In questo inizio di millennio il processo evolutivo sociale dovuto a molteplici fattori di sviluppo non solo nella sfera economica e finanziaria, ma anche nelle correnti del pensiero filosofico con la rilettura degli eventi storici passati, ha portato il mondo politico complessivamente e non solo quello italiano, ma anche quello europeo e mondiale, a rivisitare ideologie considerate incancellabili.
In particolare la società politica ha già da qualche anno la tendenza a raggrupparsi, in molti paesi del mondo si presenta alle consultazioni elettorali in due schieramenti, conservatori e riformisti, destra e sinistra, ecc, e questi schieramenti si distinguono tra loro per obiettivi, linee ideologiche, politiche sociali, fiscali, tematiche ambientali o energetiche, tutela del welfare.
Questa è la tendenza che si vorrebbe imporre, anche se per onor di verità in grande declino e sempre più spesso tali schieramenti trovano collante soltanto per difesa di interessi personali, imprenditoriali, finanziari, per convenienze familistiche, bramosia di potere e quant’altro di più distante ci sia con l’interesse vero delle cittadinanze.
In ogni caso oltre al mondo politico classico e istituzionale esiste però anche un altro mondo sempre in agitazione, composto da un gran numero di donne e uomini più o meno impegnati socialmente in gruppi, associazioni o movimenti di cittadini, che rappresentano tutte le varie domande che nascono dal vivere quotidiano di ognuno, domande sulla scuola, sulla salute, sui diritti, sul lavoro, sul disagio sociale, sulla solidarietà, sulla sicurezza, sull’immigrazione e molti altri quesiti ai quali le istituzioni dovrebbero dare risposte.
Ma nel nostro paese l’interlocutore principale dei cittadini, e cioè il mondo politico, ha subito frammentazioni tali da non essere più in grado di dare riscontri concreti e soddisfacenti, inoltre la problematicità delle questioni da affrontare sia per quanto riguarda la stabilità economica interna, che per quanto riguarda l’impegno internazionale assumono spesso tratti prioritari.
Questa frammentazione, avvenuta non solo a destra e a sinistra, ma in tutto il tessuto sociale complessivo con il tentativo dei rassemblement più disparati, ha portato inoltre a disegnare contorni indefiniti anche al riguardo delle grandi contrapposizioni avvenute in un passato neppure troppo distante, una polverizzazione che ha spazzato via i grandi partiti di massa, impedendo di fatto un’accelerazione verso quel bipolarismo che si voleva costruire ma che sta perdendo consensi popolari sempre più ampi.
Una sorta di liberi tutti ideologico dove la confusione in realtà regna sovrana almeno fino ad oggi.
Un passato per alcuni forse ancora troppo recente per essere dimenticato e per altri forse ancora rimpianto, sia che si tratti di blocchi di sinistra sempre perse nelle inconcludenti discussioni filosofiche- che di destra, dove schegge impazzite spopolano nei quartieri più popolari cavalcando la mancanza di uno Stato presente ed efficiente.
Va detto che in particolare i primi , a sinistra, che pur essendosi inequivocabilmente affrancati da parecchio dagli eventi dell’URSS e dalla sua politica totalitaria interna che perseguiva, cercano comunque oggi di ritrovarsi nelle linee fondamentali del Socialismo inteso come difesa delle classi meno abbienti con risuktati fino ad ora risibili.
Ma anche nel blocco contrapposto, a destra, c’è l’affannosa ricerca di soluzioni ritenute giuste e perseguibili ancora oggi, con il cercare di affermare la disciplina e la devozione alla causa con ogni mezzo possibile e spesso oltre la legge, con scatti xenofobi, nazionalistici, violenti, difficilmente inquadrabili in un contesto democratico.
Un passato di contrapposizione delle grandi ideologie dominanti come capitalismo e liberismo da una parte, Socialismo reale dall’altra, culminato negli anni ’50 e ’60 con la guerra fredda, anche se poi tanto fredda non era come si è potuto appurare, e grazie a un paio di incoscienti ritornata caldissima anche oggi.
L’avvenimento politico più significativo degli ultimi 30 anni è stato certamente il crollo del blocco Sovietico che ha riaperto nuove prospettive sia nei paesi dell’Est con il loro ingresso in Europa che in ogni altra parte del globo, e se vogliamo a tutti i costi trovare un’espressione di uso comune potremmo ipotizzare che è venuto a mancare quell’equilibrio che teneva il mondo intero in una sorta di stand by più o meno pacifico, che giocava sul catastrofismo che sarebbe susseguito ad un conflitto nucleare del quale non sapremo mai quanto ieri sia stato imminente.
Oggi non più 2, ma ben 7 paesi nel mondo hanno a disposizione ordigni nucleari di potenza inimmaginabile e c’è da sperare che l’intelligenza sia al di sopra di ogni incoscienza.
Indubbiamente il nuovo corso delle politiche internazionali non possono essere esentate da un giudizio particolareggiato che si riallaccia al tema sopra citato, ed è del tutto evidente che il blocco capitalistico americano, unico rimasto indenne e sopravvissuto allo scontro est ovest, un blocco occidentale inteso non certo come continente americano nella sua totalità, ma soltanto come america del nord, gli USA in particolar modo, hanno avuto la possibilità di gestire in modi neppure tanto soffusi la loro supremazia globale, sia con il controllo delle leve del mondo, Banca Mondiale e FMI, o in modo palese come l’utopia dell’esportazione coatta del proprio modello di democrazia, auspicabile in alcune sue forme ma per altro molto discutibile in altre.
L’esempio che si voleva dell’esportazione del modello americano è calzante perché recente, ma ci dice che non può essere imposto in nessun paese del mondo, proprio perché ogni paese del mondo è diverso dagli altri per formazione culturale, per la propria storia, per le politiche perseguite, per formazione religiosa.
Ma essendo una strada intrapresa comunque, bisogna domandarsi come si è potuto arrivare a tutto questo, e se questo è compatibile con l’evoluzione del mondo, chiedersi se sia possibile imporre un percorso politico di questo tipo in un paese come era successo in Iraq tanto per citarne uno, di tradizione profondamente islamica, tribale, che non si riconosce nelle tradizioni occidentali, ne’ europee ne’ tanto meno nello stile di vita né degli USA, uno stile consumistico sfrenato che ha già dato i primi segni di deleterietà sociale.
L’elezione a Presidente degli Stati Uniti del forse più grande liberista e capitalista americano è a dimostrare che il consenso non gli è arrivato soltanto da lobby finanziarie ed economiche, ma dal tessuto operaio di molti stati della confederazione.
Un contesto dal quale venirne a capo non sarà affatto semplice, e la ricerca di spazi e parole d’ordine nuove appare costante.
Ecco dunque apparire all’orizzonte la parola chiave che permette di giustificare in qualche modo, sia in occidente che in medio oriente, grossolani e tragici errori strategici : “ Dio è con noi”.
E’ successo nel 1933 con il nazismo stampigliando addirittura sulle fibbie della Wermacht, è successo ininterrottamente negli USA, succede in Medio Oriente,
E proprio nel Medio Oriente uno dei principali partner delle potenze occidentali, degli USA in particolare, L’Arabia Saudita, ha scritto a chiare lettere nella sua bandiera che l’unico Dio è Allah e Maometto ne è l’unico profeta.
Ecco che si tenta quindi di trasformare in guerre religiose in modo pericoloso conflitti nati essenzialmente per interessi economici.
Qui nasce l’attenzione che dobbiamo avere nel concetto di religione, di laicità, e proprio quest’ultimo termine sta diventando oggetto di discussioni, spesso confuse e senza sintesi costruttiva finale.
Personalmente penso che Laicità sia una parola molto difficile nella sua intrinseca semplicità, una parola che non da o non dovrebbe dare adito a significati diversi da quello che vuole rappresentare, ma che invece viene interpretata a volte in modo disordinato, se non quando viene carpita da chi ne vuole fare una bandiera ideale in termini di opportunismo politico e sociale.
E’ quindi necessario proporre alcune riflessioni sul termine stesso di laicità, affinché la conoscenza più completa possa essere inizio di valutazione collettiva e discussione culturale.
Il termine laicità va spiegato innanzitutto in negativo, quindi capire cosa non significa, cosa non è la laicità; in genere viene associato nelle discussioni tematiche quando ci si riferisce a ciò che viene riassunto nella complessità dei rapporti tra lo Stato e le Chiese.
Possiamo affermare che non ha caratteri di laicità, cioè non è laico, un ‘ordinamento basato sul confessionalismo, cioè su una sorta di fusione o di legame privilegiato tra uno Stato e una o più chiese.
Per esempio nella sua storicità si trattava di uno Stato di tipologia prettamente confessionale quello che vigeva sotto l’ordinamento dello Statuto Albertino, come dimostrato dagli atti conseguenti di quel periodo, inoltre basta ricordare l’art 1 dello Statuto Albertino che ha regolato il nostro paese fino alla costituzione dello Stato Repubblicano, questo articolo recitava che la religione cattolica apostolica romana è religione di stato e tutte le altre confessioni religiose erano tollerate, si evince quindi che lo Stato stabiliva una relazione di tipo privilegiato con un’unica confessione religiosa, in questo caso la religione cattolica.
E’ palesemente evidente che non esisteva nei fatti una vera e propria libertà religiosa, ma esisteva soltanto una tolleranza religiosa verso confessioni diverse da quella cattolica, si stabiliva un principio, una classifica di merito secondo la quale esisteva riconosciuta dallo Stato una religione di serie A e altre religioni “tollerate” di serie B.
E’ questa un’impostazione tipicamente riconosciuta come modello di uno Stato estremamente di tipo confessionale, quindi nulla a che fare con ciò che il socialismo intende come modello di Stato laico.
Dopo questa riflessione si rende però necessario analizzare cosa si intende come Stato di tipo laico nella visione della sinistra, nella visione socialista, essendo questo uno dei temi da sempre in discussione nel nostro paese.
Possiamo affermare che uno Stato laico che voglia definirsi tale, nella formazione culturale socialista è uno Stato che conosce e attua una netta separazione tra le chiese nella loro totalità di confessioni religiose qualunque esse siano o rappresentino, e lo Stato istituzionale, una vera e propria separazione.
Ma le separazioni che abbiano queste caratteristiche di grande influenza sociale possono essere paragonate alle separazioni tra coniugi, e come tali possono avvenire in modo amichevole o in modo ostile, conflittuale, lasciando pesanti strascichi nelle popolazioni, contrapposizioni difficilmente risanabili in tempi brevi, se non secolari, ed essere oggetto ostativo di aggregazioni politiche se non viceversa addirittura fungere da collante tra partiti o movimenti.
Se prendiamo la seconda ipotesi di separazione non amichevole, così come è stata nei paesi del socialismo reale, come lo è stato per lungo tempo in Francia, più che di laicità bisognerebbe parlare di laicismo, perché in questi casi lo Stato è vero che non ha un rapporto particolare con una determinata chiesa o con una determinata religione, ma è come se pensasse se stesso, come se avesse una propria religione laica, alternativa, è come se volesse negare ogni rapporto con le chiese perché egli stesso si ritiene una chiesa, con le proprie credenze laiche, repubblicane, con le proprie ideologie di Stato, per cui il cittadino deve scegliere obbligatoriamente l’ideologia di Stato e relegare solo nel privato le altre ed eventuali credenze religiose.
Questa oggi non è laicità, ma laicismo, anche se qualcuno continua a chiamarla laicità identificandola erroneamente con laicismo
Di vera laicità se ne parla quando la separazione tra Stato e chiese è di tipo amichevole, quando cioè lo Stato non assume su di se una determinata religione ma da ampia libertà religiosa ai suoi cittadini, quando riesce a dare loro la possibilità di testimoniare la propria fede religiosa e le proprie credenze non solo in privato ma anche in pubblico, perché le religioni hanno la naturale tendenza ad avere un ruolo pubblico, il che non vuol dire assolutamente avere un ruolo statale.
Nella visione di uno Stato socialista e laico non c’è una religione di stato ma viene riconosciuto uno spazio pubblico, dove le religioni sono chiamate a dire la loro non solo sugli aspetti interni del singolo individuo, ma anche sulle grandi sfide etiche e politiche che riguardano la nostra società, e anche sulla legislazione, quando però entrano nella sfera pubblica esse devono rispettare i criteri della sfera pubblica che sono basati sul libero convincimento in libertà tra i cittadini.
E quindi solo uno stato laico, cioè non ostile alle religioni, può regolare in modi diversi i rapporti con le varie credenze religiose, e può di conseguenza avere accanto alla libertà religiosa riconosciuta per tutti anche dei regimi di tipologia pattizzia.
Ciò è avvenuto per esempio il Concordato, rivisto con una Presidenza del Consiglio socialista dove è stato nettamente migliorato con la revisione abbastanza recente avvenuta negli anni ‘80, oppure con l’impegno preso con le altre confessioni religiose per regolare meglio la collaborazione reciproca dello Stato e delle chiese allo sviluppo umano e allo sviluppo sociale in generale, anche se queste potremmo catalogarle come scelte abbastanza particolari.
Francamente credo che la cosa importante da ricordare oggi sia la considerazione che il laico non è colui che non crede, ed è bene sottolineare questo aspetto dato che a volte da vita a scontri virulenti e difficilmente controllabili, per esempio si può benissimo partecipare ad una funzione religiosa cattolica, pregare rivolgendosi alla Mecca, essere Buddisti ed essere laici.
Il laico e la laicità dell’ordinamento è quindi rappresentato dal fatto che tutti coloro che hanno delle particolari tendenze possano avere il diritto di manifestarne anche la valenza pubblica, ma non auspicare la costruzione di uno Stato che si fondi su una distinzione tra religioni di serie A che credono in una determinata fede religiosa o laica, e ordinamenti religiosi di serie B, perché ciò che fonda la laicità dello stato è l’unità della figura di un cittadino.