La sinistra ha perso la sua identità

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Le elezioni politiche si sono celebrate, si sa chi governa, chi ha la maggioranza in Parlamento, Camera e Senato.
Questo ha deciso chi è andato a votare. Il risultato può piacerci o no, ma è la democrazia.

Quindi si sa.

Ma non si sa invece che succede nelle opposizioni, almeno in quelle di sinistra o sedicenti tali.

Si dice che esiste una crisi nella sinistra, e questo è sotto gli occhi di qualsiasi osservatore un po’ attento che segua un minimo di notizie.

Chi scrive queste righe non crede fino in fondo che sia così, che la sinistra in quanto tale sia in crisi, infatti non ne sono pienamente convinto, ma in un certo senso a ben guardare un fondo di verità esiste.

Ma la crisi non è della sinistra, è di chi vorrebbe rappresentarla, comunque disposto e ovunque posizionato, qualunque sia la sua bandiera e la sua parola d’ordine.

I principi fondativi della sinistra, storici per intenderci, restano intatti, in primis la sua funzione: cambiare la società in meglio, sempre, costantemente, con caparbietà, con onestà,

Farlo a volte significa percorrere strade che inizialmente possono anche non piacerci.

Quindi perché la crisi?

Soprattutto è responsabilità del partito con maggior consenso spacciatosi per progressista, della sinistra del nuovo secolo.

E’ Lui che è in crisi profonda, e denota una decadenza irreversibile, un progressivo disfacimento delle sue strutture organizzative, per la sciagurata, incomprensibile condotta di molti elementi di spicco – anche se non tutti – che al suo interno hanno governato questa forza politica decidendone le sorti deleterie che oggi si palesano. Negarlo sarebbe sciocco.

E’ ovvio che raccogliendo l’eredità di una grande sinistra che ha contribuito non poco alla costruzione della Repubblica Italiana, certamente anche con luci e ombre, tale partito trascina dietro di se anche tutta la galassia della sinistra, anche se in realtà tali satelliti oramai avulsi da qualsiasi motivazione unitaria, mai hanno avuto con i numeri e con il consenso la concreta possibilità di governare alcunchè, se non qualche piccola comunità, o rosicchiare qualche posticino in qualche partecipata qua e là, con esperienze che francamente non sono andate tutte benissimo.

E’ dunque opinione comune che la sinistra sia in crisi:

Ma se crisi è, qual è l’ampiezza di tale crisi?

Qual è il suo significato?

E’ legata alla situazione obiettiva attuale o viene da lontano?

Personalmente opterei per l’opzione due, e pur nella difficoltà alla promozione di soluzioni salvifiche sento di essere in numerosa compagnia.

Riflettere sul passato facendo una seria autocritica e sul presente piuttosto grigio e deprimente è necessario, ma bisogna porre la questione in un piano differenziato, in rapporto per esempio al grado di sviluppo del movimento internazionale della sinistra che a parte qualche isola felice – vedi il britannico Labour di Corbyn il cui dato anagrafico mi consola per il futuro – è in stallo forzato, disintegrato dal movimento delle forze sovraniste che impazzano in tutto il mondo, almeno in quello occidentale, forze politiche che non hanno trovato argini adeguati alla loro espansione di consenso.

Ma i guai della sinistra risiedono anche e soprattutto altrove, per esempio nella capacità della destra, moderata, europeista o estrema che sia, che ha avuto la capacità di capire il momento sociale nel quale siamo immersi in Italia, e solo per restare nel nostro piccolo. Ciò non significa affatto che le sue soluzioni siano adeguate, tutt’altro, e spesso richiamano tempi oscuri con derive xenofobe e razziste.

Ma questo si sapeva, tutti erano a conoscenza della strada che si sarebbe parata davanti, ma l’argine della sinistra un pò frettolosamente rabberciato non ha retto.

Nelle prossime elezioni europee riterrei che le sorprese in arrivo da tale campo destrorso – se possono ancora definirsi sorprese – non mancheranno.

Ma per tornare in Italia e vista la situazione politico-istituzionale sorretta da numeri parlamentari incontrovertibili bisogna concludere che la crisi della sinistra sarà ancora lunga dalla risoluzione, almeno ancora per qualche anno.

Ma se riuscirà a ritrovarsi, cosa che oggi sembra molto complicata, quale sarà allora la sua guida ideologica? Programmatica?

Se la sinistra ritroverà anche se con fatica una linea comune credo che dovrà pescare nell’esperienza del passato, non troppo lontano e anche recente.

Nel passato più recente c’è stata in tutto il campo della sinistra , tutto nessuno escluso, una incredibile, stupefacente inadeguatezza nel saper cogliere l’estremo aggravamento dei rapporti di forza, e questa incredibile superficialità ha continuato la sua strada nonostante i calorosi e veementi avvertimenti di qualcuno con più esperienza di altri.

Ci vorranno anni per tutto il campo della sinistra ammettere in autocritica l’incomprensione con la sua base storica come causa di un prezzo particolarmente alto pagato alle forze di destra che non esprimono più un’ondata di protesta ma una permanente e totale appropriazione di ogni manifestazione autonoma della società e delle sue esigenze pratiche, lavoro, pensioni, sicurezza, immigrazione.

Se la sinistra risolverà le sue beghe , ma i dubbi e lo scetticismo resta, lo diranno solo i tempi che verranno. E non saranno brevi ne tantomeno immediati.

La disfatta della sinistra è quindi un tema che si potrebbe sviscerare ampiamente indicandone anche le responsabilità politiche oggettive.

Ricordo di avere letto tra altre cose il resoconto una “scolastica” del medio evo, una specie di resoconto di una giornata di studio dei piccoli nobili, e alla domanda del tutore di quanti denti ha un cavallo gli alunni non rispondevano di guardare in bocca al cavallo e contare i suoi denti, ma cercavano la risposta in Aristotele.

Me lo sono ricordato perché questa è la sinistra oggi, non vedere e non valutare oggettivamente le criticità di ogni giorno della sua gente e ricercare nella filosofia, nelle convention proclami a favore di qualche applauso lanciato da platee sempre più risicate, conniventi e magari anche interessate a raccogliere qualche briciola di ciò che resta.

Si intrecciano pertanto numerosi fattori ed elementi, non è quindi possibile individuare in pochi punti l’allontanamento della sinistra dalle istituzioni e ancor peggio dalla sua base sociale di riferimento.

Per questo servirebbe una ripartenza da zero, a tavola linda, e non sarà né semplice per le resistenze che ci saranno interno a quel campo che teme la perdita di visibilità e del potere residuo, nè sarà un percorso rapido, di questo chi si impegnerà dovrà farsene una ragione ed essere preparato a tale conflitto, tra il personalismo di alcuni e le idee comuni.

Ciò che lascia perplessi è che dopo essersi svegliata dal trauma elettorale, una vera sberla epocale, la sinistra ha finalmente capito di aver perso la sua base “classista”, e buttandosi con rabbia nella contesa parlamentare anche con azioni di qualche singolo piuttosto ridicole, dimentica che è stata proprio lei la causa del suo disastro, in pratica complice forse inconsapevole di ciò che avviene oggi in Italia.

Ma si sa,….oggi “l’insaputa” della destra è in una fase crescente di contagio espansivo…..

E ora questa galassia sinistrorsa si trova di fronte a una decisione epocale: dover ridefinire la sua prospettiva, doversi ridefinire, ripensare, mantenendo però la sua identità autentica….. il che è un tutto dire.

Andrebbe in primis ricostruito tutto l’insieme dei rapporti con altre formazioni politiche oggi in opposizione, con dei distinguo obbligatori per evitare nuove incomprensioni, necessario altresì rivedere il rapporto con il mondo del lavoro e quindi con il sindacato, capire i giovani e la loro frustrazione, la loro difficoltà a salire su un ascensore sociale bloccato, capire e comprendere la situazione economica e sociale reale, ricordandosi che esistono le periferie intese non urbanisticamente ma dove vive il disagio, la solitudine, la depressione sociale.

Ma, purtroppo a sinistra, al di là delle dichiarazioni d’intenti l’orientamento politico appare assolutamente incerto, inceppato, bloccato, quasi timoroso di esporsi in attesa di non si capisce bene di che cosa, di chi, rimbombano solo roboanti parole generiche e questo incide fortemente sull’appello al fronte unico del 2000, fa disamorare le persone., non crea quell’entusiasmo necessario per una nuova stagione.

A nulla per ora sono serviti gli inviti calorosi a lasciare da parte divisioni dolorose, le sottili incomprensioni teoriche, le diversità ideologiche, per iniziare una nuova era di lotta su una base comune di unità d’azione in grado di contrastare la destra montante.

Ma quando si posa la polvere dell’isteria a sinistra resta la domanda: quale base unitaria comune?

L’unica strada sarebbe una totale redenzione morale e politica, un azzeramento totale di ciò che esiste, aprire una contesa e trovare una sintesi sul terreno dottrinale, culturale prima che politico o unificatore.

Ci sono dunque fasi intermedie obbligatorie, che non si possono saltare, non si possono eludere e da li deve passare il processo programmatico unitario della sinistra, e solo dopo, solo dopo a seguire se buon lavoro si farà potrà valutarsi l’alleanza politica che si rivolga con concretezza alla base sociale perduta.

Serve una misura e un ritmo del processo, non è possibile aspettare che gli altri sbaglino, bisogna costruire. Guardare avanti e costruire.

La carta federativa lanciata su un tavolo di prima discussione potrebbe essere già una grande carta da giocare.

Sono queste le prospettive su cui la sinistra deve impegnarsi se vuole tornare ad essere degna della sua storia.

Ma a sinistra si capisce perché per esempio le persone generalmente prima della cultura sentono il bisogno di ordine e sicurezza?

A sinistra si capisce perché si è lasciata sfuggire dalle mani la sua soluzione per il problema immigrazione?

La sinistra capisce perché le politiche sul lavoro che sono state fatte hanno dato il colpo di grazia al suo consenso?

Certamente sono solo esempi che potrei prolungare per molte pagine ma che tutti conoscono…e non va negato neppure che qualche luce anche se fioca ci sia stata negli ultimi anni, anche se molte – Jus Soli in testa – si sono spente immediatamente sulla genuflessione alla ricerca dei numeri parlamentari di forze politiche distanti anni luce dalla sinistra.

Riassumendo potrei azzardare che la sinistra o meglio tutti a sinistra sentono di essere rassegnati e impotenti, ed è per questo che regna – mi si passi il termine – “l’assenteismo delle masse” ad ogni invito discorsivo sul futuro, manca l’entusiasmo.

La sinistra deve tenere conto delle istanze di coloro che vuole rappresentare o tornare a farlo, della loro esperienza, fatta di disagio, di povertà, di non lavoro, e deve tenere conto dei loro interessi che come si è visto sono contrastanti con la sedicente sinistra degli ultimi anni.

Capire il tempo, questa sola potrà essere la sinistra, se si vorrà tornare a credergli.

Ma la sinistra è forza popolare o non è…. lo auspico e spero di non essere l’unico.

DOMENICO MAGLIO