Premessa
Sono nato in un periodo fortunato, ero solo adolescente quanto la nostra Repubblica tutelava al massimo storico i diritti dei cittadini, gli anni ’70.
In quegli anni ero troppo giovane per capire chi fossero i sessantottini, però erano famosi, più dei padri della patria, perché con l’approvazione della legge 300/70, il cosiddetto “Statuto dei Lavoratori” si erano definitivamente gettate le basi per la massima tutela dei lavoratori.
L’Italia soffriva ancora, ma per poco, degli effetti della cosiddetta “Legge Cossiga” per la quale il fermo di polizia diventava spesso strumento di coercizione sulla popolazione manifestante, però era poca cosa se paragoniamo quegli anni ad oggi, in fondo la tutela delle libertà era maggiore e quindi le due cose si bilanciavano, sebbene i soprusi siano sempre da condannare.
Oggi che anche i concetti di quella legge sono stati ampiamente stravolti, e non mi riferisco “solo” alla riforma dell’articolo 18, ma anche e soprattutto ai “modi consolidati” che hanno generato una giurisprudenza contraria alle tendenze di quegli anni e, se mi è concesso, persino allo spirito libertario della legge a tutto favore dello sfruttamento del lavoro a scopo di “maggior profitto”.
Perdendo quei valori e quelle tutele mi sono reso conto che se conoscevo appena le ragioni e gli scopi che avevano portato alle lotte operaie nel nostro paese, come in molti altri, ed all’approvazione di una legge tanto tutelante, al contrario non conoscevo affatto le ragioni e gli scopi che avevano portato i padri costituenti a generare la nostra costituzione nella stesura originale, quali fossero gli intenti, ma anche e soprattutto quale fossero le paure che andavano rifuggendo.
Da cosa stavano scappando? Come avevano pensato di proteggersi?
Erano queste le cose che dovevo considerare prima di formulare una mia opinione, conoscere l’eziopatogenesi della nostra costituzione mi permetteva di poterne vedere i retroscena e le intenzioni non espresse e non esprimibili dalle parole, ma comunque scritte tra le sue righe e leggibili sono da chi ne è iniziato.
Una lettura non letterale, non giuridica, non solo emozionale, ma soprattutto esoterica e più compiuta.
Nuove generazioni
È normale per le nuove generazioni perdere parzialmente la memoria del passato, in particolare delle sofferenze del passato quando esse non siano più presenti, così l’essere cresciuto all’ombra di una costituzione che non conoscevo bene e protetto da diritti che credevo normali e senza chiedermi perché, era così e basta, era normale espressione del mio tempo, era normale rivendicare il diritto allo studio, alla salute, alla libertà, alla vita, anche se queste sembravano già così “normali” da non avere necessità di essere reclamate.
Era anche normale sentirsi “normale” e quando a tavola, davanti ad una certa schizzinosità verso il cibo offerto mio padre iniziava la frase “in tempo di guerra…”, noi lo fermavamo subito replicando con “basta! Quando ci sarà una guerra ci penseremo, ora pensiamo a vivere il nostro tempo di pace.”
Non sapevo di cosa stesse parlando e non mi piacevano le lezioni teoriche, il fatto che “in tempo di guerra” una sardina servisse ad insaporire il pane per tutta la famiglia, quando c’era il pane, era normale, lo vedevamo anche nei film sul tema, guerre, carestie, povertà, si assomigliano e rendono l’arte di arrangiarsi la più importante per sopravvivere, ma “in tempo di pace” la cosa si faceva davvero poco interessante, distante ed inutile.
Quello che più non sapevo e non consideravo era che lui, come moltissimi altri giovani e meno giovani partigiano, avevano rischiato la vita spesso suo monti o, come nel caso di mio padre, facendo il corriere giovane ed insospettabile in città ai tempi della resistenza.
Quello che aveva lasciato in lui ed in tutti quelli come e più di lui era una cosa per me allora inimmaginabile: erano ferite interiori che non potevano essere rimarginate come quelle fisiche, ferite che restano aperte e doloranti per tutta la loro vita, ferite nello spirito che non si chiudono mai.
Oggi, nell’affrontare il tema legge elettorale, mi chiedo se erano forse queste vivissime ferite che avevano ispirato i padri fondatori nello scrivere la nostra Costituzione Repubblicana e nell’immaginare il sistema elettorale, perché le ferite interiori lasciate dalla privazione della libertà e dalla negazione dei diritti, certamente portano a scrivere un atto costitutivo differente da uno non ispirato ad esse, una costituzione costruita sulle sofferenze è forse non perfetta, ma certamente la più libera e democratica immaginabile da chi ha vissuto ed ha ancora impresse quelle ferite.
Purtroppo il 25 giugno 2013 si spegneva Emilio Colombo, l’ultimo e più giovane dei padri costituenti, lasciando ci orfani della testimonianza e memoria diretta anche di uno solo di essi, orfani dei soli padri che ancora avrebbero potuto spiegare e difendere la nostra costituzione con lo stesso spirito con cui l’avevano scritta: da partigiani antifascisti.
È quindi in assenza di questi padri e testimoni che mi chiedo come possiamo noi oggi comprendere i volori ed i contenuti spirituali nascosti nel testo costituente ed quali possano essere i reali pericoli futuri che i padri della patria avevano visto nel fondare la nostra nazione e nel gettarne basi durature e democratiche.
Inoltre, se persino io, che pur non ancora vecchissimo, comincio ad avanzare in età, ho solo ricordi di seconda mano, come potranno le generazioni successiva alla mia mantenere i valori espressi o solo sottesi ad un simile importante quasi dogmatico documento?
Dei diritti
Un diritto è un diritto, non ha tempo ed età, contestarlo sarebbe come contestare l’attualità di diritti ormai entrati a far parte della nostra essenza, come quelli sanciti dalla Magna Carta, sarebbe impensabile oggi condannare qualcuno senza un processo, persino i regimi totalitari lo fanno, seppur per finta, eppure in un passato non così lontano non era nemmeno considerato un diritto, ma solo un privilegio riservato ai nobili.
Va da se che se qualcosa è stato classificato come “diritto”, questi non possa essere semplicemente cassato o vanificato, ma devono esserne attentamente valutate le ragioni che ne hanno portato alla classificazione, le implicazioni che questo ha con la sua attuazione pratica e le interazioni con eventuali altri diritti che fossero in conflitto, al fine non di negarlo, ma di “contemperarlo” nel modo più equo possibile.
Al contrario, l’attività normativa, legislativa e giurisprudenziale più intensa sempre essere oggi rivolta alla mitigazione, fino alla negazione, dei diritti in passato acquisiti, cominciando dai diritti costituzionalmente tutelati nella nostra nazione.
Ritenendo che non possano esistere diritti di secondo piano e che un interesse qualsiasi non direttamente proveniente da un altro diritto non possa avere impatti od influenze negative su di esso, il primo sforzo deve essere fatto nella direzione di leggere e comprendere, prima che di interpretare, qualsiasi diritto, con particolare attenzione a quelli costituzionali per i quali è disponibile un’ampia documentazione sulla discussione ad essi sottesa.
Per queste ragioni ritengo che qualsiasi diritto costituzionale prima di essere sottomesso a “leggi che lo regolamentano” debba almeno essere attuato così com’è e non “interpretato” per poter essere compresso a favore di elementi ad esso estranei.
In questo contesto il primo diritto non esplicitamente citato dalla costituzione, ma in essa compreso, ritengo sia certamente il diritto al lavoro che indicato come fondamento della nostra nazione repubblicana non può venir regolamentato per essere sottomesso ad interessi puramente economici e privati, da essere arrivato al punto di non essere nemmeno più un esigibile nella nostra nazione ed esercitato solo se il profitto lo consente.
È proprio in questo ambito che reputo la sentenza della Corte di Cassazione Sezione lavoro n° 25201 del 7 dicembre 2016 decisamente scandalosa, certamente corretta, dato che rispetto e non metterei mai in dubbio l’operato e la buona fede di un giudice, ma sotto il profilo della fruizione del diritto fondamentale della repubblica, citato testualmente nel primo paragrafo dell’articolo 1 della Costituzione in “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, scandalosa.
Con un atto giuridico ampiamente eloquente, la corte di Cassazione ha riformato , generando un precedente e formando giurisprudenza, una sentenza del giudice di appello che aveva riammesso al lavoro un dipendente perché il suo licenziamento era “motivato solo dai costi e, quindi, dal mero incremento del profitto”.
La tesi aziendale era che “concedere” all’imprenditore “la possibilità di sopprimere una specifica funzione aziendale solo in caso di crisi economica finanziaria e di necessità di riduzione dei costi rappresenti un limite gravemente vincolante l’autonomia di gestione dell’impresa, garantito costituzionalmente”, quindi la Corte, pur ammettendo che in passato vi erano effettivamente sentenze nella direzione del mantenimento del posto di lavoro, citando l’articolo 3 della l. n. 604 del 1966, nella parte in cui rileva, “il licenziamento per giustificato motivo … è determinato … da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro a al regolare funzionamento di essa”, ribaltava il verdetto affermando che “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore”.
La “repubblica democratica fondata sul lavoro” si arricchiva così di un nuovo elemento di diritto, quello di negare il lavoro ai suoi cittadini sulla base del diritto dell’impresa di gestire autonomamente i propri affari economici.
L’esatto contrario dell’articolo 1 della Costituzione che andrà oggi riscritto come “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul profitto”.
Del lavoro e della dignità
Sono queste cose che fanno diventare bolscevichi, ci si chiede quale “giustizia sociale”, invocata ingannevolmente anche da Matteo Renzi in campagna per le primarie PD, ci sia nell’applicare un diritto costituzionale così pedissequamente a negazione di un altro diritto costituzionale, quello evidentemente non esplicitato sufficientemente bene, quale quello del lavoro, base e fondamento della nostra nazione.
È incredibile trovarsi d’accordo con il Papa quando dice che «Il lavoro ci dà dignità. Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari chiude fabbriche, chiude imprese e toglie il lavoro agli uomini fa un peccato gravissimo».
Papa Francesco sindacalista non me lo aspettavo proprio, eppure afferma che «Il mondo del lavoro è una priorità umana» ed aggiunge «Chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore: è un commerciante. Oggi vende la sua gente, domani … vende la dignità propria. Si soffre sempre, e qualche volta da questa sofferenza nascono nuove idee per evitare il licenziamento. Questo è il buon imprenditore».
Sindacalista e formatore di dirigenti industriali, davvero unico e singolare che al giorno d’oggi serva un papa per richiamare i laici ai loro doveri fondamentali verso se stessi ed il prossimo, quello di costruire una società migliore da consegnare ai nostri figli, cattolici, musulmani od agnostici che siano.
La memoria storica
Purtroppo, nonostante le commemorazioni del 25 aprile, ci siamo scordati cosa abbia portato la nostra nazione ad essere quella che è, certamente è difficile pensare ad un giorno della memoria dedicato alla costituzione, dato che approvata il 22 dicembre, promulgata il 27 ed entrata in vigore il 1º gennaio, c’è un certo affollamento e sovrapposizione di date nel periodo che potrebbe vanificarne comunque gli effetti benefici del suo ricordo.
Ma la data non è importante, quello che importa è ricordare e meglio ancora conoscere, conoscere cosa abbia portato alla stesura di un testo, certamente non perfetto, ma con scritte tra le sue righe la sofferenza degli estensori.
Sofferenza che può essere trovata leggendo in particolare un testo, che propongo e poi riporto integralmente in calce, un testo del quale l’inventore ed attuatore materiale del fascismo ha personalmente detto che in esso « è stabilito nettissimamente il mio pensiero dal punto di vista filosofico e dottrinale. »
Si tratta del libro, oggi introvabile, “La dottrina del fascismo”, scritto di pugno da Benito Mussolini per essere usato come libro di testo ad uso delle scuole superiori, completando il ciclo fascista che dopo imposizioni e propaganda vedeva allora la terza fase: l’educazione fascista delle nuove generazioni.
Leggere per capire
Se è vero, come è vero, che la costituzione repubblicana italiana è antifascista, tutti noi, o quasi tutti, siamo o dovremmo essere antifascisti.
É anche vero, però, che troppo spesso parliamo del fascismo senza davvero conoscerlo, alimentando falsi miti e leggende di ogni tipo, nell’una e nell’altra direzione e nell’era di internet e dell’analfabetismo funzionale serve, forse, tornare indietro e rileggere il testo base sulla filosofia del fascismo, quella filosofia fascista subita e vissuta in prima persona dai padri costituenti e che probabilmente fu parte della loro ispirazione per non ripetere più gli errori del passato, tra monarchie e dittature di ogni genere.
Un testo scritto dallo stesso fondatore e teorico del Fascismo ad uso delle scuole superiori: “La dottrina del fascismo” di Benito Mussolini.
Certo, l’idea di leggere un libro scritto da Mussolini in persona può scandalizzare qualcuno, ma per combattere un nemico lo si deve conoscere e non chiudere gli occhi davanti a lui, si deve guardarlo per bene in faccia, comprenderlo e poi combatterlo consapevolmente al meglio.
La costituzione fu scritta da chi i contenuti di quel libro li conosceva perfettamente per esperienza diretta ed anche se forse nessuno di loro lo aveva mai letto sicuramente tutti lo avevano capito e per poter anche noi comprendere proprio quel libro in particolare può darci indicazioni sui valori civili ed antifascisti che chi l’ha scritta ha voluto fortissimamente avere nella nostra Costituzione Repubblicana.
La dottrina del fasciamo – Benito Mussolini 1936
Nella prefazione l’editore, Hulrico Hoepli di milano, ci avverte che la parte fondamentale “è costituita dallo scritto del Duce, nel quale – son, parole Sue – « è stabilito nettissimamente il mio pensiero dal punto di vista filosofico e dottrinale. »”, un libro, quindi, ed un contenuto che non può essere trascurato in qualsiasi momento si voglia riformare in qualsiasi modo il sistema legislativo italiano, specie se in modo permanente e duraturo.
In quel libro e solo in quel libro si trovano concentrate tutte le idee fondamentali dalle quali nel 1947 si scappava nell’immaginare il futuro di uno stato ormai libero dal fascismo, in esso è scritto che “Come ogni salda concezione politica, il Fascismo è prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina, e dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro”, anche se, forse, le frasi centrali da meglio analizzare sono le modalità con cui si esplicita il fascismo.
Mussolini sostiene che i “Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete”, riducendo la figura dell’elettore e della democrazia ad una semplice illusione di se stessa, infatti “La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno.”
Quindi, per Mussolini e conseguentemente per il fascismo, la democrazia è pericolosa per la governabilità dello stato che non deve avere troppi partecipanti ad esso, curiosa assonanza con le limitazioni di eleggibilità che si vogliono introdurre con sempre più forza da qualche tempo a questa parte.
Continuando la lettura si evidenzia anche che “Questo spiega perché il Fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinunciò prima della marcia su Roma, convinto che la questione delle forme politiche di uno Stato non è, oggi, preminente e che studiando nel campionario delle monarchie passate e presenti, delle repubbliche passate e presenti, risulta che monarchia e repubblica non sono da giudicare sotto la specie dell’eternità, ma rappresentano forme nelle quali si estrinseca.”
Concetto di non immutabilità nel tempo delle norme e delle forme di governo, inclusi le tutele sui diritti, in qualche modo espresso curiosamente anche da Renzi da primo ministro nei suoi discorsi pre-referendari.
Per il Duce la soluzione era una finta democrazia ed uno stato padrone sovrapposto ad una sorta di illusione collettiva nel quale “la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il Fascismo poté da chi scrive essere definito una «democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria»”.
Benito Mussolini descrive il fascismo come una sorta di democrazia imposta con norme vessatorie e stato di polizia, i padri fondatori, che certamente conoscevano bene la materia filosofica, provati da tale sitema totalitario decisero, probabilmente, di opporvisi nell’unico modo che consideravano possibile ed ancor oggi valido: nell’attuare un allargamento più ampio possibile della democrazia e non nella sua compressione per fini di semplice governabilità.
L’ingovernabilità di una nazione come quella italiana non era quindi vista un pericolo tanto grande se comparato con la possibilità di una compressione della sua democrazia e della partecipazione dei cittadini alla vita politica, per cui la seconda frase dell’articolo 1 dell’atto costitutivo italiano fu: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
L’analisi del testo alla luce del pensiero di Mussolini è interessante, perché se è vero che la sovranità spetta al popolo, come Mussolini e come governanti, i costituenti si erano posti anche il problema di generare comunque un limite e questo altri non poteva essere che l’atto costitutivo stesso, quindi la legge doveva attuarne il contenuto e mai interpretarlo o tanto meno stravolgerlo, cose che attraverso la Corte Costituzionale ancora avviene, ma che nell’uso comune della giurisprudenza viene in alcuni casi specifici, come per il diritto di sciopero in essa citato, nei fatti negato attraverso tali e tanti impedimenti da vanificarne l’esercizio.
In questa ottica, la rinuncia o la limitazione della democrazia in favore della governabilità già proposta in modo sostanzialmente identico nelle due modifiche costituzionali avviate da Berlusconi nel 20016 e da Renzi nel 2016 sembra realizzare in pieno le idee fasciste che da quasi un secolo rifuggiamo, la domanda quindi non dovrebbe essere se vogliamo cambiare, ma se davvero vogliamo tornare indietro o se, volendo cambiare a tutti i costi, non sia meglio pensare ad uno stato dove la democrazia diretta sia più presente al posto di uno stato dove la democrazia delegata rende tutto ingovernabile.
Allargamento democratico, quindi, non sue limitazioni.
Se osserviamo il problema da questo punto di vista sembra chiaro che quello che ci manca non sono limitazioni alla democrazia ma procedure in suo favore e per il sostegno di iniziative popolari affinchè la proposta e l’approvazione collettiva delle nuove norme sia semplice ed efficace, il grande accentramento di tutto ciò nello stato ed il difficile avvicinamento al potere legislativo che rende i cittadini più vicini all’idea di sudditi che di sovrani fa il paio con l’idea Mussoliniana antiindividualistica che egli stesso esprime: “la concezione fascista è per lo Stato ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato” e “contro il liberalismo classico”, arrivando a dichiarare che “Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto. La libertà non è un diritto, è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un’eguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C’è una libertà in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C’è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria.”
Le forme elettorali
In altri sistemi di governo, quello svizzero, per esempio, le consultazioni popolari per confermare l’operato del legislatore sono alla base della democrazia e nell’era di internet la relativa spesa e procedure sono enormemente abbattuti e più semplici, tanto che persino nell’Appenzeller, dove le donne hanno acquisito il voto solo dal 1990 e fino al 1996 il popolo si esprimeva in piazza per alzata di mano, si vota per corrispondenza o tramite internet con costi risibili, e chi può dire che la svizzera sia un paese sottosviluppato od una dittatura?
Non ci sono scuse, quindi, esistono modi e modalità democratiche efficienti ed economici anche senza dover rinunciare al bicameralismo, la cui funzione è principalmente quella di assicurare il pluralismo e l’equilibrio fra i poteri, tanto da essere in vigore in moltissimi paesi democratici al mondo senza essere messa in discussione. Francia e Stati Uniti hanno due camere e persino l’Unione Europea ha due assemblee che legiferano insieme e che sono, in modo diretto od indiretto, elette dai cittadini in modo chiaro e responsabile.
Con tutta probabilità, il quesito che i padri fondatori volevano risolvere era se governare a tutti i costi od inchinarsi democraticamente davanti alla nazione in quanto individuo e non stato padrone.
La soluzione costituzionale trovata nel 1947 è forse perfettibile, ma i perfezionamenti dovrebbero dirigersi nel senso dell’allargamento della democrazia e non della sua limitazione, il primo è spirito antifascista, il secondo conferma della teoria che “Il Fascismo nega che il numero, per il semplice fatto di essere numero, possa dirigere le società umane; nega che questo numero possa governare attraverso una consultazione periodica; afferma la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini che non si possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco com’è il suffragio universale.”
Sessantanove anni fa si scappava dal concetto che “Chi può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato. Quella che si chiama crisi, non si può risolvere se non dallo Stato, entro lo Stato” e che “Lo Stato fascista organizza la Nazione, ma lascia poi agli individui margini sufficienti; esso ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali.”, oggi siamo chiamati a guardare avanti, facciamolo, ma con gli occhi bene aperti.
La proposta (ovvero l’idea)
Il mio punto di vista, quindi, è quello di partire dal ripristino del sistema elettorale originario, delle quote originarie di sostegno per le candidature e la partecipazione politica e l’elezione di un governo che se non alla governabilità guardi alla democrazia il cui primo compito non debba essere quello di far solo quadrare i conti, necessità che può essere derogata di fronte alla tutela di un diritto, e che da quando è stato introdotto in costituzione il pareggio del bilancio dello stato perché “ce lo chiede l’Europa” è attuato anche e soprattutto a discapito di diritti primari, come la salute, l’istruzione, la vita, ma deve essere orientata al migliore ascolto e risposta delle necessità collettive e singole dei suoi milioni di sovrani che attraverso una forma di democrazia diretta, oggi assente, possano contribuire effettivamente alla gestione dello stato, esserne per questo coinvolti e partecipi, sostenendolo ed assumendo decisioni e responsabilità per se stessi in modo democratico.
Il periodo storico che viviamo e la tecnologia a disposizione permette tutto questo senza costi eccessivi, altrove già succede e noi italiani siamo sempre stati orgogliosi di aver inventato quasi tutto e di essere stati i primi in quasi tutti i casi del passato.
Abbiamo la tecnologia e le capacità, dimostriamo di saper usare bene entrambe.
f.to Pierluigi Pennati
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Il libro
Riporto di seguito il testo integrale dell’ormai introvabile libro “La dottrina del fasciamo” scritto da Benito Mussolini, ed. Hoepli. 1936.
LA DOTTRINA DEL FASCISMO di Benito MUSSOLINI
PREFAZIONE
I programmi scolastici approvati col R. D. 7 maggio 1936-XIV, n. 762, prescrivono, per i licei classici e scientifici e gli istituti magistrali, la conoscenza della « Dottrina del Fascismo ».
L’Editore è pertanto lieto di offrire agli insegnanti e agli alunni questo volume la cui parte fondamentale é costituita dallo scritto del DUCE, nel quale – son, parole Sue – « è stabilito nettissimamente il mio pensiero dal punto di vista filosofico e dottrinaIe ».
Segue una appendice che raccoglie le leggi più importanti, anche le recentissime, del Regime. Gli studenti meditino queste leggi che realizzano i postulati della dottrina mussoliniana. Diciamo realizzano, perché i provvedimenti legislativi sono la attuazione immediata dei principi del Fascismo e ne preparano gli sviluppi. Bisogna, interpretare al di là della lettera medesima — pur cosi esplicita — lo spirito delle leggi fasciste, si vedrà allora come la precisione e perfino l’aridità del linguaggio si animino di un’irresistibile eloquenza.
L’EDITORE
INDICE
CAPITOLO I
IDEE FONDAMENTALI
1] Il Fascismo come filosofia
2] Concezione spiritualistica
3] Concezione positiva della vita come lotta
4] Concezione etica
5] Concezione religiosa
6] Concezione etica e realistica
7] Antiindividualismo e libertà
8] Antisocialismo e corporativismo
9] Democrazia e Nazione
10] Concetto dello Stato
11] Stato etico
12] Contenuto dello Stato
13] Autorità
CAPITOLO II
DOTTRINA POLITICA E SOCIALE
1] Origini della dottrina
2] Svolgimento
3] Contro il pacifismo: la guerra, e la vita come dovere
4] La politica demografica e il “prossimo”
5] Contro il materialismo storico e il principio della lotta di classe
6] Contro le ideologie democratiche
7] Le menzogne della democrazia
8] Contro le dottrine liberali
9] Il Fascismo non torna indietro
10] Valore e missione dello Stato
11] L’unità dello Stato e le contraddizioni del capitalismo
12] Lo Stato fascista e la religione
13] Impero e disciplina
CAPITOLO I
IDEE FONDAMENTALI
Il Fascismo come filosofia. Concezione spiritualistica. Concezione positiva della vita come lotta. Concezione etica. Concezione religiosa. Concezione etica e realistica. Antiindividualismo e libertà. Antisocialismo e corporativismo. Democrazia e Nazione. Concetto dello Stato. Stato etico. Contenuto dello Stato. Autorità.
1] Come ogni salda concezione politica, il Fascismo è prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina, e dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro1.
- 1 Ora, il Fascismo italiano, pena la morte o. peggio, il suicidio, deve darsi un “corpo di dottrine”. Non saranno, non devono essere delle camicie di Nesso che ci vincolino per l’eternità – poiché il domani è misterioso e impensato – ma devono costituire una norma orientatrice della nostra quotidiana attività politica e individuale.
Io stesso, che le ho dettate, sono il primo a riconoscere che le nostre modeste tavole programmatiche – gli orientamenti teorici e pratici del Fascismo – devono essere rivedute, corrette, ampliata, corroborate, perché qua e là hanno subito le ingiurie del tempo. Credo che il nocciolo essenziale sia sempre nei suoi postulati, che per due anni hanno servito come segnale di raccolta per le schiere del Fascismo italiano; ma, pur prendendo l’avvio da quel nucleo primigenio, è tempo di procedere ad una ulteriore, più ampia elaborazione dello stesso programma.
A quest’opera di vita per il Fascismo dovrebbero con particolare fervore concorrere tutti i fascisti d’Italia, specialmente in quelle zone, dove, col patto o senza, si è pervenuti ad una pacifica convivenza dei due movimenti antagonistici.
La parola è un po’ grossa; ma io vorrei che nei due mesi che ci separano dall’Adunata Nazionale si creasse la filosofia del Fascismo italiano. Milano con la sua prima scuola di propaganda e cultura concorre a questo scopo. Non si tratta soltanto di preparare gli elementi programmatici sui quali poggiare solidamente la organizzazione di quel partito nel quale dovrà sfociare ineluttabilmente il movimento fascista; si tratta anche di smentire la stupida fola, secondo la quale nel Fascismo ci sarebbero soltanto dei violenti e non anche, com’è in realtà, degli spiriti inquieti e meditativi.
Questo indirizzo nuovo dell’attività fascista non danneggia – ne sono certissimo – quel magnifico spirito e temperamento di bellicosità, caratteristica peculiare del Fascismo. Attrezzare il cervello di dottrine e di solidi convincimenti non significa disarmare, ma irrobustire, rendere sempre più cosciente l’azione. I soldati che si battono con cognizione di causa sono sempre i migliori. Il Fascismo può e deve prendere a divisa il binomio mazziniano: Pensiero e Azione. [Lettera a M. Bianchi, 27 agosto 1921, in occasione dell’apertura della Scuola di propaganda e cultura fascista in Milano; v.- Messaggi e Proclami, Milano, Libreria d’Italia, 1929, pag. 39.]
Bisogna mettere in contatto i fascisti, far si che la loro attività sia anche una attività di dottrina, una attività spirituale e di pensiero…
Ora, se i nostri avversari fossero stati presenti alla nostra- riunione, si sarebbero convinti che il Fascismo non è soltanto azione, è anche pensiero… [Scritti e Discorsi: 1924, edizione definitiva; Hoepli, Milano, vol. IV, pag. 243. Nelle note seguenti sarà indicata con “S. e D.°’ la edizione definitiva degli Scritti e Discorsi di Benito Mussolini.]
Ha quindi una forma correlativa alle contingenze di luogo e di tempo, ma ha insieme un contenuto ideale che la eleva a formula di verità nella storia superiore del pensiero2.
- 2 Oggi io affermo che il Fascismo in quanto idea, dottrina, realizzazione, e universale; italiano nei suoi particolari istituti, esso è universale nello spirito, né potrebbe essere altrimenti. Lo spirito è universale per la sua stessa natura. Si può quindi prevedere una Europa fascista, una Europa che inspiri le sue istituzioni alle dottrine e alla pratica del Fascismo. Una Europa cioè che risolva, in senso fascista, il problema dello Stato moderno, dello Stato del XX secolo, ben diverso dagli Stati che esistevano prima del 1789 o che si formarono dopo. Il Fascismo oggi risponde ad esigenze di carattere universale. Esso risolve infatti il triplice problema dei rapporti fra Stato e individuo, fra Stato e gruppi, fra gruppi e gruppi organizzati. [S. e D.: 1930; vol. VII, pag. 230.]
Non si agisce spiritualmente nel mondo come volontà umana dominatrice di volontà senza un concetto della realtà transeunte e particolare su cui bisogna agire, e della realtà permanente e universale in cui la prima ha il suo essere e la sua vita. Per conoscere gli uomini bisogna conoscere l’uomo; e per conoscere l’uomo bisogna conoscere la realtà e le sue leggi. Non c’è concetto dello Stato che non sia fondamentalmente concetto della vita: filosofia o intuizione, sistema di idee che si svolge in una costruzione logica o si raccoglie in una visione o in una fede, ma è sempre, almeno virtualmente, una concezione organica del mondo.
2] Cosi il Fascismo non si intenderebbe in molti dei suoi atteggiamenti pratici, come organizzazione di partito, come sistema di educazione, come disciplina, se non si guardasse alla luce del suo modo generale di concepire la vita. Modo spiritualistico3.
- 3 Questo processo politico è affiancato da un processo filosofico: se è vero che la materia è rimasta per un secolo sugli altari, oggi è lo spirito che ne prende il posto. Conseguentemente vengono ripudiate tutte le manifestazioni peculiari dello spirito democratico: il facilonismo, l’improvvisazione, la mancanza di senso personale di responsabilità, l’esaltazione del numero e di quella misteriosa divinità che si chiama “popolo”. Tutte le creazioni dello spirito – a cominciare da quelle religiose – vengono al primo piano, mentre nessuno osa più attardarsi nelle posizioni di quell’anticlericalismo che fu, per molti decenni, nel mondo occidentale, l’occupazione preferita della democrazia. Quando si dice che Dio ritorna, s’intende affermare che i valori dello spirito ritornano. [S. e D.: 1922; vol. II, pag. 264.]
Vi è una zona riservata, più che alla ricerca, alla meditazione dei supremi fini della vita. Quindi, la scienza parte dall`esperienza ma sbocca fatalmente nella filosofia e, a mio avviso, solo la filosofia può illuminare la scienza e portarla sul terreno dell’idea universale. [S. e D.: vol. V, pagina 464.]
Il movimento fascista per essere compreso deve essere considerato in tutta la sua vastità e profondità di fenomeno spirituale. Le sue manifestazioni sono state le più potenti e le più decisive, ma non bisogna fermarsi ad esse. Il Fascismo italiano non è stato infatti solamente una rivolta politica contro governi fiacchi e incapaci che avevano lasciato decadere l’autorità dello Stato e minacciavano di arrestare l’Italia sulla via del suo maggiore sviluppo, ma è stato una rivolta spirituale contro vecchie ideologie che corrompevano i sacri principi della religione, della patria e della famiglia. Rivolta spirituale dunque, il Fascismo è stato espresso direttamente dal popolo. [Un messaggio al pubblico inglese, 5 gennaio 1924; o.: Messaggi e Proclami, Milano, Libreria d’Italia, 1929, p. 107.]
Il mondo per il Fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie, in cui l’uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L’uomo del Fascismo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l’istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, attraverso l’abnegazione di sé, il sacrificio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell’esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo.
3] Dunque concezione spiritualistica, sorta anch’essa dalla generale reazione del secolo contro il fiacco e materialistico positivismo dell’Ottocento. Antipositivistica, ma positiva: non scettica, né agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica, come sono in genere le dottrine (tutte negative) che pongono il centro della vita fuori dell’uomo, che con la sua libera volontà può e deve crearsi il suo mondo. Il Fascismo vuole l’uomo attivo e impegnato nell’azione con tutte le sue energie: lo vuole virilmente consapevole delle difficoltà che ci sono, e pronto ad affrontarle. Concepisce la vita come lotta, pensando che spetti all’uomo conquistarsi quella che sia veramente degna di lui, creando prima di tutto in sé stesso lo strumento (fisico, morale, intellettuale) per edificarla. Cosi per l’individuo singolo, così per la nazione, così per l’umanità 4.
- 4 La lotta è l’origine di tutte le cose perché la vita è tutta piena di contrasti: c’è l’amore e l’odio, il bianco e il nero, il giorno e la notte, il bene e il male, e finché questi contrasti non si assommano in equilibrio, la lotta sarà sempre nel fondo della natura umana, come suprema fatalità. E del resto è bene che sia così. Oggi può essere la lotta di guerra economica, di idee, ma il giorno in cui piú non si lottasse, sarebbe giorno di malinconia, di fine, di rovina. Ora, questo giorno non verrà. Appunto perché la storia si presenta sempre come un panorama cangiante. Se si pretendesse di ritornare alla calma, alla pace, alla tranquillità, si combatterebbero le odierne tendenze dell’attuale periodo dinamico. Bisogna prepararsi ad altre sorprese, ad altre lotte. Non ci sarà un periodo di pace sino a quando i popoli si abbandoneranno ad un sogno cristiano di fratellanza universale e potranno stendersi la mano oltre gli oceani e le montagne. Io, per mio conto, non credo troppo a questi ideali, ma non li escludo perché io non escludo niente… [S. e D.: 1921; vol. II, pagg. 99-100.]
Quindi l’alto valore della cultura in tutte le sue forme (arte, religione, scienza)5, e l’importanza grandissima dell’educazione. Quindi anche il valore essenziale del lavoro, con cui l’uomo vince la natura e crea il mondo umano (economico, politico, morale, intellettuale).
- 5 Intendo l’onore delle nazioni nel contributo che hanno dato alla cultura dell’umanità. [E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, 1932, pag. 199.]
4] Questa concezione positiva della vita è evidentemente una concezione etica. E investe tutta la realtà, nonché l’attività umana che la signoreggia. Nessuna azione sottratta al giudizio morale; niente al mondo che si possa spogliare del valore che a tutto compete in ordine ai fini morali. La vita perciò quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito. ll fascista disdegna la vita “comoda”6.
- 6 Chiamai invece questa organizzazione: « Fasci italiani di combattimento ». In questa parola dura e metallica c’era tutto il programma del Fascismo, così come io lo sognavo, così come io lo volevo, cosi come io l`ho fatto!
Ancora questo è il programma, o camerati: combattere.
Per noi fascisti la vita è un combattimento continuo, incessante che noi accettiamo con grande disinvoltura, con grande coraggio, con la intrepidezza necessaria. [S. e D.: 1926; vol. V, pagg. 297-98.]
Eccoci persino di nuovo al nocciolo della filosofia fascista. Quando un filosofo finlandese mi pregò recentemente di dargli il senso del Fascismo in una frase, io scrissi in lingua tedesca: « Noi siamo contro la vita comoda!› Ludwig, 1. c., pag. 190.]
5] Il Fascismo è una concezione religiosa7, in cui l’uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale. Chi nella politica religiosa del regime fascista si è fermato a considerazioni di mera opportunità, non ha inteso che il Fascismo, oltre a essere un sistema di governo, è anche, e prima di tutto, un sistema di pensiero.
- 7 Se il Fascismo non fosse una fede, come darebbe lo stoicismo e il coraggio ai suoi gregari? Solo una fede, che ha raggiunto le altitudini religiose, solo una fede può suggerire le parole uscite dalle labbra ormai esangui di Federico Florio. [S. e D.: 1922; vol. ll, pag. 233.]
6] Il Fascismo è una concezione storica, nella quale l’uomo non è quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui concorre, nel gruppo familiare sociale, nella nazione e nella storia, a cui tutte le nazioni collaborano. Donde il gran valore della tradizione nelle memorie, nella lingua, nei costumi, nelle norme del vivere sociale8. Fuori della storia l’uomo è nulla. Perciò il Fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la “felicità” sulla terra, come fu nel desiderio della letteratura economicistica del 700, e quindi respinge tutte le concezioni teleologiche per cui a un certo periodo della storia ci sarebbe una sistemazione definitiva del genere umano. Questo significa mettersi fuori della storia e della vita che è continuo fluire e divenire. Il Fascismo politicamente vuol essere una dottrina realistica; praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che si pongono storicamente da sé e che da sé trovano o suggeriscono la propria soluzione9. Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto10.
- 8 La tradizione è certamente una delle più grandi forze spirituali dei popoli in quanto che è una creazione successiva e costante della loro anima. [S. e D.: 1922; vol. Il, pag. 235.]
- 9 Il nostro temperamento ci porta a valutare l’aspetto concreto dei problemi, non già le loro sublimazioni ideologiche o mistiche. Per questo ritroviamo facilmente l’equilibrio [S. e D.: 1917; vol. I, pag. 272.]
La nostra battaglia è più ingrata ma è più bella, perché ci impone di contare soltanto sulle nostre forze. Noi abbiamo stracciato tutte le verità rivelate, abbiamo sputato su tutti i dogmi, respinto tutti i paradisi, schernito tutti i ciarlatani – bianchi, rossi, neri – che mettono in commercio le droghe miracolosa per dare la “felicità” al genere umano. Non crediamo ai programmi, agli schemi, ai santi, agli apostoli: non crediamo soprattutto alla felicità, alla salvazione, alla terra promessa. Non crediamo a una soluzione unica – sia essa di specie economica o politica o morale – a una soluzione lineare dei problemi della vita, perché – o illustri cantastorie di tutte le sacristie – la vita non è lineare e non la ridurrete mai a un segmento chiuso fra bisogni primordiali. [S. e D.: 1920; vol. II, pagine 53-4.] - 10 Noi non siamo, noi non vogliamo essere mummia perennemente immobili con la faccia rivolta allo stesso orizzonte, o rinchiuderci tra le siepi anguste della beghinitá sovversiva, dove si biascicano meccanicamente le formule corrispondenti alle preci delle religioni professate; ma siamo uomini e uomini vivi che vogliamo dare il nostro contributo, sia pure modesto, alla creazione della storia. [S. e D.: 1914; vol. I, pag. 8.]
Noi agitiamo dei valori morali e tradizionali che il socialismo trascura o disprezza; ma soprattutto lo spirito fascista rifugge da tutto ciò che è ipoteca arbitraria sul misterioso futuro. [S. e D.: 1921; vol. II, pagina 153.]
Davanti alle parole ed ai concetti che vi si riannodano, di destra e di sinistra, di conservazione e di rinnovazione, di tradizione e di progresso, noi non ci aggrappiamo disperatamente al passato, come a tavola suprema di salvezza, né ci lanciamo a capofitto fra le nebbie seducenti dell’avvenire. [S. e D.: 1922; vol. II, pag. 236.]
Il negativo, l’eterno immobile, è dannazione. Io sono per il movimento. Io sono un marciatore. [Ludwig, 1. c., pag. 204.]
7] Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica11. È contro il liberalismo classico, che sorse dal bisogno di reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare. Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse dell’individuo particolare; il Fascismo riafferma lo Stato come realtà vera dell’individuo12. E se la libertà dev’essere l’attributo dell’uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il Fascismo è per la libertà. È per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello Stato13. Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il Fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo14.
- 11 Siamo i primi ad avere affermato, di fronte all’individualismo demoliberale, che l’individuo non esiste, se non in quanto è nello Stato e subordinato alle necessità dello Stato, e che, man mano che la civiltà assume forme sempre più complesse, la libertà dell’individuo sempre più si restringe. [S. e D.: 1929; vol. VII, pag. 147.]
Il senso dello Stato grandeggia nella coscienza degli Italiani, i quali sentono che solo lo Stato è la insostituibile garanzia della loro unità e della loro indipendenza; che solo lo Stato rappresenta la continuità nell’avvenire della loro stirpe e della loro storia! [Id., pag. 152.]
Se negli ottanta anni trascorsi abbiamo realizzato dei progressi cosi imponenti, voi pensate e potete supporre e prevedere che nei prossimi cinquanta od ottanta anni il cammino dell’Italia, di questa Italia che noi sentiamo cosi potente, cosi percorsa da linfe vitali, sarà veramente grandioso specialmente se durerà la concordia di tutti i cittadini, se lo Stato continuerà ed essere l’arbitro nelle contese politiche e sociali, se tutto sarà nello Stato e niente fuori dello Stato, perché oggi non si concepisce un individuo fuori dello Stato se non sia l’individuo selvaggio che non può rivendicare per sé che la solitudine e la sabbia del deserto. [S. e D.: 1928; vol. VI, pag. 173.]
Il Fascismo ha restituito allo Stato la sua attività sovrana – rivendicandone, contro tutti i particolarismi di classe e di categoria, l’assoluto valore etico; ha restituito al governo dello Stato, ridotto a strumento esecutivo dell’assemblea elettiva, la sua dignità di rappresentante della personalità dello Stato e la pienezza della sua potestà di imperio; ha sottratto l’amministrazione alle pressioni di tutte le faziosità e di tutti gli interessi. [S. e D.: 1928; vol. VI, pag. 292.] - 12 Né si pensi di negare il carattere morale dello Stato fascista, perché io mi vergognerei di parlare da questa tribuna se non sentissi di rappresentare la forza morale e spirituale dello Stato. Che cosa sarebbe lo Stato se non avesse un suo spirito, una sua morale, che è quella che da la forza alle sue leggi, e per la quale esso riesce a farsi ubbidire dai cittadini?
… Lo Stato fascista rivendica in pieno il suo carattere di eticità: e cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto, esclusivamente, essenzialmente fascista. Il Cattolicismo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi, sotto la specie filosofica e metafisica, di cambiarci le carte in tavola. [S. e D.: 1929; vol. VII, pag. 104-5.]
… uno Stato che è conscio della sua missione e che rappresenta un popolo che cammina, uno Stato che trasforma questo popolo continuamente, anche nel suo aspetto fisico. A questo popolo lo Stato deve dire delle grandi parole, agitare delle grandi idee e dei grandi problemi non fare soltanto dell’ordinaria amministrazione. [Id., pag. 105.] - 13 Il concetto di libertà non è assoluto perché nella vita nulla vi è di assoluto. La liberta non è un diritto, è un dovere. Non è una elargizione: è una conquista; non è un’eguaglianza: è un privilegio. Il concetto di libertà muta col passare del tempo. C’è una liberta in tempo di pace che non è più la libertà in tempo di guerra. C’è una libertà in tempo di ricchezza che non può essere concessa in tempo di miseria. [S. e D.: 1924; volume IV, pag. 77.]
… nel nostro Stato la liberta all’individuo non manca. Egli la possiede più che l’uomo isolato: poiché lo Stato lo protegge, egli è una parte dello Stato. L’uomo isolato invece resta indifeso. [Ludwig, 1. c., pagina 129.] - 14 Oggi preannunziamo al mondo la creazione del potente Stato unitario italiano, dall’Alpi alla Sicilia, e questo Stato si esprime in una democrazia accentrata, organizzata, unitaria, nella quale democrazia il popolo circola a suo agio, perchè, o signori, o voi immettete il popolo nella città della dello Stato, ed egli la difenderà, o sarà al di fuori, ed egli l’assalterà. [S. e D.: 1927; vol VI, pag. 77.]
Nel regime fascista l’unita di tutte le classi, l’unita politica, sociale e morale del popolo italiano si realizza nello Stato e soltanto nello Stato fascista. [S. e D.: 1928; vol. VI, pag. 282.]
8] Né individui fuori dello Stato, né gruppi (partiti politici, associazioni, sindacati, classi)15. Perciò il Fascismo è contro il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotta di classe e ignora l’unità statale che le classi fonde in una sola realtà economica e morale; e analogamente, è contro il sindacalismo classista. Ma nell’orbita dello Stato ordinatore, le reali esigenze da cui trasse origine il movimento socialista e sindacalista, il Fascismo le Vuole riconosciute e le fa valere nel sistema corporativo degli interessi conciliati nell’unità dello Stato16.
- 15 Abbiamo creato lo Stato unitario italiano. Pensate che dall’Impero in poi, l’Italia non fu più uno Stato unitario. Noi qui riaffermiamo solennemente la nostra dottrina concernente lo Stato; qui riaffermo non meno energicamente la mia formula del discorso alla Scala di Milano «tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato ›. [S. e D.: l92?; pol. VI, pag. 26.]
- 16 … siamo cioè in uno Stato che controlla tutte le forze che agiscono in seno alla nazione. Controlliamo le forze politiche, controlliamo le forze morali, controlliamo le forze economiche, siamo quindi in pieno Stato corporativo fascista…
Noi rappresentiamo un principio nuovo nel mondo, noi rappresentiamo la antitesi netta, categorica, definitiva di tutto il mondo della democrazia, della plutocrazia, della massoneria, di tutto il mondo, per dire in una parola, degli immortali principi dell’89. [S. E D.: 1926; pol. V, pagine 310-11.]
Il Ministero delle Corporazioni non è un organo burocratico e nemmeno vuole sostituirsi alle organizzazioni sindacali nella loro azione necessariamente autonoma, diretta ad inquadrare, selezionare, migliorare i loro aderenti. Il Ministero delle Corporazioni è l’organo per cui, al centro o alla periferia, si realizza la corporazione integrale, si attuano gli equilibri fra gli interessi e le forze del mondo economico. Attuazione possibile, sul terreno dello Stato, perché solo lo Stato trascende gli interessi contrastanti dei singoli e dei gruppi, per coordinarli ad un fine superiore, attuazione resa più spedita dal fatto che tutte le organizzazioni economiche riconosciute, garantite, tutelate nello Stato corporativo, vivono nell’orbita comune del Fascismo: accettano cioè la concezione dottrinale e pratica del Fascismo. [S. e D.: 1926; pol. V, pagg. 371-72.]
… abbiamo sostituito lo Stato corporativo e fascista, lo Stato della società nazionale, lo Stato che raccoglie, controlla, armonizza e contempera gli interessi di tutte le classi sociali, le quali si vedono egualmente tutelate. E mentre prima, durante gli anni del regime demo-liberale, le masse laboriose guardavano con diffidenza lo Sta-to, erano al di fuori dello Stato, erano contro lo Stato, consideravano lo Stato come un nemico d’ogni giorno e di ogni ora, oggi non c’è Italiano che lavori, che non cerchi il suo posto nelle Corporazioni, nelle federazioni, che non voglia essere una molecola vivente di quel grande, immenso organismo vivente che è lo Stato nazionale corporativo fascista. [S. e D.: 1926; vol. V, pag. 449.]
9] Gli individui sono classi secondo le categorie degli interessi; sono sindacati secondo le differenziate attività economiche cointeressate; ma sono prima di tutto e soprattutto Stato. Il quale non è numero, come somma d’individui formanti la maggioranza di un popolo. E perciò il Fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei piú17; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev’essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti18. Di tutti coloro che dalla natura e dalla storia, etnicamente, traggono ragione di formare una nazione, avviati sopra la stessa linea di sviluppo e formazione spirituale, come una coscienza e una volontà sola. Non razza, né regione geograficamente individuata, ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da una idea, che è volontà di esistenza e di potenza: coscienza di sé, personalità19.
- 17 La guerra è stata “rivoluzionaria” nel senso che ha liquidato – tra fiumi di sangue – il secolo della democrazia, il secolo del numero, delle maggioranze, della quantità. [S. e D.: 1922; vol. Il, pag. 265.]
- 18 V. nota 13.
- 19 Razza: questo è un sentimento, non una realtà; il 95% è sentimento. [Ludwig, I. c., pag. 75.]
10] Questa personalità superiore è bensì nazione in quanto è Stato. Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vieto concetto naturalistico che servi di base alla pubblicistica degli Stati nazionali nel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva esistenza. Il diritto di una nazione all’indipendenza deriva non da una letteraria e ideale coscienza del proprio essere, e tanto meno da una situazione di fatto più o meno inconsapevole e inerte, ma da una coscienza attiva, da una volontà politica in atto e disposta a dimostrare il proprio diritto: cioè, da una sorta di Stato già in fieri. Lo Stato infatti, come volontà etica universale, è creatore del diritto20.
- 20 Una nazione esiste in quanto è un popolo. Un popolo ascende in quanto sia numeroso, laborioso e ordinato. La potenza è la risultante di questo fondamentale trinomio [S. e D.: 1929; vol. VII, pagg. 14-15.]
Il Fascismo non nega lo Stato; afferma che una società civica nazionale o imperiale non può essere pensata che sotto la specie di Stato. [S. e D.: 1922; val. II, pag. 294.]
Per noi la nazione è soprattutto’ spirito e non soltanto territorio. Ci sono Stati che hanno avuto immensi territori e che non lasciarono traccia alcuna nella storia umana. Non è soltanto numero, perché si ebbero, nella storia, degli Stati piccolissimi, microscopici, che hanno lasciato documenti memorabili, imperituri nell’arte e nella filosofia.
La grandezza della nazione è il complesso di tutte queste virtù, di tutte queste condizioni. Una nazione è grande quando traduce nella realtà la forza del suo spirito. [Id., pag. 346.]
Noi vogliamo unificare la nazione nello Stato sovrano, che è sopra di tutti e può essere contro tutti perché rappresenta la continuità morale della nazione nella storia. Senza lo Stato non c’è nazione. Ci sono soltanto degli aggregati umani, suscettibili di tutte le disintegrazioni che la storia può infliggere loro. [S. e D.: 1924; vol. IV, pagg. 244-5.]
11] La nazione come Stato è una realtà etica che esiste e vive in quanto si sviluppa. Il suo arresto è la sua morte. Perciò lo Stato non solo è autorità che governa e dà forma di legge e valore di vita spirituale alle volontà individuali, ma è anche potenza che fa valere la sua volontà all’esterno, facendola riconoscere e rispettare, ossia dimostrandone col fatto l’universalità in tutte le determinazioni necessarie del suo svolgimento21. È perciò organizzazione ed espansione, almeno virtuale. Cosi può adeguarsi alla natura dell’umana volontà, che nel suo sviluppo non conosce barriere, ei che si realizza provando la propria infinità22.
- 21 Io credo che i popoli… se vogliono vivere, debbono sviluppare una certa volontà di potenza; altrimenti vegetano e vivacchiano e saranno preda di un popolo più forte che questa volontà di potenza ha maggiormente sviluppata. [Discorso al Senato, 28 maggio 1926.]
- 22 È il Fascismo che ha rifoggiato il carattere degli Italiani, scrostando dalle nostre anime ogni scoria impura, temprandolo a tutti i sacrifizi, dando al volto italiano il suo vero aspetto di forza e di bellezza. [S. e D.: 1926; vol. V, pag. 346.]
Non è fuor di luogo illustrare il carattere intrinseco, la significazione profonda della Leva fascista. Non si tratta soltanto di una cerimonia, ma di un momento importantissimo di quel sistema di educazione e preparazione totalitaria e integrale dell’uomo italiano che la Rivoluzione fascista considera come uno dei compiti fondamentali e pregiudiziali dello Stato, anzi il fondamentale. Qualora lo Stato non lo assolva o accetti comunque di discuterne, esso mette in gioco puramente e semplicemente il suo diritto di esistere. [S. e D.: 1928; vol. VI, pag. 156.]
12] Lo Stato fascista, forma più alta e potente della personalità, è forza, ma spirituale. La quale riassume tutte le forme della vita morale e intellettuale dell’uomo. Non si può quindi limitare a semplici funzioni di ordine e tutela, come voleva il liberalismo. Non è un ‘semplice meccanismo che limiti la sfera delle presunte libertà individuali. È forma e norma interiore, e disciplina di tutta la persona; penetra la volontà come l’intelligenza. Il suo principio, ispirazione centrale dell’umana personalità vivente nella comunità civile, scende nel profondo e si annida nel cuore dell’uomo d’azione come del pensatore, dell’artista come dello scienziato: anima dell’anima.
13] Il Fascismo insomma non è soltanto datore di leggi e fondatore d’istituti, ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuol rifare non le forme della vita umana, ma il contenuto, l’uo1no, il carattere, la fede. E a questo fine vuole disciplina, e autorità che scenda addentro negli spiriti, e vi domini incontrastata. La sua insegna perciò è il fascio littorio, simbolo dell’unità, della forza e della giustizia.
CAPITOLO II
DOTTRINA POLITICA E SOCIALE
Origini della dottrina. Svolgimento. Contro il pacifismo: la guerra, e la vita come dovere. La politica demografica e il “prossimo”. Contro il materialismo storico e il principio della lotta di classe. Contro le ideologie democratiche. Le menzogne della democrazia. Contro le dottrine liberali. Il Fascismo non torna indietro. Valore e missione dello Stato. L’unità dello Stato e le contraddizioni del capitalismo. Lo Stato fascista e la religione. Impero e disciplina.
1] Quando, nell’ormai lontano marzo del 1919, dalle colonne del POPOLO D’lTALIA io convocai a Milano i superstiti interventisti intervenuti, che mi avevano seguito sin dalla costituzione dei Fasci di azione rivoluzionaria – avvenuta nel gennaio del 1915 –, non c’era nessuno specifico piano dottrinale nel mio spirito. Di una sola dottrina io recavo l’esperienza vissuta: quella del socialismo dal 1903-1904 sino all’inverno del 1914: circa un decennio. Esperienza di gregario e di capo, ma non esperienza dottrinale. La mia dottrina anche in quel periodo, era stata la dottrina dell’azione. Una dottrina univoca, universalmente accettata, del socialismo non esisteva più sin dal 1905, quando cominciò in Germania il movimento revisionista facente capo al Bernstein e per contro si formò, nell’altalena delle tendenze, un movimento di sinistra rivoluzionario, che in Italia non uscì mai dal campo delle frasi, mentre, nel socialismo russo, fu il preludio del bolscevismo. Riformismo, rivoluzionarismo, centrismo, di questa terminologia anche gli echi sono spenti, mentre nel grande fiume del Fascismo troverete i filoni che si dipartirono dal Sorel, dal Péguy, dal Lagardelle del Mouvement socialiste e dalla coorte dei sindacalisti italiani, che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell’ambiente socialistico italiano – svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana – con le PAGINE LIBERE di Olivetti, LA LUPA di Orano, il DIVENIRE SOCIALE di Enrico Leone.
Nel 1919, finita la guerra, il socialismo era già morto come dottrina: esisteva solo come rancore, aveva ancora una sola possibilità, specialmente in Italia, la rappresaglia contro coloro che avevano voluto la guerra e che dovevano “espiarla”. Il POPOLO D’ITALIA recava nel sottotitolo « quotidiano dei combattenti e dei produttori ». La parola “produttori” era già l’espressione di un indirizzo mentale. Il Fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito, ma nei primi due anni, antipartito e movimento. Il nome che io diedi all’organizzazione, ne fissava i caratteri. Eppure chi rilegga, nei fogli oramai gualciti dell’epoca, il resoconto dell’adunata costitutiva dei Fasci italiani di combattimento, non troverà una dottrina, ma una serie di spunti, di anticipazioni, di accenni, che, liberati dall’inevitabile ganga delle contingenze, dovevano poi, dopo alcuni anni, svilupparsi in una serie di posizioni dottrinali, che facevano del Fascismo una dottrina politica a sé stante, in confronto di tutte le altre e passate e contemporanee. « Se la borghesia – dicevo allora – crede di trovare in noi dei parafulmini si inganna. Noi dobbiamo andare incontro al lavoro… Vogliamo abituare le classi operaie alla capacità direttiva, anche per convincerle che non ‘è facile mandare avanti una industria o un commercio… Combatteremo il retroguardismo tecnico e spirituale… Aperta la successione del regime noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbiamo correre; se il regime sarà superato saremo noi che dovremo occupare il suo posto. Il diritto di successione ci viene perché spingemmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria! L’attuale rappresentanza politica non ci può bastare, vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi… Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna alle corporazioni. Non importa!… Vorrei perciò che l’assemblea accettasse le rivendicazioni del sindacalismo nazionale dal punto di vista economico… »
Non è singolare che sin dalla prima giornata di Piazza San Sepolcro risuoni la parola “corporazione” che doveva, nel corso della Rivoluzione, significare una delle creazioni legislative e sociali alla base del regime?
2] Gli anni che precedettero la marcia su Roma, furono anni durante i quali le necessità dell’azione non tollerarono indagini o complete elaborazioni dottrinali. Si battagliava nelle città e nei villaggi. Si discuteva, ma – quel ch’è più sacro e importante – si moriva. Si sapeva morire. La dottrina – bell’e formata, con divisione di capitoli e paragrafi e contorno di elucubrazioni – poteva mancare; ma c’era a sostituirla qualche cosa di più decisivo: la fede. Purtuttavia, a chi rimemori sulla scorta dei libri, degli articoli, dei voti dei congressi, dei discorsi maggiori e minori, chi sappia indagare e scegliere, troverà che i fondamenti della dottrina furono gettati mentre infuriava la battaglia. È precisamente in quegli anni, che anche il pensiero fascista si arma, si raffina, procede verso una sua organizzazione. I problemi dell’individuo e dello Stato; i problemi dell’autorità e della libertà; i problemi politici e sociali e quelli più specificatamente nazionali; la lotta contro le dottrine liberali, democratiche, socialistiche, massoniche, popolaresche fu condotta contemporaneamente alle “spedizioni punitive”. Ma poiché mancò il “sistema”, si negò dagli avversari in malafede al Fascismo ogni capacità di dottrina, mentre la dottrina veniva sorgendo, sia pure tumultuosamente, dapprima sotto l’aspetto di una negazione violenta e dogmatica, come accade di tutte le idee che esordiscono, poi sotto l’aspetto positivo di una costruzione, che trovava, successivamente negli anni 1926, 1927 e 1928, la sua realizzazione nelle leggi e negli istituti del regime.
Il Fascismo è oggi nettamente individuato non solo come regime, ma come dottrina. Questa parola va interpretata nel senso che oggi il Fascismo, esercitando la sua critica su sé stesso e sugli altri, ha un suo proprio inconfondibile punto di vista, di riferimento – e quindi di direzione – dinnanzi a tutti i problemi che angustiano, nelle cose o nelle intelligenze, i popoli del mondo.
3] Anzitutto il Fascismo, per quanto riguarda, in generale, l’avvenire e lo sviluppo dell’umanità, e a parte ogni considerazione di politica attuale, non crede alla possibilità né all°uti1ità della pace perpetua. Respinge quindi il pacifismo che nasconde una rinuncia alla lotta e una viltà – di fronte al sacrificio. Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla. Tutte le altre prove sono dei sostituti, che non pongono mai l’uomo di fronte a sé stesso, nell’alternativa della vita e della morte. Una dottrina, quindi, che parta dal postulato pregiudiziale della pace, è estranea al Fascismo; così come estranee allo spirito del Fascismo, anche se accettate per quel tanto di utilità che possano avere in determinate situazioni politiche, sono tutte le costruzioni internazionalistiche e societarie, le quali, come la storia dimostra, si possono disperdere al vento quando elementi sentimentali, ideali e pratici, muovono a tempesta il cuore dei popoli. Questo spirito antipacifista, il Fascismo lo trasporta anche nella vita degli individui. L’orgoglioso motto squadrista “ me ne frego “, scritto sulle bende di una ferita, è un atto di filosofia non soltanto stoica, è il sunto di una dottrina non soltanto politica: è l’educazione al combattimento, l’accettazione dei rischi che esso comporta; è un nuovo stile di vita italiano. Cosi il fascista accetta, ama la vita, ignora e ritiene vile il suicidio; comprende la vita come dovere, elevazione, conquista: la vita che deve essere alta e piena: vissuta per sé, ma soprattutto per gli altri, vicini e lontani, presenti e futuri.
4] La politica “demografica” del regime è la conseguenza di queste premesse. Anche il fascista ama infatti il suo prossimo, ma questo “prossimo” non è per lui un concetto vago e inafferrabile: l’amore per il prossimo non impedisce le necessarie educatrici severità, e ancora meno le differenziazioni e le distanze. Il Fascismo respinge gli abbracciamenti universali e, pur vivendo nella comunità dei popoli civili, li guarda vigilante e diffidente negli occhi, li segue nei loro stati d’animo e nella trasformazione dei loro interessi, né si lascia ingannare da apparenze mutevoli e fallaci.
5] Una siffatta concezione della vita porta il Fascismo a essere la negazione recisa di quella dottrina che costituì la base del socialismo cosiddetto scientifico o marxiano: la dottrina del materialismo storico, secondo il quale la storia delle civiltà umane si spiegherebbe soltanto con la lotta d’interessi fra i diversi gruppi sociali e col cambiamento dei mezzi e strumenti di produzione. Che le vicende dell’economia – scoperte di materie prime, nuovi metodi di lavoro, invenzioni scientifiche – abbiano una loro importanza, nessuno nega, ma che esse bastino a spiegare la storia umana escludendone tutti gli altri fattori, è assurdo: il Fascismo crede ancora e sempre nella santità e nell’eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico – lontano o vicino – agisce. Negato il materialismo storico, per cui gli uomini non sarebbero che comparse della storia, che appaiono e scompaiono alla superficie dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze direttrici, è negata anche la lotta di classe, immutabile e irreparabile, che di questa concezione economicistica della storia è la naturale figliazione, e soprattutto è negato che la lotta di classe sia l’agente preponderante delle trasformazioni sociali. Colpito il socialismo in questi due capisaldi della sua dottrina, di esso non resta allora che l’aspirazione sentimentale – antica come l’umanità – a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le sofferenze e i dolori della, più umile gente. Ma qui il Fascismo respinge il concetto di “felicità” economica, che si realizzerebbe socialisticamente e quasi automaticamente a un dato momento dell’evoluzione dell’economia, con l’assicurare a tutti il massimo di benessere. Il Fascismo nega il concetto materialistico di “felicità” come possibile e lo abbandona agli economisti della prima metà del 700; nega cioè l’equazione benessere = felicità, che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa.
6] Dopo il socialismo, il Fascismo batte in breccia tutto il complesso delle ideologie democratiche e le respinge, sia nelle loro premesse teoriche, sia nelle loro applicazioni o strumentazioni pratiche. Il Fascismo nega che il numero, per il semplice fatto di essere numero, possa dirigere le società umane; nega che questo numero possa governare attraverso una consultazione periodica; afferma la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini che non si possono livellare attraverso un fatto meccanico ed estrinseco com’è il suffragio universale. Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno. Questo spiega perché il Fascismo, pur avendo prima del 1922 – per ragioni di contingenza – assunto un atteggiamento di tendenzialità repubblicana, vi rinuncio prima della marcia su Roma, convinto che la questione delle forme politiche di uno Stato non è, oggi, preminente e che studiando nel campionario delle monarchie passate e presenti, delle repubbliche passate e presenti, risulta che monarchia e repubblica non sono da giudicare sotto la specie dell’eternità, ma rappresentano forme nelle quali si estrinseca. l’evoluzione politica, la storia, la tradizione, la psicologia di un determinato paese. Ora il Fascismo supera l’antitesi monarchia-repubblica sulla quale si attardò il democraticismo, caricando la prima di tutte le insufficienze, e apologizzando l’ultima come regime di perfezione. Ora s’è visto che ci sono repubbliche intimamente reazionarie o assolutistiche, e monarchie che accolgono le più ardite esperienze politiche e sociali.
7] “ La ragione, la scienza – diceva Renan che ebbe delle illuminazioni prefasciste, in una
delle sue MEDITAZIONI FILOSOFICHE – sono dei prodotti dell’umanità, ma volere la ragione direttamente per il popolo e attraverso il popolo è una chimera. Non è necessario per l’esistenza della ragione che tutto il mondo la conosca. ln ogni caso se tale iniziazione dovesse farsi non si farebbe attraverso la bassa democrazia, che sembra dover condurre all’estinzione di ogni cultura difficile, e di ogni più alta disciplina. Il principio che la società esiste solo per il benessere e la libertà degli individui che la compongono non sembra essere conforme ai piani della natura, piani nei quali la specie sola è presa in considerazione e l’individuo sembra sacrificato. È da fortemente temere che l’ultima parola della democrazia così intesa (mi affretto a dire che si può intendere anche diversamente) non sia uno stato sociale nel quale una massa degenerata non avrebbe altra preoccupazione che godere i piaceri ignorabili dell’uomo volgare. “
Fin qui Renan. ll Fascismo respinge nella democrazia l’assurda menzogna convenzionale dell’egualitarismo politico e l’abito dell’irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il Fascismo poté da chi scrive essere definito una “ democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria “.
8] Di fronte alle dottrine liberali, il Fascismo è in atteggiamento di assoluta opposizione, e nel campo della politica e in quello dell’economia. Non bisogna esagerare – a scopi semplicemente di polemica attuale l’importanza del liberalismo nel secolo scorso, e fare di quella che fu una delle numerose dottrine sbocciate in quel secolo, una religione dell’umanità per tutti i tempi presenti e futuri. Il liberalismo non fiori che per un quindicennio. Nacque nel 1830 come reazione alla Santa Alleanza che voleva respingere l’Europa al pre-’89, ed ebbe il suo anno di splendore nel 1848 quando anche Pio IX fu liberale. Subito dopo cominciò la decadenza. Se il ’48 fu un anno di luce e di poesia, il ’49 fu un anno di tenebre e di tragedia. La repubblica di Roma fu uccisa da un’altra repubblica, quella di Francia. Nello stesso anno, Marx lanciava il vangelo della religione del socialismo col famoso Manifesto dei comunisti. Nel 1851 Napoleone III fa il suo illiberale colpo di Stato e regna sulla Francia fino al 1870, quando fu rovesciato da un moto di popolo, ma in seguito a una disfatta militare fra le più grandi che conti la storia. Il vittorioso è Bismarck, il quale non seppe mai dove stesse di casa la religione della libertà e di quali profeti si servisse. È sintomatico che un popolo di alta civiltà, come il popolo tedesco, abbia ignorato in pieno, per tutto il sec. XIX, la religione della libertà. Non c’è che una parentesi. Rappresentata da quello che è stato chiamato il “ ridicolo parlamento di Francoforte “, che durò una stagione. La Germania ha raggiunto la sua unità nazionale al di fuori del liberalismo, contro il liberalismo, dottrina che sembra estranea all’anima tedesca, anima essenzialmente monarchica, mentre il liberalismo è l’anticamera storica e logica dell’anarchia. Le tappe dell’unità tedesca sono le tre guerre del ’64, ‘66, ’70, guidate da “liberali” come Moltke e Bismarck. Quanto all’unità italiana, il liberalismo vi ha avuto una parte assolutamente inferiore all’apporto dato da Mazzini e da Garibaldi che liberali non furono. Senza l’intervento dell’illiberale Napoleone, non avremmo avuto la Lombardia, e senza l’aiuto dell’illiberale Bismarck a Sadowa e a Sedan, molto probabilmente non avremmo avuto, nel ‘66, la Venezia; e nel 1870 non saremmo entrati a Roma. Dal 1870 al 1915, corre il periodo nel quale gli stessi sacerdoti del nuovo credo accusano il crepuscolo della loro religione: battuta in breccia dal decadentismo nella letteratura, dall’attivismo nella pratica. Attivismo: cioè nazionalismo, futurismo, Fascismo. Il secolo “liberale” dopo avere accumulato un’infinità di nodi gordiani, cerca di scioglierli con l’ecatombe della guerra mondiale. Mai nessuna religione impose così immane sacrificio. Gli dèi del liberalismo avevano sete di sangue? Ora il liberalismo sta per chiudere le porte dei suoi templi deserti perché i popoli sentono che il suo agnosticismo nell’economia, il suo indifferentismo nella politica e nella morale condurrebbe, come ha condotto, a sicura rovina gli Stati. Si spiega con ciò che tutte le esperienze politiche del mondo contemporaneo sono antiliberali ed è supremamente ridicolo volerle perciò classificare fuori della storia; come se la storia fosse una bandita di caccia riservata al liberalismo e ai suoi professori, come se il liberalismo fosse la parola definitiva e non più superabile della civiltà.
9] Le negazioni fasciste del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non devono tuttavia far credere che il Fascismo voglia respingere il mondo a quello che esso era prima di quel 1789, che viene indicato come l’anno di apertura del secolo demo-liberale. Non si torna indietro. La dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre. L’assolutismo monarchico, fu, e così pure ogni ecclesiolatria. Cosi “furono” i privilegi feudali e la divisione in caste impenetrabili e non comunicabili fra di loro. Il concetto di autorità fascista non ha niente a che vedere con lo Stato di polizia. Un partito che governa totalitariamente una nazione, è un fatto nuovo nella storia. Non sono possibili riferimenti e confronti. Il Fascismo dalle macerie delle dottrine liberali, socialistiche, democratiche, trae quegli elementi che hanno ancora un valore di vita. Mantiene quelli che si potrebbero dire i fatti acquisiti della storia, respinge tutto il resto, cioè il concetto di una dottrina buona per tutti i tempi e per tutti i popoli.
Ammesso che il sec. XIX sia stato il secolo del socialismo, del liberalismo, della democrazia, non è detto che anche il sec. XX debba essere il secolo del socialismo, del liberalismo, della democrazia. Le dottrine politiche passano, i popoli restano. Si può pensare che questo sia il secolo dell’autorità, un secolo di “destra”, un secolo fascista; se il XIX fu il secolo dell’individuo (liberalismo significa individualismo), si può pensare che questo sia il secolo “collettivo” e quindi il secolo dello Stato. Che una nuova dottrina possa utilizzare gli elementi ancora vitali di altre dottrine è perfettamente logico. Nessuna dottrina nacque tutta nuova, lucente, mai vista. Nessuna dottrina può vantare una “originalità” assoluta. Essa è legata, non fosse che storicamente, alle altre dottrine che furono, alle altre dottrine che saranno. Cosi il socialismo scientifico di Marx è legato al socialismo utopistico dei Fourier, degli Owen, dei Saint-Simon: cosi il liberalismo dell’800 si riattacca a tutto il movimento illuministico del 700. Cosi le dottrine democratiche sono legate all’Enciclopedia. Ogni dottrina tende a indirizzare Fattività degli uomini verso un determinato obiettivo; ma 1°.-attività degli uomini reagisce sulla dottrina, la trasforma, l’adatta alle nuove necessità o la supera. La dottrina, quindi, dev’essere essa stessa non un’esercitazione di parole, ma un atto di vita. In ciò le venature pragmatistiche del Fascismo, la sua volontà di potenza, il suo volere essere, la sua posizione di fronte al fatto “violenza” e al suo valore.
10] Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il Fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono “pensabili” in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il giuoco e lo sviluppo materiale e spirituale delle collettività, ma si limita a registrare i risultati; lo Stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà, per questo si chiama uno Stato “etico”. Nel 1929 alla prima assemblea quinquennale del regime io dicevo:1 “ Per il Fascismo lo Stato non è il “guardiano notturno” che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini; non è nemmeno una organizzazione a fini puramente materiali, come quella di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso a realizzarlo basterebbe un consiglio di amministrazione; non à nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze con la realtà materiale e complessa della vita dei singoli e di quella dei popoli. Lo Stato così come il Fascismo lo concepisce e attua è un fatto spirituale e morale, poiché concreta organizzazione politica, giuridica, economica della Nazione, e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così come fu nei secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede.
1 Scritti e Discorsi: 1929; vol. VII, pagg. 26-7.
Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e soprattutto futuro. È lo Stato che trascendendo il limite breve delle vite individuali rappresenta la coscienza immanente della nazione. Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano, ma la necessità rimane. È lo Stato che educa i cittadini alla virtù civile, li rende consapevoli della loro missione, li sollecita all’unità; armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell’umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare della tribù alla più alta espressione umana di potenza che è l’Impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la sua integrità o per obbedire alle sue leggi; addita come esempio e raccomanda alle generazioni che verranno i capitani che lo accrebbero di territorio e i geni che lo illuminarono di gloria. Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto. “
11] Dal 1929 a oggi, l’evoluzione economica politica universale ha ancora rafforzato queste posizioni dottrinali. Chi giganteggia è lo Stato. Chi può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato. Quella che si chiama crisi, non si può risolvere se non dallo Stato, entro lo Stato. Dove sono-le ombre dei ]ules Simon, che agli albori del liberalismo proclamavano che “ lo Stato deve lavorare a rendersi inutile e a preparare le sue dimissioni”? Dei Mac-Culloch, che nella seconda metà del secolo scorso affermavano che lo Stato deve astenersi dal troppo governare? E che cosa direbbe mai dinnanzi ai continui, sollecitati, inevitabili interventi dello Stato nelle vicende economiche, l’inglese Bentham, secondo il quale l’industria avrebbe dovuto chiedere allo Stato soltanto di essere lasciata in pace, o il tedesco Humboldt, secondo il quale lo Stato “ozioso” doveva essere considerato il migliore? Vero è che la seconda ondata degli economisti liberali fu meno estremista della prima e già lo stesso Smith apriva – sia pure cautamente – la porta agli interventi dello Stato nell’economia. Se chi dice liberalismo dice individuo, chi dice Fascismo dice Stato. Ma lo Stato fascista è unico ed è una creazione originale. Non è reazionario, ma rivoluzionario, in quanto anticipa le soluzioni di determinati problemi universali quali sono posti altrove nel campo politico dal frazionamento dei partiti, dal prepotere del parlamentarismo, dall’irresponsabilità delle assemblee, nel campo economico dalle funzioni sindacali sempre più numerose e potenti sia nel settore operaio come in quello industriale, dai loro conflitti e dalle loro intese; nel campo morale dalla necessità dell’ordine, della disciplina, dell’obbedienza a quelli che sono i dettami morali della patria. Il Fascismo vuole lo Stato forte, organico e al tempo stesso poggiato su una larga base popolare. Lo Stato fascista ha rivendicato a sé anche il campo dell’economia e, attraverso le istituzioni corporative, sociali, educative da lui create, il senso dello Stato arriva sino alle estreme propaggini e nello Stato circolano, inquadrate nelle rispettive organizzazioni, tutte le forze politiche, economiche, spirituali della Nazione. Uno Stato che poggia su milioni di individui che lo riconoscono, lo sentono, sono pronti a servirlo, non è lo Stato tirannico del signore medievale. Non ha niente di comune con gli Stati assolutistici di prima o dopo l’89. L’individuo nello Stato fascista non è annullato, ma piuttosto moltiplicato, cosi come in un reggimento un soldato non è diminuito, ma moltiplicato per il numero dei suoi camerati. Lo Stato fascista organizza la Nazione, ma lascia poi agli individui margini sufficienti; esso ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali. Chi giudica su questo terreno non può essere l`individuo, ma soltanto lo Stato.
12] Lo Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicismo italiano. Lo Stato non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, soltanto rispettata, ma difesa e protetta. Lo Stato fascista non crea un suo “Dio” così come volle fare a un certo momento, nei deliri estremi della Convenzione, Robespierre; né cerca vanamente di cancellarlo dagli animi come fa il bolscevismo; il Fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi com’è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo.
13] Lo Stato fascista è una volontà di potenza e d’imperio. La tradizione romana è qui un’idea di forza. Nella dottrina del Fascismo non è soltanto una espressione territoriale o militare o mercantile, ma spirituale 0 morale. Si può pensare a un Impero, cioè a una Nazione che direttamente o indirettamente guida altre Nazioni senza bisogno di conquistare un solo chilometro quadrato di territorio. Per il Fascismo la tendenza all’Impero, cioè all’espansione delle Nazioni, è una manifestazione di vitalità: il suo contrario, o il piede di casa, è un segno di decadenza: popoli che sorgono o risorgono sono imperialisti, popoli che muoiono sono rinunciatari. Il Fascismo è la dottrina più adeguata a rappresentare le tendenze, gli stati d’animo di un popolo come l’italiano che risorge dopo molti secoli di abbandono o di servitù straniera. Ma l’Impero chiede disciplina, coordinazione degli sforzi, dovere e sacrificio; questo spiega molti aspetti dell’azione pratica del regime e l’indirizzo di molte forze dello Stato e la severità necessaria contro coloro che vorrebbero opporsi a questo moto spontaneo e fatale dell’Italia nel sec. XX e opporsi agitando le ideologie superate del sec. XIX, ripudiate dovunque si siano osati grandi esperimenti di trasformazioni politiche e sociali. Non mai come in questo momento i popoli hanno avuto sete di autorità, di direttive, di ordine. Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il Fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri.
Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.
Firmato: Benito Mussolini