistra italiana ci si rendesse conto di tutto ciò, senza accontentarsi della critica della giornata buona solo per qualche applauso da improvvisate platee.

E’ possibile per una forza di sinistra in Italia combattere tutto questo? Non solo è possibile ma è necessario.

Lo scopo unico del modello liberista che sta strozzando le popolazioni più indifese, noi compresi, è il raggiungimento della stabilità finanziaria e del profitto da raggiungere, esigendo un contenimento della spesa sociale e un tasso naturale di disoccupazione, cioè una massa sufficientemente ampia di disoccupati che tenderebbe alla spaccatura del movimento sindacale di tutela, un sindacato che si vedrebbe accusato di essere la causa di tale condizione, si verrebbe a creare una vasta area di disoccupazione resa docile e sfruttabile dallo stato di precarietà e dalla minaccia permanente dell’assenza del posto di lavoro.

Quest’ultimo è un punto già raggiunto purtroppo.

Ma la condizione alla quale dover prestare attenzione ed alla quale il nostro paese è più vicino, è il fatto che l’emulazione sfrenata verso l’oltre Atlantico, verso altri modelli di società, visti come modelli applicabili e duplicabili ovunque, pone come condizione al neoliberismo nostrano che lo stato assicuri la stabilità economica e politica, che crei le condizioni  giuridiche per far si che tutto si realizzi, anche a scapito del precipitare di gran parte dei cittadini in condizioni precarie, anche a scapito di scardinare le istituzioni democratiche.

E’ contro questa opzione che la sinistra Italiana deve confrontarsi oggi.!!!

Contro questo!!

Nella sua prospettiva strategica di potere il neo liberismo ha purtroppo anche un progetto sociale, che tende ad ottenere una grande frammentazione della società, perché se una società è divisa i vari gruppi non riescono a formare nessuna aggregazione critica verso il potere vigente, e questa è la formula migliore per non avere grosse preoccupazioni dal punto di vista politico.

Una strategia che non viene solo applicata al mondo del lavoro dove si cerca di ottenere la massima divisione possibile, ma anche a tutta la società.

Una società cosi divisa pur ponendosi criticamente di fronte alle scelte di governo, non riuscirà ad avere forza contrattuale significativa a causa proprio della sua frammentazione, non riuscirà ad intraprendere lotte comuni, rivendicazioni collettive, e vedrà cadere nel nulla la capacità di negoziazione per concludere qualunque patto sociale.

E’ quindi l’obiettivo neppure tanto celato di fare a pezzi la società e di rendere impossibile la maturazione di concetti maggioritari che la sinistra deve combattere, è la costruzione di un progetto di divisione che sfocia anche in conflittualità interna nel mondo del lavoro uno dei punti sui quali la sinistra deve lavorare per contrastare tutto questo.

E’ in atto una strategia globale che tende a sfavorire l’incontro di vari gruppi sociali convinti che le ideologie non siano finite.

Ciò che preoccupa in misura maggiore chi scrive al riguardo del tema in oggetto è però il progetto politico neoliberista, che mira per poter applicare la propria ricetta ad avere uno Stato partecipante, e quindi consenziente all’attivazione di uno sforzo mascherato ma progressivo di indebolimento e di eliminazione delle conquiste politiche di tutta la classe lavoratrice, per non parlare del tentativo di delegittimazione delle istituzioni repubblicane democratiche, viste come un impiccio e un ostacolo agli obiettivi da raggiungere.

Il primo bombardamento alla Costituzione è stato respinto dagli italiani nel dicembre 2016, ma altro sta bollendo nelle pentole del servilismo interessato, pentole sotto le quali va spento il fuoco, e questo è il compito di una sinistra cosciente e responsabile, che torni ad ascoltare il rantolo delle periferie.

Questo progetto liberista palesemente di stampo autoritario, auspica di conseguenza due cose : da una parte uno Stato minimo per difendere gli interessi dei lavoratori non potendo esimersi dal farlo senza suscitare malcontenti violenti, dall’altra parte uno Stato forte in grado di imporre tutto ciò che vuole restando nelle regole democratiche del voto a maggioranza istituzionale.

Il pensiero conservatore, che la società che si riconosce nella sinistra osteggia, ha come punto centrale non la governabilità dei paese, ma la governabilità delle democrazie che governano i paesi.

Il problema del conservatorismo liberista  è il raggiungimento della compatibilità tra istituzioni democratiche che potremmo definire borghesi e i risultati economici da raggiungere, risultati che creerebbero crescente disuguaglianza e favorirebbero soltanto una piccola percentuale della popolazione, in perfetto stile fascista.

Ma siccome gli Stati che abbracciano il progetto neoliberista in generale non possono rischiare che una consultazione democratica prenda strade non volute, tendono a rafforzare ogni loro potere proprio impegnandosi affinché la maggioranza non prenda atto della propria consistenza numerica, dato che va mantenuta in facciata una ritualità non cancellabile come le elezioni libere, il pluripartitismo, ecc, ma raggiunge questo scopo proprio con il controllo di ogni forma di comunicazione.

E’ quindi non valutabile numericamente l’influenza che tali mezzi possono esercitare sull’opinione pubblica, e non valutabile psichicamente la distorsione dei pensieri che restano ingabbiati senza vedere uscita.

La canalizzazione del pensiero che svia da ogni possibile studio evita qualsiasi analisi di idee che prendendo lucidamente coscienza potrebbero contrapporsi e prendere forma, aggregarsi a tal punto da sovvertire con il voto elettorale la stabilità del potere.

E’ una specie di tentativo di addomesticamento delle greggi con il controllo dei mezzi per costruire il consenso necessario, per trasformare la politica in un mercato di idee, per condurre il cittadino reso inconscio verso i partiti in grado di salvaguardare interessi precisi.

Appare dunque chiaro a chiunque che il libero mercato applicato come è applicato oggi senza regole definite, senza tutela sociale non porta come si vuole far credere alla libera opinione e al benessere generalizzato ed equamente distribuito.

Questa è la spiegazione per cui i partiti politici più conservatori, scomparsi e riapparsi sotto diverse sigle, diventati strenui difensori di una minima parte della popolazione, siano riusciti a diventare quantitativamente partiti “di massa”, e si spiega così il perché del loro consenso trovato anche in Italia negli strati della popolazione che con opulenza e ricchezza sfrenata hanno nulla a che spartire.

Il compito del pensiero socialista è proprio quello di contrapporsi a tutto questo, e lo potrà fare solo plasmandosi alla nuova forma societaria, facendo propri i mezzi a disposizione, utilizzandoli per informare correttamente, per portare conoscenza, per tutelare le classi più deboli oggi in crescita esponenziale, renderle coscienti che un’altra società è possibile.

Il progetto ideologico del neoliberismo di oggi, punta invece ad evidenziare il fallimento del socialismo, l’esaurimento dei modelli di uno Stato bollato come benefattore e non come tutelatore di pari opportunità, contrapponendo la potenzialità del capitalismo, dell’impresa privata e del mercato libero deregolato come unici mezzi per la crescita economica.

Con questo pensiero si cerca di convincere il mondo che non esiste alternativa alla soluzione capitalistica neoliberista dove è soltanto il potere economico a poter rendere dinamiche le imprese fonte di modernizzazione permanente e benefica per tutti, si demonizza lo Stato con il concetto che tutto ciò ad esso legato sia inefficiente, burocratico, corrotto, una struttura da privatizzare completamente, la persona non deve valere più per quello che è ma per quello che possiede, si sottolinea la morte del socialismo, si disarma ideologicamente il mondo del lavoro manuale e intellettuale utilizzando la flessibilità e trasformandola in precarietà permanente.

Lo Stato come azienda è un concetto improponibile.

A questo progetto tutto il movimento socialista mondiale, ma soprattutto italiano per guardare al nostro specifico,  deve opporsi con una formazione culturale che metta chiunque in grado di fare le proprie valutazioni, le proprie scelte, affinché ognuno di noi sia in grado di formarsi il proprio percorso ideologico senza forzature, con convinzione, con un’informazione completa ed esaustiva, partendo dall’aggregazione sociale, dalla discussione all’interno dei movimenti dei cittadini, nelle associazioni, nella scuola che è il luogo dove una concezione sbagliata può trasformarsi in convinzione irreversibile.

Il disagio palpabile che avvertiamo noi in Italia, le nostre paure  di oggi, le nostre angosce sul domani, non sono leggende metropolitane, sono fatti reali, ma da questo stato però possono trasformarsi in grande forza di rinnovamento sociale e democratico, basta sforzarsi di capire il passato e da lì costruire il futuro.

Un passaggio da costruire con umiltà e impegno, senza fughe in avanti, ma in un insieme collettivo di riscatto.

Officine Putilov                                                Domenico Maglio