Giddens, il teorico della famosa Terza via del Labour britannico al tempo di Tony Blair, aveva maturato il convincimento che il socialismo fosse morto.
Ma indipendentemente dalla sua non propriamente condivisibile opinione, non si può non vedere che da qualche tempo non è solo il socialismo ad aver passato momenti di cattiva salute, di demonizzazione, visto che viene definito come l’idea frenante dell’economia dei paesi, con le sue richieste di giustizia sociale, diritti del lavoro, sostegno alla fasce più indifese delle popolazioni, tutte opzioni fastidiose e assurde per il potere oligarchico affamato di business a qualunque costo.
E restando nel nostro perimetro non si vedono nel panorama politico nazionale e internazionale correnti, organizzazioni o partiti in grado di lanciare messaggi limpidi, di proporre piattaforme efficaci in grado di confrontarsi con i sempre più complessi problemi della governabilità dell’occidente e del mondo, anche se qualche segnale di speranza giunge proprio dalla patria di Giddens.
Oggi si parla della morte del Socialismo definendolo ideologia ro spassata, anacronistica e in crisi, però a dire il vero molte volte è parso che il liberismo fosse defunto e che lo fosse anche la democrazia, invece purtroppo il primo è tutt’altro che morto e la seconda per fortuna no. Perché allora al solo socialismo bisogna negare la possibilità di una ripresa che invece sembra essere nei fatti?
Viene spesso invocata la solidarietà sociale ma la forza politica che provasse anche solo programmaticamente a proporre una futura attuazione con un prelievo fiscale di riequilibrio per ottenere i mezzi per attuarla verrebbe definito passatista e bollato come statalista, additato come distruttore di un mondo dove invece tutto deve rimanere così com’è, a disposizione dei potenti a scapito di chi combatte per sopravvivere.
Guardiamo che succede attorno a noi.
L’assistenza sanitaria di alto livello specialistico è assicurata solo per chi può pagarla ma è sempre meno adeguata alle necessità per chi dipende da un settore pubblico che si è volutamente e per scelta impoverito di risorse economiche e di investimenti.
Sono oramai troppi coloro che dispongono di retribuzioni e pensioni insufficienti, troppi coloro che neppure le hanno, troppi che lottano in condizioni di precarietà senza futuro, troppi che usano comunemente l’evasione contributiva in modo vergognoso, la corruzione.
Sono troppi coloro che vivono in condizioni di povertà oramai diffusa, facili bersagli di impieghi irregolari senza tutele e diritti, trovandosi obbligatoriamente costretti ad accettare un nuovo schiavismo per avere un salario di sopravvivenza, vengono tagliate le risorse per l’istruzione pubblica, si mette in discussione la laicità dello Stato e le istituzioni pubbliche, e solo grazie al grande senso di responsabilità e all’impegno del popolo italiano si è potuto respingere l’attacco destabilizzante alla nostra Carta Costituzionale.
Ma c’è dell’altro, ed è un elemento da ritenere inquietante e preoccupante : la libertà dei grandi gruppi economici alla ricerca del massimo profitto è accompagnata non solo e troppo spesso dalla prevaricazione dei diritti invocati dal mondo del lavoro, ma anche dal saccheggio dell’ambiente che grazie ad una globalizzazione sfrenata e sregolata non trova gli ostacoli necessari in molti paesi, a partire dall’America del Nord ma non solo fino ad arrivare alla Cina e all’India, nuove potenze emergenti, dove appaiono scenari angoscianti.
Anche per tutti questi motivi è impensabile il superamento del pensiero socialista.
Impensabile rinunciare a operazioni di tutela e contrapposizione all’espansione del capitalismo odierno, pericolosamente inclinato verso la locupletazione finanziaria e dimentico di politiche di investimento concrete.
Allora chi se non il potere pubblico che si vorrebbe sempre più ridotto ai minimi termini può dotarsi dei mezzi per affrontare le questioni sopra indicate?
Chi se non una società socialista?
Il socialismo moderno è tutt’altro che morto, ma si è evoluto, ed è cambiato per rispondere essenzialmente a tre esigenze:
–la prima ) lottare contro quelle forme di società che privano gran parte degli individui dei beni materiali e spirituali per sviluppare in modi umani la propria personalità,
la seconda) organizzare e mobilitare gli strati sociali oggi privati in parte o in tutto di questi beni,
la terza) dare alla società indirizzi di governo per pervenire ad una distribuzione delle risorse che impedisca ad una parte di costruire il proprio benessere sul malessere dell’altra parte sfruttandola e schiavizzandola.
Per il raggiungimento di questi obiettivi nel Novecento il socialismo ha utilizzato essenzialmente due interpretazioni diverse : la prima radicale che agiva con la rivoluzione, con le dittature e l’abolizione della proprietà privata; la seconda con le riforme, la democrazia, il ricorso al potere pubblico per regolare il mercato, per impedire un uso predatorio delle risorse prodotte a favore degli strati più privilegiati, per varare istituzioni in grado di proteggere i più deboli e di promuovere il miglioramento non contingente delle loro condizioni.
La via comunista è andata incontro a molti errori e prendendo la via della destabilizzazione è crollata, mentre quella socialdemocratica ha ottenuto risultati tangibili, ma resta da domandarsi se anch’essa ha irrimediabilmente chiuso il suo ciclo nel 1989 oppure oggi, perché anch’essa fa parte di quel ‘900 che si vuole archiviare,
La fase neo liberista della onnipotenza dei dirigenti dell’economia, il loro scorazzare come easy raider sulle vie della finanza mondiale, la pioggia d’oro pubblico finita nelle tasche dei grandi manager, i grandi patrimoni costruiti con lo sfruttamento altrui, i soldi fatti con i soldi, soldi che puzzano di sudore operaio, di salario sottopagato, di incontenibile precarietà, di lavoro senza diritti dei nuovi schiavi del millennio, e in questo quadro non è esente da colpe l’acquiescenza degli stati a questi nuovi corsari dei continenti.
Anche l’Italia non è esente da tutto questo e con i nuovi sedicenti statisti rema vergognosamente in prima linea contro ogni parvenza di giustizia sociale, una politica diventata parassitaria che sostiene tutto ciò che può dare potere personale anche a costo di distruggere la dignità degli uomini, dei loro diritti.
L’Italia socialista non ha bisogno di partiti democratici nati da decisioni senza popolo, accozzaglie di interessati a se stessi, l’Italia chiede ben altro, chiede un colpo di reni verso una ripresa di umanità, una grande sterzata verso la concezione socialista che si impegni a riequilibrare la società.
Questa è ciò che serve all’Italia ed è qui che va costruita la consapevolezza che un’altra società più giusta è possibile.
Ma qui sorge la questione di fondo.
E’ possibile attuare una sterzata di questo tipo senza farlo nelle sedi del potere politico, senza disporre delle leve del governo?
Chi può mai accedere al potere e al governo se non i partiti, se non la politica?
E quale il contenuto di quella sterzata se non la ripresa e il rilancio degli obiettivi propri dell’ideale socialista?
Chi se non il potere politico può fare leva sugli interessi colpiti, offrire loro un referente politico organizzato, affidare al potere pubblico il compito di regolare con obiettivi sociali il mercato, anche con le liberalizzazioni quando queste servono a colpire rendite di posizione?
La sterzata verso quel socialismo necessario alla società deve avere come stella polare una grande condivisione di obiettivi con tutte le forze vitali italiane della sinistra, obiettivi che mirano ad una più giusta distribuzione delle risorse per un vivere civile più umano per tutti, uno stato forte che sappia confrontarsi con i mercati ma che garantisca le persone.
Per realizzarlo non è necessaria obbligatoriamente la frettolosa convergenza in un unico soggetto politico pur se auspicabile in prospettiva, basterebbe al convinzione di condividere programmi e prospettive per cominciare.
Il dibattito sul socialismo che prende forma in questi tempi è da non sottovalutare, sbaglia chi lo fa.
Rappresenta un segno dei tempi, è da leggere come la spia di una ripresa della discussione sulla cultura politica, è la fine di un lungo ciclo in cui la politica è stata rinchiusa dai gruppi dirigenti nella sfera della governabilità, aumentando il divario di comunicazione tra la società e il mondo politico nella sua farraginosa e impenetrabile perimetrazione, che chiedeva alla società stessa l’impegno durante le tornate elettorali, ignorandola poi a risultato raggiunto, come dimostra il governo italiano da alcuni anni in carica anche se con personaggi diversi.
Ed è da questa crisi di distacco della politica dalla società che si infiltra nella società il pensiero populista e plebiscitario della destra con il quale abbiamo dovuto fare i conti già alcune volte, e con la quale la partita non è ancora chiusa.
Inoltre la tautologia con la destra delle politiche che vengono definite “progressiste” del governo italiano attuale aumenta il disagio sociale e la confusione politica, dando ampi spazi ad altre forze movimentiste sulla cui democraticità il discorso è ampiamente aperto.
Non mi pare che coloro che propongono approdi della sinistra alle sponde neo liberali siano in grado di far fronte a tutte le questioni che l’evoluzione dell’Italia e dell’Europa pone oggi, anzi sotto la falsa veste della sinistra si nascondono politiche fortemente di destra, basti pensare alle questioni di politica internazionale o alla questione dei rifugiati.
Un governo italiano attuale che si definisce di sinistra ma che legifera politiche di destra in modo continuo e stupefacente, ma questo oramai è chiaro a tutti.
Siamo dunque giunti al crocevia, i nodi stanno venendo al pettine.
Il tema del socialismo e della sinistra tutta chiama la politica ad un compito straordinario, chiama tutti noi a un compito straordinario, a una nuova Resistenza.
E cioè la presa di coscienza necessaria verso una trasformazione, aggregante che raccolga tutte le istanze democratiche, sociali, politiche, dell’associazionismo, per sviluppare proprio nel campo di una sinistra moderna una nuova fase di confronto, dove il valore aggiunto della diversità di ognuno sia la forza propulsiva di una nuova stagione.
E questo è il passaggio più delicato che sembra di non facile soluzione.
In realtà va detto che non è mai esistita in Italia una storia preponderante della socialdemocrazia, del socialismo a livello di governo nazionale, ed ora che viene messo all’ordine del giorno questo argomento finalmente qualcosa si muove, e si mette in evidenza una tematica che riveste interesse per tutto il campo delle sinistre, anche per le componenti più radicali che hanno elaborato la loro progettualità diventando negli anni anche forza di governo nei territori italiani.
Forse ill dibattito che sta prendendo forma ci dice che socialismo oggi non è un’idea che vuole attualizzare il tema della fuoriuscita dal capitalismo, cioè di una diversa organizzazione sociale, e non è neanche l’assunzione nella sfera politica di partito dell’ispirazione “un altro mondo è possibile”. Forse non è solo questo.
Tuttavia, questi anni colpevolmente avari di approfondimento del tema, non sono per un certo verso passati invano né nelle componenti più radicali e nemmeno nel campo riformista, si è mostrato il volto della crisi della coesione sociale, dell’instabilità e della crisi di consenso nel popolo.
Così proprio per queste evidenze sinistra e socialismo vogliono dire oggi avversione e contrasto a quella forma che si è venuta definendo neoliberista.
Nasce da quì il bisogno di un diverso spazio per la politica e per la cosa pubblica, le intollerabili ingiustizie che investono la società vengono messe a fondamento dell’esigenza di definirsi socialisti, nel senso più altro del termine.
Per tornare a Giddens, è da rimarcare che la sua tesi sul socialismo non può essere condivisa, almeno per diversi passaggi, anzi pare piuttosto ambigua in molti punti della sua linea di fondo, per esempio l’affermazione che lo stato sociale nato come tutore della sicurezza dei cittadini, debba restare a carico del cittadino stesso pare una contraddizione, “aiutare il cittadino ad aiutarsi da solo” è un’affermazione che non appare chiara, per non parlare del problema dell’immigrazione, dove Giddens declamando questo pensiero sembra ancora intaccato da remore colonialiste.
La cosa fantastica che scrive Giddens è che il socialismo è morto, ma afferma che la sinistra è tutt’altro che morta, e anzi auspica la sua via che è quella dell’unione di tutta la sinistra Italiana, ma non la fusione dei riformismi.
Le contraddizioni inglesi non perdono mai il vizio di essere tali!!
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